Teatro Napoletano - Napoli mia!

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ACHILLE TORELLI




Teatro

Napoletano

“NAPOLI MIA!„



Con illustrazioni fuori testo di
E. DALBONO e SCOPPETTA






RISPOLI EDITORE IN NAPOLI



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ACHILLE TORELLI


Teatro Napoletano


“NAPOLI MIA„







RISPOLI EDITORE IN NAPOLI



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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA


Tutti i diritti di traduzione e riproduzione dell’Opera omnia - teatro italiano, napoletano ed ogni altro scritto di Achille Torelli sono riservati, giusta contratto di donazione aLL'erede Comm. Tello Torelli (Capodimonte P. G. Napoli), compresi quelli per Olanda, Belgio e Norvegia. Scrittori, Editori, Capocomici e Case cinemetograflche dovranno rivolgersi a lui direttamente o alla Società Italiana Autori • Via Valaiitr, 57 • Roma.




RISPOLI EDITORE IN NAPOLI

STAMPATO IN ITALIA






Stabilimento Giuseppe Rispoli - Arti Grafiche ed Affissi - Napoli - Telefono 24-793
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Con la presente pubblicazione “Napoli mia„ sciolgo l’impegno morale verso la santa memoria del mio adorato Genitore nell’adempiere ad una piccola parte del mio programma spirituale.

Rivolgo un plauso di tutto cuore, al Comm. Rispoli, editore cosciente, intelligente e ammiratore del Genio di Colui che ha tanto onorato la nostra bella Napoli.

Tello Torelli

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Quest’anno ricorre il 25° anniversario della morte di Achille Torelli e in ogni parte d’Italia, la dolorosa data viene rievocata dalle Compagnie drammatiche con la rappresentazione dell’immortale capolavoro “I Mariti„.

Anche Radio Roma ha degnamente commemorato l’illustre commediografo, trasmettendo su tutta la rete nazionale “Scrollina„ in tre atti che ebbero in Eleonora Duse, l’interprete ideale. I Comuni di Napoli e di Roma, per la su detta ricorrenza, hanno intitolato due loro vie al nome dello scrittore napoletano.

È stato mio fermo proposito voler contribuire alle onoranze all’insigne Maestro, pubblicando un edizione completa delle sue pregevoli opere, in parte inedite.

Presi gli opportuni accordi con il figliuolo dell Autore, pubblico oggi il primo volume di “Napoli mia„ titolo che lo stesso Achille Torelli segnò per le sue opere, e per le quali dettò anche la prefazione, che è quella che apre il presente libro.

Non dubito di vedere confortata l’iniziativa dal riconoscimento di quanti amano l’Arte vera, quell’Arte cui il grande Achille Torelli profuse ogni sua produzione.

Seguirà presto il secondo volume.

L'Editore

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Napoli mia!


Io che, trent’anni or sono, abitando il villaggio del Vomero, nell’ora del mio passeggio quotidiano, avevo sempre con me carta e matita, per segnare qualche idea che mi fosse venuta in mente, le cavai, un giorno, a notare un dialogo fra un soccavese dei più idioti e un senese dell’acqua più pura.

— ”C’é da pagà li parchetti a peso d’oro!” entrava a dire in quel momento un romano, terzo fra quei due.

Lì, sul Vomero, dove allora sorgeva il nuovo rione, erano venuti operai da ogni parte d’Italia, fra i quali quel toscano, che durava da un pezzo a disputare col napoletano, senza riuscire ad intenderlo e a farsi intendere.

Il napoletano diceva del trafoco o trafoche (il traforo) e precisamente di quelli della Ferrata Cumana e di Piedigrotta, di modo che il papone (il vapore) passava sott’’o trafoco a duie trafoche.

— Dio c…! — esclamava il senese — Non si sa che butti, com’è vera la morte!

— Chillo, ’o papone…

— Il papone?,… So che vi è il papa; ma il papone; no, davvero!

— No ’o papone!… ’o papone!…

— Il popone?

— Eh, sì, ’o papone…

— O dunque?

— Passa sott’’o trafoche… a duje trafoche…

— Tra foco?… Tra du’ fochi?… Il popone passa sotto e tra du’ fochi?… Ma che inventi? Tutto fiato da non capir niente…

— Tu che cciuccio ssì? ’O pa… ’o papore…

C’era da osservare lo sforzo che faceva il nostro povero soccavese, il quale, un po’ per intuizione, un po’ per reminiscenza, riusciva a trovare la desinenza giusta e mutava la storpiata parola papone in quella meno storpiata papore. Io [p. 2 càgna]misi bocca a spiegare ch’egli intendeva dire vapore; ma il senese aveva già inteso per aria; e:

— Certo — riprese — certo il foco è nella vaporiera, ma solo innanzi al treno e punto in coda. Veramente, a volte, vi è anche in coda, quando si va con una macchina in cima (sic!) e un’altra in fondo; di modo che il treno non va mai tra foco e foco, non passa tra du’ fochi; ma, se mai, va con du’ fochi: uno in capo, l’altro in coda…

— No, tu non capisce! Chillo va sotto ’o trafoco, a duje trafoche…

—D… ladro! Cerchi le lucciole e l’ova a sei? (sic) Che bischero sei? E’ possibile mai che passi, a un tempo, sotto e tra du’ fochi?… O sotto o tra!… Magari saran foche pescate in mare da voi altri!

— Mo? ta sono i’ na foca ’nganna (una stretta alla gola) e accossi’ te faccio capì!

— E ho capito nulla! Tutto fiato da capir nulla!… Se mai con una macchina in cima e un’altra accodata!… A passare tra tra foco e foco il treno avrebbe da avere ai lati, sulla via, un foco di qua e uno di là. E poi, fochi di che? di carbonaje? di buche dove pei campi si fa il carbone?

Io avrei potuto chiarir l’equivoco, ma mi pungeva la curiosità di vedere come quei due avrebbero finito con lo intendersi.

— Tu che nnoglia si’? (che salame).

— Noglia? Cosa? Che Dio ti mandi un accidente!

— Chillo cammina pe sotto ’o pertuso, f…. che ssi’!

Oooh! ora sì! non intendo a sordo! ora ti se’ spiegato meno peggio! Cammina per sotto, per entro il monte fesso? in ogni caso, per entro il pertugio e non sotto! Intendo, ora! benché la fessura non sia foro, ma spacco… S’imbuca e sbuca pel monte fesso!…

— Eh!… cammina pe dinto a ’o monte, trase pe da ccà e jesce fore pe dallà… e pe c he sto se chiamma tra…

Gli vidi vagare un momento Cocchio, poi vibrare uno sguardo come una lanciata, mentre lui scattava a dire: «Pecchesto se chiamma trafore». Non disse più trafoche. Soccorso dalla parola foro, gli venne fatto di trovare non solo la desinenza abbastanza giusta, ma anche la voce prossima all’italiana. Nessuna filologia mi fece mai intender meglio come lo sforzo del pensiero popolare, mettendo in rispondenza le idee (quelle di [p. 3 càgna]fore e trafore) mette in accordo i suoni, e così, di mano in mano assetta il vernacolo, finchè esso non giunge alla stabilità e alla compostezza della Lingua.

La fantasia dei napoletani mira particolarmente al colore e quella dei toscani al disegno della parlata; gli uni eccedono nelle tinte, gli altri sono impareggiabili nella precisione dei vocaboli corrispondenti alle idee.

Il Dialetto, dal più al meno, è come un’armatura in cui le assi, le spranghe, le traverse sono mal salde o mal chiodate; al contrario la Lingua è un congegno dove tutto sta a squadro e in rispondenza perfetta…

In conclusione, il Dialetto ciurla nel manico e la Lingua no. Questo è il dialetto parlato; ma quello scritto non deve ciurlare! Da noi si scrive, o per dir meglio si scriveva a quel tempo, il dialetto, raccogliendo ora l’uno ora l’altro suono di un medesimo vocabolo, e ciò contraddice all’Arte, la quale c’è non per uscire dal dialetto ma per scegliere fra le varie forme quella meno scorretta e più in rapporto con le altre affini. Insomma, a mio vedere, bisogna scrivere il Dialetto, cogliendolo nella sua più alta evoluzione verso la Lingua.

Come i fiumi vanno al mare senza la scorta degli ingegneri, così i dialetti tendono a divenire Lingua, senza che i grammatici vi abbiano arte nè parte.

Il nostro popolano dice trafoche e trafore e noi non usciremo dal vernacolo, scrivendo trafore.

La forma non ha altro dovere che quello di comunicare il pensiero quanto più chiaramente, efficacemente e sollecitamente è possibile: l’ondeggiare delle forme ritarda la comunicazione delle idee. Una bella definizione del Bello è questa: il Bello è ciò che si capisce più facilmente.

Premesse queste idee, dirò che, nello scrivere la mia prima commedia napoletana, «’O buono marito fa ’a bona mogliera», non ero sicuro di me e volli interrogare il Di Giacomo, essendo io poco pratico della nuova ortografia dialettale introdotta dal Russo e da lui; ed essendo anche dubbioso di adoperare qualche espressione troppo italiana o arcaica, perchè la mia forma, (in quel tempo) s’alteneva a quella dei nostri classici poeti dialettali; prova ne sia la mia «Canzone ’e Salumone votata a lengua nosta» e la mia scena: «Vaco a morì, tu campa!», scritte prima d’’O buono marito.

Per quale ragione io nascondeva che questa commedia era [p. 4 càgna]mia? Siffatta ragione si deduce dalle parole di Vittorio Bersezio, nella sua Storia di Vittorio Emanuele II (Vol. VIII, pagina 562): «Dopo l’enorme successo dei «Mariti», Achille Torelli fu trattato senza pietá». — Qualche cosa di simile il Verdinois, nei suoi Profili letterari. E questo che dicevano il Verdinois e il Bersezio era confermato da una lettera di Giuseppe Verdi al Manzoni, la quale non ho presente, ma leggo nella Revue latine, dell’ottobre 1902. Eccola: «Tutti danno addosso ad Achille Torelli; ma non sarei meravigliato che fosse lui ad aver ragione. Se egli avrà la forza di resistere a questa corrente, arrivato ai quaranta anni sarà salvo. Ma guai a lui se seguita ad aver paura! Egli non scrive oramai che sotto l’incubo della paura!» Verissimo! Mi avevano ridotto talmente impaurito e malato che non osavo più dare alle scene un lavoro col mio nome. Mi si taccerà di essere stato un debole: a torto! ero un malato, un malatissimo, e quando il corpo è affranto, lo spirito trema. Si domandi al Cardarelli fino a che punto ero malato in quel tempo. E vorrei fosse ripubblicato un articolo commoventissimo, nobilissimo, di Roberto Bracco, sul Corriere del Mattino, dove egli scopriva chi era il celato autore di una commedia intitolata: Nodo gordiano. — E per la stessa ragione io non palesavo di essere l’autore d’’O buono marito

Ma prima che la commedia fosse rappresentata il Di Giacomo si vide costretto di scrivere al Verdinois la seguente lettera, pubblicata nel Picche, n. 47, del 18 dicembre 1876:

«Carissimo amico,
«Voi non leggete i giornali… Se aveste però letta una mia lettera aparsa nel Corriere del Mattino, il giorno dopo la prova generale d’’O buono marito, avreste rivolto al Torelli tutte le vostre lodi, perchè la commedia è di Achille Torelli; io non ne ho riveduta che la forma napoletana, che già era ottima; ho mutato qualche frase, aggiunta qualche battuta, ho consigliato il Torelli di fare del 4. e del 5. atto un atto solo… A Cesare quello che è di Cesare….

vostro S. DI GIACOMO»

Infatti, il Di Giacemo non fece altro che mutare al mio napoletano pochissime frasi; ma evidentemente egli tenne a far sapere di avermi consigliato di fondere il 4. e il 5. atto della commedia. Invece un altro e mollo, molto più importante [p. 5 càgna]suggerimento mi venne da un vero (alloro ignoto, oggi illustre) autore drammatico, il mio carissimo Roberto Bracco. La commedia ’O buono marito finiva, come I mariti, con la parola di Nannina all orecchio di Iennaro, e il Bracco, il colonnello Focault, Federico Persico, il generale De Sauget ed altri, subito dopo la prova generale, sorsero a dire, col duca di Maddaloni: «La commedia «I mariti» da togata è divenuta tabernaria» E fu tutto in coro: «Tabernaria! Tabernaria!» E il Bracco strepitò più di tutti: «Vogliamo una chiusa tabernaria, cioè rispondente al sentimento e all’indole popolare: la vogliamo! la pretendiamo!» Questo fu il meno pretensioso e, giungo a dire, il più fraterno dei suggerimenti, ch’io misi subito in atto, e che decise, al finale del lavoro, del suo strepitoso successo. Dico strepitoso, perchè dovuto non a me, ma a Roberto Bracco. Li per li, tolsi il copione di mano al suggeritore e buttai giù la nuova scena che chiude la commedia. Immediatamente la feci provare ai mirabili attori della Fenice, che erano allora il Pantalena, l’Agolini, la De Crescenzo Amalia, la De Crescenzo Corinna, la Cutrinelli, il De Crescenzo, lo Scelzo, il Detta Rossa, il Gherardi, la Magnetti, ecc. E così ebbe inizio il Teatro artistico napoletano, il quale, parecchi anni dopo, avrebbe dovuto avere, a Roma la sua conferma. E l’ebbe; ma senza ’O buono marito. — E, per scagionarmi della mancata rappresentazione a Roma d’’O buono marito e delle altre mie commedie napoletane, mi corre l’obbligo di pubblicare la seguente lettera del Di Giacomo:

14 marzo 1910

«Illustre Signore,

«Il Molinari, impresario del Teatro Nuovo, condurrà la sua compagnia al Nazionale di Roma e vi darà commedie e drammi dialettali, che hanno avuto qui maggiore e meritata fortuna. Pregato da lui, gli ho composto decorosamente (si noti questo decorosamente) il repertorio. Sorveglerò (sic) lo impresario e baderò alla messa in scena, alle prove, alla disciplina di quelli attori. E’ mia personale intenzione d’inaugurare il corso delle rappresentazioni con la sua riduzione de I mariti».

Perdoni il Di Giacomo: ’O buono marito non è una riduzione, bensì differisce da I mariti; e in ogni scena differisce; e, appunto perchè alla chiusa non differiva, il Bracco, con vero [p. 6 càgna]fiuto da brano artistico, strepitò perchè io da togato rendessi tabernario anche il finale del lavoro. — Stanislao Manca, nella Tribuna, scriveva a questo proposito: «Il Torelli ha tratto questa commedia dai suoi Mariti, ma non si tratta di una traduzione e tanto meno di una riduzione. L’autore ha riprodotto le stesse curiose vicende coniugali, nei rapporti della minuta borghesia, con un calore e un sapore asai diversi da quelli che si riscontrano nella figurazione degli aristocratici personaggi de I mariti». — E io non rilevo, per tanto, se un certo ragazzo non sprovvisto di ingegno e d’attitudine al teatro, ma benissimo provvisto di malignità, s’ostina a dire che ’O buono marito è una riduzione, s’intende! Bisogna togliere a me il marito di avere scritto il primo lavoro del Teatro d’Arte napoletano; Ma tiriamo via!

E gli altri miei lavori? ’O guappo pe fforza — ’O miullo d’’a rota — ’E doje catene — ’A chiesa d’’o sanghe — Non te ne ncarricà — Don Nicò, si’ piecoro! — Tu a chi vuò mettere int’’o sacco? — Implicitamente, erano dichiarati indecorosi, perchè erano esclusi dal repertorio decorosamente composto. Nego assolutamente che il Di Giacomo avesse intenzione di usarmi una villania; ma mancava il tempo per mettere in iscena le mie commedie; quindi lasciai il posto a lui e alle sue.

E qui mi torna conto rammentare un fatto. Piacque al Ministro Baccelli il disegno (vagheggiato e poi smesso da Roberto de Sanna) di presentare la Drammatica italiana all’Esposizione di Parigi; e per fattuazione di guesto disegno io fui chiamato alla Minerva da Giuseppe Costetti, allora Direttore Gerale dell Istruzione superiore. Ma il Costetti ed io, prevedendo che gl’introiti non avrebbero pareggiate le spese, ci vedemmo costretti a stremenzire il repertorio e a ridurlo a pochissimi lavori. Ma come regolarci per non far torto a nessuno degli autori nostri compagni? Non volendo escluder loro, Costetti ed io escludemmo noi stessi, e non comprendemmo nel repertorio nessuno dei nostri lavori, a cominciare da I mariti. — E passiamo a dir altro.

I poeti drammatici sono come i sarti, i quali per essere eccellenti, occorre che abbiano, oltre la stoffa, la maestria del taglio. Si può possedere la più bella delle stoffe e rovinarla in tagliarla per farne un abito… Il Di Giacomo (ne domandi a Benedetto Croce, se egli non ha fede in me) è un lirico dialettale di primissimo ordine; ha stoffa artistica come nessuno; [p. 7 càgna] ma non ha taglio drammatico. Prova ne sia ’O vuto, nella quale la bellissima stoffa artistica è sua, unicamente sua; ma il taglio scenico è esclusivamente del Cognetti. Mese Mariano del Di Giacomo è un lavoro perfetto, ma è una novella sceneggiata e non unа сomplessa opera drammatica. Ed ecco perchè il Di Giacomo ha messo vent’anni per dare al teatro l’Assunta Spina, nella quale la stoffa è ottima, ma il taglio difettoso e non poco! E per questo il Teatro d’arte napoletana avrebbe bisogno che il Di Giacomo si associasse sem pre al Cognetti. Ma che forse l’ingegno di Matilde Serao cessa d’essere tale perchè ella s’è unita col Murolo?

Povero nostro teatro dialettale! Ha dovuto e dovrà lottare contro i propri autori, più che contro lo Scarpetta, il quale, non essendo un vero autore, è certamente un mirabile, comicissimo riduttore.

La verità che di sughero è fatta
per tuffata che sia ritorna a galla!

Senza dubbio, le sue commedie, tratte da farse francesi, non hanno nulla di altamente artistico; ma, siamo giusti! attestan sempre un espertissimo, bellissimo ingegno, il quale, poi, diè prova della più vana pretensione quando disse che, se un teatro d’arte napoletano fosse stato possibile, lo avrebbe fatto lui. — Fabulae! direbbe Plauto. — Lo Scarpetta deve tenersi contento di essere stato un comico insuperabile ed anche un esilarantissimo manipolatore di componimenti scenici, i quali di napoletano non hanno altro che la dicitura. Ma vorrei che tutti gli altri autori napoletani (me compreso) avessero la feconda, inesauribile vena comica dello Scarpetta. E sventuratamente — per giunta — i loro drammi e le loro commedie si contano sulle dita, ed anche le più strombazzate non hanno dritto a dirsi capolavori: il successo non costituisce capolavoro. Infatti quale più smisurato pasticcio e quale più strepitosa fortuna di quella della Santarella, che diede allo Scarpetta una villa, sul cui frontone egli scrisse: «Qui rido io!» Aveva ragione! — chi ride l’ultimo (e ride bene) è il tempo, il quale mette a posto tutti. Ma, intanto, Scarpetta aveva dritto a trionfare: egli diverte e noi (metto tutti in un fascio, e me per il primo) piagnuсoliamo.

E manco male se quegli autori che si vantavano di aver vinto si fossero affratellati! Ma che!

Vincitor! siete deboli e pochi! [p. 8 càgna]

Furbo l’impresario del Teatro Nuovo, il quale, vedendo che il suo repertorio non s’alimentava abbastanza della vena dei poeti, si diede animo e corpo allo Scarpetta, che, bene o male, gli offriva un repertorio; e più bene che male, perchè le sue farse traggono e i nostri piagnistei annoiano. E il Pantalena, con la Magnetti, mettendo insieme una nuova compagnia, si vide appunto nell’impossibitità di andare avanti alla lunga, avendo poche belle commedie, ridotte anche a più poche, perchè la Magnetti, pur essendo un’ottima, seducentissima artista, non è una mattadora; e, pertanto, esclude dal suo repertorio tutte le produzioni che non si con fanno al suo temperamento. Nè le do torto.

Dunque, per l’indolenza di un grande attore (il Pantalena), per l’irrequietezza di un altro attore (lo Scelzo), che non ha saputo fare emergere una grande attrice (Leonilda Scelzo), per amor proprio di una brava attrice (la Magnetti) e specialmente per la deficienza della vena comica negli autori, la nostra commedia paesana pericola ancora in un mare infido. Ma Ernesto Murolo, riusciva a trarla in porto, perchè nei disegni dove sono indispensabili le forze collettive, se impera l’egoismo, il fallimento è sicuro.

Mi dicono che lo Scarpetta, vedendo a Firenze la statua di Dante, uscisse a dire: «Sì; ma isso non s’è fatto ’nu palazzo ’e case!» Aveva ragione! Occorre essere incurabilmente malati di eroismo artistico per tenersi fedeli ali Arte e ridursìi a patire la fame! Senza contare che

Sempre Tuoni non volgare
o scavalcato o inutile si spense.

Ma se, a produrre commedie, voi, nuovi autori napoletani impiegaste metà dell’ingegno che sciupate a scavalcarvi l’un l’altro, occupereste meritevolmente il posto a cui qualcuno fra voi sale; e risparmiereste a voi stessi triboli che immancabilmente vi attendono dal credervi tanti genii.

Tutti i dolori della mia vita derivarono dal reputarmi maggiore di quello che ero!

Ed ora guardo, senza far parole,
ma con pietà superna
a chi si crede un sole
e a stento è una lucerna.

ACHILLE TORELLI

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Camorrista per forza


Nell’orto attiguo alla casetta di Don Tito, più noto ai popolani del rione col nome dello Zio Prete, la bella sua nipote Filomena cantava la famosa: Fenesta che lucive… L’accompagnavano maestrevolmente Ciccillo con la chitarra, e Batticola col mandolino. In fondo, Donato, lutto attillato nella uniforme dei bersaglieri, s’addossava ad un fico; e, dall’altro lato, quel semplicione di Gennarino (che di giorno faceva il galoppino ad un usciere, e di sera il suggeritore e il maestro di calligrafia), se ne stava con la sua faccia di fraticello compunto, tra la sentimentale Teresina e la procace donna Francesca. Costei, carica di collane, di anelli, di ciondoli, come la statua della Madonna, nella chiesa dove era rettore lo Zio Prete, tintinnava dondolandosi, perchè andava in visibilio alla dolcissima canzone.

— Tenetemi! tenetemi! — esclamava, come invocando qualcuno che la tenesse in terra, perchè lei si sentiva come trasportata al settimo cielo.

— Volete che vi tenga? — domandò a braccia aperte l’ingenuo Gennarino, non intendendo il senso della frase detta dalla Francesca.

E Teresina, che con la sua aria di monachella allampanata, pareva non avesse forza d’ammazzare una mosca, strinse il braccio di Gennarino in modo da fargli cacciar un urlo, che, per fortuna, si confuse con un si acuto della Filomena, e, pertanto non fu notato da nessuno.

— Volete tener le mani a posto con donna Francesca? — brontolò sordamente Teresina, digrignando i denti e mostrandoli. quasi volesse mordere il malcapitato.

— Chi la tocca? — uscì lui a dire; ma non terminò la frase, perchè un nuovo e più terribile pizzicotto della Teresina gli mozzò la parola.

— Ho capito — concluse lui — m’allontano da tutt’e due, e così la faccio finita. — E prese la mossa per allontanarsi.

— Addirittura volete farmi morire?! — soggiunse con voce più sommessa la fanciulla; e gli volse di sotto le lunghe ciglia nere, uno sguardo che avrebbe fatto sdilinquire un sasso. [p. 10 càgna]Intanto la Filomena interrompeva il canto, perchè lc si er allentato il nodo dei capelli; c mentre lei se li riaggrupava, (jjc’ cillo e Batticola sospendevano l’accompagnamento. Non per^ Teresa na cessava dal tener gli occhi in Gennarino; e, per questo a lui, timido e fastidito, pareva di aver addosso gli occhi di tutti’

— Badate! — egli disse, con iiii ili di voce e con la mano sulla bocca, facendo le viste di lisciarsi i pochi baffi che aveva’ — Badate che lì quel malandrino di Ciccilio, vostro cugino,

ge di accordare la chitarra, e invece fa la gatta di Masino.’

In quel punto- la Filomena, rannodatisi i capelli, usciva a dire che di quella canzone malinconica, ne aveva abbastanza. E lo Zio Prete, tondo e rubicondo, le fece subito eco, dichiarando di aver per la malinconia la stessa avversione che il Diavolo per l’ecqua santa.

— Ora canto la canzone dei bersaglieri — concluse con vezzo tutto suo la Filomena; e fissò espressivamente, quasi sfacciatamente, lo sguardo nello sguardo di Donato; nè aspettò Pac compagnamento degli strumenti, e intuonò a piena voce, coi tutta l’anima: Voglio bene ’e bersaglieri...

Teresina diè subito del gomito nel fianco di Gennarino, uni e due volte, sussurrandogli: — Anch’io! anch’io!

— Bersagliere sono ancora e me ne vanto! — esclamò lui al zando in aria il cappello a cencio. E avvicinatosi a Donato, eh di solito se ne stava con gli occhi imbambolati, ed ora li avev addirittura stralunati — Dove hai la testa? — gli disse: — L senti. Filomena, che vuol bene ai bersaglieri?

Mi pareva che le carni di Gennarino fossero destinate a po tare le lividure dei pizzicotti di tutti, perchè anche Donato giù ne dette uno, che gli fece veder le stelle.

In quel mentre, tra la prima e la seconda strofa della cai zone, donna Francesca dava la stura all’ammirazione ed al commozione dell’anima con ogni specie di gesti e parole:

— Ah! Oh! Uh! Che bella cosa! Come canta!... Che coi dolce! — E soggiunse sommessamente, tanto da essere udì dal solo Gennarino: — Peccato che strilli: io me ne intend perchè mio padre era corista al teatro San Carlo.

— Non pare — s’attentò <ji dire Gennarino. — Dov’è cl strilla?

— Che siete forse maestro di cappella, voi?

— Son suggeritore... c anch’io canto.

— Come un bove che va al macello — interruppe Ciccill che non mostrava troppa tenerezza pel povero suggeritore, a zi pareva l’avesse addirittura sulle corna.

— Canti, canti Gennarino! — disse lo Zio Prete.

— Vogliamo sentir Gennarino! avanti Ge,nnarino!

— Sarà un bel divertimento! — osservò Batticola.

— Sì, si! — soggiunsero tutti, meno Donato, che aveva capo a tutt’altro.

— Scherzate? — tentò di dir Gennarino schermendosi. [p. 11 càgna]_ Gennarino! Gennarino! — e tu Iti gli fecero ressa attorno. meno Portogallino, io scaccino, che non si sapeva perchè

lo avesse raro come il fumo negli occhi.

-- lo ho la voce fioca... Ho il gesolfautte abbassato...

— Evvia, non vi fate pregare! — entrò a dire gravemente quello sgargiante di Batticola. con tutta la sua dignità di capo camorrista.

— E canta una volta! — mise bocca anche Donato, rimasto sin allora immelensito dalla prepotente occhiata della Filomena.

— Anche tu? — brontolò Gennarino contro l’amico.

— E non vi fate pregar tanto! — esclamò perfino Portogallnio.

— Per far piacere a me! — supplicò da diritta la Filomena.

— E ditemelo cantando clic mi volete bene! — ardi dirgli sotto voce, dall’altro lato, la Teresina.

A quell’imprudenza, Ciccilio, facendo le viste d’accordare ìa chitarra, borbottò più torvo che mai: — Sta a vedere che quel disperato fa lo smorfioso con Teresina, che è sotto la mia protezione!

Cotesto ostentato officio di protettore dava segno che il giovane Ciccilio era ancora un novizio fra gli affiliati alla camorra. Invece Batticola, che era una capoccia, un maestro dei novizii, aveva l’aria di pontificare ad ogni parola. Ma questa \olt-a. non vedendosi obbedito all’istante, perdette la solennità •con la pazienza, e:

— Cantate! — scattò a dire irnientemente! — Ora mi fate montare la mosca al naso! Benedetta la campana che suona a morte per chi non canta!

— Ohi! ohi! —- interruppe lo Zio Prete: — che parole sono queste?! Qui ci sono io!

E Batticola per atto di contrizione e sottomissione stese subito le dita alla paffuta mano del prete, e se la portò alle labbra, inchinandosi e togliendosi il cappello.

— Non senti? — osservò la Francesca, andando con le dita aggruppale fin sotto il muso dì Gennarino: — Non senti? E canta una buona volta, che offei è Santa Filomena, e vogliamo stare allegri!.... L’allegria fa bene all’anima e al corpo! Non è vero Zio Prete?

— Servite Domino in laetitia! — affermò costui, aprendo le braccia come nWorate fratres.

— Vi risolvete? Che cosa volete cantare? — demandò con una grazia di cane rabbioso Ciccilio a Gennarino, il quale, grattandosi il cucuzzolo, gli si accostava arrendendosi! — Che accordo ho da fare Che pezzo di Paradiso volete ragliare? — E soggiunse fra sè — A momenti gli rompo sul capo la chitarra!

— Cantiamo: Passa la vacca! — sospirò l’altro, che s’arren deva proprio contro voglia. E il suo, più che un canto, fu un [p. 12 càgna]miagolio, una sequela di note sgraziatamente acute che H»v«, no in falsetto:

Ammore, che pe l’aute è bersagliere,

Pc mme non tene daga c no’ me ’ntacc.i:

Nennellc belle, i’ sto diuno ’a jerc;

E pe mme passa fa> vaerà 0).

— Che bella voce! osservò donna Francesca, con la sdolcinatezza dei suoi modi, che faceva rabbia alla Teresina, particolarmente quando colei andava in sollucchero per Gennarino:

— Le nenneìle belle son pure di cuore; e per l’amore non si fa notte mai, non passa mai la vacca! E’ vero.

— E’ vero, si — scattò a dirle a tu per tu Teresina, con voce resa stridula dal dispetto: — Ma quello, Gennarino, parla di nenneìle, e voi non ci avete nè che fare, nè che vedere, voi che siete maritata!

— Davvero? — domandò mollemente, ironica, l’altra, strascicando le parole e puntando le braccia sui fianchi, come i manichi di un’anfora.

E a momenti si sarebbero accapigliate, se la prudenza non le avesse tenute in briglia. Fortuna che le loro voci furono coperte dal frastuono degli applausi nlTesimio cMntanie; il quale di natura sfiaccolato, facente tutto alla peggio, questa volta, per

lo stomaco vuoto, che gli dava travaglio, cantava con falsetti così languidi che, finalmente. Io Zio Prete ne sospettò la cagione.

— Portogallino — chiamò due volte dondolando il capo, come per dire: ho capito! — Portogallino porta i biscottini ed il fiasco di Posillipo, altrimenti la voce di Gennarino non si rialza.

E Gennarino alzò gli occhi al cielo: quegli occhi ora furbi, ora dolcissimi; tanto che la Francesca diceva che lui in quegli occhi, a volte ci aveva gli angeli, a volte i diavoli.

Portogallino, che nella chiesa faceva da scaccino, e in casa da servo e da guattero. andò in giro con un vassoio, ove era un monte di biscottini, circondato da bicchieri colmi di vino: schietto Posillipo, di quello offerto dalle beghine della collina allo Zio Prete. A quella vista Gennarino trasse un lungo sospiro.

— Zio, voglio servirvi io! — disse la Filomena andando al vassoio, e tornando con un bicchiere in mano adagino adagino,

2 con gli occhi attenti al bicchiere colmo sino all’orlo.

Ad offrire un bicchiere non traboccante di vino, ma col colure da prete, come dicono i nostri popolani, si dà segno di ava’ izia e di mala creanza.

■’ — (i) Passa la vacca significa: Non ci sono quattrini. Il modo è d’uso recente, eriva da ciò, che quando un povevo affamato, sente, a vespro, il campanacdo ddW icche, che menano a mungere alla; porta delle case, sente anche mancar l’animo Ilo sfinimento del corpo e dispera di buscarsi più nulla; annotta, e la malinconia

I vespro, il suono lento c monotono del campaanccio, sono come apparato e musica ìebre alla fame ed alla disperazione. [p. 13 càgna]— E voglio servirvi anch’io! — aveva soggiunto Teresina.

Sicché le due ragazze, Punu più sollecita dell’altra s’erano

trovate con le mani al vassoio, disputandosi l’onore di servire

lo Zio Prete, ma s’accordarono subito portandogli runa da mangiare, Tal Ira da bere.

Tenendo la sinistra sulla sferica pancia, levato in alto con la dritta il bicchiere, godutosi un poco il rubino del vino e il suo aroma, lo Zio Prete sputò (altro segno di buona creanza) e prese a sorseggiare olimpicamente.

Intanto Filomena, per non aver potuto andare difilata da Donato, come avrebbe voluto, veniva verso Gennarino, l’amico di lui, proprio quello del cuore, e gli offriva da diritta un bicchiere gocciolante e da sinistra una manata di biscottini.

— Guardate, servo voi il primo, subito dopo lo Zio — disse la giovane.

— Scialo per conto altrui! — rispose lui, che non era sempre quel semplicione che tutti dicevano. E non tanto a signi ficare che era pericoloso accettare quel donativo, fatto con fine nascosto, quanto a scherzare sul nome di Donato, canticchiò: t aro mi costa quel che mi è donato!

— Come sarebbe a dire? perchè pensate a male?

— Pensa a male, che indovini! — soggiunse lui volendo fare

il grazioso.

— Come siete brutto! — mugolò la ragazza, che per ogni piccola cosa metteva muso; e si staccò bruscamente da lui, seguitando a brontolare tra i denti.

Fuorché Donato, gli altri, intanto, sgretolavano biscottini vd ingollavano Posillipo; particolarmente donna Francesca, che, volentieri, si sarebbe cacciato in corpo il fiasco con tutta l’impagliatura. Lei. per altro, più che del fiasco, era cupida di Gennarino, e quindi, non perdendolo d’occhio, ave’va notato Filomena che gli si era avvicinata con premura e se n’era scostata con un muso tanto lungo.

— Ohi, galantuomo -- gli disse a fior di labbra e con cipiglio

— avresti qualche intenzione per Filomena?

— Donna Francesca — rispose lui con accento supplichevoli: — mangiale i biscottini, che denti ne avete e buoni; invece, pei miei, Filomena è come un biscottino impossibile a masticajc! Vi canai’ita?

— No, tu con quell’uria da san Luigi Gonzaga, sei un furbonc che non mi capaciti!

Cotfì dicendo, gli rivolse uno sguardo bieco e gli diede al braccio un pizzicotto che il livido gli dura ancora.

— Mannaggia chi non vi suona la campana a morto! — scattò lui a dire; ma quella volpona, timorosa che gli altri, non avendo il colono negli orecchi, a quel gemito avessero potuto

i api re di che si trattava, urlò forte e con la sua voce baritoneggiante coprì quella ili lui, che andava sempre in falsetto. [p. 14 càgna]— Ohi! guarda, che amore fa amore e crudeltà fa sdegno?

— concluse sommessamente.

Intanto Filomena, facendosi rossa rossa, porgeva un bicchierino di vino a Donato. E Teresina. che del proprio cuore aveva fatto due parti, una tutta di Gennarino, e l’altra, la maggiore forse, di Filomena, seguiva costei con la coda dell’occhio, e le slava ai panni per richiamarla, se mai, alla prudenza. Ma d’imprudente non c’era altro che il viso di Filomena, il quale si faceva di brace ogni volta che lei si accostava a Donato.

Amore e tosse non si celano: tanto che perfino loa Zio Prete s’era accorto di qualche cosa: e per questo non si risolveva a dare una risposta affermativa a Batticola, il quale gli aveva domandato la mano di Filomena. E non occorreva essere di naso fino per intendere che Filomena aveva dato tutto il suo cuore a Donato. Lui. sì, che era, come si dice, un bel ragazzo; e, se fosse stato vestito da tenente nessuno lo avrebbe preso per un popolano. Vero è che sua nonna nacque da una famiglia signorile, rovinata, come tante, nella rivoluzione del Novantanove.

Se posso a’vere l’onore d’offrirvi?... — gli disse la fanciulla guardando a terra coi suoi begli occhioni, e con una vocina, che pareva avesse paura di venir fuori.

— Vi pare! l’onore è tutto mio! — rispose Donato non meno commosso. E prima di bere soggiunse. — Che il Cielo vi faccia felice per miU’anni!

— Felice... con chi vogl’io? — scattò a dire arditamente lei fissandogli prepotentemente lo sguardo nello sguardo.

Lui ebbe un capogiro, e balbettò: — Con chi volete voi... come volete voi...

E così passi l’angelo e dica: Amen! — concluse lei. E gli occhi le sfavillarono, divenendo imprudenti più delle guance infiammate.

Ma Gennarino era stato messo in sull’avviso da un altro pizzicotto della Teresina, la quale gli aveva soggiunta di sfuggita:

— State attento a Donato, ch’io bado a Filomena — e quindi ad eludere il sospetto di Batticola, che di sottecchi cercava scrutare la fanciulla, lui, Gennarino, s’accostò a Filomena; ed ebbe l’aria di esser geloso che lei parlasse con Donato: almeno c osì sospettò la Francesca, che, tentennò il capo in segno di minaccia contro Gennarino, il quale canticchiava:

Bella figliola mia. bella figliola,

Chtste guardate toje &o’ comm’ a vase (i)

Che me coceno peggio ’e ’na brasciob Ncoppa a la vrase (z).

A questo la Francesca non potendosi frenare del tutto, ai ti ,ò su istintivamente le maniche del vestito quasi a pigliare l«r mosse per venire alle vie di fatto con qualcuno.

(i) Baci. (2) Biace. [p. 15 càgna]— Alla salute della santa! — gridò in quel punto Ciccilio levando in alto il bicchiere eon brusco movimento; sicché alquan’ to di vino si riversò sulla nuca di Gennarino, che gli era accanto e tri i eolò giù per le reni.

Il Mannaggia! che gli sfuggi mentre lui spingeva il capo indietro e il petto in avanti, si perdette nel frastuono delle risate v degli auguri alla santa.

Francesca fu lesta a tirar di tasca la pezzuola: e, mentre gli altri ridevano, la ficcò ira il collo ed il solino di Gennarino, e, col ventaglio, gliela mandò giù fin dove potè nelle reni.

— Ma — lo ammonì poi coll’indice in aria: — Bada che è di tela battista e si chiama: torna!

— Scostumata! — stava per dir Teresina, con occhi che schizzavano fiamme; ma Filomena, pronta, la prese per le braccia e, costringendola a voltarsi dalla sua parte, le ruppe la parola con un bacio.

— A Filomena mia bella, bella, bella! — uscì allora a dire Teresina stringendola forte tra le braccia e guardandola in modo che pareva volesse lasciarci gli occhi.

— E’ buona, buona, buona! — soggiunse Don Tito.

Batticola, Ciccilio e Portogallina gli fecero coro sfilando «na

corona di lodi, che dette sui nervi a Filomena, la quale da Batticola non voleva essere neanche nominata. E appunto per non dar retta alle sue lodi si teneva abbracciata con Teresina, faccia a faccia:

Auf! quel Batticola! Non lo posso patire! Mi sta sullo stomaco!

E Gennarino non cessava dal dimenarsi a cagione del brivido che gli correva ancora per le reni. E donna Francesca, per rinfrancarlo comechessia, era andata a prendere un biscottino, e gli era venuta di faccia, e leziosamente pretendeva introdurglielo in bocca con le sue mani. Gennari.io si lasciò imbeccare. A questo atto poi Teresina perse il lume degli occhi: sgusciò di mano a Filomena, la quale vedendo di non far più a tempo per trattenerla, tentò, almeno, di sviare da lei l’attenzione della Francesca, e chiamò questa per dirle qualche cosa che non fu buona di trovare li per lì; di modo che non riusci’ ad infinocchiarla, ma invece a farla peggio insospettire che lei, Filomena, non volesse lasciarla parlare con Gennarino. Nessuno oramai cavava più codesta idea dal capo di donna Francesca. Intanto Teresina aveva l’agio di discorrere con Gennarino.

— Alle corte volete farmi morire? Ma prima, dirò a mio cugino Oicciflo che siete stato voi! E ci penserà lui—

— Ma se quella ha voluto, per forza mettermi il biscottino in bocca?

— E sputatelo subito! sul momento! adesso per adesso! se no mi metto a gridare da pazza!

Sia per la paura d’uno scandalo, sia perchè Teresina con quegli occhi lucenti di lagrime lo riduceva come uno schiavo [p. 16 càgna]allii catena, lui buttò fuori il biscottino mezzo masticato; ina pensò subito di rifarsi, c nc afferrò quanti altri ne potè dal vassoio che Portogallino andava riportando in giro.

Dal canto suo, la Francesca persuasa che Filomena, gelosa, l’avesse allontanata da Gennarino con un pretesto, la pianto in asso e tornò da lui con più fregola di prima L’aria incominciava ad annuvolarsi, ed il miope Zio Prete, che aveva alzato il gomito più del dovere, guardava verso le donne, come se a’vesse dovuto passare il filo per la cruna del’ l’ago e diceva: — Ma che avete? La tarantola?

— Che ti diceva Teresina? — chiese la Francesca al giovane.

— Donna Francesca, non v’impicciate dei fatti altrui!

— Che intenzioni son le tue? Fai lo smorfioso con Filomena’ c Teresina ti porta le imbasciate? Ma tu non la passi liscia!

— Scherzate?! Volete che Batticola, che ha domandato la mano di Filomena, mi venga a cimentare?

— Unii, Batticola fa lo spasimante anche con me, ed io non ghel’ho detto alle spalle; ma in faccia, che non mi va a genio!

— soggiungeva lei sommessamente.

E Filomena vide che se quel duetto durava, ne sarebbe certo nata una baruffa perchè Teresina diventava di tutti i colori. Per tanto lei, Filomena, prese subito il partito di contraddire lo Zio 1 rete, a cui il vino non era andato tanto alla testa, che non s opponesse garbatamente a Ciccilio e Batticola i quali s incaponivano a voler giocare alle carte.

— Alle carte nossignore! alle carte non si gioca! —• sentenziava a mani levate: — Le carte sono state inventalo dal Demonio! 1

— Alla lotteria, sì? — implorò Filomena.

— Alla lotteria posso permetterlo... Un soldo alla cartella, e, chi vince, paga la decima alla Chiesa.

— E dove giochiamo? — domandò Ciccilio.

— Nella stanza da pranzo, sulla tavola dove stira Teresina

— soggiunse il prete; — ma prima Teresina e Filomena han da dare un occhiata alla cucina, perchè io non intendo di mangiar male per far piacere a voi altri.

Per una porta poco comoda dentro la quale lo Zio Prete, adiposo com’era, urtò e si ballottò, passarono tutti, meno la Francesca e Gennarino, che rimasero in coda. Entrarono gli altri in una specie di ridotto dipinto a guazzo: un bel guazzo di un pittore peritissimo, il quale, in altri tempi, aveva pagato un debito di gratitudine al padre della Filomena dipingendogli la stanza (la pranzo, quel ridotto e una terrazza coperta.

Il padre della Filomena (cade a proposito dirlo) mentre visse, si dclte per uno slinco di santo; ma invece, da chi lo co rM,"’: rzl;z [p. - càgna]





[p. 17 càgna]ne. le quali confermavano che di cattive ne doveva aver coni" messe parecchie. Cosi si spiegava perchè avesse soccorso quel pittore disgraziato e valente, il quale in quel ridotto aveva rappresentato un pergolato ricco di pampini e d’uva che sembrava da cogliersi, tanto era vera.

E di là passarono nella sala da pranzo, dove erano ritratte scene campestri, conviti, ed altri sollazzi: tutta roba da poter figurare in una mostra.

La tavola da mangiare serviva quotidianamente a quattro persone: allo Zio Prete, a sua nipote, a Portogallino e a Teresnia; ma poteva allungarsi per via di pezzi, ed allungata, quel giorno, era sufficiente per dieci persone invitate a solennizzare il giorno onomastico della Filomena.

Sulla credenza si vedevano approntate pel desinare torri di piatti, scodelle e tondini e chicchere, ampolliera, caffettiera, zuccheriera, bocce, bicchieri, bicchierini... Appariva evidente che lo Zio Prete ci teneva alla stanza da pranzo, e particolarmente al desinare di quel giorno in onore della nipote.

La cucina accanto alla stanza da pranzo, era la più bella della casa.

Per lo Zio Prete, in primo luogo la Chiesa! con la Chiesa lui non ischerzava; ina, dopo la Chiesa, la cucina! Il focolare era così fornito di buche di fornelli, che vi si pote’va cuocere il pranzo d’un re con la sua corte. Due alari di ferro terminanti in figure di diavoli; un gran girarrosto da arrostirvi mezzo manzo, e spiedi da pollanche, da tacchinotti, da uccelli, da uccellini... E tutta una parete tappezzata di rame; cazzeruole, tiglie, tiglioni, bastardelle, stufaruole, caldarotti, paioline’ E dall’altro lato, la rastrelliera per le stoviglie, pentole, tegami, tegami’ ni.... E mestole bucate da lasagne, e frullini da cioccolatta e da uova.... Insomnia nel rione quando si voleva vantare una nuova sposa, fornita d’ogni ben di Dio, si diceva: E’ come la cucina dello Zio Prete!

In quel paradiso di cucina entrarono Portogallino, Filomena e Tcresina, il primo dirigendosi ai fornelli a ravvivarvi il fuoco, e le altre al forno, per osservare le vivande che vi si crostavano.

Intanto Ciccillo e Balticola disponevano i posti nella sala da pranzo, e le cartelle della tombola sulla tavola.

Ma donna Francesca ancora nell’orto loquace come una carrucola, s’era messa con Gennarino in quel discorso da non finire; e lo tratteneva per la manica, e lo costringeva a voltarsi di faccia a lei, e a fermarsi.

Sic< bè le ragazze erano già in cucina, quando lei col giovane indugiava ancora nell’orto, presso la capannello di verzura^ dove era la tavola, con le panchine di ferro fuso.

E andando a passo di formica, lui sempre tentando di avanzare e lei sempre standogli ai panni, giunsero alla vuschettina [p. 18 càgna]coi |>«S. i rosai,. love il giovam’ sincanló a «uanlarc Io spillo di acqua du’ schizzava dui centro.

Qualche passo lontano, una porticina, che metteva giù nel chiassuolo, era socchiusa, non a caso: la Filomena non l’ave’va fatta serrare da Portogallino, dopo averlo mandato dalla vecchia zia di Donalo, per una torta che, quel giorno, la ragazza voleva regalare: alla vecchia, la quale, per questo era stata avvisala di venire da quella porticina a mezzo giorno in punto, l’ora della levata dal forno.

Quello, liatticola, s’è messo dietro anche a me! — ripeteva intanto a Gennarino donna Francesca, un pò pavoneggiandosi, un pò mostrandosi sprezzante di quella corte: — Ha ragione che mio marito... Se non avessi trecento lire al mese che mi ha lasciato...

-- Ma questo vostro marito è morto o vivo? — domandò Gennarino.

— Non è nè morto nè vivo.

— E come mai vi ha lasciato trecento lire al mese?...

— Poveruomo! — sospirò lei con effettazionc e mollezza — Poveruomo!... Se non fosse lui... I denari di Filomena sono come la nebbia d’estate.... e possono sfumare da un momento all’altro... Non parlo perchè le voglia male, anzi!...

— Ma se non è nè morto nè vivo?...

— E’ pazzo da cinque anni! Malato, della midolla spinale... Era un uomo bello all’occhio; ma poi m’ha fatto cattiva riuscita: non c’era consistenza. Io lo sposai che aveva quarant’anni più di ine... Era un uomo letterato...

— E l’avete mandato al Creatore, ho capito....

— Ohi, parla come si deve!

— La grazia dell’uomo letterato, che con quarant’anni di più sulle spalle s’imbarcò con questo pezzo di marcantonia!

— T’ho detto parla come si conviene!

— Ma già chi vuole la rosa non ha da aver paura delle spine.

— E appunto per la spina dorsale, ha dovuto andare al manicomio. E Batticola non sa che via prendere, se di qua o di là: non sa se piegarsi dalla mia, o da quella di Filomena... Ma sa che i denari di Filomena non sono suoi.... L’anima a Dio e la roba a chi spetta!

—• Lo sa?!

— Ne ha sospetto; ma il netto della cosa non è saputa bene da nessuno.

— Credete? — uscì a dire il giovane con aria d’importanza lasciando intendere che il netto della cosa lui lo conosceva, e come!

— Quello, Donato — riprese la donna sommessamente con aria di mistero: — era figlio di un riccone, il più ricco del Mer cato, dove avea negozio di paste, legumi, formaggi e ogni altro ben di Dio. Ed era un galantomone! Al contrario, il padre di Filomena, certo sarà nel più profondo di casa del Diavolo.... [p. 19 càgna]Seppe mettersi in lll’ll10 il putire di Domito c spennacchiarlo tome una gallina senza farla gridare. E se quello uon moriva d’un colpo salute a noi, l’avrebbe ridolto senza manco la camitia per andarsi a seppellire!

— So io! so io! -— brontolò il giovane: — Nessuno sa quel lo che so io! il padre di Filomena e il padre di Donato misero insieme la fabbrica....

• — Appunto! — aggiunse la Francesca: — fecero il contratto < he l’uno avrebbe daio i danari e l’altro l’arte....

— Del ladro che era... Lo so, lo so! Mi dispiace d’aver le mani legate! Se potessi parlare! — E il giovane si morse le mani.

— E quando il padre di Donato morì, non giungendo neanche a dire: Madonna aiutatemi! l’altro, quel galantuono del patire della Filomena, fece il repulisti di tutto.... E Donato non sa nulla o non sa lutto...

— Sa, sa! — continuò a dire tentennando il capo Gennari ll0: — Altro se sa!

— E Battitoia ha paura che un giorno o l’altro venga fuori il contratto...

— Già il contratto della società....

— Che ll0ll si trova. ..

— E slido a trovarlo!

— Se si trova, lei, Filomena, senza’ fare, come la bilancia, nc alto nè basso a pigliare la sua dote e metterla intera in mano di Donato... L’anima a Dio e la roba a ehi spetta! Per questo, Batticola, che ha domandato Filomena allo Zio Prete, tanto per trovarsi il passo fatto, poi non gli sta addosso per averla.... Invece le mie trecento lire al mese son sicure, come nella custodia dell’altare... Hai capito?

— Ho capito.

— Ma non basta capire! non lasciarti scappare la fortuna, che poi ti mordi le mani! Io non ho ancora trent’anni, e son di quelle che non vanno per le mani di nessuno!

É diceva il vero, perchè di volponi come Batticola ne aveva una torma d’intorno; ma li teneva a bada, non pensando ad altro che al proprio vantaggio. E nessuno meglio di Gennarino appagava la sua fantasia e rispondeva alle sue vedute; perchè in lui avrebbe trovato un marito più giovane di lei, buono, servizievole, e per giunta, con quegli occhi che la facevano andare in brodo di giuggiole. Ognuno dei suoi vagheggini, lei lo conosceva sorbo; ed aveva innanzi l’esempio di tante altre incappate con certi mariti! In ispecie sua sorella buon’anima, bella più di lei, che prese un fornaciaio, ricco quanto altri mai» ma tale un pezzo da galera da meritarsi il nome di Scampaforca. <’he valse, alla poveretta, d’avere per così dire un bacile d’oro se dentro dovette sputarvi sangue mattina e sera? La Francesca le aveva fatta un’assistenza da madre più che da sorella. ’’ ne aveva smessa da poco il lutto. E fu per rimetterci perfino la pelle, perchè avendola accompagnata a fare i bagni minerali. [p. 20 càgna]per miracolo, non rimase, anche lei, sotto le pietre, nel terremoto di Casamicciola. Quella notte, saltando da un balcone, si guastò nell’anca e poco mancò non rimanesse sciancata. Sicché si dondolava per vezzo; ma pure perchè non si reggeva ancora bene sulle gambe. E quella debolezza le serviva da pretesto per appoggiarsi al giovane più di quanto fosse lecito ad una donna che non andava per le mani di nessuno.

— Io non ho ancora trent’anni — ripetè con accento che invocava commiserazione: — E quando Dio vorrà potrò rimaner così sola? Ti capacita? Dico male? Ho ragione? Posso restar sola così tutta la vita? Eli? sono di stucco io?

— Avete ragione....

— Batticola è dozzinale... Tu parli pulito...

E infatti, Gennarino, dal fare il suggeritore e l’usciere e dall ’essere stato tre anni sotto un caporale senese, aveva acquistata una forma di dire nella quale bene o male, fondeva il colorito napoletano col disegno della parlata toscana.

— Tu sei aggraziato quando parli! — soggiunse la donna.

E gli carezzò la bazza. — E Gennarino, non essendo di stucco nemmeno lui, senti al viso un tuffo di sangue, che gli abbarbagliò la vista. E fu fortuna, perchè lei, a denti stretti, a labbra semiaperte, lo fissò con uno sguardo lungo, penetrante, uno sguardo procace che avrebbe fatto peccare anche il vecchio Simeone.

— Posso menare questa vita infelice, sola sola? — continuò lamentosamente: — Io non dico che le carni si risentono, ma si risente il core! E il core vuole quel che gli spetta. Non ho ragione?... Ma d’altra parte, ho un dito di cervello e non voglio accecarmi per qualche sgargiante, che poi mi farebbe sputar sangue e mi ridurrebbe secca e spelata come una gatta che mangia lucertole! Questo ho di buono, la salute!

— E le trecento lire al mese — soggiunse lui.

— E con le trecento lire — riprese lei — ti terrei nella bambagia, proprio come il bambino del presepio... Ti farei man giare col capo nel sacco... Ma se tu poi mi facessi un tradimento» bada, ti caverei gli occhi!

— Non è affare; io son traditore di natura — concluse il giovane, non perchè avesse questa opinioni’ di sè stesso, ma perchè sentiva che lui aveva, per così dire, come iiii serbatoio nel cuore, che custodiva la dolcezza stillatavi dentro dagli aguardi di Terewna. Tanto che, nella reminiscenza di quella dolcezza canticchiava spesso spesso:

Cotunte a comari aoochc b iteli»

Mj pur» «t’uociW tuo) thtù fedele:

Hrnne n’’ppucuru’ru ri’ »urt’»r K<« mcilAiiw’ 1« o»nn«k...

_ ^ £ affare?! — domandò lei giungendo Ir mani e in Addando le dita: Nou me lo dire! non me lo din’, perché [p. 21 càgna]0 tome se In pigliassi uno schioppo e mi dessi la botta in mezzo iil cuore!

E smaniando per amore in parie sincero, in parte ostentato, andò ripetendo a dritta ed a manca: — Io moro! Io moro!

E in ti tasto mentre venne fuori Filomena dalla casa gemendo anche lei: Io moro! lo moro!

— Anche voi? — scattò a dire Gennarino piegandosi nelle gambe e puntando le mani alle rotelle delle ginocchia.

Ed ecco quello che era successo. Dato un’occhiata al quarticino d’agnello, che si rosolava nel forno, passato a rassegna

10 stufalo nella cazzeruola, lo scorfano in guazzetto nel tegame, e tutta una famiglia di polipini che ballavano nella pignatta. Filomena aveva lasciato a Teresina la cura di pestar le mandorle per far la pasta di marzapane e l’era parso milPanni di tornare nella stanza da pranzo. Ivi lo Zio Prete, Oiccillo e Donato s’eran già messi a sedere avendo innanzi allineate le cartelle della tombola. Battitoia, nella sua cavalleria rusticana, aveva tirato da parte la seggiola, per offrirne un’altra fresca pila ragazza; di modo che lei sarebbe capitata a sedere proprio accanto a Donato. Che fortuna!

Ma Donalo, essendo in difetto, era in sospetto: vedendosi guardato dal Prete e da Batlicola, s’era alzato anche lui e, fingendo di cederle anche lui la sua seggiola, era andato a sedere di fronte, dalì’allro lato della tavola.

Per Filomena era stala una botta al core. Andargli dietro sarebbe stato addirittura da sfacciata, e non gliene venne nemmeno il pensiero; ma sentendosi il pianto farle nodo alla gola, aveva messo fuori il pretesto di cogliere il prezzemolo nell’orto, e si era tolta di lì, rapida come era venuta.

C’era da aspettarselo: la Francesca s’immaginò che Filomena piombasse lì nell’orlo accesa in quel modo perchè Gennarino indugiava a seguirla, e da questo equivoco per poco non nacque una lite.

Del fuoco nelle vene Francesca, n’aveva fin troppo: il vino bevuto gliene aggiungeva dell’altro, sicché la gelosia, covata, divampò: e il povero Gennarino n’andò di mezzo, vittima ini.ocente. donna lo afferrò per un braccio spingendolo di fianco e piantandosi di fronte alla ragazza; e questa con l’animo sossopra, bramosa unicamente di parlare di Donato con Gennarino. non badò a nulla, non vide nulla e s’aggrappò a lui, con le mani che sembravano artigli. Per poco, contendendosi

ll giovane, non si misero a fare a tira tira.

— Alla malora? Ohe vi piglia? — urlò lui divincolandosi.

— Donna Francesca — cominciò la ragazza stentatamente, per l’affanno che l’opprimeva — Donna Francesca, se avete core, se vi faccio compassione, lasciate che... che parli un poco con Gennarino.

— Che cosa?... Come hai detto? — rispose lei aggrottando le [p. 22 càgna]tifila v fissandola con uno sguardo intensamente bieco: — Lasedarti sola eon lui! Mi fai compassione davvero!

Fatelo per chi avete in Paradiso! Lasciate che gli dica...’

— K che gli hai da dire?

— Io voglio sapere perchè Donato ce l’ha con me in quel modo!

Come una vela eccessivamente gonfia che sembra doversi fendere da un momento aH’altro, e poi, invece, per l’improvviso cessare del vento, s’affloscia, così fu dalla gelosia di donna Francesca; e poiché le fu chiaro che Filomena correva dietro a Gennarino non per altro che per parlargli d’ Donato, mise fuori un Aaah! strascicato, il quale espresse il passaggio che lei faceva dal non capire al capire e della gelosia alla quiete.

— Mo ho capito!

— Dio le ha dato lume! — sospirò il giovane.

— Me n’ero avvista, me n’ero avvista che avevi roba in corpo — continuò la Francesca — ma se non la buttavi fuori! Vuoi sapere perchè Donato?... E quandoi è così parlate pure sino a domani, chè io il core in petto non ce l’ho per me sola; ma anche per gli altri; e quando gli altri non guastan l’ova nel paniere a me, io non. le guasto a nessuno; anzi, se occorre ci metto di mio il paniere e la paglia a custodirle.

E bella davvero nella sua pomposa floridezza, in quel momento non guasta da sentimento ostentato e moine puerili, si spinse fino a baciare Filomena; e si penti d’aver messo il sospetto in Batticola, che quella ragazza avesse un pensiero per {ìennarino.

Prendendo poi le mosse per andar via, si aggiustò addosso

lo scialle di seia crespa dalla frangia sfilacciata lunga un palmo, il più elegante capo che possa portare lina nostra popolana, il sospiro d’ogni maestra nome che. per galanteria, i nostri popolani dànno alle loro mogli.

— Vado a giuocare alla tombola anch’io... Ma fate che questo vostro discorso non sia come una lucerna che non si smorza mai, perchè in Batticola è entrato il sospetto che voi due vi volete bene... Se l’amore, dolce com’è, nascesse senza gelosia» sarebbe una grazia di Dio!....

E mentre Gennarino levava lo sguardo al Cielo per la noia, e Filomena non reggeva per l’impazienza, Francesca concluse coi versi contro la gelosia:

Te piglia da la cimma d’ ’e capille E te torce e te fa

Ccmme a e panne che lave e che sturatile E sbatte © sfruculie senza pietà.

— Vado a giocare — ripetè, nè si si risolveva ad avviarsi, molleggiandosi sull’anche e aggiustandosi lo scialle per la centesima volta: — Vado....

Una lucerna che non si smorza mai! — borbottò Gennarino. [p. 23 càgna]— Dammi dicci dei tuoi soldi — soggiunse lei, parandogli hi mano dinanzi: — Vado a giuocare per me e Per te, faccia’ mo società... Ti fo vincere di sicuro, perchè tu faresti a perdere con le tasche rotte.

— Donna Francesca, — rispose lui con cosi dolce lamento che l’altra si sentì fendere il cuore — io non ho nè addosso nè altrove nemmeno la croce d’un centesimo!

— Vuoi denaro? — soggiunse subito lei, accostandosi a dirglielo con le labbra all’orecchio.

Gennarino oppose la mano spiegata a ventaglio per respingere l’offerta; e, se avesse saputo di latino, avrebbe certamente esclamato: Vade retro, Satana!

— Quanto t’occorre? — insistè lei, mettendo fuori il portamonete.

Filomena dall’altro lato non istava più alle mosse.

— Scherzate?! — scattò a dire il giovane, che non era un pappataci e teneva a non essere preso per tale da Filomena che J’avrtìbbe riferito a Teresina: — Scherzate?! mangiar pane e cipolla! morir di fame; ma cavar denaro dalle donne, no! manco se Dio onnipotente scende dal cielo a comandarmelo!

— E poi vuoi che non ti si voglia bene! — soggiunse la donna a denti stretti, con bramosia rabbiosa. La qual cosa provava che c’era in lei un fondo d’onestà perchè l’onestà del giovane, più che altro, le metteva addosso tanta fregola di possederlo.

— E sbrigatevi! finitela una volta! Fareste scappare la pazienza a un santo! — gridò la ragazza Questa uscita fece risolvere la Francesca a levarsi di li; ma prima che muovesse ancora il piede s’accostò di nuovo con le turgide labbra all’orecchio del giovane e gli disse rocamente e vibratamente: — Ohi, sai che t’ho da dire? che o ti lasci Voler bene o piglio la spalletta di Genova (e accennò a torsela dai capelli) e con due botte, lesto, lesto, levo dal mondo prima te e poi ine!

— E cosi è destinalo! — concluse rassegnato lui — che ogni buona o cattiva ventura attribuiva unicamente al destino.

Intanto, coinè volle Dio, la donna si mosse, e Gennarino ne accompagnò l’andata con un pensiero non pudicamente formulato; ma che in fondo era questo: — Tu faresti bottega da te, ma con le tue moine fai scappare gli avventori dalla bottega.

La Francesca non era per anco arrivata alla porta che già Filomena afferrava di nuovo con tult’e due le mani i petti della giacca di Gennarino dicendogli:

- Ditemi il perchè! Io voglio sapere il perchè!

Oliale perché? - domandò lui.

— Perchè Donalo mi tratta come la sua peggiore nemica?

Il giovane voltandosi a parlar dall’altm lato, come se ci

fosse slato qualcuno ad ascoltarlo sospirò: - Oie le posso dir [p. 24 càgna]io? — E si graMò il capo con l’atto di chi cerea un espediente non facile a trovarsi.

— Perchè? Che gli ho fatto? — soggiungeva la giovane senza interrompersi.

— Che volete che vi dica io? lo non so nulla; e quando non so nulla è come se non potessi parlare.

E così dicendo, come Perpetua, dava segni che a momenti avrebbe sciolto lo scilinguagnolo, pel quale aveva meritato, € non a torlo, il nomignolo d Troiihbetta drilli Vicaria; perchè lui era davvero come la Iromba del Comune, se si trattava di divulgare tutto ciucile che sapeva e non sapeva.

Sciocco non era. anzi, a volte, escogitava certi espedienti, che lo avrebbero fallo prendere per un furbo; ma poi si lasciava andare, peggio d’uno sciocco, a parlare come una ’.arruola. e ci cascava peggio. Quante volte non era stato ammonito dallo Zio Prole, che m bocca chiusa non entrano mosche, e che chi sia zitto non incontra brighe! — Colpa della Vanità: perché Gennarino, nato per essere la semplicità in persona, essendo divenuto un suggeritore, un maestro calligrafo, voleva, con affettata serietà, apparire un professore’ un’artista, una persona d’alto affare. Altra disgrazia fu d’essersi messo dietro a quell’usciere da cui aveva preso l’aria che hanno tutti i guastamestieri del tribunale.

Quindi mentre lui s’atteggiava da uomo che ha roba in corpo, la ragazza lo stimolava, gli slava addosso, perché si risolvesse a parlare.

— Io voglio sapere perche Donato quando mi vede è come se vedesse il Diavolo! Per averne una mezza risposta bisogna tirargliela con le tenaglie!

— Voi sapete com’è....

— E’ così buono con tutti e poi perché così cattivo con me?

— Dove mai? non da le corpo aU’ombre...

— Un momento fa, sono andata per sedergli accanto, e lui s’è alzato e s’è messo accanto allo Zio.

— Appunto... Voi sapete come la pensa lo Zio Prete — E che c’entra lo Zio Prete?

— Lui mi fece quella predica... So io!

— Hie predica?

— «Ohi! Gennarino» mi disse minacciandomi coi dito « avessi da parlare? Per far le cose col capo nel sacco, sei fatto apposta!  » E non è vero: le cose non le faccio col capo nel sacco!

— Roba c’è sotto! L’ho capito!

— Non vedevo l’ora clic lo capiste, perché cosi lo Zio Prete non potrà rovesciar il ranno addosso a me.

E Gennarino fece un passo per andar via.

— No! — rispose lei trattenendolo pel braccio: — Voglio saper tutto, tutto dall’A all» zeta!

— E domandatelo all’alfabeto... [p. 25 càgna]— Voglio sapere perché Donalo ha quella paturnia, particolarmente quiindo nii vede...

— Uh! uh! si lasciò sfuggire lui con un accento compassionevole: - Scema che non siete altro!

E stolte per soggiungere che Donato aveva le paUirnie, appunto perché si struggeva per lei; ma poi per darsi l’aria, di un nonio prudente, si contentò di dirle:

— Andate a scuola, bella mia, a scuola! e poi mettetevi a faro all’amore!

— No! voglio sapere perché lui ha quella sostenutezza; perché quando io lo guardo volge gli occhi dall’altra parte...

—. Lui ha l’incubo delPesamc...

— L’esame l’ha fatto.

— L’esame scritto; ma l’orale ll0ll ancora; e se non riesce all’orale non passa sottotenente...

— E davvero passa sottotenente? — domandò lei impallidendo...

— Eli... se non passa lui, chi volete che passi? Foriere c’è da quattro anni.... E non fa altro che stare coi libri in mano!... Per la calligrafia non era gran che, ma con pochi esercizi che gli ho fatti far io, ora va come una spada a scrivere anche il rotondo... Cosicché tra giorni va alla scuola dei sottufficiali.... K la. là, lontano dagli occhi... La lontananza sana ogni piaga...

Lei stette per cader giù ad un tratto, bianca come un panno lavato. E quella testa di tinca di Gennarino. dono che le ebbe dato miei colpo, si meravigliò anche che le stessc come per morirgli dinanzi. Tanto e vero che non solo le ingiurie tulle lo parole fanno un effetto a chi le dice e un aìtro a chi k a scoi In. Massima d’oro, che lo Zio Prete aveva ripetuta al giovane non so quante volte. Ma una parola tira l’altra, e lui, detta la prima, non sapeva più dove andasse a cascare:

— Eli... si sa... Non ci vuol zingara per indovinare questa \cntnra... Passa tenente... diventa signore...

Sicuramente! con le spalline, si balla, se mai, anche con la resina...

Quello zuccone pareva si fosse messo di proposito per far venire llll colpo alla povera giovane: per ogni parola la sua bocca era come quella di un. fucile che le scaricasse una botta in pieno nello.

Figurarsi lei. che ancora teneva tanto del rozzo e del volgare, sentirsi dire che con le spalline si è signori al punto da ballare con la regina! Non resse. E fu cosa da muovere a compassione. vederla con un singulto che le si troncava in gola e non riusciva a sciogliersi in pianto. Allora finalmente’ 1 » zuccone s’altrri»; perchè In’, nei casi avversi. 0 non prevedeva nulla, o si montava talmente la fantasia da veder il finimondo. E questa volta, nella confusione entratagli addosso con la paura, più s’ingegnava di riparare al mal fatto e peggio faceva. [p. 26 càgna]__ che. ne sarà di me? < -he ne sarà di me? — gemeva la fliovniif <ra u" singhiozzo e l’altro.

K smaniava come una pazza; c prese perfino a strapparsi

1 cape fate? Siete pazza davvero! — gridò lui correndole dietro e tenendola, poi, forma pei polsi. Ma lei si divincolò mettendo addirittura un ululato e gli si accostò poi, con le pugna chiuse Iiii sotto il mento, a dirgli:

’ ’ — Ma iion capite che lui passando tenente diventa signore e che io resto una poverella?

— Lo capisco, ma che volete farci?

— Oh, mamma mia!

E ficcò le unghie nelle carni delle braccia, e giunse a graffiarsele in modo che parvero striale di sangue.

A questa vista la paura di Gennarino si converse in terrore. Se lo Zio Prete fosse capitato!

— Quando avrà le spalline d’argento si metterà con una signora — seguitò lei con gli occhi vitrei come fissando in questo pensiero lo sguardo, e si lasciò cader le braccia lungo il corpo:

— Ed io? io come faccio a passar signora?

— Ma — osservò gravemente Gennarino:: — con un poco di buona volontà, quando vi son denari... Io, per esempio» faccio lezione di calligrafia a Nannina: Nannina la figlia d’Assunta che conduceva ì’asina, di porta in porta, a dare il latte per gli ammalati.... Non conoscete altro!... Nannina con cui siete stata a scuola e che poi si mise a fare la modista; ed ora ha sposata il capitano di Donato... Di modo che ora fa la signora... Ha principiato a farla male; ma finirà col farla bene: si sa... La dote militare gliePha messa insieme il capitano... E lei Na«iiina ha preso a mezzo servizio mia matrigna, che le fa la spesa, rigoverna, spazza, e poi se ne va a casa... E io, come si dice, faccio un viaggio e due servizii perché insegnandole calligrafia mi tengo amico anche il capitano.... Sono in congedo illimitato; ma con gli Abissini, a cui prodono le corna, posso essere richiamato da un momento all’altro... Non si sa mai. .. avere da parte qualche santo è sempre bene...

Continuava così per suo conto, e s’ascoltava lui solo perché la ragazza, dopo essere restata un pezzo come una statua, aguzzava la mente indagando tutti i casi prosperi o contrarii che potevano seguire. E come, a volte, qualche cece o lenticchia venendo a galla mostra quel che bolle nella pentola, così qual’ che parola isolata o smozzicata, uscendole dal labbro rivelava quel che le fermentava iiell’animo. Sicché seguii il seguente dialogo tra lei, che parlava avendo l’aria d’un’insensata. e lui che s’ingegnava d’intenderla:

— Per la dote...

— La militare?...

— Fosse qui tutto... [p. 27 càgna]_ N’avreste por dicci... capisco...

— Ma ciucilo che ho... ì» poi veramente mio?

- Clic volete dire?

-- Mio padre è morto tormentato dagli scrupoli....

-Mali!...

— Tome si spiega clic (piando Teresina parla a Donato-.e tenta d’invogliarlo..

— Invogliarlo a volervi bene?...

— Quando inette in campo la mia dote lui si fa scuro e non parla più?.’. Non capisco!...

— Capisco io.

— Ha voglia di dirgli, Teresina, che ho una bella dote...

— Bella? — pensò Gennarino: — Brutta come il peccalo!

— Dunque m’odia?...

— Questo no... anzi...

Ma l’altra non rudi va e continuava a dir nello stato febbrile in eu5( era:

— Certe cose uno non le sa bene ma le sente nell’aria... T’arrivano da tutte le parti. E’ come il ronzare dei mosconi... Un ronzìo ti viene di qua, uno di là-.. Nessuno ti ha detto nulla di preciso, ma tutti ti hanno fatto capire qualche cosa... Sci come in un vespaio... Tutti ti pungono, ti pungono...

E di botto si voltò a Gennarino dando nuovamente in pianto.

— Perché ce l’ha con me? Che gli ho fatto io?!

— Con voi. ll0! — disse impietosito il giovane; e nella commozione commise l’ultima imprudenza: — Con voi ll0, non sarebbe giusto; con vostro padre, sissignore...

— E perche, perche?

— Ma io non posso, non posso parlare! — soggiunse l’altro arrabbiandosi per resistere alla bontà del cuore che gli dava 1‘impulso a vuotare il sacco. Da tanto die lo aveva pieno! Sicché questa volta, da un lato si sdegnava ripensando al patrimonio frodato all’amico, e dall’altro l’ira gli era come tenuta sotto lo spegnitoio della pietà che gli destava la fanciulla innocente di tutto... In fondo avevano ragione lo Zio Prete, il Farmacista, il Maresciallo dei carabinieri, che Gennarino non era, come appariva, un poltrone incurante di tutto, tirato sul/’esemplare del Mastro Raffaele: \on te ne incaricò!

Quanto più lui si schermiva tanto più lei gli srtava alle costole.

— Io non posso parlare!...

— E perché?

— Perchè la buonanima...

— I^a buonanima (li papà mio?

— Buonanima?... Proprio cosi!

F. la poverini! «emò, 1« far pinà, portando le mani alle Irmpia e dondolando il capo chino, come se avesse voluto jia[p. 28 càgna]scondersi il viso nel petto: — Oh povera me!... Oh papà mio che hai fatlo?!...

— Ne ha fatte delle azioni cosi e così — soggiungeva l’altro — ina anche qualcuna di buone: come al momento di morire... Ebbe uno scrupolo... Fu qualcosa se non tutto... E raccomandò Donato allo Zio Prete, che, per questo, l’ha man tentilo a scuola dai Barnabiti, finche non è stat0 di leva...

A questo punto la ragazza con le mani adunche si aggrappò albi camicia di lui, e intercesse con parole e sguardi cosi disperati che non ci fu più via di resisterle. E, come un cavallo trattenulo pel morso c punto dagli sproni, che, spinto ad andare e chiamato a retrocedere, finisce con l’inalberarsi, lui mosso dall’ira a parlare e consigliato dalla pietà a tacere, concluse con l’avventarsi contro tutti indistintamente e disordinatamente.

— Ma come? — prese a dire — Menica mi chiuse nel casotto del porco.. Il porco non c’è più; ma il casotto c’è ’tncora — (e indicò una stanza posticcia di legname, piccola e bassa in fondo del giardino) — Menica mi fece acquattare li dentro...

— Menica? — domandò Filomena.

— Monica la procidana, che veniva a fare il bucato in casa Nostra; una forese che, non fo per dire, si poteva guardare...

— M:i che centra questo? — interruppe lei smaniando

— ("entra, perché si dice, parlando di bucato che qualunque bricconota nascosta, o prima o poi, si scopre: non c’è bucalo fatto di notte, clic non s’asciughi di giorno...

— Ma dunque?...

— Dunque una mattina di maggio... Io era entrato, di na scosto, da quella porta socchiusa, tal quale come adesso... Ero entrato appena quando vostro padre e il padre di Donato vennero oui e sedettero a questa tavola, dove non v’era ancora il tondo di lavagna, che vi ha fatto mettere lo Zio Prete... E presero a chiacchierare del loro contratto già firmato... Menica in fretta m’aveva spinto nel casotto del porco; di maniera tale eli»’ quando venni fuori non si capiva più chi fosse il porco. se io.’ ’ o....

— E poi?... e poi?...

— E poi, quando rientrai in caserma, mi buscai quindici giorni di tavolaccio...

— Ma insomnia! — gemè 1« ragazza, avendo l’aria di buttarsi via dalla disperazione: — Voi non avete nè pietà» nè misericordia!...

— Insomma... vostro padre ed il padre di Donato’ ’’ ’ Se

snpes» ’•! ....

— Hn» fecero?...

— Piccola bagattella! ... Da un momento all’altro, come una saetta, al padre di Donato, Dio liberi! venne un colpo’ ’. Buona notte!... Non giunse nemmeno a dire: Madonna aiuta[p. 29 càgna]pii! Monica si buttò fuori a precipizio per cercar d’un prete... 1-; vostro padre buonanima... Abbiate pazienza, ma non ve la prendete con me. io non voglio dir altro!

— O dite tutto, o faccio l’ultima pazzia, vedete! mi butto nella peschiera! — E prese la rincorsa per buttarvisi davvero.

— Per l’amor di Dio — scattò lui, afferrandola, tremando dalla paura.

Voglio saper tutto! assolutamente! o mi butto!

-- Ma nasce un guaio!

— E saranno due; perché, quanto è vero Dio mi butto!

- Ma non direte a nessuno che sono stato io?

— Non lo dico!

— Parola?

— Parola!

— 0 vedi che mi capita?!

— Dunque? Mio padre buonanima?....

— Buonanima? Si eli? Ma se ho da parlare € non ho da dire la verità, prende un colpo anche a me, come al padre di Donato...

— Ebbene?

— Papà vostro, come vide che l’altro era morto e restato con gli occhi stralunati, dette di piglio al contratto, che quello stringeva ancora in mano, e andò a buttarlo là, sotto la tettoia dovi’ c’è ancora il fornello, sul quale Menica faceva bollire l’acqua pel bucato.

— E perchè? — chiese la ragazza, che non riusciva ad intender nulla.

— Perchè... da quel che dice Mariantonia zia di Donato in quel contratto era scritto, che la fabbrica, il fondaco, la bottega, spettavano per due terzi al padre di Donato, che aveva messo fuori noli so quantc migliaia di lire... Di maniera...

— Di maniera che? — ripetè lei ad occhi sbarrati ansando come un mantice.

Ma il giovane non ebbe il tempo di continuare perché dalia porticina dell’orto restata socchiusa, venne avanti Marcantonia. la zia di Donato, la quale, udite l’ultime parole diede subito la stura al mal animo con cui veniva a prender’» la torta che Filomena voleva regalarle- E lo scampanare della chiesa fece da antifona al salmo della vecchia, sguaiata, scarna. grinzosa come la Befana. La ragazza, buona come il patie, caritatevole con tutti, era tale, particolarmente con quella vecchia; che mentre aggranfiava tutto, era poi sempre poggio invelenita e pronta a mordere la mano che la soccorreva. A ]’ ’’ nessuno aveva levato una bricciola di bocca; e le si contavano le costole solo per colpa sua, perché la sua roba, consistente luttn in uno spaccio d’olii, se ne colò di sabato in sabato, nei banchi del lotto. Non per questo, lei tralasciava dallo strepitar’ di non aver nè casa nè tetto per colpa del padre- di Filomena, la cui ladreria gridava vendetta al cospetto di Dio! [p. 30 càgna]A tempo. dunque, dimenticando la torta ch’era venuta a «rendere <’ lasciando traboccare il rancore, si avanzò mai re<r. gendosi sull’anclie, e battendo palma contro palma eonie’. pia’ti della banda.

.— Di maniera che — biascicò mostrando l’unico dente che le rimaneva, — io ho da fare di notte giorno e campare di Spirilo Santo, e quelli che mi hanno spogliata hanno da sciala re!... E mi si vuol poi regalare una torta, per elemosina? Che cristiani!... E mi gettano in faccia il benofizo... A me che son la zia una torta, quando Ini oggi mangia a tavola con voi!.... Lui qui e io a patir la fame a casa? Eh? come vi pare?

— Buona notte! — esclamò Gennarino, prevedendo che le cose, male, avviale, sarebbero andate a finir peggio.

— Dov’è quel galantuomo? — riprese a dire Mariantonia puntando i pugni sui fianchi.

— Quale galantuomo? — domandò Gennarino facendo l’indiano.

— Quel galantuomo di mio nipote? del tuo amico?

— Donato?

— Donato, sì!... Sai forse ch’ho qualche altro nipote?

Intanto Filomena con la bocca aperta e le braccia a mezzo

levate mostrava l’animo pauroso pel chiasso che la vecchia acccnnava a fare. Fortuna che avea fioca la voce!

— Dov’è? voglio far correre il vicinato alle grida!

— Donna Mariantonia! — supplicò Gennarino a inani giunte e con dolcezza nella voce.

— Per chi avete in Paradiso, non fate chiassate!

— Per carità non vi fate sentire! — scongiurò a sua volta Filomena, che era un incanto in quel momento.

— Ila faccia di venir qui, in questa casa? — continuò Taltra sforzandosi a strillare quanto più poteva; ma, per fortuna non giungeva con la roca voce all’interno della casa: — E l’ha» ricondotto tu qui da questa smorfiosa?

— Io? — ribatte Gennarino: — Lo Zio Prete l’ha mantenuto a scuola dai Bemabiti, e lui ha bisogno di me per Venir qui?

Filomena era restata avvilita all’epiteto di smorfiosa che la vecchiaccia le aveva buttato in faccia, indicandola sino a sfiorarle il viso gentile con la mano piena di pustole.

Gennarino parò il colpo che quella mano minacciava alla guancia della fanciulla.

— E badate dove andate con quella mano fradicia!

— Ora ti faccio vedere dove vado col piede! — E la vecchia, come potè, gli allungò una pedata.

— Donna Mariantonia — scattò a dire il giovane — V0’ strappereste uno schiaffo a San Francesco! — E raccattato un sasso, stette li ll per avventarglielo.

— Per carità! per carità — supplicò Filomena, togliendogli [p. 31 càgna]jl stisso di mano! — Fatelo per nu’ Gennarino bello! Fatelo pernio!

-- Per voi, unicamente per voi!... Io voglio morire se Donato non vien qui coi suoi piedi!... E se c’è chi lo tira a venirci, non son io!... b s;’ c’ò cosa che lo trattenga dal venirci più spesso son le chiacchiere che fa lei! altrimenti lui, farebbe come le secchie, sempre in su e in giù per le scale di questa casa — Ah papà mio che hai fatto! — gemè la fanciulla smaniando. stendendo le braccia, incrociando le dita e andando da dritta a manca, da manca a dritta.

— <’ho ha fatto? — ripetè la vecchia seguendola e cogliendo a volo l’esclamazione: — Dunque, sapete che cosa ha fatto?

Non sa nulla, io non le ho detto nulla! — protestò Gennarino con difesa non richiesta:

— Una volta per tutte, Donna Mariantonia, non venite a mettere altra legna sul fuoco!

— Io sputo fuoco! sputo veleno! — soggiunse lei infuriandosi peggio: — E dopo quel che ha fatto suo padre, mio nipote. viene qui a strofinarsi a questa pupata di Germania!

— Donna Mariantonia — interruppe Gennarino — Ora non vi lascio più parlare... — E accennò a serrarle la strozza —i Vattene o ti cavo gli occhi!

E glj si avventò eon Tunghie, e gli avrebbe graffiato il viso se Filomena non si fosse nuovamente buttata a separarli.

- Maledetto ehi non ti suona la campana a morto! — borbottò il giovane, che si struggeva dalla voglia di rigonfiare coi pugni le gote affossate della donnaccia.

— Ali Madonna, non far nascere un guaio! Madonna bella, vintami tu! — invocava dal canto suo Filomena andando a chiudere la porta, perché quelli in casa non udissero nulla.

- Ha il coraggio di venir qui? — continuava la vecchia: Di venir qui, quella lima sorda? Ma sapete che vi ho da dire? (."he tanto va la secchia al pozzo fin che ci lascia il manico! Peggio per lui! Ma io non posso andare più avanti così: veggo la fame con gli occhi; ho bisogno d’una veste d’inverno, perehè novembre è venuto, e questa ch’ho indosso è vecchia.

— E s’accorda con voi! — soggiunse Gennarino.

La vecchia, mostrando un’elastcità, che non si sarebbe creduta, gli si avventò addosso di nuovo con gli occhi fuori l’orbita e l’unghie adunche. A cansarla, lui girò subito intorn° alla tavola di lavagna; e Filomena tenne dietro alla vecchia tentando rabbonirla: — Ma sentite! Guardate! Fatelo per me’ Tutto quello che volete!-- Qui ci son io per voi... Ah Madonna aiutami!...

E quella birba di Gennarino, sfuggendo, la canzonava, e diceva di Donato:

— Quello ora passa tenente e quando avrà le spalline vi farà schizzare il grasso dagli occhi...

— Io voglio l’uovo oggi e non la gallina domani! [p. 32 càgna]— E ci penso io — entrava a dire la Filomena tra le bolli»

<• le risposte dei due: — Qui ci son io!

— lo non ho di che accendere il fuoco!...

— L’uh! - esclamò (ìcmiiirino venendo avanti armato di un randello tolto al pergolato che copriva la tavola: — Se non avete da comprarvi nemmeno un po’ di carbonella, è perchè siete stata sempre una donna, che non ha mai saputo accenderò nemmeno il lume! Avevate un negozio e pensavate a giuocar’ al lotto, e a starveue a lotto... E quell’angelo di Donato, dalla sua cinquina, non si serba altro che pochi soldi per qualche garo, e il resto lo passa a voi..., per compenso, gli amareggiate la vita, e aggranfiate da lui ed a questa povera scema....

— lo?! — gemè la ragazza: — Io?!

— Si voi, voi per l’appunto!

— (’he ve ne viene — urlò più forte il giovane dandole uno spintone: — Che ve ne viene se lui spasima per questa

o per quella? Quando lui vi dà tutto quello che guadagna? Che pretendete di più?

E la povera Filomena atterrita, non cessava di supplicarlo affinché dicesse sommessamente.

— E se Donato viene qui — continuava lui, compiacendola e abbassando la voce — è perché è destinato che ci ve.nga; e quando è destinato... E mi dispiace solo... Mi sento scoppiare a non poter parlare’

— È parla! butta il sangue! — soggiunse la vecchia.

— So mi ci tirate pei capelli! ci avrete poco gusto; perché a lui, Donato, non importa un corno del contratto pel fondaco: a lui importa solo una cosa, una sola!....

— E sarebbe? — chiese con tuono canzonatorio la Mariantonia, facendo le castagnette e atteggiandosi a ballerina: — Vuoi che te la dica io?

— E ditela!

— A lui importa non si dica che la roba di Filomena neiì è sua!

— E poiché l’avete capito... guardatemi nella tasca di dietro! — concluse lui.

— ("ome sarebbe a dire? — chiese intontita la ragazza.

— Sarebbe a dire che la tua è roba che fu rubata da tu’’ padre, ch’era capace di portar via l’ostia benedetta alla custodia dell’altare!

— Oh, povera me! — seguitò l’altra andando intorno sgomentata con le mani alle tempia: — Oh mamma mia dove sei?

— Dov’è? certo a far compagnia a tn0 padre a casa del diavolo; perché io la conosceva tua madre; e più di me la conosceva il Marchese di....

A questo Gennarino, spiccato un salto, tappò con la mano la bocca di: quella birbona dicendole con tutta la stizza:

— Ora, davvero, ve lo dò un pugno in questa vostra bocca affossata e ve la sfondo addirittura! [p. 33 càgna]i»cr fontina Filomena, sbalordita come ora, non aveva afferrilo i’ st nso de,la I)arola dc‘ttaJ Ina chi l’avesse approfondita, sarebbe stato indotto a notare che quella fanciulla popolana aveva forine stranamente signorili.

J- La vostra «bocca è un covo di rospi! — continuò il giovane sciogliendo sotto voce una corona di contumelie: — che furie’ vi prendono contro questa povera creatura, la quale vi leva le crespe di su la pancia? E contro Donato, quell’altro per’ seguitato dal Ciclo? Nemmeno se fosse stato lui a mettere in croce nostro Signore?! Che pretendete?

— Il mio! il mio!

— Mordete come un cane arrabbiato solo perchè s’è innamorato? E se si è innamorato ha ragione!

— Ragione?!

— Sissignore! che volete?! E’ innamorato, è pazzo, muor’ ’ per Filomena, e non ci rompete più l’anima una volta per tutte!

La fanciulla dall’essersi abbandonata su di uno sgabello con le braccia pendenti che pareva un salice saltò su ritta in piedi di botto, come se una corrente elettrica l’avesse investita.

— Muore per me? — domandò soffocata dalla gioia: — Dite davvero che muore per me?

— Bella scimmia! — soggiunse Mariantonia indicandola:

— Puh! — e le sputò addosso.

E’ vero che Gennarino procedeva di corbelleria in corbelleria, ma, queirindemoniata ce lo tirava pei capelli. E lui vuotò il sacco.

— Muore! Muore! Muore per voi! E crepi chi non ci ha gusto! —- E facendo le vendette della fanciulla, botta e risposta, sputò addosso alla vecchia’

Intanto Filomena piangendo e ridendo abbracciava lui, che non badava a quegli abbracci, intento a mandare occhiate di fuoco e parolacce alla sua avversaria. Quando lui, per darsi importanza, si metteva sulla china delle ciarle imprudenti, non si arrestava a mezzo; ma ora si lasciò guadagnare addirittura la mano pel gusto di far mordere le mani a quella strega; e fece nascere più presto lo scompiglio, che s’era proposto d’assopire; buttò fuori tutto quello che aveva in corpo:

— Quello (cioè Donato) a momenti prende il fucile e si spara!

— Oh Madonna del Carmine! — gridò Filomena.

— E quando lo fa!? — chiese Mariantonia. — Questo è il mio voto!

Filomena avventò di sbieco a quella furia, un’occhiata feroce; ma subito poi, dominata dal terrore, si volse a Gennarino con voce spasmodica, supplichevole, lacerante:

— E voi noli gli siate con gli occhi addosso?! Che amico siete?

_Altro! — soggiunse il giovane: — Tanto che l’ho detto

e ridetto al capitano, che gli vuol bene come ad un figlio; e l’ho [p. 34 càgna]raccomandato a Nannina, la moglie... E non me nc sono stalo neppure a questo.... Ma, con la passione che lo acceca, con le chiacchiere che lo macerano, con questo rospo di pantano che sputa bava e non gli lascia aver bene, si sa, il cervello dell’uoinn è come una foglia di cipolla.... e quello che può succedere nessuno sa prevederlo!

— Ah, voi mi fate morire! — riuscì a balbettare la povera giovane abbandonandosi a sedere avvilita, estenuata. Ma immediatamente si rizzò di nuovo, e con indicibile dolcezza di rimprovero si volse alla zia di Donato dicendole: — E voi, voi non pensate che quello si può ammazzare?!

— Penso... penso che non s’ammazzerebbe se non avesse persa la testa per voi!

— E vorreste l’avesse persa per una vecchiaccia, come voi, con un piede nella fossa? — ricominciò Gennarino: — L’ha persa per un fiore! E tanto l’ha persa che se Filomena gli dice: Voglio ed ordino che tu non ti ammazzi, lui abbassa il capo, obbedisce e le si cuccia ai piedi A questa conclusione Filomena diede come una successione dì note, che erano l’effetto di un’onda di gioia. Ed oramai, poiché dipendeva solo da un suo cenno che Donato non attentasse ai suoi giorni, nc seguì naturalmente che il terrore del suicidio si dileguò in lei e la suprema dolcezza di sapersi amata, la investisse interamente:

Dite! ^dite! mi vuol bene? Assai, assai? Davvero? — supplicava, carina carina, a mani giunte, quasi inginocchiandosi ‘5 j p:odi di Gennarino.

E lui mentre le rispondeva, si rivolgeva poi alla vecchia per vr’. ePa’ Crepa! — E quella fiottava senza posa.

^ i vu°l tanto bene, che si rivolta come una vipera a chi dice che vostro padre.... Cioè... Insomma... Crepa strega del noce di Benevento!

— E se si è salvato all’esame è stato un miracolo, tanto non conchiude più nulla.

— Sicuramente che non è più buono a nulla! — osservò la megera.

— Tu hai da morire e noi abbiam da campare mille anni!_

ribattè il giovane.

— Ah è troppo consolazione; troppa!

— Ride bene chi ride l’ultimo!

— Mi avete rimesso M core nel petto....

— Le hai rimesso l’olio...

— Sputa sangue, brutta fattucchiera!

— E perchè sta zitto? — riprese Filomena — Perchè noa

mi dice mai nulla? — Scucigli la bocca! .

— Ditegli voi che anch’io muoio per lui...

— Fa il tuo mestiere, mezzano! [p. 35 càgna]— E se lo faccio - usci a dir lui — lo faccio a due giovani....

A duo liori, e non ad una vescica aggrinzila come voi!

Ma Filomena nella febbre del suo egoismo non voleva che lui desse piti retta a Mariantonia e insisteva a domandargli: — Perche non parla? perche non mi domanda allo Zio Prole?

— Perehè c’è Batticola! — osservò malignamente Mariantonia: — Il quale v’ha già domandata, e non sì lascia portar via la polpetta dal piatto!

— Uuuh! — interruppe Gennarino con lina urlata lunga lunga, a cui fece eco la fanciulla: — Di Batlicola ce ne vogliono cento per Donato!... E se lui venisse alle mani con quello spaccamontagne si giuocherebbe le spalline...

— E mi dicesse almeno per ora che mi vuol bene: non do~ mando altro! — sospirò Filomena.

— Ha detto a me, — continuò il giovane — proprio a me non so quante volte clic lui — — a io ho parlato già troppo e ll0ll voglio dir altro.

— È ti possa seccare la lingua! una Volta per tutte! — imprecò la vecchia.

— Ah sì? E quando è così, prima che mi si secchi voglio sfilar la corona, per farvi crepare! Lui non sa nulla ancora della domanda di Batticola; perchè io, che gli sono amico, amico del cuore, gliel’ho tenuta nascosta... E lui non vede l’ora d’aver le spalline... E vuol averle perchè non intende campare alle vostre. spalle, nè far dire, che essendo uno spiantato vi sposa per ripigliarsi i suoi denari... E’ chiaro?

— Che son suoi, son miei! — conchiuse la vecchia, mentre Filomena esclamava con tutta l’anima:

— Oh Donato mio bello, io ti voglio dar tutto, tutto!

— E tutto dovete restituirci fino all’ultimo centesimo!... Questa è la volta che sciolgo la bocca al sacco! Oro vado io dal lo Zio Prete, vado io e.....

— Dove andate? Che diavolo avete per le coma?! — Interruppe Geimarino parandosi ad impedirle il passo ed afferrandola per le braccia che erano addirittura due ossa di mor to. — L’altra, benché ossa e pelle, pure ebbe la forza di dargli una stratta e di svincolarsi. Ma lui vedendo che tentava girargli di fianco per imboccar l’entrata di casa, si scagliò a respingerla fino alla porta, che dava nel chiassuolo. E H vedendola ruzzolare, provò un rimorso; e quindi continuò a lottare con lei, usando la minima forza, per non farle del male.

Uno spintone sarebbe bastato a buttarla fuori, ma la prudenza del giovane, e la carità che usava fecero durare la lotta. Intanto Filomena era sparita dopo aver detto:

— Per carità, Gennarino, impeditele d’entrare! — Di che avete bisogno di una veste d’inverno? Ebbene aspettate... Vado io....

Sicché la vecchia, schiamazzando quanto più poteva, rispondeva ancora alla ragazza che non c’era più. [p. 36 càgna]— I)i che lio bisogno?.... Di una veste?.... Lasciami, avanzo di forca!... Mi vorrebbe acquietare con una veste! Non mi tenere, figlio di mala femmina...

— Andiamo, non la fate più lunga — tentava lui di rabbonirla; e in sentirsi dare del figliuolo di mala femmina ebbe an cora la generosità di fermarsi col pugno a un dito da quella bocea velenosa...

— Va. ringrazia Dio che sei vecchia!

— Farò veder io questa vecchia! Vogliono buttar Tosso al cane per chiudergli la bocca! Vogliono tenermi a chiacchiere!... Una veste?.... Hanno da esser ducati! ducati, non lire...

Intanto Filomena ritornava, mandando il passo innanzi e l’occhio indietro a guardare se capitava qualcuno; e, ora tenendo lo sguardo in Mariantonia, ora spiando in casa, prese a dire convulsamente:

— Tenete: questo è il casscttino delle mie gioie: vi son dentro le mie rosette di perle, il laccio d’oro di zecchini, le buccole d’amatista, l’orologio con la catena... Voglio solo ritenere l’anello di mamma: solo quello!... Prendetevi tutto il resto, tutto, ma lasciatemi Donato!

La megera, che non credeva ai suoi occhi, e Gennarino ammutirono.

— Meglio questo che nulla... per ora — brontolò la primaE abbrancò la cassetta, come il Diavolo avrebbe fatto d’una anima.

— Che intendete di fare? — uscì a dire Gennarino e mise le mani sulla cassetta, per contenderla alla vecchia, che gliele avrebbe morse, se avesse avuto denti: — Se lo Zio Prete l’appura ne viene il finimondo!

— Non ve ne date pensiero! — s’affrettò a rispondere la giovane, mentre invece temeva appunto che capitasse lo Zio; e perciò spingeva la vecchia alla porta, sembrandole mill’annf che andasse via: — Andate ora, andate! Non vi fate vedere!

— Ah stregai

— Lasciatela andare, per carità!

— Da vero ti prendi il cassettino?

— Gennarino fatelo per pietà!

— Mi ti vorrei mangiare a morsi!

— Se tu avessi denti!

E, per atto di malìa, ella mise fuori la lingua di lato, come fanno le lucertole, quando i ragazzi le ammazzano a sassate: per cui, in vernarolo, si dice che la lucertola, sporgendo così la lingua, mena la fava (1) a) suo uccisore, cioè si vendica avventandogli una malia, per la quale prima o poi, gli verrà sopra un malanno. Gennarino, da quel vero napoletano che era, trasalì, fece le corna con tutte e due le mani brontolando impaurito i

(i) I] modo di dire derivò forse dall’uso antico di dare il voto con le fave. [p. 37 càgna]-— Mi ha mandato il malocchio! Vada 3^ anima sua! all ani’

ma sua!

E retrocesse tremando, mentre la fattucchiera, acquistata forza dal diritto che le veniva dal dono, rizzava più alto le corna Intanto Filomena si sforzava a quietare il giovane, che, invaso dalla paura della fattucchiera, non osava far passo; ma di lontano imprecava sempre alla strega, la quale usciva voltandosi indietro, schizzando veleno dagli occhi, e nascondendo il cassetti no sotto il logoro scialle.

Andata che fu via, non ci fu contumelia che le risparmiasse Gennarino, animoso, forse in un pericolo; ma vigliacco, assolutamente vigliacco contro la iettatura. E solo quand’ebbe sentito il rumore degli zoccoli di lei sulle lastre del chiassuolo s’ar rischiò fino alla porta; e, per atto di disprezzo, volle chiuderla con un calcio. Ma la porta, rosa dai tarli e dalle intemperie, si fesse, restando inclinata e sostenuta solo dal più basso dei gangheri Filomena intanto tornata da morte a vita, sfavillante di gtoin, colorita come un rosa maggese, fremente nella brama di sentirsi ripetere che Donato le voleva bene, prese a saltare, battendo le mani come una bambina:

— Mi ’vuol bene? Mi vuol bene davvero? Ditemi la verità! Me ne vuole assai? Ditemelo! Badate che se m’ingannate, è finita per me, potete mettermi attorno i ceri!

— I ceri ve li metterci innanzi come ai santi, per non dire come agli scemi, perchè solo una scema come voi può levarsi la roba, per darla a quella...

— Non ci pensate più... non ci pensate... Dunque, dunque, veramente mi vuol bene?

— Muore, muore! Non conclude più! fa tutto come un incantato... Gli parlate, non risponde... Gli dite che è giorno e capisce che è notte.... Il capitano dice: Guida a destra! e lui comanda: Guida a sinistra!... L’altro ieri, dopo l’esame, invece del suo cappello si mise in testa quello del maggiore... E il capitano, che gli vuol un mondo di bene, ’visto che sconcludeva, lo mandò via sennò a sfora da fjiriere l’avrebbero retrocesso a milite semplice o mandato addirittura all’ospedale per pazzo....

— Tanto mi vuol bene?

— Ma parlo ai sordi!? Vi dico che muore!

— Ah Gennarino mio, mo vi dò un bacio!...

— No, per amor di Dio! Dateglielo a lui.... E, allora, buona notte! addirittura perde quel poco cervello che gli resta e non, passa più tenente!

— Può darsi che non passi? — domandò^lei non sapendo se rammaricarsi o rallegrarsi alla previsione di questo caso.

— Mah! — riprese lui, ritornando a darsi importanza, c quindi a incappare nelle solite corbellerie: — Se non mi dà ret [p. 38 càgna]ta!... Io glielo dico ogin momento; ina quando gliel’hn dello c ripetili» clic posso?... (’omo vuol essere promosso se non lia pili

il cervello a posto?

— Non passa più tenente?

_Hel passo che va... uhm! -- ripetè lui masticando le parole e stringendosi nelle spalle.

_Se lui passa tenente vuol dire che diventa signore e non

mi vorrà più bene...

_Oh santa Filomena vergine... e scema, die il martire son

io! Quello non si scorda di voi neppure se passa generale!

— Ah Voi mi fate morire dalla contentezza! — K si resse a lui per ll0ll cadere: — Mi sento un nodo alla gola... Mi manca il respiro.... slacciatemi un poco il busto...

— Io? Voi scherzate?

— Chiamate Teresina... Aria! Che smanie. . Mi s’ento soffocare... Aiutatemi!

E piegandosi di botto sulle ginocchia s’abbandonò tutta sulle braccia del giovane, il quale, sulle prime, s’impensierì per sè stesso più che per lei.

— Filomena! Filomena! — supplicò gemendo a bassissima voce: — Per carità, per amor di Dio!... Voi altre donne a~ vete gli svenimenti a vostro comando... Se quelli di là vi veggono così, chi sa che sospettano... BraVa! Per ringraziamento mettetemi ora in un ballo!

Ma poiché vide che la giovane andava facendosi bianca come una morta, fu preso da tal panico timore ciré uscì subito dalle note sommesse e gridò al soccorso con quanto ne aveva in gola:

— Teresina!... Donna Francesca!... Maledetto chi non vi stura le orecchie!... Correte!...

E la sua, che non era la roca voce della Mariantonia, fu subito sentita fino in cucina da Teresina che, in quel momento, faceva andare il girarrosto; sicché, dando un balzo, lasciò ca dere sulla brace lo spiedo col culaccio di manzo. Portogallino corse a raccattarlo, quando già dava un acre puzzo di bruciaticcio.

L’ultimo a sobbalzare fu Don Tito, che aveva i nervi in ur coltrone di grasso; ma non per questo era addirittura un animale di sangue freddo; nè uno di quei preti che quando hanne abborracciata la messa credono d’esser fuori d’ogni obbligo loro. Travedeva per quella nipote.... E ^avendo in mano il borsoni con le palline della lotteria, le seminò lungo la via, che fec< quasi quasi di corsa...

E quando vide nientemeno Filomena mezzo svenuta tra b braccia di Gennarino, riuscì perfino a sudar freddo, senza pen aare a cambiarsi la camicia.

— Niente! cosa da nienle! — diceva intanto la Francesca — Filomena mia bella! Filomena mia; — gemeva TeresinJ ’— — ’ - -i- oh’ stampava in faccia all’amica. [p. 39 càgna]. - Vedi quanto « ’» queIIV.nei o “n^ino C^en^re

K;:^T<:.^di^eint?ma^’0^corrorc; ma, pallido e eoa’

viiIm>, non faoev’altro che tradirsi. # r-««««««

K 1« Zio Prete, da canto suo, si stizziva perche uennanno gli rispondeva con parole smozzicate, lirate addirittura con -e tenaglie:

Che so... tutto in una volta... Sapete come sono le donne... Al meglio: Ali, lo stomaco! Uh il respiro!...

— O prima o poi, —brontolò Batticola — le cose si scoprono!...

— Ma che le hai fatto? — domandò insospettito lo Zio prete; e gli tirò un colpo col borsone nel quale le palline della lotteria parevano come una pielra in fondo ad una calza.

— Qui c’è entrato il diavolo! — urlò Gennarino prendendosela con Donato: — E’ stata quel demonio incarnato di tua zia, la quale è capitata qui come un’ossessa e si é messa ad urlare t he non aveva di che accendere il fuoco e le ha detto tutto, dalJ’A alla zeta!

— Un poco d’acqua — implorava intanto flebilmente Filomena. che principiava a riaversi.

— Le ha detto tutto!? — domandò Don Tito restando senza fialo’ come se gli avessero dato un pugno allo stomaco.

Sapeva lui con che peso sulla coscienza fosse andato il fratello al mondo di là; e, non essendo prete per nulla, gli veniva la pelle d’oca al semplice pensiero d’uno scandalo; ed ecco a [jalla lo scandalo quando meno se l’aspettava! Perse quindi il urne degli occhi e dimenticando che l’ira è un peccato mortale, e diè libera entrata per riversarla su Gennarino, il quale vejendosi bistrattare a quel modo, perse anche lui la poca soferenza che gli restava e mise il colmo allo scompiglio.

E’ venuta mia zia? — gli domandava Donato: — Quando è enuta?

— Un momento fa...

— Dove?

— Qui!

— E le ha detto?...

— Tutto, tutto! non ostante ch’io le abbia messo perfino la lano sulla bocca per farla tacere!

A questo lo Zio Prete si levò di furia lo zucchetto e prese a rattarsi la chierica disperatamente. E Filomena intanto apri t le braccia a scartare di qua e di là le donne, e sporgeva il isto in avanti per udire quello che dicevano gli altri.

— Ma se è lecito — domandò Batticola — si può sapere che >sa le ha detto?

— Tutto! tutto! che suo padre, buonanima...

— Non è vero! non è vero! non è vero! — interruppe Filoena, tentando rizzarsi in piedi: — Non è stata lei! non è stata iriantonia! State zitto! — E la povera figliuola, col capo an[p. 40 càgna]cora vaeuo pel deliquio patito, prostri» addirittura le forze arrovellandosi afiineliè Donalo non sapesse clic sua zia era venuta a farle quella partaccia.

— Se ha lauto coraggio di ritornarci! — urlò Don Tito.

_Non c vero che ci sia venuta! Mai! mai! — seguitò la

fanciulla affannando; strillando mentre Teresina e Francesca la sostenevano c tentavano di calmarla imponendo gli altri di finirla.

— Come? non è venuta? — entrava a dir Gennarino: — ma sono o non sono io?

— State zitto, mi fate morire!!

— Ma come? avete il coraggio di dirmi ll1 faccia?...

—. Non è stata lei!... Non gli date retta! Non è stata lei!

— Dunque sei stata tu?! — concluse Batticola piantandosi di faccia a Gennarino.

— Io?! Io? !

— Tu. tu me l’hai fatto questo servizio! Ti conosco! — entrò a dire Don Tito dando saltelli come un tacchino stizzito.

— Mi dannerei l’anima! — esclamò il povero figliuolo: — Sono stato io?.... sono stato io a farvi venire lo svenimento?...

— State zitto, non mi fate morire!!

— E non la fate più lunga! — sbuffò la Francesca.

— Io la voglio far lunga quanto la misericordia di Dio! — urlò il malcapitato.

— Per entrarle in grazia — osser’vò Batticola — hai detto tutto. Aprite gli occhi, Zio Prete: lui vuol fare il bello con Fi Iomena!

— Che mettete ora in capo anche voi! — urlò Francesca!...

— Me l’avete detto appunto voi! — le rispose Batticola.

— Hoi sbagliato! ho sbagliato!...

A questo Gennarino perse a tal punto il freno della prudenza che si lasciò sfuggire appunto quello che più conveniva tacere: — Io voglio fare il bello con lei? Invece, per l’appunlo io, le ho detto, poco fa, che Donato ha persa la testa per lei!

Seguì un breVe silenzio, come nelle girandole dopo uno scoppio di bomba, mentre Batticola restava di sasso e Don Tito intravedeva una speranza. Donato fece l’atto d’avventarsi col pugno serrato contro Gennarino. In quella Batticola, con la pacatezza degli smargiassi, infilate due dita nel panciotto e poggiata l’altra mano sul fianco, s’avanzò verso Donato e gli disse: — A quel che pare, voi volete bene a Filomena?

Il soldato si sentì ribbollirc il sangue, e. sebbene ignorasse le pretensioni di colui sulla ragazza, pure, per intuito, provò tale impeto di gelosia che stette per saltargli alla gola.

Nel medesimo tempo, Gennarino, incornato a sostenere che Mariantonia era venuta e aveva vuotato il sacco, coronava l’opera col dire a questo e a quello: —Tanto è vero, che Filomena ha preso il cassettino delle sue gioie e glieTha dato.

— Ah, voi finite d’ammazzarmi! — esclamò la giovane. [p. 41 càgna]frn II- ifrnccin «Ifllf omichc, le quali slnllav;1no ammonendo gli «l"ri iniiiilinoiilo: - Finitela! Finitela’ Volete davvero che le

venga un male?!

— l’n pò d’acqua! un pò d’aceto! — implorò Teresina.

— Zitto, Gennarino! non parlar più! — batteva e ribatteva Francesca come una campana a martello.

— f’tic tii possa morire senza sacramenti! — giunse a dirgli il Prete, che vedendo la nipote quasi arrovesciata su d’un braccio della Francesca, dava addirittura in escandescenza.

— Vi aspetto fuori! — ammiccò Batticola a Donato, che gli rispose all istante: — Mi inetto da borghese e sono a servirvi dove vi pare e piace.

K andarono via appunto quando Filomena ebbe tanto sentimento da capire perchè andassero; sicché emise il più acuto dei gemiti e prese a strapparsi i capelli da disperata.

— Vedi c’hai fatto! vedi che rovina! — piagnuccolava lo Zio Prete contro Gennarino. premendo le mani al cranio pelato.

— Teneteli! — scongiurò la nipote: — Non li lasciate andare!

— Xo, no! non aver paura!...

— Donato mio! Donato mio!

— Maledetta la morte clic ll0ll t.j porta via! — imprecò Don Tito, sempre contro Gennarino! che. da canto suo, non smetteva, s’incaponiva a voler dire le sue ragioni a tutti. — E Ciccil lo fu come la scintilla che produsse lo scoppio finale, perchè andò bruscamente di faccia a faccia a dirgli: — Ma siete un uoniq voi o un animale?

— Voi almeno avete bisogno di domandarmelo, — obbiettò l’altro.

— Sarebbe a dire?

— Che da quando lio Fuso di ragione‘vi so per un animale!

—’ Una pecora come voi?...

— Una pecora arrabbiata è peggio d’un bufalo stizzito!

— Usciamo!

— Avviatevi!

— Madonna! — invocò allora con schianto Teresina palpi andò per Gennarino; e abbandonò l’amica tra le braccia dell: 7rancesca; la quale, palpitando anche lei per Gennarino, po© nancò che non la lasciasse cascare a terra.

— Ora moro anch’io — gemè la prima.

— Gennarino, non andare! — gli gridò dietro supplicane a seconda.

— Mi avete uccisa... Mi avete uccisa... Mi avete uccisa.•• liceva intanto Filomena con le braccia pendenti e il capo ingiù, senza vibrazione, a brevi pause, come i battiti di u LHla monotona. [p. 42 càgna]— Assassino! Essere infernale! Spirito di abisso! — strepi, tava a più non posso Don Tito.

E Portogallino immobile, balordo, impugnava lo spiedo infilzato nel culaccio di manzo.

Pioveva a dirotto; e il sudicio viottolo, dietro la caserma di Piedigrotta, dove abitava lo Zio Prete, s’era dato una buona lavata: le lastre della via lucenti come lamine di zinco, specchiavano la luce grigiastra e i viandanti capovoltati.

Da qualche mese Don Tito aveva rinnovato le docce della tettoia di casa, per raccogliere nell’orto le acque piovane; e aveva sospirato la prima pioggia, per vedere come si scaricassero nel serbatoio, che doveva irrigare, in ispecie, l’insalata cappuccina eosì eara al suo palato; ma ora che la pioggia era venuta, e come! lui aveva il capo a ben altro. Con inquietudine stanca se ne stava dietro una finestra, e vedeva, in istrada, venir Gennarino, inzuppato come una spugna, col cappelluccio a gronda gocciolante, il bavero tirato su, le mani in tasca, i calzoni rimboccati. Sgambettava, saltava guazzi e pozzanghere.... Pareva avesse uno gran fretta d’arrivare; ma, in realtà, tentava vincere, eoi moto accelerato, i brividi che gli correvano per l’ossa.

— Se non altro, è un figliuolo riguardoso — pensò don Tito, uscendo dalla stanza per andargli incontro. — Almeno mostra premura di venirmi a ragguagliare di quanto è successo.

lì da quella stanza, così detta delle carabattole, dove erano ciarpe, bazzecole, mazzi di fiaschi vuoti e altre masserizie messe lì perchè non ingombrassero la casa, passò nella saletta d’entrata, e da questa, su] pianerottolo; e si sporse a guardare in gin tenendo la tabacchiera da una mano e la presa di tabacco dall’altra.

Intanto, Teresina e Filomena, alla fioca luce delle scale, a momenti le ruzzolavano, per troppo ansia di andare incontro a Gennarino.

A sinistra dell’ingresso v’era uno stambugio, sotto la prima branca della scala, dove la portinaia (una beghina, rovinata per aver «lato il suo in oblazioni) faceva un pò di mangiare con. un fornellino mobile di tufo; — e appena Gennarino eblbe visto quel fuoco, non andò oltre e si mise a gambe aperte sul fornello, alto un palmo da terra.

Lo Zio Prete avrebbe avuto un bel attendere, senza tirar la sufi presa di tabacco.

— A buon conto, viene o non viene sta tartaruga? —’ gridò dall’abo alle ragazze

E queste, mentre tempestavano di domande il giovane, lo presero l’uno per un braccio l’altra per l’altro c lo tirarono fuori d;d sottoscale, con gran sollievo della portinaia, ingru gnita n vedere i) suo tegame sotto l’areo di quelle gambe.

Ebbene?,.. Dunque?... Donato? Dite? — gli domandava fitto «ito la Filomena.

Ecco... Un momento.... Sta meglio di voi e di me.... La [p. 43 càgna]sosi’ è r, ron qutw’« «mi ’«’1 cftt sembra rÀtenaMflé

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to sn/irt’ in |»ace uno «calino

- Dunque? ’ — incominciò don TiW rifaiiKUkr o4}« da pranzo’ preceduti’ dii gatto eoo la codi fitta’ dm wxHOtd il giovani’ c dietro le ragfetae, cKe avevan dimenticato 4l miriti’

dt’rt’ la porla: — Dunque! Nedtie ratÌQir’mf

— Lascialemi pigliar fiato..’.

— ^he tu ue possa pigliare quanto U tnanfiec difirnegano’ —

soépirò il prete incominciando a! mpa’ianUtti

— Ho fallo la via di corali.,..

— E non ci fate stentare! — supplicò Teranns, dia era la

sola a parlargli ancora con dolcraa.

— Ma se prima non riordino la lesta le eoa’ faccio folta

una minestro!

— E quanto ci vuole! — gemè eon voce straaemafa ’ ’•»" fonatoria Portogallino, chvera «enuto mi dall’orto con on paniere al braccio e un cavolo cappuccio in mano.

—# Anche tu? — brontolò il giovane. — B’ (Imltmi che Uilll m’abbiano da dare addosso, anche i...

— Manderei un» benedixkìne a chi ti tano’ a| font’, eia’ Tuì io per l’appunto! — sbuffò ancora U prete.

— G mancò ll sale! — soggiunse lo scaccio©’ vukiè> ltt~ tendere che quella mancanza fu cagione che Genaai^io dsse a quel modo senta giudizio.

— Seccai!le come le pulci! — brontolò McalUWSlf W’ tui additandolo e avendo voglia di dargli la ditata I# m celilo.

— E doV’ Il f|t< più lungaI ^ scongiurò la FMoswns POS o Uff mwiftgltfr, ... _

— Ecco qua — riprese Gennarino avviandosi a na/is4"s; perchè prendesse meglio l’abh^vn, Teresina lo Metti am

o pUxicotio. ____

— Io — sciolse finalmente Jo scUloguagnoAo— ^ «appaio ìa un guaio proprio par niniaBij mi

-E «v«t« dVt«o eh’ »tt o’«lh> Al tunfl— tulonmc I’ Unotctm tradendo c aggrappandosi m »» ««“to < “•

— o rMM-rc ’ ro’lo - ìwmt’ tt l’»’ telandosi caaoarc le bmodlo

— ^ xt tion «ti UmM’ «5^ ____, èm

— Ho escilo; tvtl €arf^ iiw^l #pnflffti’ [p. 44 càgna]nuò Portogallino ponendo il paniere a lerra per sostenere la Filomena.

— Per carità Gennarino bello! — implorò Teresina a mani giunte.

— Vorrei cacciarti un dito in gola a sturartela! —• disse don Tito.

E gli allungò una ditata alle labbra con l’indice ingiallito in punta dal tabacco. E, come se Gennarino fosse.stato davvero un bottaccio e quella ditata avesse fatto Fazione di un succhiello, venne fuori finalmente il racconto.

— Io non son nato a far l’uomo addosso a nessuno; ma neppure con rinclinazjone di farmi battere come le materasse! Pure, benché Ciccillo m’avesse tirato, a cimento,^ avrei dato non so clic a scansarlo..’ Qui, quel c’Huvio di strilli m’aveva intronato e, avevo perso la bussola; rr.a fuori, all’aperto, senza niente in capo, con l’acqua che veniva, mi si rinfrescarono Je idee... e mi venne un buon pensiero. ..

— Sentiamolo — disse col solito accento canzonatore Portogallino.

— Mi diressi alla taverna di Morzillo...

— Bel pensiero! Lì ci si ha da andare con Folto santQ in tasca! — osservò millantando col gesto la propria visione. — Eh, eh. lo sapevo!...

Portogallino! — ammoni lo Zio Prete, il quale col suo scac’ eino era paziente fino all’eroismo; —• Finiscila!

— Voglio farmi tagliare la lingua se gli accade mai d’avere una parola di meno! Carrucola ’arrugginita!

Le ragazze furono obbligate a entrare di mezzo, l’una allontanando lo scaccino, l’altra spingendo Gennarino ja voi tarsi di là; ma ce ne volle perchè si rimettesse in carreggiata.

— Dunque... come dicevo... alla taVema di Morzillo sapevo di trovare Tore di Crescienzo....

— Meglio! — osò esclamare di nuovo Portogallino.

— Rispetta Tore! — gl’impose Gennarino, rimboccando le maniche risoluto questa volta di venire alle vie di fatto.

— Finiscila! — urlò più forte don Tito.

— Quel galantuomo.

— Per carità! — suplicarono le ragazze.

— Tore non è il Diavolo! E il Diavolo non è brutto quanto ri dipinge — sentenziò il prete: — Tore fece bere due bombola di acqua di mare a uno che aveva bestemmiato la Madonna!

— E di buone azioni ne Ha fatte a tutto il mondo — ’oggiunse Gennarino.

— Va avanti! — gPimpose don Tito. — E Gennarino and^ avanti.

— Dunque, via facendo, avevo fatto presso a poco il mio disegno.... Alla taverna trovai Tore che giocava con Peppe 1° vasato e Menico Fontanarosa... Tore è bravo, ma anche Pepie non scherza! Ciccillo mi raggiunge e prendiamo a dichia’ [p. 45 càgna]rare ognuno le nostre ragioni alla presenzza di Tore... Sapete se so tenere la lingua in bocca... E’ stato nn dichiarament© che, v’assicuro, ho fattG dire che un altro come me se lo portò la lava dei Vergini: se lo portò l’Arno, direbbe il mio. caporale Senese.... «Ma, questo signore — entra a dire Ciccillo — insidia mia cugina Teresina!» Io?! Ditelo voi! Dove mai?...

— Questo poi non è vero! — attestò con gravità don Tito.

— Così fosse! — sospirò la ragazza.

— «Mia cugina Teresina è a casa con le convulsioni...»

— Questo sì — soggiunse Filomena.

— Tre ne ho avute!

— E a me, a momenti, ne fate venir quattro! — sbuffò don Tito. — Avanti!

— Tore di Crescenzo, mi domanda che intenzioni siano le mie... — «Io, come io, intenderei di non avere intenzioni» — « Volete tirarvi a cassa o a mosca? (1) — Se mai a mosca! »

— dico — E allora, di botto Ciccillo mette fuori il coltello. Maledetto chi ha inventati i coltelli! E intanto un ragazzo, senza che c.e ne fossimo avvisti, era corso a chiamare le guardie.

— Oh! oh! — obbiettò lo scaccino: — Non poteva essere della taVema, perchè, io, che vi fui cresciuto....

— Ha detto un ragazzo sic et simpliciter! — s’affrettò a dire don Tito per interrompere la nuova questione.

— Il fatto sta — riprese il narratore — che Ciccillo tirandomi una botta, scivola appunto al momento che io metto le mani avanti a pararla....

— E tu non avevi il coltello? — domandò Portogallino, i\scottando il racconto con tale premura da richiamare a men te di chi n’avesse avuta notizia che queU’afcjbozzo d’uomo, nato appunto in quella taverna, si sarebbe tirato su per camorrista, se la meschinità del corpo e della salute non l’ffvesse ridotto a fare lo scaccino e lo sgocciol ampolle.

— Il coltello? — rispose Gennarino: — Menico m’aveva dato il suo; mia io per difendermi con le mani l’avevo buttato a terra.

Portogallino si fece la prima, la seconda e la terza croce.

— Quando mai ho maneggiato il coltello io!

— Angelo di figlio! —■ affermò don Tito stendendo la mano a carezzargli la bazza.

— Il coltello non è pane pei tuoi denti! — sentenziò fatendo boccaccia il camorrista fallito.

— Tanto meglio! — uscì a dir Teresina, che trepidava più d’ogni altro al racconto.

E Filomena che non istava alle mosse per sapere come

dell’antica camorra passato in disuso. A cassa? l busto, a tutto ’a«v ’ ’’°,ca’ ’ pómo sangue, a ferita quanto una mosca. [p. 46 càgna]fosso andata pe] suo Donato, lo richiamò a continuare: — Dunque? Dite! presto!

— Dunque, non so come, ma io, che per moto istintivo, tentavo solo di non farmi dare una coltellata mi son trovato d’aver disarmato Cieeillo senza avvedermene e d’averlo ferito col suo stesso coltello!

— Ferito?! — esclamarono tutti stupefatti.

— E il più bello è che Tore si è messo in capo che ho but’ tato a terra il eoltello per fare uno sfoggio di bravura; cioè per vedermela senz’arma contro il mio avversario armato!

— E, infatti, chi può credere che uno sia tantG bestia dn buttar via il eoltello per difendersi con le mani? — osservò Portogallino.

— Che so io? — rispose l’altro con una sequela di spallate: — So che eon le mani mi è riuscito di fermargli le mani... Quando mai ho avuto amicizia col coltello io?

— Ma Donalo? Donato? — domandò Filomena smaniando.

— Allora — continuò Gennarino senza darle retta — Tore che non e, eomc si vuole un uomo il quale campa di liti, en|r« in mezzo e dice’. «Basta mo! Si è stabilito che vi sareste tirati a mosca: il sangue à scorso l’onore è soddisfatto, e mo datevi

il bacio della conciliazione; cosi voglio!»

— Grazie a Dio! — sospirò Teresina e Filomena con lei, che la teneva per mano.

— E sapete ehe quando Tore dice: «Così voglio!» non e’c uomo al mondo elle s’attenti di opporsi! Nè Ciccillo si è opposto; ma solo, ha voluto mettere un patto alla pace: «Gennarino — ha detto lui — deve dare la sua parola di non stare più attorno a mia cugina Teresina, perchè lui non si guadagna nemmeno di ehe comprarsi un sigaro, e può farle perdere qualche buon partito, come, per esempio, il figlio dello Scampaforehe. .. »

— Non lo voglio! non lo voglio! Non voglio sentirlo manco a nominare! — strillò come un’aquila la ragazza; e si volse come a rifugiarsi tra le braccia della Filomena, mandando di su e giù il capo, con un muso tanto lungo a conferma dello ostinato diniego.

C’è Zio Prete, c’è Zio Prete per te! — la confortò Filomena carezzandola.

— «Quel palmo d’uomo» — continuò Gennarino ripetendo le parole di Ciccillo e accennando a sè stesso: — Mi ha chiamato palmo d’uomo!...

— E sei qualche altra cosa? — uscì a dirgli Portogallino eon un: Puh! di disprezzo.

— E se io sono un palmo, tu poi chie sei? un pollice?

E subito il prete sbuffando e# 1® ragazze strillando entrarono di mezzo per rimetter pace incitando il giovane a continuare: — Dunque!... Finitela!... Avanti! — E lui concluse che [p. 47 càgna]Into d’uomo. °‘(>^ secondo Ciccillo, aveva fatto perfllll’1 pace a Teresina.

siss’gnm’e- Sissignore! è vero! me l’avete fatto perdere!

.Vaici beata di polerlo dire a tutti c dicendolo come se /iinariiu» avesse a rifarla d’un tanto.

(,t J. io’/; Io non ci ho messo niente del mio!

__ Ben vi sta! Ben vi sta! Se mi steste veramente d’attor’

no, aggitlstcre’ c°se--’

’ _n E che potete far voi? — le domandò lui.

— Mot telemi alla prova!

— Sì, brava! ll10 elle ho promesso!

— (’lie cosa? Che cosa avete promesso?!...

-- Clic fra voi e me, d’ora in avanti, ei sarebbe come un muro, e che non vi avrei più manco per prossimo....

A questo Teresina ruppe di botto in pianto e si buttò di nuovo tra le braccia dell’amica, e questa, sdegnata per riflesso, prose a bistrattarlo senza risparmio; e per riflesso di riflesso» i’li rinfocolò contro l’ira dello zio, il quale non s’adirava tanto s<> era fatta una mala azione a lui. quanto se gli ’toccavajno quella nipote, che aveva cara più delle pupille.

— Cile croce! che essere, maledetto! — esclamò sospirando e sbuffando.

— Se muove un dito fa una rovina! — soggiunse lo scaccino arrischiandosi a dargli la sua botta dal momento che tutti gli davano la loro.

— Avreste voluto clic non avessi promesso?... Potessi sposarla!... Ma... — E fece e rifece segni di eroce sulla bocca per significare che non aveva di che mangiare. — Potessi passar tenente anch’io come Donato!

— Ma, per compassione, volete dirmi una volta che n’è di lui? — invocò Filomena, clic noni ne poteva più vedendosi sempre rimandata in ultimo.

— Ci vengo! — rispose Gennarino togliendo anche questo modo alla parlata del suo caporale senese; ma non ci venne affatto, perchè riprese! a dire dei casi proprii: — Il fatto che quello, Ciccillo, è picciotto ed io, per averlo disarmato e ferito, ho fatto far le croci ’a tutto il rione... Per tutto dove passo, mi mostrano a dito... E Tore ripete a tutti che io, nell’assalto, per fare una bravura maiuscola buttai in terra il coltello. E, mentre lui, nella taverna, metteva in campo questa bubbola e io mi sfiatavo a negarla, eccoti comparire quattro guardie col brigadiere alla testa, quel brigadiere eolia faccia tonda e gialla come una frittata. — Ciccillo, che è ammonito, sguizza come un pesce e sparisce dalla finestra; Menico si nasconde sotto il focolaio; Peppe se la batte per la cucina; e solo Tore non scappa; lui già non è mai scappato! — E mi guarda e mi dice:

«Ohe, giovanotto, tu hai fegato da vero! Non scappi?!» <— <;hc v’ho da dire? Io non lo so perchè non sia scappato. [p. 48 càgna]— E t’hanno arrestato?! — domandò don Tito trepidando al pensiero che ne venisse qualche noia a lui.

— No, ina.... se non sono andato nel forno... sono stato sulla pala...

C’è pericolo elle mi chiamino a deporre?

— Dormite tranquillo!-.- Siate a sentire. — il brigadiere si dirige verso di me eon le manette in mano come con la borsa della questua per l’anime del Purgatorio; e io, che lo veggo venire, metto le mani avanti e dico: «Male non fare e paura non avere! Ai vostri comandi. Solo ehe mi sento un’arsura in gola e vorrei bere un mezzo litro! » — « Anche uno intero! » risponde il brigadiere’ E resla a guardarmi con le braccia incrociate al petto come la statua di Napoleone. — Io, allora, ehe in quella taverna sono come il gatto di casa, agguanto una bocci?, la tuffo nella conca, la risciacquo, e poi, senza mostrare di farlo apposta, naturale naturale, butto l’acqua a terra tra le gambe delle guardie, che, per non averne spruzzati i calzoni, danno un salto addietro: lesto allora io sguizzo tra l’una e l’altra guardia e piglio il volo.

— Pare impossibile che l’abbia pensata lui! — mormorò Portogallino’

— E sì, sareste stato buono a pensarla voi! — scattò a dirgli Teresina con cipiglio.

— Se riusciva... — osservò lo Zio Prete.

— Ed è riuscita!

— Figuratevi se lui non riesce a seappare! — fiottò quella lingua lunga dello scaccino ostinato a mordere il giovane per un sentimento cieco d’invidia.

— Se una volta o l’altra — lo ammonì Gennarino» — non faccio scappar te a quattro piedi o con l’aiuto della coda, come

i Kangrù...

E ancora una volta le ragazze, strepitando come chiocce, si frapposero per impedire che i due venissero alle vie di fatto? mentre don Tito, risolutamente andava da un canto all’altro della stanza, in cerca del bastone per incutere rispetto ad entrambi.

— Non gli date retta! ... Quando lui apre la bocca è come se non parlasse nessuno! — dicevano quelle a vicenda: — Andate avanti! Dite! Pigliaste il volo?...

— Uccello di bosco, e non uccello di gabbia!

— Venite, Zio...

— Se prima non trovo il bastone...

— Mi metto per le Pèscole — continuò Gennarino, arrivo alla taverna dalle due porte e incontro Donato vestito da borghese....

t— E chi gli ha dato i panni? — domandò Filomena ansiosa.

— Li aveva lanciati in (fureria un sei-gerite in congedo’ venuto ad arruolarsi per l’Africa. [p. 49 càgna]_ Eccolo! — disse il reverendo mettendo finalmente la

mano sulla sua canna di Spagna.

E lui, Donato — continuo Gennarino — portava appunto spezzata la canna di Spagna di Batticola, perchè prima gliela aveva strappata di mano e poi gliela aveva rotta .sulle «.palle — I/lia bastonato?! — domandò don Tito aprendo tanto d’occhi, mentre’ Filomena, trepidando, portava le mani alle tempia e Teresina mormorava: — Ah, Madonna!-.

— E credo anche che gli abbia rotto qualche cosa — soggiunse il giovane.

— Ci ho gusto! — esclamò Teresina di scatto.

E cj ha gusto1 tutto il rione — ripigliò il narratore: —

E quelli a cui faceva paura, ora clic è scornato, ne dicono corna a voce alta per ogni dove.

Ad albero caduto!... — brontolò Portogallino torcendo la bocca per segno di avere a schifo la viltà umana, pronta a calpestare i caduti, tra i quali lui metteva, in prima riga, se stesso.

— E non siete restato a guardargli le spalle? — domandò con batticuore Filomena.

— Le spalle? a chi?

— A Donato!

— Ma... avevo da^ pensare ai guai mìei...,

— E qunl’è il guaio che ha passato lui? Donato?

— Quello di perdere i galloni.

— Di che maniera?

— Se si appura che s’è vestito da borghese per rompere un braccio a Batticola, che è il capo elettore del Deputato....

— Ah, se si appura! — interruppe Filomena mandandole col gesto alla malora: — E prima che uno sia malato lo dat< per morto!

— Non riflette a quello che dice! — mugolò Teresina ten tando di scusarlo.

— Ho una iettatura addosso!...

— E buttati in mare! — gli suggerì lo scaccino.

— Buttatevi voi! — urlò Teresina rivolgendoglisi cont come una serpe calpestata.

—. Che colpa ho io? — domandò Gennarno, con le ms <airinsù e le dita aggruppate a pan di zucchero: — Zio Pre ci credete voi alla iettatura?

— Più che a, Dio! più che a Dio — scattò a dire il pr dimenando in aria le braccia.

In quel punto Ciccillo, che aveva trovato aperta la; po s’inoltrò nella stanza gestendo con la dritta fasciata e tpeen

— Salute a tutti! e innanzi tutto, un bacio alle mani di Prete! — Poi, volto a Gennarino, quasi che questo aves/ rifarlo d’un tanto, soggiunse: —■ Mi fai il piacere di dh’nv [p. 50 càgna]ti ha fatte sto paio di gambo clic bai? Allro clic Bargossi! Ti corro dietro da ieri e non sono buon<> d’arrivarli!

Il prete, per abito piu ebe per altro, intuonò un predicozzo esortando Ciccillo a ritrarsi una volta dalla mala tuta e a tornare sotto la legge di Dio; ma quello poi ch’ebbe ripetuto I; ki,, di baciargli le mani, ](> rimbeccò che, se ora predicava contro i camorristi, se n’era poi giovalo più d’una volta, come qua; s’affidò appunto a lui, Ciccillo, perchè quel briccone dello Scampaforche lasciasse in pace, una povera orfanella, che, per terrore, avrebbe finito col cedergli.

Ma non per questo il reverendo se ne stette, e rimbeccò Ciccillo dicendo: — Anche Domineddio si servì dei Filistei!...

Don Tito non era certo connivente alle soverchierie di quei bravacci; ma trovava il suo conio d’averne qualcuno sottomano quando gli occorreva di tener giù qualche furfante. Sui questurini non faceva alcun assegnamento e sui galantuomini anehe meno; e, non potendo menar lui le mani, come, a volte, avrebbe voluto, si serviva delle mani altrui, particolarmente quando il suo chilo correva pericolo d’essere disturbato. Lui che aveva cura innanzi tutto dei suoi comodi, poi delle anime e anche dei corpi dei suoi parrocchiani, se avesse potuto sarebbe stato un padre Rocco che. a colpi di crocifisso, costringeva i malandrini a genuflettersi. Alle strette, si serviva dei meno tristi contro i più tristi. In certi casi, se si fosse rivolto alle autorità sarebbe andato per le. lunghe o non sarebbe venuto a capo di nulla, perchè col Deputato, che faceva comunella con tanti arnesi di galera..- Basta lasciamo andare! Alla meno peggio sarebbe andato per le lunghe o avrebbe messo in piazza cose di fuoco, che volevan esser coperte di cenere- Quindi se c’era assolutamente da legnare qualche briccone, coprir poi le legnate col manto della prudenza era opera anche più meritoria.

Chi rammenta a Napoli, il terribile parroco di? San Matteo, può farsi un’idea di quel tipo moderato e corretto nel nostro reverendo, il quale se era un volgare sacerdote, in fondo, a tempo avanzato, era anche un uomo di cuore.

Ed ècco perchè gli bazzicavano per casa quei soggetti — e non addirittura soggettaci — che pure avrebbero meritato, di vedere il sole a traverso le inferriata del carcere. Era ancora

il tempo della camorra classica di Tore di Orescienzo, quando al ladro ed al. becco non era permesso di essere camorrista’ E a chi se ne scandalizza, mostra di ignorare che, da noi a Napoli, la camorra è penetrata un po’ da per tutto, sia perchè il coraggio ha sempre le sue attrattive, sia perchè essa, tra le ribalderie, contava qualche tratto generoso; ma nei camorristi di allora non mai in queUi di adesso. A Napoli il popolo è buono, anzi il migliore d’Italia; e i veri camorristi impudenti, sfacciati come meretrici o ipocriti come farisei si riducono l un migliaio di sfruttatori sparsi dai prostiboli alle carceri, dai [p. 51 càgna]mercati alle deputazioni.... Oggi, nei tempi di Cuocolo. essi sono un’accolta di assassini e vigliacchi nefandi; ma allora non erano ancora una società al lutto malvagia.

Pel nostro popolino, allora, tra i camorristi e i paladini di Francia non correva grande divario. Di maniera clic la voluta bravura di Gennarino. già segnata nei fasti della camorra, desiava la poesia ll0ll solo di quella sultana piazzaiuola della Francesca, ma anche delle due ragazze, cresciute fra le beghine di PiedigroUa. Ripugnante alla propria bravura era lui solo, Gennarino. il quale sapeva bene di non averci avuto merito nè colpa.

— Ve lo sareste aspettato? — domandava Ciccillo magnificando quella bravura con Paccvnto e col gesto: — Questo Rinaldo di Montalbano aveva quel fegato e non lo dava a vedere!

1’ seguila a non dirne niente!

— Sempre così: parla quando dovrebbe star zitto e si cuce la bocca quado dovrebbe parlare! — colse l’opportunità di dire Filomena adocchiando Teresina, perchè le due amiche fecevano a giova a giova: — Vuol bene a Teresina, e ci vo gJiono gli argani per farglielo confessare.

— Per carità non ne mettete un’altra in campo! — fu pronto a dir lui: — Non sono ancora uscito da i guai di ieri!

— Ieri era ieri! — interruppe solennemente Ciccillo trinciando I’ariu col gesto: — Oggi è un altro paio di maniche.

Lodato Dio! — sospirò Tercs’ni.

— E’ corso il sangue — continuò il cugino protettore — e ci è stato il bacio della conciliazione; e baci di Giuda non se ne danno tra noi! — Oggi siamo una stessa cosa io e lui...

— Come sarebbe a dire? — domandò la Zio Prete annuvolandosi.

— Fino a ieri — soggiunse il picciotto — lui era un estraneo; ma ha fatto le sue prove.... e mo... è della comitiva...

— Bagattella! — usci a dire Portogallino cacciando il capo nelle spalle come se gli fosse venuto un peso srulla nuca.

— La stessa cosa? — chiese stupito Gennarino, apprendendo d’essere camorrista ma) suo grado.

— Della comitiva?! — borbottò il reverendo tirandosi indietro come per mettersi in salvo.

— E ringraziate Dio d’averne un altro al vostro comando, voi che volete fare il padre Rocco eon le mani degli altri! — osservò il picciotto.

— E’ un uomo quello? — domandò lo scaccino facendo boccuccia per l’invidia che gli rendeva la voce stridula come quella d’un galletto strozzato: — Quello non sa d’avere il naso se non lo tocca! Quando si dice la fortuna!

— E che vuoi! — sospirò ironicamente per fargli dispetto Gennarino accettando così la sua nomina a cammorrista, mentre, era sul punto di protestare contro quella specie di fortu[p. 52 càgna]na: — Vale più un’oncia di fortuna che un earieo d’animali come te!

— Bada clic qui sta la mazza! — ammoni il reverendo mostrandola a Portogallino, clic, come tutti i servi dei padroni di quella levatura, non solo trattava il suo con la confidenza che è della mala creanza ma anche ne passava i limiti, facendosi forte di quel che sapeva riguardo alla dote di Filomena.

Ciccillo intanto, girando il braccio intorno al collo nel ncofito compagno, confermava che, ormai, da nemici giurati erano divenuti più che fratelli. E Teresina, per la contentezza di vederli abbracciare e il batticuore che il suo Gennarino fosse della comitiva senti il bisogno di abbracciare la Filomena.

— Ma sapete in tutti i particolari che prodezza è stata la sua? — riprese il picciotto anziano con l’intonazione d’un salmo nuovo.

— Lo vediamo: t’ha ferito! — brontolò don Tito, di malumore, perchè dal fatto di quella ferita la Questura poteva rimontare alla lite accaduta in casa sua.

— Se a predirmelo fosse sceso un angelo.... — incominciò

il feritore facendosi le croci.

— Ma che m’abbia ferito — interruppe Ciccillo — è il meno, perchè, quando son scivolato, avrebbe potuto darmi addosso, e, invece, s’é fermato col coltello in mano, anzi l’ha buttato per terra; e, per poco non mi ha dato aiuto a rialzarmi.

— Bravo! bene! evviva! — gridarono le ragazze battendo le mani; e, per poco non gli ballarono attorno per la contentezza.

Ma lo Zio Prete non voleva saperne di fargli festa, impensierito che la Questura potesse ritracciare il motivo della lite. Tirava tabacco su tabacco mandando in su e giù il capo, come un cavallo riottoso, e si sfogava, commiserando Gennarino: Quel buon figliuolo! Quando si dice il destino! Quando mai era nato a far smargiassate? Se la gesta di Rinaldo e il servizio militare non gli avessero attizzato nel petto qualche spirito marziale, lui sarebbe stato proprio lo scaccino per lo Zio Prete! — La quale dichiarazione rinfocolò l’invidia di Portogallino. — E, per vero, la semplicità e Gennarino erano come nati ad un parto, meno quando la dignità del calligrafo, il repertorio del suggeritore, o la prosopopea dell’usciere gl’innestaVano contro natura l’aria d’importanza, che lo rendeva un incanto di comicità. Ma in quel momento egli non era nè il calligrafo, nè l’usciere, nè il suggeritore: per tanto, in mezzo all’osanna sincero delle ragazze e il plauso sarcastico dello scaccino, si volgeva a dritta e a manca volendo negare la prodezza che gli volevano attribuire; e si sarebbe ostinato a rifiutarla, se non gli fossero andate ai nervi le smorfie di Portogallino, che faceva le castagnette Gracidando Ebbi va! ebbravo! ebbene! tiritomba e railulà!

Quindi per far dispetto a quel corvo maledetto, mutò regi[p. 53 càgna]slro: accettò per ineritoti i battimani, c si volse allo sbeffeggia tore appuntandogli contro l’indice unito a cerchio col pollice e dicendogli: — Mi possano cadere le mani se, una volta o l’altra, non t’ammacco la gobba!

A questo Don l’ito, alzando il bastone, ordinò, senz’altro perentorio, che Portogallino andasse in cucina poiché non sa’ peva stare fra le persone a modo. E quello finalmente obbedì: raccattò il paniere col cavolo c uscì voltandosi a guardar bieco e forbendosi la bocca col dosso della mano.

— E si che gl» stava bene!

— Ce l’ha sempre con Gennarino!

— L’ha preso a tenagliare! — inveirono, a vicenda Teresina e Filomena.

E in questo mentre si udiva la voce stridula di Portogallino, che cantava allontanandosi:

No me ne ’mporto si me cade ’a casa.

Basta che more chillo luricillo:

Che, rusecanno comme a grattacasa.

Me tocca ’a nevratura ogni tantillo.

ll sorieillo era Gennarino...

— E perchè seguitale a lenervela cara quella lingua lunga? — domandò Ciccillo al reverendo. Il quale si morse le labbra, pensando ehe non lo mandava via appunto perchè era quella lingua e avrebbe potuto accertare quel che la gente sospettava soltanto riguardo alla dole di Filomena.

Intanto la storia delle gesta di Gennarino non era tutta lì, a quanto affermava il suo recente fratello d’armi Ciccillo.

— E che altro ha fatto? — domandò con ansia Teresina, la quale se si pavoneggiava di lui, per essersi fatto onore» trepidava poi clic i.carabinieri non lo prendessero di mira: — Qualche altro guaio?

— Non v’ha detto niente? — domandò più stupito di tutti Ciccillo.

— Che altro ha fatto?

— Sul male, il malanno! — brontolò ancora il prete rassegnandosi a chi sa quale altra briga: Sentiamo il resto!

E quel bambinone di Gennarino, più curioso di tutti, aspettava a bocca aperta di sentire quale altra prodezza avesse compiuta.

Riuscito a scappare per quel tratto d’ingegno di buttar l’acqua tra le gambe delle guardie, s’era messo pel nuovo rione v aveva preso a saltare, come un cervo, le fosse pronte a rice vere le fondamenta delie case. Intanto, quale delle guardie s’era buttata per la dritta, quale per la sinistra, eoi disegno di u“ scirgli di fronte; ma il brigadiere, ehe era stato il Peggio uccellato ed era il più stizzito, gli si era caeeiato dietro eon la sciabola sguainata urlando: Arresta! arresta! Fortunatamente sul luogo, sparso di fosse colme d’acqua pel diluvio che era Venu’ [p. 54 càgna]to e veniva, non e’erano i «olili muratori; is per di più, dice il proverbio che chi asino è c cervo si credo, al saltar delle fotwu’ J’c ne avvede; quindi i| persecutore non avendo le ganiln? del perseguitato, al primo salti» era caduto ballando il capo in un sasso; ed aveva perso i sensi. — Ma come, a volte, da un capo alTaltro della medesimo via. un ferito a fior di pelle dtvcnla ut» morto passato da parte a parte, cosi ora lutti aggiusta vari fede al racconto di quel ragazzo della taverna, il quale, da lontano, s’era immaginalo di vedere una lotta delle più accanita ira Gennarino e il brigadiere. E latito più l’aveva descritta quanto meno l’aveva veduta. E poiché il brigadiere non era tornato ancora in sè, nessuno, se non Gennarino era in grado di rimettere a posto le cose. Intanto n’era venuta fuori la storia delle sua seconda prodezza, che Ciccillo dava per vera e per sintesi del proprio racconto:

— Quest’ anima dannata, dopo un’ora di combattimento, è slata capace di strappare la sciabola di mano al brigadiere e di dargli tale una piattonata in capo da farlo cadere, privo di sensi. nella fossa più colma d’acqua, manco a sceglierla apposta!

— die diavolo dici?! — urlò Gennarino, che aveva già ten tato di metter bocca a protestare, ma s’era trattenuto, perchè Teresina (mulinando un’idea) lo aveva tirato ogni tantino, inculcandogli di tacere: — Ma volete addirittura farmi andare in galera? — soggiunse ribellandosi alla sua tiranna.

—^Alla larga! Di fuori un agnello... — disse lo Zio Prete.

— E di dentro un Icone! terminò Ciccillo. -— Era nato per essere dei nostri!

— E la fine dell’agnello volete davvero che faccia! Fra me, che correva avanti, e il brigadiere, che mi perseguitava, e’era la distanza quanto da qui alla caserma di faccia! E io mi voltavo appunto a guardare, quando lui il brigadiere inciampò e cadde... Lo vidi battere m un termine e far poi un patatunfete nell’acqua... E non ostante che volesse arrestarmi, non vedendolo più, sentii.,• «entii qualche cosa in petto... una pietà... E se non ero io a ritirarlo, per una gamba, dall’acqua sarebbe morto affogato col capo nel fosso!

E poi? — domandò commosso Don Tito carezzandolo.

E poi... poi... ognuno per sè e Domineddio per tutti... E lo avevo lasciato senza sensi sulla sponda del fosso, quando un altro stringimento di euore mi prese: se tornando in sè, avesse fatto qualche movimento c fosse ricaduto nel fosso?...

— Bravo Gennarino! bravo! — esclamò Don Tito, mentre alle ragazze s’i numidi vano gli occhi per la tenerezza.

— & pei piedi lo strascinai lontano quanto da qui al pozzo.

— E poi/ — domandò Oiccillo con aria incredula.

— E noi.... se non facevo presto a pensare ai casi miei, nessuno certo sarebbe venuto a tirar me fuori dal carcere!’.’ Ed ecco perchè, fonse« quel ragazzo, vedendo mo di sopra e il [p. 55 càgna]brigadiere di sotto, s’e immaginato ehe tra me e il brigadiere ci sia stato un’ora di combattimento.

— E la sciabola che non si trova? Che n’hai fatto. Te la sei portata per trofeo? — osservò Ciecillo esprimendo semprpcon la smorfia del viso» ehe l’amico non gliela dava ad inteBdere.

— La sciabola?... Sarà ancora in fondo all’acqua!...

— Va là! il fatto è andato come ho detto io! Chi vuoi per^ suadere?... Si può credere che il perseguitato da uno sbirro si volli indietro a tirarlo da un mal passQ per farsi arrestare appunto quando gli è scappato dalle mani?! Storielle!-. Va a raccontarla ai bambini in fasce!

— Oh, vedete che mi capita!...

— Trovala meglio, che così non va!

— Oh, che mi doveva succedere!...

— Se poi dubiti che io possa tradirti, mi offendi a morte!

— Hie morte! che tradirti! che affastelli!

■— Se ti penti d’essere stato un figliuolo di coraggio e rivo!" ti la frittata, perche non ti fidi di me, da fratelli torniamo nemici peggio di prima!

E t’iccillo, che per nulla s’ombrava e pigliava fuoco, rosso come un gambero, prese le mosse per andar via e arrivò firio airuscio. dove lo Zio Prete lo raggiunse e lo trattenne pigliandolo con le buone.

— Sia zitto! sta zitto! non replicare! — diceva intanto a Gennar.no Teresina sommessamente tirandolo per la giacca d’ lustrino, che sarebbe andata a strappi, se lui, seguitando a pròtestare, non avesse ceduto agli strattoni di lei, di modo che andarono a finire accanto al muro dov’era lo sportello del pozzo.

— State zitto! — glj consigliava anche Filomena, entrata, nell’idea dell’amica: — Che vi preme? Lasciategli credere quello che vuole!

E Ciccillo sull’uscio incornato a ritenersi offeso vociava peggio:

— Un compagno? dopo il bacio dato?! Sospettare?! Dopo il sangue corso?! Si scherza?! E’ una ferita all’anima!

— Nossignore! che ferita! che anima! — s’adoperava a chetarlo don Tito.

Di modo che i due sull’uscio staccati dai tre presso il po2~ zo continuavano la proprJa disputa senza sentir nulla dell’altrui.

— - Zitto, scemo — insisteva Teresina.

— Secmo, se vi dessi retta!

— Non vedi che lui per le tue bravure ti porta in palmn di mano e se neghi d’averle fatte non mi permetto p’ìi di volerti bene? Che t’importa di passrare per un figliuolo di coraggio?!... Fallo per me! Non mi far morire! Pure e peccato!... — K gli volse uno di quei suoi sguardi ammaliatori, che lo avvinghiavano, lo immelensivano, lo facevano cucciare come un cane. [p. 56 càgna]— Tu sei lu mia aguzzino! — esclamò lui togliendo anebo mtest’nllra espressione alla parlata del suo caporale senese; o prese Patteggiamento deireccehonio col capo inclinato spalla c’ poi»’ ’ ’,«no sull’altro. Intanto Don Tito veniva verso di Ini tirando pel braccio Ciccillo non ancora del tutto ammansito.

— Andiamo! Tornate in pace! Finiamola!

— Ma come? sospettare di me? Supporre? — insorse ancora a d»r quello.

— Da capo! — interruppe prepotentemente Teresina.

— E sia come vuoi tu e Dio! — concluse Gennarin0 ci.icciandosi. e dando come si vede: il primo posto a Teresina e il secondo a Dio: — Sono hello e andato in galera.... E’ meglio ebe me ne vada in Africa!

E così, non rifiutando anche la seconda prodezza che non s’era sognato di fare, affermò la sua bravura, per la quale er«i già l’eroe cantato, nella taverna di Morzillo, innanzi a Tore

o agli altri sopracciò delle combriccola, seduti a ruota, come un eollegio di magistrati.

— Con le tue chiacchiere — ripigliò a dire Ciccillo sim.il? a un mare che vada abbonacciandosi — mi facevi dimenticar’» il meglio. — E cavò di tasca quattro foglietti da dieci lire: — Ora che avrai da fare a capannisconderc eoi questurini tj saranno un aiuto di costa queste quaranta lire ehe Tore ti manda dalla cassa della Società... Il male è che il dividendo va calando d’anno in anno...

E fece aleggiare i foglietti da dieci lire agli occhi spalancati <Jel giovane, il quale non stese la mano a prenderli, tan.tA non credeva ancora a quello clic sentiva e a quello che vedeva

— Rifiutale, figliuolo mio! rifiutale! — gli consigliò premurosamente lo Zio Prete.

— Ragioniamo! — oppose pacatamente lui in cui faceva capolino la logica dell’usciere: — Avetc voluto che accettasi le prodezze e volete ora che rifiuti le quaranta lire che ne sono la ricompensa?

— Dà retta a chi ha cura d’anime!

— La cura dell’anima mia, non dico di no, ve l’affido e confido; ma quella del mio corpo... A formare una lira mi mancano sempre novantanove centesimi!

— Almeno fanne elemosina!

— Questo sì! questo sì! — consentì subito lui ponendo con compunzione una mano al petto. E porse al prete un foglietta da dieci: — Dateme nove di resto e tenetecene una per 1« Chiesa — Come? come? alla Chiesa una e a te trentanove?

_Trentanove a ine?! — meditò il giovane rannuvolai»

dosi; perchè nel libro dei sogni il 39 è numero di malaugurio, significando il capestro: — A me trentanove no! (che era come [p. 57 càgna]dire, a me il capestro no!). Tenctevene una e cinquanta centesimi.

Don Tito stava per cantargli il vespro e la compieta, cioè per dirgli il fatto suo fuori dai denti, quando appunto la campana del vespro gli rammentò le funzioni serotine della chiea» Ridusse quindi l’invettiva ad un brontolìa, interrotto dal domandare il tricorno, l’ombrello c la zimarra. Le ragazze corsero a servirlo.

Intanto Ciccillo, che s’era rabbonito del tutto, riandando al pensiero d’aver cercato Gennarino tutta la notte, si sovvenne di domandargli dove l’avesse passata.

— Io... io... — balbettiquel lo spiando se Teresina ascoltasse — coi questurini alle spalle, pensai di non ritirarmi r casa, perche, certo, a casa, m’avrebbero preso come un topo in trappola... Andare alla locanda non potevo, perchè non avevo un centesimo... Tu mi avevi fatto giurare che non avrei più pensato a Teresina... e...

— E che hai fatto?

— Un uomo senza denari... s’ingegna... Presi pel Vomero e poi per le Rampe fino alla casa di donna Francesca...

Ruppe qui il discorso per guardare ancora di sottocchi se Teresina udisse; ma lei era intenta a ravviare il pelo al tricorno di don Tito; quindi lui tirò via nel discorso.

— Mi sentivo piegar le ginocchia... Andavo trafelato come un cane a lingiia fuori...

— E sei andato a prender fiato in casa di donna Francesca’

— Che casa! — esclamò lui magnificandola con l’accento e col gesto. — Che dispensa!... Quella donna sta in trono in mezzo al lardo! Era sola... M’ha fatto mangiare e bere.... e poi.« — E poi?...

— E poi... e poi... cantò il gallo e si fece giorno!

Evitò cosi di dir altro, rammentandosi la prima volta che a chi sa tacere basta mezzo cervello. Ma intanto, gli tornava a mente che specie di scotto avesse pagato; e a questo pensieri), ora che s’era promesso a Teresina, si buttò giù, come gli fosse venuto un male.

Costretto a domandare asilo per amore di Dio, risoluto a romperla con Teresina, benché non veramente legato con lei spinto dalla fame, che caccia il lupo dal bosco, era andato incontro da sè stesso alla seduzione della Francesca e della sua dispensa; e» aveva ceduto a quella seduzione; ed ora che Ciccillo gli consentiva di voler bene a Teresina, ora il frutto proibito gli tornava a gola, amaramente, di colpo... Chi m’accecò1 pensò abbandonandosi a sedere con le braccia penzoloni e gli sguardi /issi a terra tome un delinquente. E chiuso nel pensiero «Fessersi data la zappa sui piedi, non prestava più orecchio ’» Ciccillo; il quale’ intanto, era venuto a dire d’essere stato condotto in Questura, ma che il Deputato del quartiere era coro’ di persona a farlo scarcerare... Dopo di che l’autorevole eletto[p. 58 càgna]re, nom-iando la man.» sulla spalla del compagno, lo avviso Hi noli arrischiarsi ad usci ih- perche se fine, cani di questurini fiutavano poco, i carabinieri invece!... ehm! altro naso U loro!...

Lo Zio Prete, il quale, meni re infila va la zimarra gli prestavi orecchio pensò dio «e n°n c’era carità a metter fuori di casa Gennarino, ll0ll c’era neanche prudenza e rispetto pci mondo a lasciarlo lì solo con lo ragazze; quindi per conciliare la carità e la prudenza avrdbbe mandato su la portinaia... Gì» in chiesa non cVra da far altro clic a intuonare il Tantum ergo e dare la benedizione. Quindi, attaccandosi al brarcio di Ciccillo. per farsene appoggio a scendere le scale, uscì dopo aver chiamato lo scaccino, il quale lanciata un’occhiataccia a Gennarino, prese la via come un cane frustalo canticchiando ancora:

Basta che more chili o suricillo!

Intanto Teresina, avendo osservato che Gennarino se ne stava con le mani sulle rotole delle ginocchia e ’1 mento sull» fontanella della gola, gli era venuto accanto a domandargli:

— Che cos’hai che sei più scuro della mezzanotte? E stendeva la mano a carezzarlo. E poiché quello, a render ragione del suo silenzio, inventò d’aver il rancico alla gola, lei, s’offerse subito a fargli una tazza di caffè; e fu d’un salto in cucina.

Altro che caffè! Ci vuol altro! Ci vuol altro — esclamò lui fra i denti; e mandò una sequela di sospiri l’uno più cavernoso delPaltro: — L’ho fatta!.... Acqua, padre!....

(.he acqua!... Un sorso di vino! — gli suggerì Filomena, la quale s immaginava che lui gemeva a quel modo per aver davvero accoppato il brigadiere: — Sarà un’ammaccatura; veare e che starà bene! — E andò di lancio al pozzo; nella cu’ canna, da quando era venuta in casa l’acqua del Serino, io

v i, ’fcte,aA’eV^.fatto farc lanti Palchetti, da tener in fresco « vaselli del Posillipo:

Bevete! date retta! questo rimette lo stomaco e scaccia i pensieri.

— Ci vuol altro!... Ho un incubo!

— Sullo stomaco?

— Già!

— Che cosa avete mangiato?

— Come sarebbe a dire?

Ma lui, senza rispondere, stese la mano al bicchiere mormorando, come don Abbondio: — Piccola bagattella’. .

— Pel brigadiere? ’

— Ma che brigadiere!

— Forse per Donato? — domandò la fanciulla. E tirò indietro la mano, tale e quale come Perpetua, non volendo più dargli il vino se non in premio della risposta che si faceva

aspettare^ costringete a parlare! — scongiurò Gennarino [p. 59 càgna]alzandosi; c dall’esser depresso passò ad esser nervoso: — Not» ini fate dir altro! Da che ho il cuore sulla lingua, non mi tiro addosso che guai.... E ci va di mezzo anche Donato... E se lu’ perde i galloni e non passa più sottotenente, sarete contenti» almeno voi!

— Io gli voglio bene! — mugolò scusandosi la poverina — Già, l’amore del tarlo pel crocifìsso!

— Come siete brutto! — brontolò lei asciugandosi gli occhi con le nocche delle dita.

— Siete bella voi! — ribattè lui, il quale si sfogava cosi trovando un diversivo alla paturnia che lo opprimeva. — Vi pare che stia bene? Vi augurate che perda i galloni? che non passi agli esami? E perche? Secondo voi si metterebbe con una signora? Tutto può darsi! Nessuno può dire: per questa via non passerò! o, come canta il mio caporale senese: Non dire al fonte io non berrò di te!... Si sa, quanto più si sale a questo mondo, più si scende verso l’inferno; c chi più forte si crede, quello... §o io!... Fatto il primo passo... So io! So io!... Se, ieri mattina, fosse se e so l’angelo Gabriele a dinni che, ieri sera, sarei andato, io coi miei piedi... So io! so io! so io!... Ma io 10 sono come quella banderuola là? sul fumaiuolo della caserma: mi volto secondo il vento: dico una cosa c ne faccio una altra... In vece Donato quando si fìcea un chiodo in testa noi» glielo strappano più nemmeno le tenaglie di S. Giuseppe, che taceva il falegname! K quando vi dico clic lui non si scorda d« voi nemmeno se passa generale, potete quietarvi, chè ne avrete l’utile vostro anche voi, perchè pigliando un marita con le spalline, passate signora senza darvi manco l’incomodo di fare un passo.

— K sentite — ripigliò a dir lei affannosamente confusa’ invasa dal pensiero non già di divenir signora, ma di sposare

ll suo Donato — sentite... anche il suo capitano ha sposato Nannina: è vero?

— E chi era la moglie del colonnello, che ora fa la signor» nemmeno se ci fosse naia?! A far la signora, già basta un poco di calligrafia...

— Sentite-., io già so leggere... Voi incominciate a farmi lezione.... e così....

— Ilo paura solo... — sospirò lui.

--- Di che?

— Che sia tardi!. .

— Perchè? — domandò lei scorandosi.

— Perche.... il capitano, quando io, un’ora fa, per uscir-, dai guai, sono andato a dirgli che volevo andar in Africa anch’io, l’ho trovato che mandava più coniace.....

— E perchè?

— Perchè.... perche... i carabinieri hanno fatto il loro rapporto; hanno detto ehe quella sampogna sfiatata di Batticola ha trovato chi gli ha battuta una musica addosso, altro che il [p. 60 càgna]Trovatore! E il capitano, se ha dato un bravo a Donato perchè non è tornato con le legnate alla caserma, non sa poi come salvarlo, perchè Batticola è rocchio dritto del Deputato, che, se non fosse pei camorristi del quartiere, invece del Deputato, farebbe l’usciere o il camorrista per forza peggio di me.

— E Nannina non può far niente? — domandò Filomena andando al pensiero di giovarsi dell’antica compagna di scuola.

— Può — rispose l’altro — altro che può, ma il capitano non è il colonnello, che ha già domandato a me se veramente Batticola mise Donato con le spalle al muro... Perchè se fosse così ci sarebbe da sperare...

— E cosi è! pressamente cosi! — interruppe Filomena.

— Brava! ma chi torna in caserma? chi va in Questura ad attestarlo? Io? Per mettermi in bocca al lupo?

— Di modo clic se voi o qualche altro testimoniasse che Donalo ci fu tirato pei capelli?... la passerebbe liscia?

— Scherzate! Vestirsi da borghese? Rompere un braccio a Batticola. che è il capo elettore del Deputato?.....

In quella Brigida la portinaia venne avanti, facendo la calzetta, mentre. Filomena risolutamente soggiungeva: — Non ci è bisogno che andiate a mettervi voi in bocca al lupo! Cì penso io!

— Come sarebbe a dire?

— Non ve ne date pensiero! Accompagnami, Brigida!

E Svelta come un uccello andò a prendere uno scialle e tornò per afferrar la vecchia, che a traverso le lenti a pinzette sulla punta del naso, l’affissava con gli occhi cisposi seguitando lì fare la calza: tirata di botto, mandò come un grugnito e’ perchè non le si spezzasse il filo, cedette subito, non dandosi altro pensiero che di salvare le lenti.

Gennarino andò dietro alla Filomena fin fuori il pianorottolo pregandola insistentemente perchè gli dicesse quel cb° mulinava nel cervello, ma un pennacchio di carabiniere che passava per la strada non lo fece andar più oltre, e rientrò sollecitamente grattandosi il capo e increspando la faccia con l’atto di chi non s’aspetta nulla di buono. — Certo Filomena andava da Nannina, dal capitano, dal colonnello; ma più ceri’’

10 Zio Prete, sarebbe andato in bestia e avrebbe rovesciato

ll ranno addosso a lui... Onde lui, senza badare che Teresina fili era venuta a lato sciogliendo col cucchiaino lo zucchero nel caffè, sospirava: — Se non mi faccio scorciare la lingua!...

— Sei una carrucola a parlare con gli altri — disse Teresina —< e poi con me!... Ma sai che t’ho da dire? Che mo s’»» mio e voglio che tu parli con me, unicamente con me, da rispunta il sole fino a quando...

— ...Si corica la luna! — annui lui tentennando il capo.

Ma menter sorbiva il primo sorso di caffè per poco non

si lasciò sfuggire la chicchera di mano, perche con la coda [p. 61 càgna]dell’occhio vide aleggiare sull’uscio qualche cosa di bianco che jf|i ricordò lo scialle della Francesca. Ed infatti era lei — Il diavolo viene a prevedersi l’anima! — disse, posando Iti tazza sulla tavola e abbandonandosi a sedere con le braccia penzoloni e il solito mento sulla fontanella della gola.

Teresina si fece livida come un annegato, e si disponeva ad accoglier la rivale col manico della granata, quando fu trai’ ’ tenuia dall’affanno e l’aspetto sbattuto di lei, che annuncia’ ’ vano che qualche gran caso era nato.

— Gennarino mio — prese a dir quella con un filo di voc«’ interrotto e lamentoso: — Oli, che mi doveva capitare!.... Mo moro! ....

— Che volete? che pretendete da Gennarino? — strillò la fanciulla venendo avanti come una furia.

— Ah, Teresina mia! — soggiunse l’altra, a cui, in quel momento, tornava conto di non risentirsi: — Se tu sapessi!..Chi se lo sarebbe immaginato!....

— Che cosa?...

— Mio marito!...

— Ebbene?

— Lo conoscevi?

— Un’altra volta che lo veggo sarp la prima! — rispose canzonandola la fanciulla più sgarbata che mai.

E Gennarino, intanto, se ne stava come un condannato, non curandosi di domandar nulla, perchè l’avvilimento gli andava convertendo, a mano a mano in stoicismo. Tanto, niepte poteva venirgli più di quanto avesse già messo ad entrata. Su carne già scottata acqua bollente! dice il proverbio; ma si? carne di cadavere o acqua bollente o lava del Vesuvio, era tutt’uno!

— Mio marito — continuava intanto la Francesca disperandosi a più non posso — mio marito... lo avevo mandato da cinque anni al manicomio della Madonna dell’Arco... e non er^ più stata a vederlo....

— Che amore! — strascinò con accento ironico la Teresina.

Ma all’altra conveniva d’ingozzarle tutte, perchè era ve’

nuta per attaccarsi al suo ganzo e condurselo via; simulava quindi la disperazione per non rilevare le parole pungenti del~ la ragazza. E sbraitava invocando tutti gli angeli e i santi. Lei non aveva più presa notizia del marito, è vero; ma non senze ima ragione, perchè, al terremoto di Casamicciola s’era guastata nell’anca e, prima di guarire, ce n’era voluto! E anchf’ guarita per non farsi vedere a zoppicare, aveva passato un anno nel suo podere al monte di Procida... Ed ora? indovinate quale altro terremoto? quale altro disastro? Se fosse sceso un angelo a dirglielo!... Gesummio!... Indovinate?....

E Gennarino, che dall’apatìa degli stoici passava al fatalismo dei musulmani, non si curava non che d’acuire la mente a indovinare, ma di tendere semplicemente l’orecchio per udire, . [p. 62 càgna]Indovinato’ — ripeteva per la terza volta la donna.

Siete, bella e fresca come una rosa — osservò Teresina

- e che linaio volete ehe vi sia successo!

— A me nessuno! a mio marito...

— K’ morto!.

E che gli è successo?

— Null’aliro? — bullo fuori Gennarino come avrebbe fallii d’ima bocca la di fumo, senza manco scomporsi.

_ Morio?! — ripetè Teresina con ribrezzo.

— K non possiamo manco dire: Salute a n«"’i! chè ora vien.« il malanno per tutti! - mormorò il giovane.

— E quelli del manicomio non v’hanno mandato a dir niente? — domandò la fanciulla sembrando rabbonita, perchè quella notizia raccapricciante le distoglieva un momento ramino dall’ira — Anzi... sostengono di sì —- rispose la vedova — assidila no d’avermi scritto; ma non ricordano bene se a Napoli, j. Casamicciola o al Monte di Procida.... Certo io non ho ricevuto la lettera... sennò....

— Sennò correvate con tutta l’anca guastata 1

— Sicuro! che diavolo! Se avessi ricevuta la lettera...

— Non ci avranno messo il francobollo! — osservò quel cinico di Gennarino.

— In quel tempo — continuò la vedova affannando davvero per essersi affaticata a rappresentare un affanno noi» \ero — in quel tempo-... quando morì.... poveruomo... pace all’anima sua-.- in quel tempo io facevo ancora i bagni minei ali, che mi costavano cinque lire ognuno, perchè facevo venire l’acqua d’Ischia al Monte di Procida... E con lai paura d» rimanere sciancata, figuratevi. se ponevo pensare ad altro— Forse mi avranno diretta la lettera a Napoli, o, secondo me, non si saranno dato pensiero di scrivermi credendomi mor’?. a Casamicciola, come n’era corsa la voce....

E qui tornò da capo a mettersi le mani in capo, a spalancare e chiudere le braccia come un ventaglio, a sporgerle copie dita intrecciate e le palme in fuori. E incalzò la disperazione a segno che avrebbe ristuccato le più smorfiose prefiche d’ professione- — Madonna bella!... E come facc’o?... Chi me avesse detto!... Che schianto!...

— A chi volete venderlo per buono questo vostro schianto d- contraffazione!... — scattò a dir Teresina tornando al topo di prima, con la giunta di un gesto più villano del tono; — Pe’ tantj anni non vi siete dato pensiero di quel poveretto... emo’ ’

— Hai ragione — interruppe come compassionandola! • Francesca — hai ragione perchè non posso pensare a risponderti!... Non è il momento!... Ho da inghiottire amaro e apu’ ’ tare dolce!... So io come mi senio!... Ho avuto la notizia per la strada, airimprovviso, come un fulmine... Mi son tenute [p. 63 càgna]in piedi non so como.... E olii è Pii’ buona a fare un passo9 Come Ionio a casa?...

_ Coi piedi! - soggiunsi’ per baia la ragazza

Mi senio manear le ginocchia.-. Chi m’accompagim.

’j U / — conclusi’ 1’allra volgendosi a Gennarino.

— Tu?! die cosa è questo hi?! — strillò Teresina con le mani arrovesciale ai fianchi, le gomiti’ appuntate d’avanli e g1-’ occln di fuoco.

- Mi accompagnate voi? — si corresse l’altra.

— Ci siamo! - borbottò il giovane e si alzò a divederle, pensando che la peggio sarebbe certamente toccata a Tercsin» contro quel pezzo di marcantonia.

— () voi o tu - soggiunse la fanciulla, avanzandosi ancora c agitando le braccia — per vostra regola, Gennarino è mio e nessuno) deve aver più pretensioni su lui!

K la Francesca, socchiudendo le palpebre come ad aguzzare lo sguardo lingendo di non aver bene inteso, domandò: — E’ tuo?! Come sarebbe a dire! Spiegali meglio!

E Gennarino. ora sospirando con lo sguardo volto al Cielo, ora con le mani fra le contendenti, si adoperava a rabbonirle, lenendo indietro l’una. e l’altra, ma più garbatamente la fanciulla. Parlavano così nello stesso tempo, strillando le donne e intercedendo lui, — Per carità... Chi vi sente?... Che siete la regina Taitù?... Con vostro marito morto!... Invece di piangerlo!...

Ma sì! era come voler persuadere due cani affamati a non contendersi un osso.

— E’ mio! s» e mio! e di nessun’altra! — diceva andando sempre più su di tono la ragazza, e battendo e ribattendo 1» palme sulle mammelle.

— Tuo?! tuo?! — inferociva la vedova: — E come? in che modo? dove l’hai comprato? Al mercato?

— E l’tfvete comprato voi?

— Olii, nenna, ti prudono le mani di finirla a mazzate?

— Sono bona di vedermela anche con la regina Taitù!

— Spiegati meglio, fammi sta grazia, voglio capire come è tuo!

—. E ve lo faccio capire subito subito: lui mi vuol bene, io gliene voglio due volte lauto, Ciccillo acconsente e allo Zio Prete non resta da far altro che a benedirci in chiesa.

— Non resta?... E io?... Io, come resto?! domandò la donna puntando anche lei le mani sui fianchi, sicché parevano due anfore di fronte vicine ed urtarsi e a fracassarsi. Invece, mutando tattica la vedova fece per buttarsi al collo del giovane, tentando di prenderlo dal lato del tornaconto: — Io ti levo dalle pene!... Io son ricca... Senti...

— E io ini metto nelle tue pene e le divido con te! — esclamò la fanciulla abbracciandolo senz’altro e passando, di botto» dairaccento dell’ira a quello dell’amore. [p. 64 càgna]lo li farò fare d signore f’li soggiungeva l’ultra-..

E anch’io’ ho già fidi» l’infermiera a Snnt’Kligio e torno ■< farla. lavoro io noia.. »• ti faccio mangiare. Iktc e andare

» spa.vM» nudilo d’un signori’!

A spasso? filtrò Ini a diri’: — dio contrastate u furi’? Tra U’ due contrudenti 1» Ut’ ’’ godi’!

E chi ì’ la lerza? domandò Francesca.

l-a galera! Altro che a spasso’ Sono bollo e andato in galera, s<’ non tur ni’ vado in Africa.

— Sri bello v andato ni cantposnuto. ’»• non mi sjhwi! grillò la vedova tornando alle limiti’.

Qui c’è In Kfnulftta (imoiut e U’ la do m’l core!

-- E io grillò più forlr Teresiua mi li metto dinanzi e mi prendo la Imita inveii’ Ina!

K si parò, di fatto, n difenderlo eoi corpo giovando’ ’! delle braccia come ad ammantarlo.

K io resto con le mani in mano? non levo dal mondo an’ ihe vili ’ s’avventò lui contri» In vedova, dichiarando»! ooal apertnmenlc per la fanciulla.

— Ma io come reslo? - - ripe!»’ con pili rabbia (pieliti volendo significare, clu’ Gennarino. avendo avuto la grazia, gabImi va il santo, e propriamente, in quel caso la santa che erti stata con Ini Uitt’altro che Minia. K Gennarino non intese a «w’ ’ do e tacque. Intanto la fanciulla sentendo la vittoria gii sua, più diveniva arrogante.

— Voi. voi restate vedova. « vi rimariterete con qualche altro povero cristiano che ridurrete n morir pa/./.o come il primo!

— E tu sposi (tennarino?

— Si capisce. .

— Moccicosa! moccicosa! Di che maniera?... Come fai?... Come puoi? se s’è già unito con me?

— Maledetta Torà e il momento! — bestemmiò lui mordendosi le mani.

Questa imprecazione e quest’atto fecero arrestare il battito del core della faneiulla.

— Unito eon voi? — balbettò con gli occhi spalancati e fissi in lui.

— Unito! attaccato! incatenato!... Con me, con me può dire da vero che non gli sta a far altro chip andare io Chiesa f

— Che intendete di dire? — chiese Teresina avvilendosi peggio.

— Domandalo a lui! te lo dica lui! rispondile tu, ga la n (uomo!

— Rispondi! — urlò Teresina slanciandosi ad afferrarlo pei petti della giacca.

— Ho buono in mano io! — soggiunse la donna voltando le spalle con accento sprezzante, come chi, sicuro del proprio diritto, sdegna per fino di palesarne le fonti. [p. 65 càgna]— Rispondi! — gli impose fremendo di rabbia la ragazza dando stratte su stratte alla tenue giacca di lustrino: — Dove, come quando ti sei unito? come t.i sei incatenato con lei?!

-1 Ma che incatenato! non mi sono attaccato nemmeno con

un capo di filo!

— Ma come? rispondi!

_ Il Come_ entrò a dire la leziosa con qualche pudore

— il come non può dirsi a te ch’hai ancora il latte alla bocca! Ti basta sapere che è venuto iersera a casa mia, mentre io appuntavo i panni per metterli al bucato... e, si è per modo di dire, appuntato con me... con punti che non si scuciono! più!... punti a croce!... a tanto di eroce!

— Senti che dice? — urlò da capo la giovane minacciandolo di una stretta alla gola eon le mani a forma di forbici:

— Rispondi!

— Ecco qua... — biascicò lui, che non pensava a difendersi nc non per mitigare lo strazio che vedeva patire alla povera figliuola. — Ecco qua....

— Dunque?....

Una... diciamo così... un’appuntatura... un punto cucito.... come dice lei... come si direbbe una cosa da niente... prima che tuo cugino mi permettesse di volerti bene...

. j. c°me puoi voler bene a lei, se, ieri sera, confessi tu stesso di esserti appuntato con me?

^b infame! — gridò Teresina vedendolo esitante a negare: — n sei appuntato? eh?!

Ma ora mi spunto e non se ne parla più — finì lui man’ dando al diavolo con un gesto la Francesca.

Ti spunti? tì spunti? — s’avanzò a dir costei: — Hai fatto male i conti! Dovrebbe esserci il mio consenso! Mi costa più in bottega!

,— E’ stata appena appena... che so... come dire.... un’imbastitura... non è stata una cucitura definitiva...

— Scellerato! scellerato! — smaniava Teresina andando di «qua e di là come una pazza.

—Un’imbastitura? — venne a domandargli con le pugna serrat.e fin sotto gli occhi la Francesca. — Non solo vai a burlare i santi a casa loro, ma credi anche di trovarli addormentati?!....

— E voi credete d’aver trovato il pollastrotto?! — osò lui rimbeccarla, togliendo anche quest’altra espressione al dizionario del suo caporale.

_Ti ci ho forse tirato io? non ci sei venuto tu coi tuoa

piedi a casa mia?!

_Voi voi certo l’avete tirato — soggiunse Teresina.

M’Iini vista tu? — domandò sguaiatamente l’altra pren’

,tendo, tra l’indice c i\ pollice, di <H|ao<U là la gonnella per

  1. i: in riverenza: — Mhai vista tu con la canna [p. 66 càgna]ha abboccato all’amo e me lo son tirato su con la lenza? Rispondi tu, pezzo di galeota! Perchè sei venuto da me e non da

lei? diavolo tentatore!

— E’ stato il destino! — esclamò il povero figliuolo scagliando il cappello sulla tavola.

— E giacché è stato il destino... Se Dio ha destinato così, così sia.., e fa il tuo dovere ora che son vedova!

A questa conclusione Teresina cacciò un gemito che giunse fino alla sentinella della caserma vicina; e prese a strapparsi i capelli non da burla, come avrebbe fatto quella fintona della Francesca, ma con tale disperazione cieca che si sarebbe rovinata la magnifica capigliatura se il giovane non fosse balzato a tenerle ferme le mani. — A questa sollecitudine la Francesca sentì un’altra stretta al core e schiamazzò più che mai sbeffeggiando l’atto della rivale: la si strappasse pure qualche ciuffo! poco male! sarebbe tornato a crescere! Invece la cosa che andata via una volta non torna più è il fiore prelibato di una donna e di una donna come lei, Francesca! Le ragazze si sa, oggi si strappano i capelli per uno e domani ne regalano una treccia ad un altro... A sostegno del suo diritto lei, Francesca, adduceva un fatto, a fronte del quale tutto spariva; e invece Teresina, da parte sua, non aveva titoli veri da farsi sposare, ma pretensioni, chiacchiere senza costrutto e, come si dice a Napoli, chiacchiere e tabacchere di legno, non se ne impegnano al Banco!

— Che fatti, che fatti, più di quelli che ci sono stati fra me e lui? — gridò quella gnoccona cresciuta tra le beghine della parrocchia e le suore di sant’Eligio.

— Che fatti? — rispose la rivale aprendo un grosso ciondolo che portava attaccato ad una catena girata più volte attorno al collo: — Ti basti questa ciocca dei suoi capelli, che, ieri sera, s’è lasciala tagliare, da me, giusto al momento che sparava la cannonata dello nove. — E, poi, tese l’indice al cocuzzolo di lui, dove appariva visibilmente la forbiciata.

A questa vista Teresina si percosse e ripercosse le tempia con le pugna cacciando addirittura un ululato; e Gennarino, andandole dietro, si svociava a giustificarsi, s’affacchinava a tenerle le mani, e lanciava, di lato, ogni tanto occhiate d’odio a quella maledetta Francesca che come un cavallo in battaglia, con le narici dilatate, sbuffava, sfuriava di qua e di là, urlava le sue ragioni, stringendo in aria le punte sfilacciate dello scialle: — Hai visto? Ti sei persuasa?.... Datti! Datti! che il capo è tuo e ne puoi fare quello che vuoi!-., ma Gennarino e mio!... L’anima a Dio e la roba chi spetta!

— Esci! vattene, infame! levamiti da torno! — urlò l’altra respingendo con uno spintone il traditore, che andò a battere sul soffice petto della vedova. Questa, come l’ebbe addosso, lo ghermì; e: — Cammina! marcia con me! — gli impose dando come di piglio al bottino prima della vittoria. Ma [p. 67 càgna]lui rispose a squarcinola cbe fosse andata a farsi squartare; t\ divincolandosi, per poco non la fece battere a faccia in terra.

Pentita Teresina e misurando il rischio che correva a scacciarlo davvero, lo afferò per un polso, c, con l’altra mano, stringendo le forbici, che le pendevano dalla cintura, lo minacciò: ’— Se muovi un passo di qui ti dò un colpa in gola, un altro me l<» dò da me stessa, e cosi non ci muoveremo più per sempre tuU’e due!

— Resto, resto, meglio che se fossi impastoiato! — rispose lui assoggettandosi, offrendosele quasi mani c piedi legati.

- - Se bai le gambe impastoiale te le scioglie la mia spadella di Genova! — urlò allora la vedova; e se la trasse dal nodo dei capelli impugnandola come una Medea. Ma la Teresina, acciocché lui non potesse in nessun modo andar via, agguantatone il cappello, fu d’un salto al pozzo e ve lo scagliò dentro dicendo: — Andate a soppozzare!

In queiristante fu di ritorno Filomena agitata anche lei come un mare grosso, perchè quanto Gennarino aveva preveduto

fatto? con tale accento che ognuno delle donne ammutì e stet’ te un poco a udire — Che flagello sei?— soggiunse afferrandolo al bavero già strappalo dalle ugne di Teresina e dandogli uno scossone dopo l’altro -- Bravi! riducetemi ignudo! — disse lui.

— A momenti — continuò l’altro — il colonnello manda ai ferri Donato, credendo si sia servito di Filomena, cioè che ab’ bia mandato la sua morosa dai suoi superiori per non perdere i galloni! . . Che demonio ti ha suggerito di far commettere questa sciocchezza a quella povera Filomena?! Che ci hai in capo?

— Tutte le male intenzioni! Tulle le peggiori intenzioni!

— rispose la Francesca.

— E per Batticola? — soggiunse Ciccillo: — Egli sarà quel lo che si vuole, ma infine, è dei nostri, e inventi ch’egli prese Donato a tradimento?

— Io?!..

— E me no? non ha preso me pure a tradimento? — rien trò a dire Francesca.

— Sissignore — interruppe Filomena, parlando sincopataniente pel singhiozzo che le faceva nodo alla gola — sissignore, ei avete colpa voi! perchè voi mi diceste che bisognava attestare che se Donato si rissò con Batticola, ci fu tirato pei capelli E io, io non ho detto altro di più che fu preso a tradimento...

— Piccola differenza! — soggiunse lui.

— Colpa vostra! colpa vostra!

— Mia? voi siete scappata senza volermi dar retta!..

— Che guaio hai fatto! — ripetè Ciccillo. [p. 68 càgna]_E fosse il solo! il solo! — rientrò a dire Teresina.

— Lui non ha- pietà nè misericordia per nessuno! — rimise bocca Francesca mettendo le noie piu acute nel coro deU’invettive.

E tutte le invettive formanti un sol fascio venivano addosso al povero figliuolo, che riprese l’atteggiamento dell’eccehomo, gonfiando la bocca e mandando fuori un pò d’aria come la polenta quando fa le vescie.

— Lo Zio Prete, che l’ha vista uscire dalla caserma le ha dato uno schiaffo in pubblica via! — disse per conclusione Ciccil lo additando Filomena, che appunto per questo era entrata convulsa a quel modo e singhiozzava ora tra le braccia di Te resina.

— E per conto mio — si voltò a dirgli costei — lo schiaffo che hai fatto avere a lei è come se tu l’avessi dato a me! a me! peggio d’una coltellata!

— E per conto mio — lo ammonì la Francesca, cessando un istante daH’urlare per parlargli all’orecchio — il Sacramento, in certi casi, lega meno del peccato e, se per l’ora di notte non sei a casa, ti levo per sempre lo sghiribizzo di andare dalle donne oneste a tentarle!

In quella don Tito, con più ragione di tutti fuori dalla grazia di Dio, entrò col tricorno che pioveva acqua, l’omìbrella arrovesciata dal vento; e con dietro Portogallino nel suo soprabituccio strimenzito c lucente per l’acqua di cui era inzuppato.

E con la tempesta di fuori quella di dentro andò talmente imperversando, che, in nessuno il riso sarebbe pre’valso alla compassione vedendo quel povero figliuolo malmenato a quel modo: «Mosca senza capo! Lima sorda! Scostumato! Traditore? Pe££io di tanti che stanno nei boschi! Che si lasciasse guidare o s’andasse ad affogare!»

— Mettere una pulce di quella specie nell’orecchio di questa scema! — gridò lo io Prete additando la nipote.

— E quando avevate l’intenzione di darmi uno schiaffo potevate almeno darmelo a casa! — venne avanti a dir lei ribellandosi la prima volta allo zio; onde lui pentito di aver alzato le mani, si avventò peggio su Gennarino: — Satana scatena’ to! Nemico della pace umana! Chi t’ha condotto in casa mia?f

— E nella mia, nella mia! urlò la Francesca: — dove mi prese alla traditora!

— E con me? un tradimento più barbaro?... — disse Teresina.

— Peggio delle sette piaghe d’Egitto! — concluse il prete mentre entrava Donato.

—Ci può solo la spada di San Michele! — sentenziò solennemente lo scaccino.

E Gennarino perse finalmente la pazienza:

— E che s’apra l’inferno e venga davvero la spada di San Michele a cacciarmici dentro’ Sissignore, ho detto a F.iomena [p. 69 càgna]che sc vuol dar retta alla coscienza, ha da sposare questo animale che porta in capo le penne del cappone per emblema ai quello che è---’ Sissignore ho messo la pulce nell orecchio a lei; ho inventato che Batticola assalì Donato a tradimento; ho tra’ dito questa, ho preso alla tradilora quella che mi si attacca ad dosso c vuol poi ragione da me se ho messo un punto addosso a lei! Io il nemico, io la rovina del genere umano! e statevene con la vostra pace, quanti siete chè io me ne vado in Africa e

vi levo l’incomodo per sempre!

E scappò via come un razzo, senza cappello, senza curarsi della Pioggia che veniva.... E pareva che il cielo la mandasse a tutelarlo, perchè grazie ad essa, non visto dai questurini intenti a ripararsene, potette entrare nella caserma di faccia, dove si faceva l’arruolamento per l’Africa. Il suo capitano, vedendolo, gli domandò se persistesse a voler partire anche lui; e lui: € Prima di mo! » rispose, eon modo affatto napoletano, che vuol significare: non solo all’istante ma anche più presto.

Era il modo più spicciolo di fuggire dalla Francesca; e al pericolo di andare in galera pel fatto del brigadiere. Di lui, che non si risolveva mai a far nulla o tutto faceva a precipizio, si poteva dire, come del grillo, che o sta fermo o salta.

Per Donato, invece, la gragnuola, cadeva, proprio in sul fare raccolto perchè, ora che si sapeva la sua passione per Filo mena e che allo zio non pareva vero di unirli in matrimonio, ora appunto egli aveva sollecitato di partir per l’Africa, non reggendo alla vergogna di essere stato retrocesso a milite. E, per questo! presentandosi già vestito del telaggio giallastro della truppa di Africa, aveva fatto ghiacciare il sangue nelle \ene alla Filomena e aveva interrotta ogni invettiva contro Gennarino. Sicché costui era andato in fondo alla sua sfuriata senza che altri avesse aperto più bocca. Solo la Francesca gli fì era cacciata dietro; e, per tanto, Teresina, mentre sorreggeva Filomena, s’era volta gridando a Ciccillo: — Corri, che quella se lo tira a casa! — E, d’un salto, Ciccillo era uscito di corsa anche lui.

Gli altri restarono come un capannello di salici piangenti, perchè dal veder Donato vestito della uniforme d’Africa, intendevano ch’era vana ogni querimonia; e nessuno aveva più nemmeno il coraggio di confortare la povera Filomena.

— Non ho voluto andarmene — cominciò finalmente Donato con voce cosi fioca che non si sarebbe udita un passo più in là

— non ho voluto senza prima venire a restituirvi il cassettino delle gioie ch’avevate dato a mia zia... Io non voglio niente... e non voglio che diate niente a nessuno di casa mia... Già posso dire di non aver più nessuno perchè mia zia, dopo quello che v’ha fatto, non l’ho più nemmeno per prossimo.

— E voi... voi da me... non volete niente? — singhiozzò la povera figliuola.

— Neanche il suo core! neanche quello! — soggiunse Te[p. 70 càgna]resina con gest0 di tale vituperio che lui si sentì come dare un colpo e stese quusi la mano a pararlo.

Quel poveraccio dello Zio Prete, forse la prima volta in vita, scoppiava a piangere, ed era così brutto, che per contrasto rendeva addirittura un incanto il gruppo delle fanciulle y del giovane, che, anche Ini» er^ da dipingersi per la profondità del suo soffrire.

— Senti, Donato - - prese a dire a stento la Filomena — tu te ne vai... e le mie preghiere.... e l’anima di mamma m:a ti accompagnano.... Ma le mie preghiere dureranno poco, perchè non arriverai a Massaua che io, qui, sarò morta... E quando sarò morta... sorelle non ne ho... fratelli non ne ho... mio zio niente vorrebbe del mio... e quei denari maledetti che ho... li lascio, per una parte, a Teresina, perchè possa sposare Gennarino, e per un’altra a te... Non dir no! Non dir no!... Se non li vuoi buttali... Quando son morta, sei padrone di farne quello che vuoi.... Ma voglio morire con la coscienza tranquilla...

A questo Teresina cacciò un urlo tra i singhiozzi che la soffocavano. — Ma che ci avete in petto? core o scaglia di marmo? — E, come avrebbe fatto una mamma, strinse l’am-ca fra le rbaccia. cullandola, come se in questo modo avesse voluto alleviarle il dolore.

— Voi... voi Filomena — stentò a dire il giovane disfatto anche lui dalla commozione. — voi s’ete una figliuola... che io... non avevo capito bene prima di ora-. Se vi avessi capito prima...

— E ci voleva tanto! — uscì a dire lo zio mandandolo alla malora col gesto.

— Hai fatta una bella cosa! —< sogguns? quello sempre piagmiccolando.

— Io... non reggendo allo scorno di essere retrocesso a soldato semplice...

— La superbia! la superbia! il primo dei peccati mortali! — strepitò il prete agitando in aria le braccia.

— Avrò peccato... ma... vi assicuro... che ne faccio un.» penitenza... una penitenza amara più della morte...

— E non ci vedremo più? — domandò la povera Filomena con la morte dipinta in viso

— Se Dio ha stabilito...

— Sia fatta la sua volontà! — terminò a dire Gennarino, rientrando in quel punto, condotto pel braccio come un arrecato, da Ciccillo: — Quello che è scritto e scritto!

— S’è arruolato anche lui! — disse Ciccillo.

— Tu pure?! tu pure?! tutti e due?! — gemè Teresina al colmo della desolazione.

Gennarino, togliendo la frasa a una farsa che aveva suggerita, le rispose drammaticamente: — Questo ciel non è terra per me! — E seguitò a metter fuori il meglio del suo repertorio, un pò in dialetto un pò in italiano: — Dio è il maestro d’ascia e noi uomini siamo come le sue piallature... Siamo [p. 71 càgna]^tpiin e Ddio rocioliannoce stritmmoli (trottole) di legno di mo

"’"-otlfc’ZoH di iene! oh. «he cuore di iene: - gemeva

— E chi sa davvero quale iena affamata ci aspetta in Africa per scialare delle nostre carni! — E ricordandosi del ~on c Ugolino che aveva suggerito, volse lo sguardo al Cielo soggiungendo: — Tu ne vestisti! ....

— E di me? E di Filomena? non v’importa niente? — domandò Teresina: — Chi more more? ò così?. .

—Tu — sospirò Gennarino tornando alla semplicità della propria natura — tu mi aspetti... se torno... — E si fece in viso come i bambini quando accennano a piangere: — Ma con la galera ll1 vista... e con quella demonia di donna Francesca... Lei mi farebbe fare il bello in piazza... e, invece, sposando te vivrei più disperato di prima... ma, con tutto questo, mille volte vorrei morire di stenti insieme con te che campare di grasso con lei!

— Davvero?

— Gennarino no.n dice bncic... Ma tu non. avvilirti: raccomandami alla Madonna... Scrivimi; dammi presto notizia che

il brigadiere non è morto..-. che donna Francesca si e rimaritata, e io, non dico altro, tj speso per telegrafo...

— Ah, Gennarino bello!...

— Ma mo non farmi avvilire!... Quello che è fatto è fatto... Se mi avvilisco...

— E io prendeva a dire finalmente Donato, rincorato dal buon esempio deiramico: —io...

— E tu — interruppe quello — tu che non ti trovi come me tra Scilla e Cariddi, sposa Filomena prima (H mo e vjva 1Ttalia! — E così dicendo, lo spinse ad abbracciare la fanciulla, che non ristava dal singhiozzare. Ma alPabbraccio lo Zio Prete pose subito il veto protendendo le mani.

— E alzate la mano, Zio Prete! che questi sono momenti soprannaturali! — esclamò Gennarino.

Per poco non si udirono altro che gemiti e singhiozzi; ma poi, di botto, Teresina, con atto disperato, si volse a domandare se, in Africa, andassero donne; e, alla risposta di Ciccillo che le Monache francesi (come son chiamate da noi le suore di Carità) s’erano già recate a bordo, lei scattò a dire: — Ebbene, io ho fatto l’infermiera e accanto ai malati so stare, e me ne vado in Africa con Gennarino mio!

— E Filomena? resta sola? — gridò don Tito implorando con l’accento e col gesto la carità di Teresina.

— Ah, Filomena mia! gemè l’altra slanciandosi a riabbracciarla: — Non so come dividermi! Mi si spezza il core! t

— Bella mia — gemè Gennarino a sua volta — se seguiti cosi, mi farai avvilire innanzi al reggimento!

■— Che pazzie. Dove vuoi andare? Come se la Madonna non [p. 72 càgna]CX fosse? — soggiungeva il prete: — Per ora promettetevi... E poi, poi... lasciate fare alla Madonna!.... Tu, pel primo, andiamo, Donato: da figliuolo timorato c soldato d’onore, t’impegni di sposare mia nipote Filomena Ciniglia? Si? e datevi là mano.’ questa è una benedizione in acconto!

— E io — si fece» avanti a dir Gennarino —• da devoto di quella bella Mamma di Picdigrotta e da soldato d’onore, prometto che, se torno, appena scendo al Molo, corro qui, e sposo Teresina... Tu che cognome hai?

— Son figlia della Madonna — balbettò lei mortificata; abbassando lo sguardo.

— E dove vuoi trovarla una mamma più bella?! — soggiunse subito lui.

E così Gennarino si trovò tra i cinquecento di Dogali; e fu propriamente quello, che, incitato a gridar Viva l’Italia! rispt>se, napoletanamente stoico: Gridiamolo pure, ma sempre pochi saremo! — Caduto degli ultimi, per una lanciata che gli ruppe la clavicola, fu creduto morto dagli abissini; e riacquistò poi

i sensi alle zannate di una iena, che cominciava ad assaggiargli un polpaccio. Ma lui, con quello aspetto di fraticello allam Ranato, aveva il sopravvivolo (i selle spiriti del gatto. dicono a apoli) e fu fortunato di poterla raccontare. Più fortunato di lui, Donato riguadagnò i galloni di foriere, a Saati, e s’ebbe poi

il grado di ufficiale di complemento, dopo la campagna. E così Donato con le spalline, e Gennarino con in petto la medaglia al valore (era scritto che dovesse essere un eroe!) menarono le ragazze all’altare.

E lo Zio Prete ebbe la prima consolazione di maritarli lui, c l’altra non meno grande, di veder assicurati i proprii comodi. Egli era cosi, e. se vi piace un prete più ideale, dirò come di Bortolo: fabbricatevelo voi.

La Filomena, poi, coi frutti della sua dote, rilevò un ben avviato fondaco di panni, nel quale Gennarino, che l’aveva intonata troppo alta a fare il calligrafo, s’acconciò a servire da scritturale.

Intanto Batticola, che non era schizzinoso, anzi aveva per massima che porco pulito non fu mai grasso, era riuscito a sposare la Francesca; ma lei però scese dall’altare gemendo fra sè:

Il mio sospiro era lui! Cioè Gennarino. — Impinguata da parere una luna in quinta decima, ebbe due figliuoli ad un parto, dopo solo sei mesi di matrimonio...

Anche la Teresina, due volte di seguito, diede a luce due gemelli... Di modo che Portogallino, indicando l’aspetto smunto e compunto di Gennarino, si morse le labbra dicendo: Quel San Luigi Gonzaga!.... Va a fidarli dell’apparenze!

ACHILLE TORELLI [p. 73 càgna]’0 buono marito fa ’a bona mugliera

Commedia in 4 atti

PERZUNAGGE

YICIENZO PANIELLO, ricco chianchiero.

LA SI MATALENA. mogliera soja.

TERESA )

NANNINA figlie de sti duje.

MARTINO I MARIANO, marito di Teresa.

CATARINA, sora de Mariano e mogliera de Martino. FILOMENA

GIESOMMINA, mogliera de FERDINANDO BELLA VITA.

JENNARO, patrone de carrozzelle.

TANIELLO, berzagliere.

TORE, guarzonc de la chiancaSTELLA, serva de Gesomniina.

Ebbreca de mo. [p. 74 càgna]ATTO PRIMO

Na cammera d’ ’a casa d’ ’o Si Vicienzo, ’a porta ’e miezo d’ ’o muro ’e faccia co’ na ceppa ’e corna sotto a ’o stantero p’ ’e mal’uocchie, Mmiezo no cummò co tre campane e ’a lampa appicciata nnanze a S. Giorgio. A senistra ’na tavola. ’Na fenesta a deritta. ’No tavolino, segge, eccetera, eccetera.

SCENA I Tore, e po Mctriano.

Mariano — ’sbarianno co ’no carofano russo ’mmano.

Tore. ’On Maria, fatte sto cunto neapo a te e vide si sba &]}e\ ’O primmo de l’anno de ’o cinquantanove appenneltemo 27 piezze: dudece annecchie, se’ vitelle e se’ peeorielle — m’allicordo comme fosse mo! c simmo jutc scennenno ogn’anno; t sfatino ec\’>, asci asci, avinirno appiso sett’annecchie e no poco de carne de vitella... E si continuammo acctissi, ’e quarantamila duca te che ’o si Vicienzo s’ha fatte, s’asseceano nfì a l’urdemo trecallo. Ma vuje state a sentere a me o chicehieriate co sto carofano?

Mariano. No carofano schiavone? ’No carofano dinto a ’o libro de la messa de moglierema?! No carofano?!

Tore. Contentate ca è carofano!

Mariano. ’No carofano schiavone?... So’ ghiuto a vedè for’a la loggia, e llà sole doje testolelle nce stanno: una ’e vasinicola, c n’ata amta’ ’’ E sto carofano da do’ vene? (Guardannolo). Russo? Tò?...

Tore. Eh....

Mariano. E’ russo...

Tore. E’ d’ ’a rotta!

Mariano. Russo sa’ che bo’ dì? Vo’ dì fuoco, sciamma, ammore! Che te pare?

Tore. E che m’ha da parè? (Aiza ’e spalle).

Mariano. Ammore?! Vo’ di ammore! Sango d’a colonna! Si appuro chi nce ’ha rialato, ’o pogno sott’a ’o core!

Tore. (Le pugne ’o puntfecio).

Mariano. E mo Vaco a vedè pure for’a ’o barcone ’e socrema Matalena si nce stanno teste ’e caruofene.... Vi che t« dico! mo vaco a vedè pure llà fore!... (Se ne va).

Tore. Va addò cancaro vuò tu! [p. 75 càgna]SCENA II

IVaseno da mano manca Teresa, Nannina, Catarina c Tore•

Teresa (correnno a ’o barcone). ’O vi llà! ’O vi llà àno passa soli a o lampione! 0 vi! Mo mette’ a mano dint’ ’a sacca!

Nannina. Overo! overo! ’o vi llà! dorme a mamma.

Teresa. Tore, Tò, ’o vi llà a Taniello vestuto ’a bersagliere...

Catarina (sospirando e asseffannose). Si penzo ca s’è ghiuto a fa sordato pe me!....

Nannina. Overo che le sla bello ’o vestito! Catari, viene a bedè.....

Catarina. Non voglio vedè a nisciuno.

Nannina. Tene ’na medaglia d’argiento mpietto. Uh! tene ’e tagliarelle! E’ passato caporale! Catari, è passato caporale!

Teresa. No, non è caporale, è sargente... Tò, vide tu.

Tore. Aspettate. So doje tagliarelle e meza.... E’ sargente furiere. Overo va bello. Sempe ammartenato è stato! E si ha avuto ’a miraglia vo’ di ca è guappo, de chille che fanno fui, non già e chille che fujeno. (Se mozzerà ’e mmane). Mannaggia ’a sciorta mia!

Nannina. E’ pecchò?

Tore. Peccliè si me fosse mparato a leggere e a scrivere comm’a isso c’ha tenuto ’a capa, a chest’ora va trovanno che sa r ri a! Mannaggia ’a sciorta!

Catarina. Mannaggia ’a sciorta, si ’mannaggia ’a sciorta c’ha voluto zoffunnà pure a me! Taniello me voleva bene overamente! Paterno non m’ ’o volette dà, e chillo se jette a ghiettà sordato!

Teresa. Fatte senti a mariteto, ossà! Si Martino te sente!..’

Catarina. Maritemo? Frateto Martino, ovè?... Siente, Terè: si fraterno Mariano fa chiagnere a te, frateto Martino fa chiagnere a me, e starnmo parapatte e pace!

Tore. Sentite, piccerè io songo ’o garzone d’ ’a chianca, e vuje site ’e figlie d’ ’o princepale mio: v’aggio cresciute peccerelle, mo nce vo’, e ve pozzo di na cosa comme m’a sento. Dinto a sia casa avite ’a sapè, da fora d’ ’a ’a princepala, ’amamma vosta, ’a si Matalena, ch’è ’a perna corona bannera d’ ’e fonimene annorate, e over’è; a fora d’ ’o si Vicienzo, ’o princepale. ch’e ’o capo ommo galantonimo, co ’no core quanto a ’no cufenalnro; a fora v. donna Teresina, che site a primma flglia; e ’a fora d’ ’a si Nannina, che site l’nrdema figlia....

Teresa. E chi auto nce sta? A fore ’e tutte quante allora!

Tore. E già, a fora ’e tutte quante vuje, 6e capisce: ma si parlo d’ ’o tfi Martino, ’o frate vuosto, che s’ha sposata a sta bardasela (Cai art na); uuanno parlo d’isso... è meglio ca me sto zitto e, nC nt’ vaco» si no me ntosseco sta santa jornata ch’è ogge! (^e ne va)^

Teresa (a Sanm/ia). Accossl me stisse a sentore tu, ca te [p. 76 càgna]va ’o fummo dinto all’uocchie e non buo’ a Ghiennariello ch’è giovenc fateca toi’e» c t>enc o ’ign ammo mmiczo san r ordinando i

Nannina. Mo accommenciammo! Io a Ghiennaro non ’o pozzo vedè! No! No!

Teresa. To si ncanata appriesso a chillo milordino d’ ’o cammariero d’ ’o C^onte...

Nannina. E si! Mo mictte ’a lana c’ ’a seta! Miette a Ghiennariello co Stefano ’o comma riero d’ ’o Conte!

Catarina (airannrtsr). Nanni, chillo vo’ pazzia!. . Obillo non te vo bene! Peccliè non ’o dice a pateto?. .

SCENA III Trase d’ ’a porta ’e faccia ’a si Ma’alr.na.

Matalena. Pecche non tene ’a faccia ’e nce ne parla! Pecche non tene ’o core ’e nce ne parla. Pecchè sti milordine non so’ gente p’ ’a casa ’e Vicienzo Panicllo! Pecche ’e ciente franche che tene pe mesata, e l’ati cicute ch’arrobba a ’o patrone, chillo s’ ’e fuma e s’ ’c magna diiito a quinnece juorne! Pecchè non è giovoTie annorato comm’ all’ate, peccliesto! E pecchè pe figliema Teresa, e pe sia povera Catarina, che s’ha pigliato a fìgliemo Martino, aggio avuto doje botte a ’o core, e me so’ mparata... (A Nannina). A Ghiennariello te voglio dà, che tene core, salute, annore e bellizze!

Nannina. Leva lè bellizze!

Matalena. Bellizze si, bellizze! Statte a vedè ca non so’ stata figliola primmia ’e vuje, e non me ne Tentenno! Figliemo Martino, comm’a tutte ’e guagliune verrezzuse, se ncrapecciaje ’e Catarina — e abbadate ch’io ’o diceva a maritemo: Viciè, ca chisto è troppo guaglione! Viciè, ca ’a mogliera minano a ’e criature è guajo! Viciè, ca nuje ammarronammo! — E avimmo amnia;ronato! — E avessemo ammarronato ’na vota sola, ca pure me contentarmi Chest’ata bella capozzella ’e Teresa canosce ’o frate ’e Catarina, don Mariano, don Maria ni elio....

Teresa. Mannaggia ’o juomo, l’ora e ’o momento!

Matalena. E io comm’a bona mamma, che le diceva? Terè, core ’e mamma, Mariano non è marito ne te! Tu si pazziarella!.... E chillo vi comm’è puntigliuso, comm’è sospettuso, comme ngrogna ampresso pe na cosa ’e niente! T’ ’o diceva o no?

Teresa (a Catenina). Ah, Catarina, mia! si mmece ’e frateto Mariano me fosse pigliato ’o boja d’ ’a Vicarìa, e tu te fusse pigliato a Taniello...

Matalena. Embè? Donna Terè! E accossl? Vuo’ parlà t dovere? Subbeto ascite a fora d’ ’o semmeoato! [p. 77 càgna]Teresa. Oi ma’. Tuonimene so tutte ’na cosa: facitene uno mazzo, c voltatele tutte a ’o fuoco!

Catarina. Dice buono! dice buono!

Matalena. Terè, parla buono! Te si scordata ’e l’erucazione che faggio data? Penza ca pateto è stato giovene pur’isso e pure....

Teresa. E’ stato! E’ stato! Tiempo passato! Io parlo d’ ’o tiempo ’e mo! Paterno era ’na cosa, e maritemo n’ è n’ ata. Me desse n’ ora ’ ’e pace! Mannaggia chi non ’o sona a mmuor’ to! M’aizo ’o trovo che s’è aizato già, e già sta mormolianno. E, accossì fa da che s’ aiza nfi a quanno se cocca! ’A gelosia s’ ’o roseca! Geluso ’c chisto, ’e chillo, ’e chill’ato... Mall’arma rì’ ’a mamma!

Matalena. Donna Terè!...’

Teresa. All’arma d’ ’a mamma, sì, ciento vote, e no una! Stammatina è trasuto alluccanno comm’a ’no pazzo: aveva visto a uno che s’ annasconeva sotto ’o fucolare’ Malora cecalo! Chillo era ’o monezzaro che se pigliava ’a monnezza! Non pozzo cchiìi suspirà, nun pozzo cchiìt canta, non pozzo pazzià! Pecche sospire? Che staje cantanne? A che pienze? Pecchè pazzie? C’apprietto ’c core, neh! Che pisemo ncopp’ ’a vocca d’ ’o siommeco!

Matalena. Io t’ ’o diceva? t’ ’o dicevo!?

Teresa. Mane’a chiesa pozzo i chiù! Vaco a messa ogne matina p’avè na scusa d’asci e piglià ’no poco d’aria, e—

Matalena. E sta bene chesto, neh? ’A casa ’e Dio pe co pierchio?

Teresa. C’ aggio ’a fa’? M’ ’o veco sempe appriessq tutta ’a santa jornata!.-- Non me piace manco chiù comm’a primma! Oje ma’, sapite che brutto difetto che tene Mariano, maritemo?

Matalena. Statte attiento a comme parie ca nce sta soreta zetella nnanze!

Teresa. Mariano tene ’na macchia gialla dinto ’a nennella V l’uocchio deritto.

Catarina. Vattenne ca non è overo! Non nce l’aggio vista maje!

Teresa. Non nce l’aje visto tu ca le si sora; ma nce Faggio vista io che le so’ mogliera! Na brutta macchia, oje ma’!

Matalena. Eh, fosse tutto ’na macchia!

Teresa. Sapite chi l’ha ncarrata? Filomena ’a guantara, che ghieva a maesta co nuje: s’ha pigliato a ’ho viecchio; ’a sera ’o corca, le mette ’o barrettino, e le dà ’o panecuotlot ’o ‘vrocculea, e l’addorme; e quanno isso s’è addormuto...

Matalena... essa se ne va a S. Lucia co chillo don filosottile d’ ’o cammariero d’ ’o Conte. (Guarà anno a Nannina e rapuzianno). Nanni, siente a mamnieta, ca po’ m’annuommene: si>osate a Ghiennariello! ’A primma cosa c’avite da guarda, vuje aute figliole, è si ’o giovene è faticatore. Quanno patete me mannaje a fa’ la primma mmasciata... [p. 78 càgna]Nannina. Uh, ma’! ce Pavite contato ’no centenare’ e vote!

Matalena. E diesi a fa ciento e una, e sbatte zitta! Quanno pateto, Vicienzo, me mannajc a fa’ ’a priinma mmasciata, manimcnia, che era na fenimena ’e munno, me dicette: Matalè, figlia mia’ chisto è Pommo pe te, pecchè ’a fatica non le fete. Pe mo ll0ll tene niente, ma c’ ’a paglia e ’o tiempo s’anunaturano ’e nespole. E mo sapite ch’ommo è ’o pate vuosto? E’ omino de quarantamila rucate, ’no lire! E quanno ha marciata ’a primma figlia soja, donna Teresa, ccà presente, l’ha dato semilia rucate! E d’ ’o festino ’e chella sera, dint’a ’o vico d’ ’e Campane, se ne sta parlanno ancora!

SCENA IV

Trase Filomena, d’ ’a porta ’e faccia.

Filomena (da fora). Cornine, cornine? è ’o primmo ’e panno e ’o si Vicienzo fore ’e casa?

Nannina (aizannose). Uh! Filomena!

Teresa. (aizannose pur’essa). Uh! Filomena!

Filomena. (trascurino). Guè, Terè! guè Nanni! ’A si Mata lena nosta bella! Cientc e ciente, cornine ’o core vuosto resitera!

Matalena. E a buje pure, Filomè.

Teresa. Commarè, assettate.

Filomena. Si, bella mia, m’assetto, ca sto no poco stancolella. (S’assetta). Ah!... So ghiuta a trova a socrema; capite... è ’o primmo ’e Panno...

Matalena. Pe le fa’ vedè che bella veste ve site ngignata.

Teresa. O\rero che robba simpateca!

Nannina. Pe chesto po’, ha tenuto sempre gusto Filomena!

Filomena. Embè, che s’ha da fà? Neh, scusate si me stongo poco; ma maritemo vo’ magna a ’e doje. Ah, mo me scordavo!... Sapite na cosa? Aggio trovata a Giesommina. •••

Nannina. Uh, Giesommina!

Catebina. Ohi? Giesommina?

Filomena. La figlia d’ o speziale manuale, chella che se sposaje a Ferdinanno Beliavita.

Matalena. Bellavita, seh, bella vita che sta facenno pure chisto pe Napole!

Filomena. Giesommina ni’ ha ditto ca mo ve veneva a trovà. S’ha fatto ’na veste ’e seta, ca ve dico ’a verità, è bella, va!... E d’’a mia che ve ne pare? Me l’ha rialata maritemo... Co duje squase ’a chillo vecchiariello mio nn’aggio tutto chello che boglio.

Matalena (sottovoce a Caterina). (Vedite! uno ’e sissant’anne che se piglia ’na figliola ’e ventiseje...)

Teresa. Viat’a te!....

Matalena (a Caterina.). Lassamenn’ì, ca, si no me se fa ’o sango acito! Nè, premettete, vaco dint’ ’a la cucina...

Filomena. Neh i’ non ve dico niente... Pe cient’annel... [p. 79 càgna]Matalena. E pur’ a buje, pur’ a buje... Piccerè, no mustaccuolo ’a sic Filomena.

Teresa. Si si, pure no poco ’e resolio... Tore Tò!!

Filomena. Nonzignore... lassate sta...

Matalena. Prcmmetlete...

Filomena. Facite ’e fatte vuoste.

Matalena (da po essa). •(A. sissant’anne se piglia a chella?... E po se dice che succedeno ’e guaje!! Hanno ’a succedere, hanno ’a succedere!) (Se ne trase dinf’e cammere ’e ma&o manca).

Filomena. Nanni, è overo che te mmarite?

Nannina. Vat tenne!

Filomena. Mè. ca m’hanno ditto pure a ehi te piglie. Te piglio a Ghiennariello Palummo.

Nannina. Vattenne, non è overo!. Me lo vonno da’ lloro. A me non me piace, non me piace!

Filomena (sottovoce). Siente: si te mmarite. viene addò me ca te mparo« io..

SGENA V

Traseno Tore, e Giesummina d’ ’a porta ’e faccia Tore. Cca sta pure ’a sie Giesommina.

Teresa. Uh, Giesommina!

Nannina. Giesommì, come slaje bella!

Teresa. Gomme staje simpateca!

Giesummina. Guè Filumè, me faie ’a battistrata?

Filumena. ’A battistrata nnanze ’a riggina!

Nannina. E over’è!

Giesummina (c’ ’o pizzo a riso a Filumena), Sempe sta capa e tenuta! E pazzie! Puozze pazzià sempe!

Nannina. Guè! t’haje fatto n’ato sciallo?!

Teresa. Co salute! Catari, te piace?

Catarina (moscia moscia). E’ bello, sì.

Giesummina. Embè: maritemo non me riala niente, e io ’o rialo me ’o faccio i’ stessa! (Accostajuiose a Caterina, che se ne sta sola sola). Catari, Catarenella mia! Ogne vota che vengo chiù gialla e speruta te trovo! Che tiene? Ma pecchè?

Catarina. Tu ’o saje ’o pecchè!

Giesummina. Aggio capito. Ah, mazzate che perdeno tiempo!

Teresa. Vóto te da cca. vide ’a soceia faccia ’e Catarina.

Giesummina. Tu pure? Me l’avevano ditto! Pure mariteto? E comme non l’ajo adderezzato ancora?

Teresa. Ch’aggio adderezzà?! Chille ogne ghiurno se storiella chiù ossa je! E non me lassa ’e pede sa! Sempe vicino!

Giesummina. Ah! ’o mio sempe lontano! sempe lontano! (Jettanno no sospiro lungo... lungo). [p. 80 càgna]Teresa. E non ringrazie a Dio co ’a faccia, p^terra!

Giesummina. Quanno me nimarataje. a chillo galantoinmo le portaje nove miUa ducato, ci zuccaro e cafè pe tutta ’a vita; e me nc facetic piccijatc; ’O voleva bene..- Overo ’o voleva bene...

Nannina. E po, era no bello giovene, overo!

Giesummina. Ca chesta e stata ’a dannazione soja! E’ bello, e s’c sbertecellato... Me capite? Nuje femmene po accossi simmo. Vedimmo a no giovene? E’ bello? E non fa niente eh’® nfame- Bello ’a fora, e brutto ’a dinto, che fa? ’O primm’anno ’e matremmonio me ne tiravo capille quanno ’a notte Ferdinanno me lassava sola! ’e nottate sane sane fora ’e casal E i’ cc ne deva morze nfaccia a chelle cuscine!-- Era addeveu tata comm’ ’a na gatta che magna lacerte... A’ fine me chiamino a Ferdinanno — era na matina ’e maggio — e dico: Ferdmà, vuò sapè na cosa? Fa chello che c an caro vuò’ tu, ca io me ne torno co mamma ’a speziano. Tengo a fìgliema, e ni’ avasta: po si a tè te prode ’a capo, tengo pure a fraterno, che te rompe ’e cannielle d’ ’e gamme, e stammo pace!

Tutte (approvanno co no sospiro de sollievo). Oooohl

Giesummina. E ssi! ’a sera me ne vaco a ’o triato co mamma, e la dommeneca me ne vaco ncoppa a ddò Pallino o a ’o palazzo ’e Dognanna. Non beco a maritemo e magno co chiù appetito! Aaaah!

Tutte. Aaah!

Se- set\te sparà la cannonata de mieziuorno.

Filomena. Uh! mieziuorno! Facitemenn’ì.

Teresa. Meh, no poco ’e risolio!... Giesummì...

Giesummina. No, no, mene vaco pur’!...

Teresa. Aspettate... assettavete... Tore, To’!...

Tore (da dinto). Aggio capito... ’o risolio!.... Mo’—

Nannina. E ghiammo, assettavete...

SCENA VI

Trase Ferdinando, d’ ’a porta e faccia. Pò Tore.

Ferdinando. Salute a tutte! Guè moglierema!

Giesummina. Maritemo!

Teresa. Oh, don Ferdinando bello! E co ni me avite fatto sto sforzo? Ccà nce sta pure ’a signora vosta.

Nannina. Favurite, favurite...

Giesummina. Che incontro dorge!

Ferdinando. Ciente ’e sti juorne a donna Teresina, a donna Catarina, e.’, a donna Giesummina.

Giesummina. Altrettanto a don Ferdinando!

Ferdinando, (zitto zitto a Giesummina). Aje raggione che

tiene a frateto!

Giesummina. Ca chillo te le menesta! Fa lommo! [p. - càgna]



[p. 81 càgna]Ferdinando. Va bene, agrus est!

Giesummina. C’ ’o limone!

Teresa. Jammo, Tore, co sti mustacciuole!

Tore. Mò! Me vulite fa rompere tutte cose?

Teresa. Don Ferdinà, serviteve.

Ferdinando. ’A verità, io aveva portato no piccolo compii’ mento a donna Catarenella. Vi prego, ’onna Catarenè, accettate questo coppo di confetti ammandorlati. Facite fa la vocca doce a ’o piccerillo vuosto...

Catarina (chiagne e se commoglie Pnocchie co lo muct aturo).

Teresa. Ali, Ferdinando!

Giesummina. (zitto a Ferdinando). Ma comme, non ne faje una bona!

Ferdinando. Ch’ è stato?

Giesummina. Chillo, ’o piccerillo,è muorto!

Ferdinando. E’ muorto?

Giesummina. Puozze passa no guaio!

Ferdinando. Donna Catarenè... scusate... aggiate pacienzia... i non sapeva... so’ no ciuccio!...

SCENA VII

Traseno Martino e Taniello vestuto da Berzagliere, d’ ’a porta e faccia.

Martino. E biènet’ a fa’ no bicchieriello ’e risolio tu pure! Mannaggia ’a colonna! Trase!... Embè, sit’ommo accummer zebbele vuje, che ve mettite scuorno? Trase, non fa ’o ncocciuso!

Taniello. Aspe!...

Martino. Trase! CO strascina p’ ’o uraccio).

Catarina (a Gesummina sottavoice). Taniello mio, comme m’ ’o chiagno!

Filomena. Jammo, Taniè! E faciteve vedè!

Teresa. Taniè, no mostacchiolo...

Nannina. Dalle no bicchiere ’e risolio.

Taniello. Grazie. (Veve). A la saluta ’e tutte quante!

Martino. A salute ’e donna Filomena! (sottovoce a Ferdinando ) A l’arma de la mamma, comme sta bona Donna Filomena!

Filomena. Jate ja’! Co me no nce parlate chiù! Stamm’ appiccerà te!

Martino. Stamm’apiccecate?!

Filomena. Già.

Martino. E pecchè?

Filomena. E comme, jaiwn’a Madonna ’e l’Arco co chillo (avallo che mprestasteve a Ghiennariello Palummo. facimmo l’arretenata ncopp’ ’a via nova, e le cade ’a coda a ’o cavallo’

Giesummina. Uh! vuje vedile! [p. 82 càgna]Martino. Vuje pazziate o dicite «vero?

Giesummina. Teneva ’a coda fìnta!

Filomena. E sa quanto ve ne vorria diccre... Ma chillo ma’ ritemo vo’ magna a ’e ddoje.... Rommanette V> cavallo co no turzo ’e ncappucciata arroto.

Martino Tu vi ’o diavolo a me che me succedei Filomena. Va, piccerò sta leve bone... me piglio no mostaeciuolo pe maritemo...

Nannina. Non ve pigliate chillo tuosto!

Giesummina. L‘accorda c’ ’o mostacciuolo!

Filomena. Giesommi, te ne viene?

Giesommina. Me ne vengo. State’vc bone...

Teresa. Tè, no mostacciuolo pur’ a te, portalo ’a picceiella toja.

Giesommina. Io tengo ’a speziarla manuale, e tu me vuò dà ’o mostacciuolo?

Teresa. Allora tecchetc no vaso c portancillo.

Ferdinando. Donna Giesommi, è ’o primmo ’e l’anno: po tarria dà no vaso pur’ io ’a piccerella mia? Si permmettete... m’è figlia, c me pare--, sempe c’ ’o premmesso vuosto.

Giesommina. E, tu dalle ’o vaso, va.

Ferdinando. M’ ’a vorria porta a fa’ na passiatella.

Giesommina. Pigliateli’e portatella.

Ferdinando. M’ ’a veng’ a piglia ’a casa?

Giesommina. Veniteveìla a piglia!

Ferdinando. Vuje ’o sapite c’ ’a fìgliema l’aggio voluto sempe bene.

Giesommina. ’O saccio. Sul’a me, me vuo’ male!

Ferdinando. Gnernò... Mannaggia ’a sciorta miai

Giesommina. Nò, ’a mia!

Ferdinando. Vi’ ca si sferro te rompo ’e gammeGiesommina. A me? Mo chiamiti’a fraterno, e fenisce de fa ’o sbruffone!

Ferdinando. Pozzano mori tutte e frate!

Giesommina. Filomè, jammoncenne. Neh, stateve bene. (Se vasano; se ne vanno Filometna} Giesommina e Ferdinando).

SCENA Vili

Trase Matalena, po Mariano, d’ ’a porta ’e mano manca.

Matalena. Neh, a te comme te vene? Neh, a te comme te vene? Me Vaje a rompere doje teste for’all’astreco!

Mariano. No carofano russo!

Martino. Ma se po’ sapè necchè me l’aje rotte? Parlai A che pienze? A ’e pecore mPuglia?

Mariano. Io ve sto’ a sentì. Che bolite? Martino. Pecchè m’aje rotte ’e teste foP’a loggia?

Mariano. (Vedenno a Taniello). Mannaggia ’o destinol E’ [p. 83 càgna]tornato a beni?! E sempe attuorno a moglierema rociolca! E sempe mio ciù ciù, uno ciù ciù!

Tanielix>. Donna Matalè, ve vaso ’c mane.

Matalena. Uh, bello mio! Taniello mio! Quanto me fa pia" cere ’e le vede!

Mariano. L’aggio sceppà ’o capone ’a coppa a ’o cappielld

Matalena (a Mariano). E pecchè m’ aje rotte ’e teste?

Mariano. Donna Matalè, che vuiite? Mo me facite sfastedià c bonasera!

Matalena. Neh, tu comme lc sfasrtidie ampressa! Saje che faggio a dì? Mogliereta t’ha trovata na macchia dint’a l’uccrliio senistro!

Marino. ’Na macchia? F tengo ’na macchia?!

Matalena. Sì, tiene ’a macchia gialla dint’ a l’uocchio. E quanno ’na mogliera trova le macchie a ’o marito è no brutto segno! Da che conosco a maritemo mio, non l’aggio trovata maje na macchia, a nisciuno pizzo! E so’ trentaseje anne, ’o saje? Tu t’ ’o mierete!

Mariano. Me mereto na macchia gialla dint’ a n’ uocchio?

Matalena. Piccerè dateme ’a cazetta, ca senza fa’ niente non me fido ’e sta’!... (S%assetta).

Mariano, (a Teresa) Neh, scusate, se potarria sapè c’ata scopert’avite fatta ncuoll’a me?

Teresa. Che scoperta? Tu a chi assigne? Chi te vo’ vedè? Chi te vo’ sentì?

Mariano. Tengo ’a macchia, ovè? Aje ragione!

Martino (Mbrosinianno). E comme non me n’addonaje? M’hanno vennuto ’o cavallo c’ ’a coda a levatora? E io che figura nce faccio?

Mariano. Io jesciarria p/izzo! Gomme? N’uocchio comm’a ’o mio tene ’a macchia? E’ ni possibile! I’ non ce credo!

Martino. E io manco! Quant’è ber’a jornata ch’è ogge!

Matalena (a Taniello). Mammeta è contenta che si passato caporale?

Taniello. Cioè, furiere maggiore.

Matalena. Fatte ccà... Famme vedè. Tè, mammeta se vede a no figlio comm’ a chisto nnanze, bello, gruosso, ammartenato: co no cappiello a penne, co ’e tagliarelle, no bello carofano russo mpietto...

Mariano. Sango d’ ’a colonna! E chisto è nzignale! No carofano russo int’ a ’o libro ’e moglierema, e n’ carofano russo mpiett’a sto fellapane! Ah! mannaggia!

Matalena. E’ na sodisfazione, over’ è viate a chelle mamme!

Taniello (a Teresa). Chella povera Catarina! Ah comme ’ ’ è arredotta 1

Teresa. Aje visto?

Taniello. Vuje sapite si i’ ’a voleva bene! Vuje ’o sapite, Terè, ca io co buie me veneva a sfoca quann’ess’era zetella. [p. 84 càgna]\

K

Ìluuano ^Me sent^ltaccT’e niefve! Co tutto ’a sciabolelìa che porta aliato mo sa che le faciarria!

SCENA IX

Trasc ’o si Viciejizo, co Tore e co Jennaro, da ’a porta ’e faccia Teresa. Uh, papà, bongiorno.... (Le uasano Vi mano).

Vicienzo (a Mariano), Tu che aje co chili’uocchie?

Mariano. Mannaggia l’arma ’e l’uocchie! Jennà, scusa che tengo dint’a st’uocchie?

’ Jennaro. Quà uocchio?

Mariano. Che nce tengo?

Jennaror. ’O deritto?

Mariano. Ched’è? Mo è ’o deritto?

Jennaro. Na macchia rossa: furia ’e sango.

Mariano. Rossa? Rossa? Non è cchiù gialla? ch’è ar-{ cobaleno dint’a l’uocchio mio? (Guarda a fardello e a Teresa). Dalle dà! E vi’ quanta coso che s’hann’ ’a dì moglierem’e chillo capone.

Vicienzo (Caccia no paro ’e sciocquaglie). Donna Matalè, buono capo d’anno! Siente, viene ccà! Lassa ’a cazetta. (S’ ’a piglia a braccetto). Mo si fatta vicchiarella tu pure, Matalè, so’ ’ fernute chilli tiempc! Embè, a me pare comme fosse ajere. Sta mammona mia è rommasa sempe fresca. Siente, t’allicuorde ’a primma vota che ncn parlajemo a core a core, co na mala paura ’ncuorpo, sotto ’a porta d’ ’a gradiata?

Matalena. Viciè!...

Vicienzo. Lassa ’a cazetta, siente! Era ’e controra, mammeta dormeva...

Nannina (canta). ’A zia filava, e poco nce sente’va!..

Vicienzo. Statte zitta! scigna!... (A Matalejna, mbroscenannose vicino a essa). Tu facive ’a cazetta comm’a mo!

Matalena’ Ma tanno ’e mane non me tre ruma vano.

Vicienzo. Siente... I’ te dicette: Matalè, ajere so’ passato.. Matalena. E i’ risponnette: E i’ faggio visto!...

Nannina. Vi’ che cannela!

Vicienzo. Statte zitta tu! scigna! AlPebbreca ’e mo site tutte ammazziate!

Matalena. Marti, Marti! figlio mio beneditto, e finiscel’V magnà mostacciuole! Ca po a tavola non magne.

Vicienzo (a Martino). Aje ntiso? Lassa stà ’e mostacciuole! Ma che sta je dinto a ’a cantina ca te mictte a bevere ’o rosolio nfaccia a’ botteglia? Bicchiere no ’nce ne stanno?

Martino. Ma che simmo signure?

Vicienzo. E pecchè non sì signore vuò essere puorco? Posa Hoco! Aje ntiso si o no? vide llà! Tutto ’o risolio ncuoilo! Seiù? Onuno de niente! [p. 85 càgna]- 85 Martino. Uh! Aneme d’ ’o Priatorio! (Sbatte ’a botteghe /troppa a ’o tavolino.)

Caterina. Non nc cacciate niente, co chisto!

Vicienzo. E si non tratte a moglieta comm’io aggio tratta a in ani meta pe tren fanne ’e matrimmonio, si non ’a finisce c fa’ birbantarie!...

Martino. E chi v’ha ditto ca moglierema ’a tratta malamente? Volito vede? (A Catarina) Te, Catari, no poco ’e mustacei nolo!

Catarina. Non ne voglio...

Martino. No pocorillo pocorillo!...

Catarina. Non me ne tene!.. (Sfastidiosa)

Martino, (noe ’o mbroscina nfaccia 9a vocca). T’aggio ditto magnate no poco ’e mustacciuolo! Mo t’ ’o mpizzo dint’a ’o naso Catarina, (quase chiagnenno). Ma vedite! Io non me fido... sto malata... ’o stommaco non ’o vo’, e me Taggia ’a magnà afforza...

ViciENZO. Lassala ji! (Nfocannose).

Martino. S’ha da mangila ’o mustacciuolo!

Catarina. Io non ne voglio!

Vicienzo. Lassala ji, faggio ditto! lassala ji! Ma quanta vote ’o buò sentere? Me vuo’ fa’ jastemmà pe tre ore? (Chiù, afocato).

Matalena. Mch, Viciè, è niente!...

Martino. Oh caspeta! M’è mogliera, e le voglio fa’ chello che ino pare e piace!

Vicienzo. (afferrannolo). Mo te faccio cadè ’e mole!

Martino. E avasciate ’e mane!

Matalena. Viciè! Meh!... Viciè !...

Teresa. Meh papà, non ve pigliate collera!

Vicienzo (a Martino). Vattenne dinto! Va te polezza! Jiesce!... (Chiù nfocato che maje).

Martino. E avasciate ’e mane!

Vicienzo. Ma che me vuò vattere? (Co Vuocchie 9a fora),

Matalena. Viciè! Uh! mamma mia!

Teresa. Meh, papà!...

Nannina. Papà, non è niente!...

Vicienzo. Jiesce dinto! (Co na voce terribbele).

Martino. E avasciate 9e mmane!

Vicienzo. Ma me vuò vattere? Ma che me vuò vattere? Ernbè! Me vuò vattere?... (Furioso all’urdemo accesso).

Matalena. (mantenganolo). Pe carità! Chesto che vene a dì?.... Viciè!...

Nannina. Papà... meh!

Teresa, (a Martino). Ma te ne vuò ji o no?

Martino (ammenaccianjao). E mo me ne vaco io e levo Occasione ! (Se ne va) [p. 86 càgna]— ’6 —

SCENA X.

Tutte; fore Martino.

Vicienzo (caccia ’a pippa, a ini’ ’a sacca e ’a carreca).

Teresa, (a Catarina che sta chiagnenno). E mo pecche chiagne ?

Catarina (ca non ne po cchiù). Pecchè è rifarne e nfameì I’ voglio fa’ comm’a Giesommina! (Se ne im chiagnenno, disperata). I’ voglio fa’ comme a Giesummina! Me voglio spartere! me voglio spartere!....

Vicienzo (arraggiannosc). E comme! (struzzella e rompe ’a cannuccia d’ ’a pippà) paterno me lassa mmiezo a ’na strata e i’ non dico niente, e io l’assisto, c io le nchiudo l’uocchie, e io Vi benedico... e po fìgliemo... fìgliemo che i’ lassarraggio ricco p’ ’e fatiche meje, me tratta ’e chesta manera?... Figliemo che. aggio mannato a la scola, fìgliemo che non fa niente, che m’arrobba ’e denare ’a dint’a ’o teraturo che arrobba ’e sciocquaglie d’ ’c sore!... E va bene! Vo’ di ca Dio accussì voM...

Teresa. Meh, papà, non ve pigliate collera!...

Matalena. Siente... Viciè...

Vicienzo. No’ nc’è che fa’!... No’ nc’è che fa’!

Matalena (appaurata). Viciè!...

Vicienzo. Sia fatta la volontà de Dio! (Le s’è abbrocata la voce) Non c’è che fa’... E’ destino! (Se vota p’ascì. 9 A mogliera e ’e figlie attuor/io). E’ destino! E’ destino!...

S’AOALA LO TELONE. [p. 87 càgna]- 87 ATTO SECONDO

’Na cammara ncoppa a ’e Do je Porte ’o casino d’ ’o si Vicienzo. Na fenesta e na porta a ’o muro ’e (accia, ’na porta a chi»lo ’e deritta, e ’nata a chi Ilo ’e mana manca.

SCENA I.

Traseno Tore, Jennaro e Nonnina p"a porta ’e faccia

Tore. Bemmenuto, bemmenuto! Finalmente ve site fatte a vede. Si Jcnnà, comme state?

Jennaro. No nc’è male. Tu comme staje?

Tore. Comm’a bicchiariello, tiranno nnanze. E comme site venute?

Jennaro. Aggio miso sotto ’o saùro Fasulo, co tutto ca steva poco buono e aggio ditto a chesta: jammo a trova ’a gnora ncopp’a ’o casino.

Nannina. To, mammà addò sta?

Tore. E’ ghiuta a messa.

Nannina. E l’affitto d’ ’a massarie l’avite fatto?

Tore. Stanno con tanno ’e piede ’e fiche- Si pe ogge se spicciano a firmà ’o contratto, dimane nce ne tornammo a Napoli’..... Lassa teme avisà ’o principale ca site venute, A proposito d’ ’o sproposeto: sapite ccà chi nce sta?

Jennaro. Chi nce stà?

Tore. ’A Siè Giesommina. Quase ogne dommeneca vene a magna addò Pallino.

Nannina. Neh?... Siente, To’, si scuntre a papà fallo Veni, dincello ca nce stammo nuje.

Tore. Embè, no nce ’o diceva? (Se ne va) Jennaro. Nanni, tiene appetito?

Nannina. Affatto, affatto. (Ngrognata). Io voglio sapè solamente, tu pecchè m’aje portata ccà ncoppa!

Jennaro. Comm’è? pecchè faggio portata ccà ncoppa! Pe te fa’ vedè a mammeta e pateto, pe fa’ n’asciuta ’e dommeneca.»

Nannina. ’E vierno? Anfì’ a tanto ca vene paterno p’ ’o contratto d’ ’a massaria, e va bene; ma nuje che nce simmo Venute a fa’?

Jennaro. Comme? Embè, simme venute a vedè ’o casino! ’0 saje ca tu sì nata ccà dinto?

Nannina. E che me ne mporta!

Jennaro. Non te ne mporta?

Nannina. Vuò sapè ’a verità? ’A campagna non me sona, non me piace!

Jennaro. Comme? ’A casa addò si nata?

Nannina. E che fa? No’ nce voglio morì! Ccà me pare ’no [p. 88 càgna]

deserto. Si te vene ’no moto, arrassosia, può’ morì! Pe no soldo (Tantacelo uno ha da seennere a Napole Jennaro. Io chiù te sento, chiù me meraviglio! Ma comme? Tu non t’allicuorde ’e niente ’e ccà ncoppa? Chella povera guagliona d’ ’a figlia d’ ’o colono, che è stata crisciuta ccà nzieme co tte, quanno t’ha visto, le scenncvano ’e lacreme, e tu non l’aje ditto manco: buongiorno, Mcnechè! Chella chiagneva p’ ’a priezza ’e t’e vedè, e tu manco p’ ’n capa. Vuò sapè ’a verità? Tu core non ne tiene.

Nannina. Jcnnà, sio ai raggiata. Non è Menechella...

Jennaro. E allora chi è?

Nannina. Non ’o saccio.

Jennaro. Pe combinazione foss’io? {Nannina non risponneì• Si l’avesse saputo!

Nannina. Oh’a visse fatto?

Jennarro. Niente Nannina. Di, dì!...

Jennaro. Niente, niente.

Nannina. E di, parla chiaro.

Jennaro. Non me t’a’varria sposata, quanno ’o buò sapè.

Nannina. E pecchè m’aje sposata?

Jennaro. Pecchè io non m’ ’o credeva ca ire accossì, ca non tenive core! Ma non nc’è che fa’! Era meglio si me pigliava a Giesommina.

Nannina (aizannose). Jennà, tu non l’aje da dì chiù sta parola! Non me fa allicordà ca te volive piglià a Giesommina! Già, si m’ ’o dice pe me fa’ sentì gelosia, nce pierde ’o tiempe e ’o sapone.

Jennaro. Io non aggio bisogno ’e cliesto pe me fa’ volè bene! Io saccio chi songo!

Nannina. Io non saccio niente!

Jennaro. Tu non ine vuò bene pecchè t’ire ncrapicciata ’e chillo milordino d’ ’o cammariero d’ ’o Conte.

Nannina. A chi?

Jennaro. Io ’o sapevo.

Nannina. Ah, neh, ’o sapive? E pecche m’aje voluta?

Jennaro. Siente, Nanni: chill’oinmo che ha saputo mantenè ’a mamma ’a guaglione, saparrà mantenè pure ’a mugliera. ’A mamma ’e chillo don frichino, che va vestuto comm’a ’na signore, cerca ’a lemmosena, pe Nnapole....

Nannina. Non è overo, ’o dice tu.

Jennaro. Nanni, io non song’ommo che dico busciel. Ajere le dette duje solde a ’o pontone e San Carlo. E po? chillo tene cente lire ’e mesata e se ne spenne duciento.... E comme te manteneva? Comme te poteva sposà?!

Nannina. Se danno tanta combinazione! Ohi ’o sape?.... Oierte bote ’a fortuna....

Jennaro. Ah, già ’a fortuna! ’No terno a’ bonafficiata 0 tesoro dinto a ’na cantina! Ma si chisti lloco volessero veramen[p. 89 càgna]- 89 U bcno a na figliolo, se mettcrriano a fatica!

Nannina. E già. Aje ragione tu! , .

Jennaro. E sì, aggio tuorto! Ma ’o munno cammina e n au-a maiicra. Quanno nce sta n’ommo che vo’ veramente bene a nvogliera, ’a trova ca non vo t>enne a isso, e fa ’a pazza!

Nannina. Embè so’ pazza! E quanno è chesto pazza voglio ro min an è !

Jennaro. No ncopp’a chesto le sbaglie! Si tu si pazza, io fadder.zzo ’e cervelle. E si non te tornano ’e cervelle....

Nannina. Me vatte? Ovè?

Jennaro. Va Ite ? Gnernò! Io ’è femmene non ’e vatto: vatto all’uommene quanno s’ ’o meretano. Ma siente a me ca t’adderizze! T’ ’o dice Jennaro Palummo ca t’adderizze!

Nannina. No, non rn’adderizzo! nò!... nò!...

Jennaro. E accosst? Donna Mariannì? Embè? volite ca ve figlio pe ’no vraccio, e ve metto mmiczo a’ strata?

Nannina. Ma vedite! Starnino a’ scola... Vi’ comme commanna... comme.... comme... (Da pe essa). ’A verità, Tornino che fa’ Tornino me piace.

Jennaro. A buon cunto che vuò fa5? Stasera vuò resta ccà?

Nannina. Ccà? Io non me resto ccà, manco si m’attacchi co ’na fune!

Jennaro. E io voglio ca rieste ccà!

Nannina. E io me ne voglio tornà a Napole! io voglio.... {Sbatte ’e piede).

Jlnnaro. Voglio, sta fora a’ porta, Nanni!

Nannina. Embè... vorria tornà a Napole!... Jennariè, me vuò fa’ sto piacere?

Jennaro. Ah, mbè! Mo va bene. Vorrisse tornà a Napole? Embè pe te fa’ vedè, te voglio fa’ contenta. Però spiegammoce. Io aggio da ji a vedè no cavalluccio a Soccavo. Chillo povero sauro, chillo povero Fasulo, me pare ch’overo no ’sta buono» L’aggio trapazzato troppo ajere e ogge. Basta me ne Vaco cuoncio euoncio.

Nannina. Soccavo sta lontano?

Jennaro. A pede no nce pozzo ji!

Nannina. E a che ora me viene a piglià?

Jennaro. A ’e doje; va buono?

Nannina. Parola toja?

Jennaro. Parola mia...

Nannina. E si manche?

Jennaro. Quanno io aggio ditto parola mia, cade ’o munno, non manco.

SCENA II.

Trase Giesommina, de mana manca.

Giesommina. Oh, finalmente. Viate chi ve vede! V’avite fatte ’e denare! [p. 90 càgna]— 90 Jennaro. Io ’o sapévo ca tu stive ccà; me l’ha ditto Tore.

Si stata a magna co mammà?

Giesommina. M’ha mmitata.

Nannfna. Si venula tu sola?

Giesommina. No, so’ venula co Teresa e Catarina. Neh, a propose to non sai niente?

Nannina. Ch’è stato?

Giesommina. Chillo pulicenella d’ ’o cammariero d’ ’o Conte è stato arrestato.

Nannina. Arrestato?!

Giesommina. Mo diceva arrestato... voleva dì licenziato...

’O conte l’ha licenziato pe mariuolo...

Nannina. Pe mariuolo?

Giesommina. Eh! Faceva ’ammore co Filomena, e tutte e du je arrobba’vano a chillo povero viecchio d’ ’o marito ’e Filomena. ’O viecchio se n’è addonato, è ghiuto a ricorrere, e ’o Conte n’ha cacciato ’o cammariero.

Nannina. Uh, mamma mia! pe maruiolo?

Jennaro. Comme te pare? Ohiste so Tuonimene che s’hanno volè bene!

Nannina. No, no! Nò mariuolo nò! E Filomena?... Che nfama/... E commc? A fa’ chesto?!

Giesommina. I’ dico che nce ave corpa chillo viecchio d’ ’o marito; non è overo, neh, Jennà? A sissant’anne chiUo se va a sposà ’na guagliona...

Jennaro. A sto munno si nò nce fossero ’e... chi nce resrtarria? (S’abbia).

Giesommina. Addò jate?

Jennaro. Vaco a Soccavo, a vedè ’no cavallo.

Nannina. Vi’ che a le doje i’ t’aspetto!

Jennaro. T’aggio ditto va buono! Tornammeira dì! Siè Giesommina, premettete.

Nannina. A ’e ddoje?...

Jennaro. Cade ’o munno!... (Se ne va).

Nannina. Neh, pecchè ’o tiene mente?

Giesommina. S’è fa Ito overo ’no belTommo! Comme te truo ve ?

Nannina. Non ’o saccio manco io--.

Giesommina. Si potessemo fa’ a cagno! Le darria ’o mio! E starria fresca.

SCENA III.

Trase Ferdinando, Giesommi/ta e Nannina d’ ’a porta ’e faccia Ferdinando. Neh? (Trasenno).

Giesommina. N’ata vota maritemo!...

Ferdinando. N’ata vota moglierema!...

Giesommina. Ma che me vaje secotanno? [p. 91 càgna]- 91 Fi:hi>inanoo. Nonzignore, aggio saputo ca stiVe ccà, e sic’ coinè non voglio ca quanno s’è fatto notte ve ne tornate sola a’ casa....

Giissom mina. Overo? E quanno maje, neh, Ferdinà?

Ffhdinando. Po aggio da fa’ pure na mmasciata a Catarina pe parte de Martino.

Giesommina. Ah! mo va buono: ’a mmasciata a Catarina va buono! E va, vancella a fa’; Catarina sta stiranno.

Ferdinando. ’O cocchiere d’ ’a c.ctalina toja s’è mbriacato; perciò si pozzo a’vè l’annore de v’accompagnà.

Giesommina. A pedo? Comme te pare?

Ferdinando. No, c’ ’o dojc rote mio.

Giesommina. E ’a piccerella addò se mette?

Ferdinando. Mnviezo. Mo che torno nce ne potimmo pure ji.... Avite fatto marenna?

Giesommina. E pecchè?

Ferdinando. No, pecchè si nò se dice c’a moglierema io non la tratto bona.

Giesommina. E già! Avite ragione; e i’ ve ringrazio. Vuje site no galantomo... co l’ogna spaccata... (Ferdinando se ne vài Pure ’o cocchiere s’aveva da mbriacà, pe me fa’ passa sto guajo ! Tornammo a nuje (A Nannina). Tu co martteto comme

te truove?

Nannina. Comme m’aggio ’a trovà? Me succede ’na cosa cu riosa. Io de Jennaro non me ne so’ nnammorata, anze cierte momente non ’o pozzo propeto parià; ma che t’aggio da di? De chillo. ’a verità, me metto soggezione... Che saccio... Me fa penzà... Me fa sta attienta quanno parla....

Giesommina. Aggio capito, te nnammoraje comm’a ’na gatta de Marzo.

Nannina. A chi? Vattene!

Giesommina. Siente chello che te dico! Nuje femmene ac~ cossi simmo: «oggi volimmo e dimane no.

Nannina. Tu come te sta je facenno pazza, neh, Giesommi? Si mammema me sentcsse parlà comm’a te, saje. quanta schiaffe!... Quanno jevamo nzieme a’ maesta tu ire accosi assignata !

Giesommina. Embè aje visto? E mo me so’ fatta pazza. E tu. ch’ire tanto pazzarella, mo, ca te sì maretata, te vaje facenno assignata! (Trasc Teresa smanianno).

SCENA IV.

Trase disperata Teresa, da mana deritta

Teresa. I’ mo moro! i’ mo moro! I’ non me ne fido chiù!

Giesommina. Ch’è stato?

Teresa. Io me vorria menà abbascio! Trovateme ’na parte addò me pozzo ji a mpezzà, pe sta’ no poco sola! [p. 92 càgna]— 92 Giesommina. Ma che te vuò fa’ veni no moto?

Teresa. Uh, Mamma mia!

Giesommina. Pienze a’ salute.

Teresa. Giesommina mia, tu dice ca non vide maje a mariteto?... E te lamiente? Ah, quanto si librata c’ ’a Provvidenza!

Giesommina. Ma finalmente tuttc ste zucature ’e Mariano vonno dì ca te vo’ bene assaje.

Teresa. Tu qua bene c bene! E’ paura, paura de quacche tradimiento! Giesommi, non me fa’ parla! Io non trovò chiy no pizzo pe me ne fui, pe sta sola! Io m’assetto e chillo s’assetta, me cocco, e, chillo se cocca, io m’aizo e chillo s’aiza’ A Tarma d’ ’a mamma! Io esco fore a ’o barcone, subbeto pur’isso. Io scenno addò mammà e chillo seenne appricsso. Vaco for’a loggia, e m’ ’o veco ncuollo for’ a’ loggia. Vaco a dì rosario, e chilis vo’ dicere pur’isso ’o rosario. Tu vuò sapè a che punto arriva? Ogge me so’ ghiuta a nasconnere dint’a dispensa co ’a scusa d’appennere ’no mellone....

Giesommina. E’ venuto dint’a’ dispensa.

Teresa. Dint’a’ dispensa! Ha trovato ’no mellone ’no poco ntaceato, ’no mellone co ’a prova e ha voluto vedè dinto a mellone si nce steva quacche lettera.

Giesomminna. E chi te poteva scrivere?

Teresa. Isso dice Taniello! Ma vide! chillo povero Taniello, che si voleva bene a quaccheduna Voleva bene a Catarina, e se ne veneva a sfocà co mmè...

Giesommina. Uh, ma chesto è troppo!

Teresa. Io tanto facette ca ’o facette mettere dinto a’ guardia nazionale. Emjbè, chillo co no sacco e scuse ha ditto che tene l’ogna ncarnata, ’o discienzo che s’ ’o storce s’ha fatto scassa» Io me veco perduta, Giesommina mia!

Giesommina. Pienza a’ salute.

Teresa. Tu qua’ salute! E, accossì, o so’ io, o so’ l’uocchie mieje, a ogni momento me pare ca s’ è fatto chiù brutto, me pare ca, a ogni momento, caccia n’ato difetto; na vota a ’a vocca, ’na vota all’uocchie... Stammatina me so’ addonato ca tene ’o naso stuorto...

Giesommina. Uh, figlia mia! tu che vaje a trovà!

Teresa. E i’ te dico ca tene ’o naso stuorto! ’O naso no poco sturzellato mponta... Embè, tu quanno ’o vide’ fance a^ tenzione, e po... tAusoliannó) Zi!... Zi! ’O vi Uoco!— E’ isaot Lassateme fui!’..

Giesommina. Aspetta, addò vaje?

Teresa. Abbasci’ a’ cantina... ncopp’a ’o soppigno... a na parte ’e cheste... addò non me trova... ’O vi lloco!... (Fujeb

SCENA V.

Matiano trase correnno.

Mariano. Avite vista a moglierema?

Giesommina. No. [p. 93 càgna]- 93 Nannina, Sì.

Mariano. Nò e sì... Ma l’avite vista, nun l’avite vista?

Giesommina. Venite ccà, Don Maria, senttite.... (Facimmole piglia ’no poco ’e respiro a chella poverella).

Mariano. Che v’aggio ’a servì? (Guarda da cca e da là).

Giesommina. Vuje che ghiate guardanno? (’0 tene p’ ’a mano).

Mariano. Facite ampressa, scusate...

Giesommina. Mo!... ’No mumcnto... Io voleva...

Mariano. Pc carità, sié Giasommì, facite ampressa, io non saccio moglierema addò sta!...

Giesommina. Aspettate... Voleva vedè... si è overo ca ’o naso.... è stuorto (’O tene mente).

Mariano. Qua’ naso?

Giesommina. A meno non me pare... Nanni? A te che te

pare?

Nannina. ’A verità ’manco a me.’.

Mariano. Ma ch’è stato?

Giesommina. Avarrisseve ’a tenè ’o naso ’no pocorillo struzzcllato mponta...

Mariano Io... tengo ’o naso sturzellato mponta?

Giesommina. L’ha ditto Teresa.

Mariano. Overo? Va dicenno ca tengo l’uocchio ammac’ chiato e non abbasta, e mo pure ’o naso tengo... Va bbene!..’ Va bbene !... Le voglio fa vedè io s’o tengo deritto o sturzellato!...

Giesommina. Don Marià, volite portà dommeneca a Teresa a magna no piatto ’e m accani ne co me?

Mariano. Sto poco buono.

Giesommina. E ched’è, state poco buono ’a mo a ogge a otto?

Mariano. Sto poco buono. Tengo ’no rognone irritato... Lassatane ji, premmettete. Addò ’a trovo le strozzello io ’o naso!... (Se ne va)•

Giesommina. Ah, l’uommene, neh! Chella mo Teresa ’o voleva bene, s’ ’o pigliaje co passione» e chillo tanto ha fatto, e tanto farrà ca non potarrà passà chiù pe sott’a ’o ponte dfc Chiaja !

SCENA VI

Traseno da porta e mano manca Catarina e Ferdinando, Giesommina e Nonnina’

Catarina. Giesommi, tu te ne vaje co mariteto?

Giesommina (sospira). Embè ch’aggio ’a fa’! Chillo ’o cocchiere ha penzato ’e bello ’e se mbriacà. Chi t’ha dato sto mazzetto ?

Catarina. Mariteto.

Giesommina. Neh, don Ferdinà, addò ’o teniveve quanno site venuto? ’O teniveve unnascuosto? [p. 94 càgna]- 94 Ferdinando. ’O teneva dint’a ’o tubbo!

Giesommina. Ali, ’o teniveve dint’a ’o tubbo! (sottovoce a Nannina) Maritemo vo fa’ ’o cascante co Caterina: e le porta

lo mazzetto dint’a la sorbettera!

Nannina. Comme, comme?

Fkrdinando. Quanno nce n’avimmo da ji, sto a disposizione vosta.

Giesommina. E ghiammonccnne... Mo vide dint’a ’o quartiere nuosto quanno nce vedono tornà a tutte duje nzieme che succede! Se revota ’a strata!

Ferdinando. Lassala revotà. Ve volite appoggià?

Giesommina. Appojammoce! (sospiratino) Uff! -- (Redenno) Mo me ne vaco co maretiello mio aggraziato aggraziato!... Ce ne volessemo andà?..

Ferdinando. E poi dite a vostro fragello ca si nce simme spartiate i’ pure ve rispetto comme conviene...

Giesommina. Tu me rispiette a ine? Tu me rispiette pecchè te miette appaura!

Ferdinando. Io me metto appaura?

Giesommina. Statte zitto’ earognone! Addio, Catari, addio, Nanni! Mo saluto a ’a siè Matalena abbascio, me piglio a’ piccerella, e po... e po me ne vaco co maritemo... C’ ’o maretiello mio caro caro!... Ah... Che priezza!... Jamrno-. Ah!..

Ferdinando. ’A vi’ lloco! Mo ’a porto a mpennere! (Se ne vanno). (Catarina s’assetta tutta malinconica).

SCENA VII

Teresa. caccia a capa d’ ’a porta e mano manca

Nannina. Può veni, può veni: no ’nce sta. Ha ditto che sta poco buono da mo nfì a ogge a otto, pecche Giesommina t’aveva mmitata dommeneca co essa... He capito? Pe non te nce portà...

Teresa. E già, se capisce! ’O voglio servì io! S’ha fatto veni ’a malatia? Ma dommeneca vaco a magna co Giesommina. Po stà abbracciat’isso, e chi vo’! Doppo ch’avesse d’asci p’ ’o pertuso d’ ’a mascatura, io nce vaco! (Piglia Vacqua a passa).

Catarina. Terè, pe carità, non me fido de te sentere chiù!

Nannina. Neh, che t’è succieso a te pure?

Teresa. E’ succieso ca l’uommene... Tuonimene se meretano... se meretano ..

Nannina. E statte ’no poco zitta! faje uno ciò ciò!... Catari, tu pecchè chiagne?

Teresa. Chiagne, pecchè chilTato nfame ’e Martino ’a vo’ fa’ crepà ncuorpo, comme Mariano fa crepà ncuorpo a me- Sa’ che mmasciata Tlia mannato a fa’? L’ha mannat a di ca ogge non ’a po’ ’venì a piglià pe ghì... p,$a portà...

Nannina. Terè, (S’assetta vicin9a Catarina) falle pe’ ccantà!

feniscela! Ma addò t’avev’ ’a portà? [p. 95 càgna]- 95 Catarina. Chillo... (Nc’ ’o dice dinto a la recchia).

Nannina (se ntennercsce c abbraccia a Catarina)•

Matalena (Trasc Matalena d’ ’a porta ’e {uccia facenno la iazctta). Neh, Terè, tiene l’arte teca? Te staje, o non te staje?

To firme, o non te firme? Me vuò fa’ vota l’uocchie? (Teresa s’assefia vicino a Matalena) E mariteto, Nanni? (S’assetta). T’ha fatto veni sola p’ ’a strata?

Nannina. Nonzignore... a ’e doje toma.

Matalena. (V tene mente). Neh, eh’è succieso ca state tutte c tre comme a tre statue piangente?... Catarina chiagne, e non me fa specie, pecchè chella sempe (Sospira).

Teresa. Io po ’sto gialla comme tenesse ’a letterizia e manco ve maravigliate, c’accossì aggio ’a sta’! Ma, stateme a sentì bona! Ve ’o dico co tutta ’a pacienzia possibele... chesta non è vita ca po’ ji cchiù nnanze accossì! Mariano se sente poco buono da mo nfì a ogge a otto pe non me portà dommencca addò Giesommina a magnà co essa!...

Matalena. E comme le vene a Giesommina?...

Terksa. Uh, potcse addeventà zitella n’ata vota!...

Matalena. Neh, Terè!...

Teresa. Sola no ’nce pozzo ji!

M talena. Nonzignore! non può ji!

Teresa. E pecche?

Matalena. Pecché ’na mogliera figliola non va correnno sola senz’a ’o marito.

Teresa. Mannaggia ’o matrimmonio e chi l’ha fatto!

Matalena. E accossì, Terè? Tu vuò parla buono, o no? I ’ha fatto Dio, l’ha fatto!

Teresa. Io vorria sapè pecchè Tuonimene nzorate ponno fa’ l’ammorc co cient’aute femmene, e nuje femmene nò?

Matalena. (aizannose). Terè, mo te dongo ’no paccaro e tc faccio parlà io comme se conimene!

Teresa. Ma io voglio sapè pecchè nce stanno duje pise e doje mesure!

Matalena. Pecchè... pecchè si uno arrobba non è ragione ca n’auto ha d’arrobbà pure isso! He capito! A Napole, pe grazia ’e Dio, so’ chiù ’e femmene annorate che ’e sbreVognate; e ’a fenimena ha da chiagncre, s’ha da disperà, ha da mori, e ha da rommanè annorata1 Ca pò ’o Signore s’ ’a vedarrà isso c’ ’o marito che l’ha fatta schiatta!

Teresa. E schiattammo, schiattà!

Matalena. Piglia asenipio da st’angelo de Catarina...

Teresa. E addimmannatencello pecchè chiagne, pur’essa, addimmannatencello !

Matalena. Pecchè chiagne, Catari? Se po’ sapè?

Catarina, (asciuttannose Vuocchie). Pecchè? Pecchè? Ogge fa Tanno ca morette chillo povero piccerillo ’e Vicenzino mio... f- io ’o voleva ji a trovà ncopp’ ’o campusanto... (Chiagnenno) Oje ma’! Non me facile parlà!... ca nun ne pozzo chiù! [p. 96 càgna]- 96 Nannina se l’abbraccia.

Teresa. Vide Ila! Uno s’ha da fa’ ’o core doje parte! Uhi ’E marite! ’E marite! ’E boje d’ ’a Vecaria!

Matalena. Terè, mo m’ ’a sconto co te e bona notte!

Nannina. Ma’! aggiat-c pacienza, ma ave ragione, chello che è troppo, è troppo!

Matalena. Tu pure? lu pure?

Nannina. I’ pure! sissignore, i’ pure co maritemo Jennaro, che m’avite Voluto fa’ piglià pe forza! Jennaro era ’o marito comme se doveva! Jennaro era annorato e faticatore! sul’isso! isso sulo ncopp’ ’o munno! Bello giovane annorato, che m’ha data ’a parola soja ca me veneva a piglià a ’e doje! (Cuffiannolo) Ahhh! quann’isso dà ’a parola!... E po non vene!... Non Vene» non vene!-. Cade ’o munno!...

SCENA Vili Trase Jennaro. c Tore doppo no poco.

Jennaro. E cade ’o munno, sì! cade ’o munno quanno Jennaro dà ’a parola soja! (Caccia ’o rilorgio) So’ ’e doje e nce manca pure ’no minuto... M’avite da dicere niente?

Matalena. Cielo, te ringrazio ca me n’aje fatto vedè ammeno uno!

Nannina (arraggiannose). Ave ragione isso!

Tore (frase correnno). Si’ Jennà! Si’ Jennà, corrite!

Jennaro. Ch’è stato?

Tore. Fasrulo...

Nannina. ’O cavallo?

Tore. Comme l’aggio levato ’a sotto s’è menato nterra!.. Jennaro. Be’?...

Tore. E me pare che l’è venuta... na botta ’e sango!

Jennaro. Muorto! (Se mena fora).

Matalena. Muorto! Uh, che peccato! (Correno tutte quante a9 fenesta. Resta sola Catarina assettata).

Nannina. Uh, povero Fasulo, ’o vi’ là nterra che sta sparpetianno!-.- Comme ’o voleva bene!... Fasulillo mio!... Fasulillo mio!...

Matalena. Ah, jettatura, jettatura, che staje facenno.

Nannina. S’ ’o volevano accattà ’a semmana passata! Nce volevano da’ setteciente lire!

Teresa. Chillo Jennaro nò nce vo’ credere a ’e maluocchie, nò nce vo’ credere! Trase Jennaro tutt’abbattuto, grattannos# ncapo.

Nannina. Embè, Jennà?...

Jennaro. Embè, ch’aggi’ a fa’?... Accossì vo’ Dio!...

Nannina. E’ muorto?!

Jennaro. Manco si Tavessero fulminato!... Povero FasuJo!... Setteciente lire perdute a mare!... E va bene!... Ma già io [p. 97 càgna]- 97 ’o Vedeva nniscio, mucsso... Ma pò (cupozziannó) pe Don man~ cà V parola a sla signora... pe non mancà ’e me trova ccà a ’? ciò je (guani an no Sunnuna) pecche l’avevo prummiso a sta signora Faggio no poco sforzata, a chella povera bestia!... E va bene!... Che pozzo fa’?! Mariannì, ricordatello, aggio acciso ’ll0 cavallo pe non te fa’ di’ ca te mancavo ’e parola!’..

Nannina. E che l’aggio fatto mori io?

Jennaro. Ohi te dice chesto?

Nannina (sottonoce a Teresa). Io l’aggi’a dicere, maritemo se merda d’essere voluto bene!

Jennaro. E ll10 comme nce ne tornammo a Napole?

Nannina. Comme nce ne tornammo? A pede?

Jennaro. Nce sta ’a cetatina ch’ha portato a Giesommina. Chillo lo cocchiere s’è mbriacato. E’ d’ ’o puosto e S. Ferdinando è stato pure co me...

Nannina. Siente, Jennà!...

Jennaro. Di’...

Nannina. Farrisse ’no favore a Mariannina toja?

Jennaro. (quase non ce• credesse) Mariannì?!

Nannina. Ohed’è?

Jennaro. E’ la prinima vota ca te sento di5: Mariannina

Nannina. Embè?

Jennaro. E che vo’ dicere!...

Nannina. (aizaimo le spalle), Che saccio?... Vo di’... vo di’... basta... ’o farrisse no piacere... a Mariannina toja? (tutta vroccolosa).

Jennaro. No uno... cientomila.

Nannina. Siente, mmece d’accompagnà a me a Napole, accompagna a Catarina a ’o Camposanto... Chella poverella vo’ ji a trovà ’o pjccerillo che le morette...

Jennaro (tene niente a Catarina) E tu?...

Nannina. E io resto ccà co mammà.... E tu me viene a piglià stasera.

Jennaro. Comme vuò tu!...

Nannina. Catari,, va te miette ’o scialle!

Catarina. Terè, viene... Grazie, Nanni! (Se ne tpase co T fresa).

Matalena (nlenneruta), Jennà, viene ccà...

Jennaro. Che volite, ma’?

Matalena. Te voglio da’ ’na cosa!...

Jennaro. Che me volite da’?

Matalena. Te voglio da’ no vaso, tè! (Se Fabbraccia e s’ ’o naso) ’E vase d’ ’e vecchie so’ ’a benedizione d’ ’o cielo!

Nannina. Maà, votateve da Uà...

Matalena. Pecchè?

Nannina. Nce ’o voglio da’ pure io...

Jennaro. Nanni! ma ch’è stato? Tu staje bona? E quanno maje?_

p Piammo! dancillo!... [p. 98 càgna]— 93 Nannina. Nò, nò! votateve! me metto scuomo!...

Matalena (imta ’fl faccia. Nonnina s’abbracci’ a (rhiennarieffo, e io i>asa). E fatto?

Nannina. Te voglio bene, t<; voglio bene, te voglio bene! toja!...

Matalena (s’avoto) E fatto?

Nannina. Aggio fatto!

SCENA X

Tornano Teresa e Catarina c’ ’o sciallo ’ncuollo

Catarina. I’ sto’ ccà.

Jennaro. (a Nannina). Nanni, io nò nce voglio ji chiù!

Nannina. Agge pacienza, agge pacienza, fa n’opera bona ca pò quanno tuorne stasera...

Jennaro. (E me n’aggio ji?---) Oje ma’, stateve bona... Terè addio. (Se ne va)

Nannina. Statte buono, va! (Corf a’ fenesta) Jennà, statte attiento!!!! A me me pare ca ’o cavallo è veziuso! JennarièU. Chisto, si nun sbaglio» se pigli je ’a mano...

Matalena. Dalle da’J Tu che te faje afferra?...

Nannina. Si, sì.

Jennaro. (Da vasció) Non avè àppaura!...

Nannina. Miettete ’o moccaturo nganna! Jennariè! ca fa viente (appevxnennose a la peltoratà) Miettete lo moccaturo ncanna!

Matalena. Guè. Ca tu vaje abbasciol....

Nannina. Catari, falle mettere ’o moccaturo! Jennà, non me fa’ piglià collera! miettete ’o moccaturo! Catari’- (Sé i€tit€ scassià a bacchetta; & ’o suono cT ’e campanielle) Jennariè, stat’ te buono! Addio! Addio!... Viene presto!

s’acala ’o telone. [p. 99 càgna]- 99 AITO TERZO

’A casa ’e Giesommina - Cammara co’ na porla a ’o muro e faccia’ n’ata a mano deritta e n’ata a mana manca.

Giesommina screvenno, trase doppo Teresa e PP0> Stella

SCENA I.

Giesommina (rifaccia a ’o tavolino). Chesto ehed’è? Io non tengo chiù ’a capa; ’a mammona non m’ajuta chiù... (fa ’e cunte). Vintiquatto rotolo ’e zucchero c vintiquatto ’c cafè... Vintiquatto e vintiquatto, quarantotto-..

Teresa, (trasenno 9e botta). Neh, me faje ’no piacere? Giesommina. E clicd’è trase una botta?! M’aje fatto fa’ no zunipo!... Che buò?

Teresa. Tu tiene ancora chillo scialle russo?

Giesommina. Si; sta ncoppa a ’o licito.

Teresa. E tiene ’o cappiello?

Giesommina. Eh, ’o tengo... pecchè, chillo, No patre ’e mariterno voleva...

Teresa. M’ ’o vuò mprestà?

Giesommina. Vuò ’o cappiello? e che buò fa’?

Teresa. Non te ne ncarricà! M’ ’o vuò mprestà? Giesommina. Io t’ ’o rialo pure. Chillo dint’ ’o stipo s’è fatto viecchio.

Teresa. E ghiammo, dammillo.

Giesommina (chiammanno). Stella! Ste’!

Stella (ve ne uno). Che bolite, donna Giesommi? Giesommina. Va a piglià chillo cappiello che nce pazziava ’a pececrella ajere.

Teresa. Nientemeno?! Nce pazziava ’a peccerella? E va trova comme starrà arra inaio!

Stella. No’, chella no’ nce facette niente; nce scippaje solamente ’e sciure, ’a scuffia ’a sotto e ’o merletto ’a coppa. Teresa. Scusa!

Giesommina. No’ nce penzà ca è buono: è nuovo nuovo. Teresa. Siente: tiene ’o velo pe quanno te vaje a confessà? Giesommina. ’O vi’? ave ragione mammeta, che dice c’ ’a chiesia ’a tiene pe cuvierchio!

Teresa. Che buò fa’ m’ ’o vuò da’?

Giesommina. Pe me pigliatillo.... Me dispiace ca sta dint’a ’o commò, e ’a stammatina non pozzo trovà a chiavetella... Ste’t va vide tu; e si ’a truo’vc, ’o velo sta a ’o primm0 teraturo sotto ti ’e razette d’ ’a peccerella.

Stella. Mo vaco io. (Se ne va).

Giesommina. Addonca, se po’ sapè che buò fa’? [p. 100 càgna] Teresa. Me voglio spartere.

Giesommina. Che buò fa’, te vuò spartere?

Teresa. Me voglio spartere ’a mari temo... O nce spartimmo

o me votto ’a coppa a ’o ponte d’ ’a Sanità.... Io non voglio mori crepata!

Giesommina. E tu pe non mori crcpala, te vutte ’a coppa abbascio e muore sfraniuinmata !

Teresa. E pure è overo!

Giesommina. Ma che è stato ? Che t’è succieso ?

Teresa. Me voglio sparlerei me voglio spartere!

Giesommina. Ma fanime capì pe qua’ motivo?

Teresa. Saje chillo paglietta chiatto chiatto? chillo bell’ommo? Don Ciccio Oajola? Chillo che mo l’hanno fatto conzigliere comunale?

Giesommina. Seh...

Teresa. Chillo me veneva sempe appriesso quanno era zetella.....

Giesommina. Ah, Teresa, Teresa !... Penza ca si figlia a chella mamma!

Teresa. E chi t’ha ditto ca voglio fa’ quacche cosa malamente? Siente. ccà, sient€ primma e po parla... L’auto juomo, mente i’ ieva a messa, sconlraje ’o paglietta...

Giesommina. Don Ciccio?

Teresa. Don Ciccio, si; e io raddinnnannaje che nce voleva pe me spartere da maritemo; e isso me dicette: Fatte vattere da mariteto, fatte da’ no pare ’e paccare, ca po nce penzo io... Ma t’aje da fa’ vattere nnanze a testimmonie...

Giesommina. Uh, maramè! Tu fusse asciuta pazza?

Teresa. Seh, so’ asciuta pazza! Io m’aggi’ a fa’ vatteref Saccio io chello ch’aggio ’a fa’ !

Giesommina. Terè, lu ammamme c’ ’o paglietta!

Teresa. A chi? ’O paglietta rommane co l’uocchie chine e ’e mane vacante... Bastn ca me fa spartere!... Siente... chillo, maritemo, è geluso ’e Taniello che , tu ’o saje, era nnammorato ’e Catarina, ’a sora ’e maritemo. E annévina ch’aggio penzato ’e fa’?

Giesommina. Ch’aje penzato?

Teresa. Io teneva ancora na lettera che Taniello mannaje a Catarina, quann’isso se jette a fa’ sordato; ’a lettera nce ’a mannaje ’a Torino, quanno sotto a ’o reggimento se mparaje a scrivere...

Giesommina. Embè?

Teresa. Chella lettera io a Catarina no’ nce ’a dette, pecchè m’arrivaje justo quanno essa s’era appuntata ’o matremmonio <;o fraterno Martino... ’A lettera saje conmie dice? «Amante mia carissima. ’ Ma non dice Catarina; de manera ca non se capisce n chi va....

Giesommina. Aggio capito!

Teresa. Io ’a lettera ’a teneva dint’u ’0 libro d’ ’a messa: [p. 101 càgna]

che faccio? arapo appostatamente ’o libro nnanze a maritemo» faccio cattò ’a lettera c faccio abbedè ca non me n’addono; isso, maritemo, ’a vede nterra e s’ ’a piglia....

Gii-som mina. Uh, mamma mia! Embè?

Teresa. Embè! chillo ciuccione! non sape leggere! non legge e non me valle! Tu. da nVrnimo che non sape leggere che uè vuò sperà? ("he ciuccione!

Giesommina. (mpttennose V mane ’n capo)- Uh, tu che pazza si?!

Teresa, Io mo me voglio tornà a conziglià c’ ’o paglietta; ma si non faccio comme dico io, da ’o paglietta no nce arrivo a ghì; pecche chillo, maritemo, me corre sempre appriesso: me vede... e honananotle! Ma c’ ’o velo tujo non me po’ chiù accanosccre !...

Giesommina. No. Terc, bella mia, non ’o fa’!

Torna Stella.

Stella (trasenno). Tenite: chesta è ’a chiavetella.

Teresa. Damme ’o sciallo e ’o cappiello.

Giesommina. No, non te voglio da’ niente!

Teresa. Vi’ ca io me ne vaco accossì e è peggio! Chillo me atte mmiczo a ’a via e facimmo fa’ ’e nummere!

Giesommina. Ma stamine a sentì! Fatte capace!...

SCENA II.

Trase Taniello d’ ’a porta ’e faccia.

Taniello. Pozzo trasì, commà?

Giesommina. Uh, Taniè! Trase, trase... (Zitto a Teresa) Fatte trovà ccà co Taniello ’a mariteto e famme passa no guaio a me. ossa!

Teresa. E tu damme ’o sciallo r fammonne jì’!

Giesommina. Mo t’ ’o vaco a piglià! (Capozziaty.no) Mannaggia ... Taniè, aspetta no momento... (Se ne va co Stella) Taniello. Sie Terè...

Teresa. Ohed’è?

Taniello. Sie Terè, io voleva veni a’ casa vosta pe ve di’ ^na cosa ’e premura, ’na cosa ’e pressa!... Avite da jì subbeto c!’ ’a sì è Matalena...

Teresa. Da mammema? E pecchè?

Taniello. Eh... pecchè... pecchè chello che sta facenno Martino, ’o frate vuosto, so’ cose ’e truone! so’ cose ’e l’auto munno!... A buje v’ ’o pozzo di’, ca, mo nce vo’ v’aggio fatte tante confidenze...

Teresa. E di’!

Taniello. Chillo, Martino, è ghiuto co Catarina ncoppa a [p. 102 càgna] 9

J?» »Car,l,1.°. ^ 0 Doje-Portc; ’o cosino vuosto doppo ’o palazzo a e Spinte...

I eresa. Di’ ’a verità, me volisse inparà ’o casino nuosto?

Faniello. E sapite co chi è ghiuto a cena là ncoppa?

Teresa. Co Catarina?

Taniello. E co chilPauto bell’oinmo ’c don Ferdinando, o quale m’ha ditto ca mo vene ccà...

Teresa. Chi vene ccà?

Taniello. Don Ferdinando, ’o marito ’e Giesommina; vene a porta ’a peccerella a Giesommina; e po va isso pure Uà ncoppa co tre femmene... tre fonimene... che conosce isso!

Teresa. A tre a tre?...

Taniello. Tre femmene... Me capite? Tre pezze ’e scistol

Teresa. Uh, pozza passa ’no guaio isso e fraterno, va!

Taniello. E cornine, Terè, na figliola comm’a Catarina, ’a portano a cenà co elicile femmene? Terè, sj me volite bene, corrite da ’o si Vicienzo...

Teresa. Tu si pazzo! Io aggio d’àj’ da ’o paglietta. Va tu. curre tu e dincello a mamma... A paterno no nce ’o dicere, pe carità! ca si no ’o faje aizà... Chillo tene ’a poiagra e non se po’ movere...

Taniello. Nun fa nienti’: nce ’a sic Matalena. E si ’a siè Matalena non tene nisciuno che l’accompagna, l’accompagno io... e tengo chesta (Mosta ’a daga).

Teresa. Siente, fa na cosa: abbascio a ’o palazzo nce sta ’a carrozzella mia co ’o manteco aizato, co ’o cavallo janco; pigliafclla tu e curro da mammema...

Taniello. Non me facile perdere tienipo... A Giesommina nce ’o dicite vuje ca i’ mo no so’ ghiuto. (Se ne i>a correlino).

Teresa. Vuje vedite che auto guaio!

SCENA III.

Trase da mano manca Stella. e po Mariano t d’ ’a porta ’e faccia.

Stella. Donna Giesommina non po’ trovà ’o sciallo... Teresa. E chesto chcd’è? ha ditto ca steva ncoppa a ’o Metto! E che è fatto na spingola?.... E dicesse ca non m’ ’o vo’ dà’! (Penza no pocorillo). Sto’, tiene ’o sciallo .tujo?

Stella. ’O sciallo mio? E chillo no mmale!

Teresa (penzannoce maglio). Uh, scema ca songo! Addò tengo ’a capa! Chillo mo ha da veni Jennariello co Nannina cca... e ncoppa a ’o casino nce po’ ghi Janneriello. (Corre apr priesso a Taniello) Neh, Taniè! Taniè! (Vedenno veni Majiano) Uh! maritemo!... Fuje, fu!.. (A Stella) Neh, pe dò me n’avarria asci?... Chillo im> me ncappa...

Stella. Scennitevenne p’ ’a speziarla.... Da ccà. (P’a porta ’e mano manca) Aspettate! ’O sciallo non ’o volite chiù? [p. 103 càgna] Teresa. No, no! (Se ne scappo). #

Stella (sola). Ma che è pazza? (Vedenno Mariano) Ah, aggio capito! Sta venenno ’o marito... Assomma ’a tropea... Sfaii to spagnuolo, che non riala maje no centesemo a nischr no... Aspetta ll0 poco ca mo te servo io!

Mainano (trast nno infoscato 9e mente, non vedenno Stella v par!anno da pe isso comme a 9no pazzo). Chillo che steva dint’ a la carrozzella c’ ’o mantece alzato, chillo aveva ’a essere Taniello: isso eraJ nce parevano ’e penne ’e capone... Co ’o mantece aizato co chisto tiempo? co chesta jomata ’e paraviso?l Nò, non è cosa bona! (Caccia na lettera d"a sacca) E sta lettera ’a soja ha da essere!... Steva dint’ a ’o libro e moglierema... (Arape ’a lettera e se sforza a leggerla), A... ma... t, <a’ ta... Ame... at a... Mannaggia ca non saccio leggere!... (Vede Stella) Piccerè, saje leggere?

Stella. Avite voglia! .. E’ scritto?...

Mariano. Seh...

Stella. E mcttite ccà...

Mariano. Liegge... ma va chiano chiano, sa’! (Da ppe isso!) Vcdite Uà na guagliona sape leggere, e tu (vene a dicere a isso) Pulì! pe la faccia toja!

Stella (Legge). «Amanta mia carissima...

Mariano (mozzecannose 9a ma,no) A l’arma d’ ’a mammat Liegge, liegge appriesso.

Stella. « Mi songo imparato a scrivere a ’a scola dello reggimento, perche io vi... vi pozzo scrivere a voi... e voi sarrite sempe ’o penziero della mia capa e del mio core...».

Mariano. A l’ossa soje!

Stella. « E se io mi sone fatte sordato, io mi songhe fatto pe disperazione...» Uh, poveriello! Non teneva denaro?!

Mariano. Nce le boglio da’ io ’e denaro! Liegge, liegge...

Stella. «Pe disperazione di questo core trafitto... e cosi ’o vedarrete, che io nel foglietto l’ho disegnato trafitto da parte a parte da no pugnale... »

Mariano. Basta! Non ne voglio chiù! Sotto, chi nce sta firmato!

Stella. «Ta... Taniello amante sfortunato!

Mariano. ’O dicevo! isso aveva ’a essere! — Moglierema sta cca ?

Stella. Nonsignore.

Mariano. Comme nonsignore?! Ccà è venuta! me l’ha ditto ’o solachianiello ’e rimpetto!.

Stella. E’ venuta; ma se n’è ghiuta...

Mariano. Quanno?!

Stella. Mo mo...

Mariano. Sola?!

Stella. E i’ che ne saccio? Steva ’a carrozzella abbascio co ’e mantece aizato che l’aspettava... [p. 104 càgna]

Mariano (co V nocchie ’a fora). Chella carrozzella c’ ’o cavallo janco?!

Stella. Eh, propete chella...

Mariano. Chella carrozzella a essa aspettava?!

Stella. E si nò chi aspettava...

Mariano. E già si nò a chi aspettava...

Stella. Neh, che ve facite afferra... F me metto appaura... (Pe se .ne ji).

Mariano. Aspetta... CA piglia p"o vraccio) Chi auto nce steva ccà? co muglierema?

Stella. Che saccio., chillo bersagliere...

Mariano. Se so’ combinate prinima ccà ncoppa e po se ne so’ ghiute nzieme? ..

Stella. E se saranno combinate, che ve pozzo di’

Mariano. Ali!... E me sapisse dicere addò so ghiute?

Stella. Ohi?...

Mariano. Moglierema c ’o berzaglicre?

Stella. Me pare d’avè ntiso ncoppa a ’o casino d’ ’e Doje Porte.

Mariano. Aggio capito. Llà me vonno cumbinà ’o servizio!

Io nò nce veco chiù... Accido primma a isso, pQ accido a essa e po.... metto fuoco a ’o casino.... Mo me vaco a piglià ’o rivorvero ’a casa.... Chesto a me?! Nfama! nfama!... (Se n’esce comme ano pazzo mentre trase Ferdinando co Nennella).

Stella (appaurata) Uh, mamma mia...

SCENA IV.

Trase Ferdinando, porlanno p’ ’a mano a Nennella

Ferdinando (a Mariano che le dà no sbottatone). Eeeh?... Che cancaro faje?! tc mine ncuollo ’a piccerella!... (A Stella) Che l’afferra a chillo? Ma che è pazzo?

Stella. E che saccio !

Ferdinando, (smiccianno a Stella da pe isso). Sta guagliona pure è bona!

Stella. Vuje chi site?

Ferdinando. Comme chi songo? So’ ’o marito e Giesommina.’.

Stella. Ah, vuje site chillo... galatommo...

Ferdinando. E che me saje pe quacch’ auta cosa?

Stella. No, pe galantommo...

Ferdinando. Giesommina addò stà?

Stella. Sta dinto.

Ferdinando. L’aggio da consegnà ’a peccerella... (Guardcnno a Stella) Guè, chesta overo è na sciascional

Stelm. Oonsegtnatemella a me ’a peccerella ca nce ’a porto io... [p. 105 càgna] Ferdixaxdo. E tiene.... ( Acalannos? e parla/ino zitto zitto (lini’ a la recchio V Nennella) Nennè, non di’ niente a mani" meta addò simmo state....

Nenxeli«a. Ncoppia a chella bella casa co tutte cheJle figliole?

Ferdinando. Non di’ niente sa’, si no papà non te porla chiù!

Stella. Jammo, Tetè. (Piglia p"a mana ’a peccerella e s ’a trasc dinto).

Ferdinando (guardanno a Stella, s’allumma nu sigario). Sta serva de moglierema è proprio bona. (Torna n’ata vote. Stella) Vi’ quanto è aggraziata.

Stella. Donna Giesommina ve saluta... e ha ditto ca Ve state buono...

Ferdinando. E tu comme te chiamme?

Stella. Io? Me chiammo Stella.

Ferdinando. Stella? Tiene ’o capo nomme! E te sta pure adattato, pecchè tu si na vera stella lucente... tu si bona assaje! ’fu vaje na lira ’a fella! (Le dà n’ abbraccio).

Stella. Embè, che vo’ «licere?... Stateve sodo co ’e mane.

Ferdinando. Tu me ne faje ij’ ’e capa!

Stella. Ma vuje ve stale sodo o no? lassate!

SCENA V.

Trase Giesommina, Stella, Ferdinando.

Ferdinando (vedeniìo Giesommina che trase comme a na furia). Mbommaì

Stella. Donna Giesommi, è stato isso ca...

Giesommina. Va fa’ chello ch’haje ’a fa’!

Stella. I’ me faccio ’o fatto mio...

Giesommina. ’O saccio... Vattenne dinto...

Stella se ne va Giesommina (ammolawio e guardanno Ferdinando). Addò a je portata a figliema?... Rispunne, piezz0 ’e galiota... addò l’aje portata? L’aje portata ncoppa a na casa ’e chelle addò nce vaje tu?!... Nennella comme è trasuta accossì me ha ditto. Siente, sbrevognatone nfame, nfino a quanno tu affienne a me, poco me ne preme, e te ponno portà ngalera ca i’ portarraggio ’e cannele a Santa Brigeta; ma quanno affienne a figliema... pe l’arma ’e paterno, fetentone nfame, vide che perdo ’e senze e succede ca vaco io ’n galera, ma a te, a te te faccio ji a ’o camposanto!

Ferdinando. E accossi?....

Giesommina. E tu si patre?... E tu tiene core ’e patre? tu the puorte a fìglieta là ncoppa?... Na peccerella ’e sett’anne, ’o sango tujo, mmiezo a chelle femmene?!... Pe chella Madonna [p. 106 càgna]

Addolorata che me mantene ’e lume, sj non sapesse io chi gonfio, diciarria ca non è figlia a le, e ca non si tu ’o patre!-.. Giesù’ Giesù! Giesxi !... ’No patre, no patre che tene core de?... non me nce pozzo capacetà!... So’ cose che non so’ socciesse ancora!.... (Comme a na tigra)t perdo ’e lume addaVvero piglio ’no cortiello... e chello ca ne vene ne vene!

Ferdinando. E accossì!

Giesommina. E po me voglio presenta io nnanzze a ’o tribunale, e voglio dicere io a ’o presidente si no patre tene ’o deritto e porta ’na figlia ncoppa a ’na casa malamente, ’e si na mamma se n’ ha da sta’ e non ha da defennere ’o sango su io e non s’ha da magna a morze no nfame scellarto comm’a te!... Primma te levo da lo munno, e doppo me presente io

ii lo tribunale, e vedimmo si me condannano, si me condannano!....

Ferdinando. Ma chella, ’a piccerella...

Giesommina. Jiesce! jiesce mo pe mo da la casa mia!.... Jiesce, fetentone puorco!... Jiesce e cà nò nce mettere chiù ’o pede! Vi’ ca si non te ne vaje, te faccio ’no straviso!... (Corre a piglià ’o laganaturo. Ferdinando appaurato se ne va... Essa sola affarmanno,tirannose ye capille.,.) Assassino!.... Assassino!.. ’O sango mio!... ’A peccerella mia!... Na peccerella ’e settenne!... 1’, i’, i’ non nce pozzo penzà!... Si nce penzo, si nce penzo!... Non se crede! Non se crede!... E po si faccio quacche cosa io, ca accossì nce vorria, allora po isso ave ragione e i’ aggio tuorto!... Ah, mannaggia ’a sciorta mia! E me ’a songo fatto io co ’e mane meje la sciorta!... Io, io.

Torna Stella,

Stella. Embè, mo ve facite veni na cosa-.

Giesommina. Ah, si m’avesse pigliato a Jennaro!... Ah, Jennaro mio, addò staje!... (Se mozzeca ’e mane) Ah Jennarocomme te chiagno!... (Trase Jennaro).

Stella. Embè mo ve facite...

SCENA VI.

Trase Jennaro e Stella se ne va.

Jennaro. E Jennaro sta ccà--.

Stella. Chella Nennella sta sola... (se ne va).

Giesommina (a Je/maro). Ah, ch’aggio fatto, ch’aggio fatto?! M’a so’ fatta io co ’e mane meje sta vita cana Ichesto pa&sanno!... Co chi mf,a voglia piglià? me 1’aggia da piglià co me sola!....

Jennaro. Ma eh’ è stato?

Giesommina. Ca tutte accossi gimmo, tutte accossì: nce ’e facimmo nuje ’e guaje, e po dicimmo ca £ Dio che nce ’e manna ’a coppa).... [p. 107 càgna] Jennaro. Ma vuje ve vulite fa’ veni no moto!.,.

Giesommina. Clic me venosse! che me venesse!-.. Ca si non tenesse chcH’aneimi ’c Dio Ila dinto, me levarria ’a vita co ’6 mane meje stesse!

Jennaro. Donna Giesommi!... Donna Giesommi!... E mo

me facite mettere appaura..... Ve sentite quacche cosa?.... Mo

< hiammo a moglierema che sta ahbascio a’ speziarla.

Giesommina. No ll0... Non chiammà a nisciuno... ca ni’ è passato...

Jenxaro. Ma eh’ è succieso?...

Giesommina. Vantatenne, Jennaro mio, vantatenne!... Jennaro. Io?...

Giesommina. Sì, vallo dicenno! vantatenne de chello che sto passanno p’esscrme. sposata a chili’assassino e no a te!... Quanno ott’anne fa me facisle fa’ chella mmasciata, e io te facette risponnere ca era appuntata ’e matremmonio co Fer~ dinando. non era ancora overo! Mammema n<fti m’ ’o voleva òà... e i’ ’o voletle pe fforza.

Jennaro. Ma che ve jate ricordanno! (Giesommina se tira

V capilie) Embè, ched’è? (Le tene ’e moine) E site vuje?!... Vuje che redite sempe!.... Me!....

Giesommina. Non t’ ’a puozze manco sonnà chella rosata mia!.... Si ’e lacreme non me ’e vide scennere ’a l’uocchie è pecche ’e tengo tutte appantanate dint’ ’o core!....

Jennaro. Donna Giesommi, embè....

Giesommina. Me sento ’o core nfracetato ’m pietto! (Co na mossa ’e pazza) E fenesce ca ’a faccia na pazzìa!

Jennaro. Ah, Ah!.... Na femmena comme a buje?...

Giesommina. Chè buò a me?... Compatiteme tutte quante!... Non songo chiù io!... Io non me ne fido chiù? Io non songo chiù nè vedola, nè zetella, nè maretataL. I0 non saccio chiù che nce stongo a fa’ ncoppa a sta terra!... E t’ ’o dico comme a ’no frate! Quanno me scordo d’ essere mogliera ’e chill’assassino... e m’arricordo ca tu me mannaste & fa’ chella mma’ sciala... e m’arricordo ca tu me volive... (Le mette ’e mane ncnollo) quanno m’arricordo chesto me scordo ’e tutte cose.,.

Jennaro. E... ca tenite na figlia, ca tenite na figlia, non \e Farricordate?!••

Giesommina (comme se avesse avuto ’no cato d’acqua fredda ncnollo se mette ’e mane nnanze a V nocchie pe: ’o scuor’ r’o) Avite ragione... me l’era scordato.

Jennaro (da pe isso). Meglio accossì, pecchè n’auto poco ne scordava pur’io ’e moglierema! [p. 108 càgna]

SCENA VII.

Trase Nannùna.

Nannina. Neh, guè! tu scinne o nò?

Jennaro. Levammo 1’ accasione... Vaco a mettere sotto.....

(Se nr va).

Nannina (A Giesommina). Neh. tu che aje?.. Pecche me guarde accossì?...

Giesommina. Siente: una sola, una sola ha avuta ’a bona sciorta e si tu!... E tu non ’a saie accanoscere!... Tu spute ’nfaccia ’a fortuna! Tu chiagne c’ ’a zizza ’m mocca!... Statte attiento! Statte attiento! Bona te venga!....

Nannina. Neh. tu cornine parie curiosa?....

Giesommina. « Statte attiento, peccerella, ca si vaje din’ t’ ’a morte! ’a Fortuna nzerra ’a porta! »

Nannina. Overo?... E pecche?...

Giesommina. Pecche.... pecchè n’onimo sulo, n’ommo sulo m’avarria fatto perdere ’a capa a me, uno sulo!.... E ’a sciorta ni’ ha nzcrrata ’a porta !

Nannina. Neh?... E sfornino chi sarria?

Giesommina (arieggiata). Tu non t’ ’a miereta ’a sciorta. no! E nce sta na sola perzona che s’ha mmereta!... Pecche pe chello che faie. mariteto da quanto tiempo t’avarria avuto ’a fa’ no tradimento, e--, e... tanto haje fatto che,...

Nannina (donno no zumpo). M’ha fatto?!

Giesommina. No, no! non te mettere appaura! (Redenno ritossecafa) Non t’ha fatto: te può avantà ca tiene ’o mellone co ’a prova !

Nannina (ammolanno). E chi sarria sta tale perzona co ’a quale maritemo m’avarria avuto ’a fa ’o tradimento?!

Giesommina. ’A saccio io...

Nannina (a diente strinte e frienaole ’e mane). E io non ’a pozzo sapè?...

Giesommina (co n’ asciuta ’e quarto). E’ na pazza!... na pazza comme a me.... una che s’ è trovata dinto a; no momento... uno ’e chili! momcnte.

Nannina. Overo?!-. E si tu si pazza comme a sta tale Per~ zona, potarrisse fa’ tu pure comme a essa?...

Giesommina. Putarria e prega ’o cielo ’e non te trova ma je c’ ’a capa a coppa a ’e capille, ca tutte simme ’e carne... tutte!...

Nannina (diventanno verde comme a Vaglio). Ma sta signora... non ’a pozzo sapè?... Ca, m’a vorria vedè io co essa!— Giesommina. Che t’aje ’a vedè!... Aggio ditto pe pazzia... pe ridere... per te dicere: apprezza a mariteto, Nanm, tiena’ tillo caro! (Co fa mano ncoppa ’a spialla ’e Nannind) Nanni» si non l’appriezze tu, l’aprezzano l’aute e t’ ’o levano!... t’ ’o levano! siente a mme! [p. 109 càgna] Nannina. I Ia je fatto buono ca me l’aje avisato! Giesommina. E pecchè?...

Nannina. Pecchè primma ca m’ ’o levano Tate, primma «a s’ ’o piglia sta tale perzona... m’ ’o porto ’a casa io! E ’o mellone non sulo ’o tengo co ’a prova, ma me ’o tengo nzerra to dinto ’a dispenza! (S’abbìa pe se ne ji- Trase Jennaro co ’a bacr

<h< !la mmano).

Gii-som mina. Viene ccà’ siente!....

Nannina (afferanno Jennaro p’ ’o vraccio). Jammoncen nc!... mio signò!...

Jennaro. Ch’c stato?

Nannina (si rasce nansiosillo appriesso)’ Abbia! Cammina! Giesommina. Ma siente...

Jennaro. Ma famme capì...

Nannina. Cammina ’a casa!...

Giesommina. Ma siente, aggio pazziato ’.

Nannina. Cammina!...

S’ACALA ’o TELONE

ATTO QUARTO .4 canwiara (V ’o $t conn’ atto ncoppa a ’o casino ri’ ’e Doje Porte

SCENA I.

Traseno Martino e Ferdinando

Martino. Nientemeno? appriesso a Filomena simmo una

vota treje?

Ferdinando. Appriesso a ’na femmena comme ’a Filomena smipe treje hanno ’a essere: ’o guappo, ’o bello e ’o... scemo. ’0 guappo è Stefano ’o cammariere d’ ’o Conte.

Martino. ’O bello songh’io...

Ferdinando. No, tu si ’o scemo, pecchè tu spienne; ’o bello è Tan:«cllo, ’o berzagliere. Ma isso non, ne tene ntenzione ’e se mettere co Filomena. Tu aje da sapè ca io e Taniello simmo comme fosse, duje cacciature che facimmo ’a posta a una quaglia.

Martino. E ’a quaglia chi sarria?

Ferdinando Eh, po ne parlammo... (Ascenno fora a ’o bar( one). Vi’ che nirofummo ’a ccà ncoppa! Teneno ancora ’e lampUine a scisto...

Martino. Ohe vuò fa?

Ferdinando. Voglio vedè si chiste assommano... (Esce).

Martino. Da ccà non vide a nisciuno... Mo scenno io p’ ’a rampa e ’o vaco a scontrà... (Chiammanno). Catari... Catari .[p. 110 càgna]— no Accisa a le e a manimcta! (Tossisci)’ {^...tarì!... Mannaggia ’a tosse!

Catarina (tram utio). Addò vaje?

Martino. Vaco a vede si diisle veneno... Io aggio preparata ’a tavola... Aje ’a mettere siilo ’e posate....

Cataiuna. No, non me lassa...

Ferdinando. Che le inette paura d’ ’e spirite?

Catarina (afferrannose a iSS(> <’ slregnennosele vicino),

me vuò bene, non me lassà sola. Martino. Non fa’ vommccarie! Uà nce sta Ferdinando, fora ’o barcone.

Catarina (sottovoce). Ferdinando?!... No, Marti... io non

\oglio resta sola co Ferdinando!....

Martino (Datinole no sbotiolone). Va ’o rociolea!... (Tossenno). W aje fatto veni n’ ata vota ’a tosse... Non me rompere....

Catarina. Fallo pe mammeta, non me lassa!...

Martino. Muore! Muore!... Allarma ’e mammata! (Se ne va tossenno).

Catarina (chiagnenno). E me lassa sola co Ferdinandol Justo co isso!...

Ferdinando (da pe isso, trasenno e nz^rranno fo barcone). La vi’ lloco ’a quaglia- Taniè, pe mo l’aggio abbistata io. Che robb’è? vuje tremmate? (S’ accosta).

Catarina (scost annose). S’è fatto notte... Me metto appaura.

Ferdinando. Embè, Ve mettiti appaura co n’ omino comme a me vicino? (Se fa chiù sotto).

Catarina (arrivando ’n faccia a ’o muro). Alluminate ’o lume! Aggiate pacienza... Non v’accostale!... Allummate ’o lume!....

Ferdinando. Stammo meglio a ’o scuro...

Catarina (strillanno comme a na pica). No! no! Allummate ’o lume! Allummate 1

Ferdinando. E zitto, ca mo allummo!... (Da pe isso). Ve dimmo si la potimmo piglià co ’a malizia! (Va trovanno fe fiammifere).

Catarina. Jammo!

Ferdinando. E mo! no momento! Si non trovo ’e fiammifere! Appiccio sacicce?...

Catarina (tremmanno comme a na canna, non movewiose da nfaccia a ’o muro). Stanno lloco, ncoppa a sto tavolino. Jammo! Facile ampressa!

Ferdinando. Ecco cca... Site contenta?

Catarina. Non Raccostate !...

Ferdinando. E che malora, so’ l’uorco!... Stateme a sen’ tere... Donna Catari, chillo guaglione ’e Martino ha fatto Purdema ciucciaria portannove ccà ncoppa: chisto non è pizzo [p. 111 càgna]pe vuje... V’ ’o dico, pecchè... pecchè ve stimo e ve voglio bene core....

Catarina. Si Ferdinà, non parlammo ’e chesto!...

Ferdinando. Nonzignore, io, io v’ ’o voglio di’, ca si no me resta ncoppa ala coscienza!... Sapite ccà ncoppa chillo malora ’e Martino a chi ha combinato ’e nce porta?... Rosella ’a riedotta elicila co ’a faccia tagliala...

Catarina. Non ’a conosco...

!’r/\mxANDo. K Filomena-.. Filomena ’a sapite?

Catarina. Cornine?! Filomena?!... Uh, mamma mia! Chella, mamma, non vo’ che le dessemo chiù confidenza?... E Scartino porla a ste doje ccà ncoppa?... (Disperannose). E i’ comme faccio?! Uh, Madonna mia, Madonna mia! (Se sente 9no rommore V carrozza).

Ferdinando. So’ loro... Che volite fa’?... Ve ne Volite scennere a Napole co me?

Catarina. A chi?! co bbuje?! Sola me ne voglio ji! ’A pede! Morta me ne voglio jì!... Faciteme passà!... (Vede Mala lena e dà 9no strillo). Ah, gnora mia bella! è ’o cielo che v’ha uialinata !

SCENA II.

Trase Matalena co Taniello•

Catarina. (Jettannose mbraccia a Matalena). Mamma mia, Mamma mia cara cara!

Matalena. Figlia mia! Figlia mia! Figlia mia! Catarina mia! (Facennole, coraggio pecche tre mina comme ’a na canna). Embè?! E ched’è? Sto’ ccà io?... Figlia mia! Figlia mia!...

Ferdinando. ’A siè Matalena?!.. E comme è succiesso?...

Matalena (ammolanno). Embè... Don Ferdinà... Comm’è succiesso? Ve facite maraveglia?!... ’O casino è ’o mio!...

Ferdinando. ’O capisco... ma a chest’ora...

Matalena. E a chest’ora... Vuje comme ve trovate ccà, a chest’ora?... Comme avite portata ccà ncoppa a sta povera nnocente?... Chesto è chello che voglio sapè io ’a vuje!... Me faccio maraveglia ’e vuje!... Site chill’ommo che site, e v’aunite vuje c chill’ato scannaturata ncanna ’e fìgliemo — no ’mporta ca ni’è figlio! — e portata sta poverella ccà ncoppa?!... E tenite pure ’o coraggio ’e m’addommannà comm’è succiesso che io so1 venuta?... So’ venuta pe m’ ’a piglià, pecchesto so’ venuta!.... V’avite fatto ’o cuhto senza ’o taveraaro, don Ferdinà!...

Ferdinando. Siè Matalè...

Matalena. Sentite a mme che dico buono, senza ’o tavernaro!... E pò chesta, a vedite?.._chesta tene pure fo frate, tene a Mariano, che è buono a rompere ’e gamme a chiù d’uno... E po quanno tutto manca, nce stongh’io! Nce sto sempe io!... E [p. 112 càgna]

aniino ’a quanno st’uocchie starranno apierte, povera a chi ’o guarda stuorte ’e figlie ’e Matalena! E pure quanno saranno nchiuse, pure da Uà ncoppa me seguitarr aggio a guarda c a defendere a ’e figlie meje.

Catarina (at tornita). Ma’, Ma’, mo ve facite veni na cosa!...

Matalena. Non avè appaura ca non so’ morta ancora! (A Taniello). Dì a ’o cocchiere ca’ appicciasse ’e lampiunc e jammoncenne...

Taniello. Chella, ’a forcina s’e rotta p’ ’a via e avimmo da aspetta no poco quanno s’attacca co na funicella...

Matalena. Embè, aspettammo... Jammo dinto! (Afferra p"o puzo a Catarina) Don Ferdinà, allecordateve ca nfaccia a sta vonnella nò nce stanno fose ’a appennere!

Ferdinando. Donna Catari, decitenccllo vuje! che ve steva dicenno? che ccà ncoppa, stasera, non era pizzo pe vuje? V’ ’o steva dicenno o nò?

Matalena. Don Ferdinà, quanno ’o diavolo t’accarezza, è segno ca vo’ l’anema!... (A Catarina) Trase dinto tu!... (A Ferdinando) E allecordatevello: nfaccia a sta vonnella non nce stano fose ’a appennere! nè mo, nè maje! allecordatevello! Nè mmo, nè maje! (Se ne trase strascenasinose appriesso a Catarina).

SCENA III.

Restano Ferdinando e Taniello.

Ferdinando. Avite visto pe fa’ bene che n’aggio avuto?

Taniello. Pe fa’ bene?! Embè, vuje ch’avite combinata ’a cenolella ccà ncoppa, Vuje che site juto a mmità a’ Ricciuta e a Filomena nzieme co Martino, vuje po non ’o sapivevo primma ca ccà ncoppa, stasera, non era pizzo pe Caterina?! All’anema d’ ’a faccia pepernina! Nce se scognarriano le pigne!

Ferdinando. Sango d’ ’a maruzza! Dì ’a verità, fusse stato tu ch’aje fatto veni ’a siè Matalena ccà ncoppa?

Taniello. SÌ! Songo 6tato io! M’aje ’a dicere quacche cosa?

Ferdinando. E che t’aggio da dicere? T’aggio a di’ ca te preme Catarina!

Taniello. Guè! piezzo ’e!»». Sa’ che t’avviso? Non te piglià l’ardire ’e nfamà a Catarina, ca si nò...

Ferdinando. Vattè, non fa’ ’o bruttone!

Taniello. Non Vorria fa’ auto co na carogna comme a tei

Ferdinando. A me carogna?

Taniello. A te, si, carogna e meza!

Ferdinando. Arrassateve! (Mette ’a man() dinto a’ sacca pe cacciò ’o cortiello).

Taniello. Non aizà ’a voce! Non mettere ’a mano dinto a’ sacca, cn nce stanno chelle doje Uà dinto! — Scinne abbascio! Non fa’ ’o pollecenella cca ncoppaI... [p. 113 càgna] tu a! ’ iwla ga ’c Icf co’ \» corti elio! a rm a ’u ra" Bclla guapparia:

, ?c’nne, ambascio! ca abbnscio t’ ’a p.glie tu ’a

daga o io non a caccio manco d’ ’o fotvro...

E S‘ a cacc?,te l’arravoftlU,’ ncanna. lAMfcixo. Sciane, ca m’ ’a veco co ’e mane: te levo ’o

corUello a mano, e co o stesso cortiello tujo, te ne faccio ji co ’e stentine nibraccia a ’e Pellerine!

Ferdinando. E va bene... Accomminciatc a scennere vuje... Non parlate supierchio....

Taniello. T’aspetto fora a ’o portone, a ’o solitario!... Co ’e stentine mbraccio!... (Se ne ixf).

Ferdinando. Mannaggia chi m’ha fatto nascere, mannaggia!... Vi’ che me succede!...

SCENA III Trasc Mariano

Mariano, (rompe no vrito d9’o barcone e faccia, mette po ’a mano pe dinto a ’o rutto d’ ’o urito e arape o barcone Ferdinando, (vedenno chella ma/io) Mariuole..’- (lira

(ortiello) Mariano?! x

Mariano, (puntanno co ’o revolvero) Zitto, ca sparo; Ferdinando. Mannaggia l’arma ’e mammata!.’. E tu rase

comme a n’assassino! , ^

Mariano. Tu che faje ccà? Che si venuto a fa’ cca ncoppai

Ferdinando. A cenà co Martino...

Mariano. Co Martino? Pur’isso? pure Martino sta ccà? Ferdinando. Eh!... Tu te si tagliato ’a mano?...

Mariano. Non te ne ncarricà: è ’a mancina: chella che m’ha da servì sta bona... (S’arravoglia la mano co lo fazzoletto).

Ferdinando. E che ntenzione tiene? Che si venuto a fa’ ccà ncoppa?...

Mariano E tu? veramente pe na cena si venuto tu co Mar~

tino?

Ferdinando Si... ma s’è data na combinazione...

Mariano. ’Na combinazione?...

Ferdinando. Non simmo nuje sule...

Mariano. Ccà ncoppa?

Ferdinando. Eh!

Mariano. Pure quacch’auto?...

Ferdinando. Nce ’e simmo trovate ncoppa a ’o stommaco... Mariano, (da pe isso) (Hanno trovato ccà moglierema co Taniello !)

Ferdinando, (da pe isso). (Aggio capito: chisto è venuto pur’isso p’ ’a sora Caterina!)

Mariano. Nce steva uno ccà che parlava co te? Isso? [p. 114 càgna] ~

Ferdinando. Ohi isso?

Mariano, Taniello!

Ferdinando. Eh; Taniello; seh! E si venuto ccà ncoppa pe dà na lezione a quaccuno...

Mariano. A Taniello?!

Ferdinando. ’O vi’ cornine ’o saje!

Mariano. ’O saccio! ’O saccio... non dubbità-..

Ferdinando. Pe sto cose, già vuje ’o sapite meglio ’e me;

o ’o frate o ’o marito se l’hanno da vedè co ’o nnammorato: e tu o Martino...

Mariano. E Martino ’o sape ca Taniello?...

Ferdinando. E cornine no?

Mariano. E ll0ll ha fatto niente? Non s’è muoppeto?

Ferdinando. Chillo è no cetrulo!

Mariano. Ma io so’ n’ommo! Io l’accido a tutte e du je!

Ferdinando. E mo sì omino overamente!

Mariano. Liegge... (Oaccia 9a lettera e nce 9a dà mmano).

Ferdinando. (leggenno) «Amante mia carissima...» E che vuò chiù?!

Mariano. Aje ragione! (Smanianno) Ch’aggio volè chiù! Ohe me ponno fa’ ccliiù! Che me ponno fa’ ’e peggio?!

Ferdinando. Fa l’ommo!... Fa l’ommo! (S’abbia).

Mariano. Addò vaje?

Ferdinando. Vaco a di’ na parola a uno ccà bascio... Fa l’ommo! (Se ne va).

Mariano. E volarria trovà ncastagna tutt’è duje una botta e sperciarle tutte e duje nzieme!...

SCENA V.

Trase Matalena Matalena. (ascenno) Tu pure staje ccà? ! E addò si asciuto? ! Pecchè si Venuto?

Mariano. E mo vene ’o si Vicienzo! vene Jennaro! veneno tutte quante!... L’aggio avvisate io a tutte quante!..., Sta nfa’ mità l’hanno da sapè tutte! tutte!...

Matalena. Uh, mallarma e mammata! io me songo accisa pe non fa’ sapè niente a nisciuno!...

Mariano. Io voglio revotà Napole!... ’A voglio strozzellà io ’a noce d’ ’o cuollo a chella bona femmena!

Matalena. Addò te mpizze? Ca chella sta dormenno no poco’. •’

Mariano. ’A voglio fa’ dormì io una vota pe sempe!...

Matalena. Marià, fallo pe Diol Marià, non me fa’ perdere ’a pacienza!...

Mariano. ’A pacienza?! ’A pacienza?! L’aggio perduta io ’a pacienza 1 [p. 115 càgna] Matalkna. Maria- non me fa’ attacca a nevratura!

Maiuano. ’A nevratura? K io non ’a tengo a nevratura...••

Non ’a Irngo?!

Matalkna. Ma tu co chi 1’ aje?

Mariano. Clic’ sta facenno chella nfama?!

Matalena. Qua’ nfama?

Mariano. ’A signora donna Teresa! Che sta facenno? Matalena. Tu che Teresa vaje ascianno?!

Mariano. L’annore mio s’ ’o va vennenno ncopa ’o ciuccio

p‘ ’o Mercato, chella grannissema p.....

Matalena. Neh! grannissemo puorco! Ma che staje mbria^ co? Ma che si cecato? Ma che sì pazzo?

Mariano. So’ cecato già! tengo ’a macchia dint’a l’nocchie! Ma co tutta ’a macchia aggio visto!... Aggio visto io a Taniello dint’a ’a carrozzella co ’o cavallo janco!....

Matalena. L’ aje visto? E co chi 1’ aje visto?

Mariano. Co essa! e co essa e venuta ccà!

Matalena. Chi ?

Mariano. Moglierema !

Matalena. E quanno è venuta?

Mariano. Nzieme co isso!

Matalena. Isso?! Puozzc passà no guaio! isso chi? Mariano. Taniello!

Matalena. Co Taniello so’ venuta io!

Mariano. E cheste so’ buscie nove, che sola sta vocca vosta soafutata ’e po’ dicere!

Matalena. Neh, scrianzatone puorco!...

Mariano. E volite vedè? Volite vedè quanto è overo? ’0 cavallo è caduto; s’è spezzata ’a forcina...

Matalena. Eh! (acconzentenno).

Mariano. ...E’ passato no cafone e ave ajutato ’o cocchiere... Pe no momento no Faggio arrivate! (Se mozzeca ’e mane). F chillo cafone m’ha ditto ca, dinto ’a carrozzella, ncè steva ’ ’na femmena tutta arravogliata dinto a no sciallo, nzieme co no berzagliere...

Matalena. Eh! era io!

Mariano. Vuje?! Ireve vuje?... E pecchè v’annasconniveve dinto a ’o sciallo?

Matalena. Pecchè faceva friddo! pecchè so’ vecchia e seatevo friddo!

Mariano. Aaah! Jatelo a contà a ’e criature!... A me nun

m’ ’a mmuccata...

Matalena.. Vuje vedite— vuje vedite... vuje vedite che se

passa!... [p. 116 càgna]

SCENA VI.

Traseno Vicienzo, Jennaro e Nannina

Vicienzo. Vedite, vedite chi Ile duje abbascio che se so fatto? Se so’ pigliate a cortellate, se so’ pigliale!

Matalena (tremmanno, senza sciato). Chi s’è pigliato a cortellate? Martino?-.. Jcnnà, pe carità Martino?!...

Mariano (è trasuto dinto ’a cammera addò sta Catarina e torna). Chella è Catarina c nò moglierema!...

Matalena (dannole no sbottolonf-). Vatte a fa’ squartai (A Jennaro e Vicienzo) Ohi s’ è pigliato a cortellate?

Jennaro. Taniello co Ferdinando.

Mariano. Ma moglierema?...

Matalena (assetiannose). Uh, aneme sante d’ ’o PriatorioI’ lo mo moro!... Me credeva Martino...

Mariano, (a Jennaro). Neh, sapisse moglierema?...

Jennaro (a Matalena). Gnò! Gnò! Embè, non è stato Martino e ve facite veni no moto? E si fosse stato?...

Mariano (a Nannina). Neh, moglierema addò stà?

Nannina. Uh, va scola ! (sustejienno a Matalena).

Mariano. Ma pozzo sapè moglierema che se n’è fatta?!

Nannina. Steva saglienno ncarrozzella appriesso a nuje^ nzieme co Tore...

Mariano se mette ncapo Ko cappiello ef ntela, esce correnno.

Jennaro. Si Viciè! Embè! Vuje pure!... E penzate ’a salute!...... Che ve ne mporta ’e Ferdinando!...

Vicienzo. Me mporta ’e l’annore, ’e l’annore nuosto!

Jennaro. E no nce penzate, non avite paura!... Chella è’ stata na botta ’e niente ’a gamma... E chillo Ferdinando a ’e Pellerine non chiacchiareja, no nce penzate!....

Matalena (mostanno a Nannina) E chest’auta loco pecchè è venuta, pur essa!...

Jennaro. E che saccio chesta che s’è fatta afferrò !... Tu che malora aje ca me tiene p’ ’o vraccio?... Ch’aje paura ca me ne fujo?...

Nannina. Io non saccio niente!...

Catarina (da dinto). Oje ma!

Matalena (a Nannina). Va vide a chella llà dinto, che se sente poco bona...

Nannina (no poco vommecosa) Io pure me sento poco bona.... ’O miedeco m’ha ditto ca non m’aggio ’a trapazzà... (Va dinto dda Catarina).

Matalena. Uh, chesto ch’arruina! ch’arruina!

Catarina (strillanno da dinto ccltiù forte). Oje, ma!

Matalena. Mo vene! mo vene!

Vicienzo (a Matalena). ’O saje pecchè se so’ tirate chille duje? Ferdinando l’ha ditto a chisto (Mosta a Jennaro) Duje [p. 117 càgna]

liiiamnioratc ’c Catarina che se fanno na cortelliatape via soja! E ’o nomine mi osto mo ha da essere porlalo ntribuna e.’ ’» Duje mianuiioratc» che se scannano c no marito che. roirimane comme a na carogna?! (Se do aizà, guarda attuor/iQ cercamo Martino)’ Addò sta? Addò sla chillo mpiso?... Chillo

carognone? !...

Matalena (apjxmrata). Vicièi Viciè!-.

Vicienzo. Si l’aggio dinto a ’e mane!... Addò sta?... Manco ’o malandrino è blniono a ffà! Addò sta?...

Matalena (mantenennolo). Starà ’a casa... Addò ’o vuo truvà? ccà?...

Vicienzo. Che ve pare, donna Matalè? Potimmo abballà p’ ’a priezza!... (Se cerca d’aizà r non po9 p’ ’a polacra)- Pe San Vicienzo, avive ’a sta co tanto d’uocchie apierte si overameU’ to ire ’na fcimnena ’e munno!

Matalena. Viciè, c mo pecchè t’ ’a piglie co me?...

Vicienzo. Pecchè si venuto co’ Taniello... ca ncoppa?

Matalena. Taniello è slato sempe no galantommo...

Vicienzo. Galantuommene no ’nce n’hanno chiù! ’0 muft’ no s’è cagliato! s’è cagliato!... Stammo a Pasca e ajere facette ’a neve! Tiene mente a fìglieto Martino!... Nce l’aggio spise a cofenc e du dece carrine pe nc fa’ no galantommo, e vi che sciorta ’e galeota è addeventato. Mannaggia ’o mumento quando nascctte!... Carogna!... Io so’ stato sempe uno che s’è fatto ’o fatto sujo; ma quanno s’è data l’accasione, pe moglierema. me Taggio visto sempe io! sempe io sulo!... Ah!... Me volite fa’ morì!.... Me state atterranno tutte quante, me state!... (A Matalena). Pecchè non m’aje ditto ca venive ccà ncoppa?

Matalena. Viciè...

Vicienzo. Pecchè?

Matalena. Tu non te potive movere co ’a polacra. ..

Vicienzo. E pecchè si venuta co Taniello?

Matalena. Mariano no nce steva... Jennaro no nce steva... Martino no nce steva...

Vicienzo. E nce steva sta capa ’e sacicce che tiene! Vedite lià, vedite Ila, na femmena ’e munno, na femmena che sape ca Taniello ha voluto bene a Catarina, e non leva ’a paglia a vicino a ’o fuoco!... E quanno maje, quanno maje è succieso chesto dint’ a ’a casa mia?!... Te si fatta vecchia e pecchè, pecchè ti si fatta vecchia?1 Pe essere pe’v0 ’e na peccerella?! E

me faje chisto guajo, me faje?! Pe San Vicienzo beneditto.....

(cerca de s’ aizà) chesta è ’a primma vota ca te faccio na faccia ’e schiaffe!

Matalena (selluzzanno e accommencianno a chiagnere). Viciè... Viciè... tu a schiaffe a me non me nce ha ie pigliata maje... a me non m’ajc ’a parlà ’e schiaffe... pecchè io... io... non me ’e mercto... Tu ’o saje ca io ’c calle li tengo nfaccia a

V manci e no nfaccia a ’o core! E si aggio fatta ’na scemiti’.Faggio pure pavata... E d’essere pigliata a schiaffe ’a primma [p. 118 càgna]

vota doppo... doppo trent’ ann^ ’e malremmonio, non me ’o mereto!... (Chiagne) Non me. ’o meroto, nò!... E me ne vaco... pecche a marilemo... non ’o voglio mancà ’e rispetto.... doppo trent’anne... non m’ ’o mereto....

Jennaro. Embè, Gnò... E che robb’è! Ca molitene pe non

’a fa’ ji).

Vicienzo (verranno d’aizarse) Matalè... siente... E siente!...

Matalena. No... no, levammo Paceasione... (Pe ghirsene) Vicienzo. Ma siente... T’aggio ditto siente!...

Jennaro. E jammo.. Gnò!... Embè... Chesto che vene a dicere?....

Vicienzo (co no .nuOzzolo ncannci) Matalè... agge pacieuza.... Matalè... Io non songo chiù io... Io non saccio chiù chello che faccio. Agge pacienza!... Io me veco perduto... Addò me voto veco ’no guajo... Martino che fa chesta bella fìura... Ca tarina da Uà... Teresa da ccà... ’O nonime nuost0 mocca a la gente... Tre annecchie che me so morte co ’a mbolla!.... Io comm’aggio ’a fa’? Comme aggio ’a fa’... Non so’ chiù io!— Meh! jammo. Matalè -. Agge pacienza.... Non ’o faccio chiù... Perdonarne! (a vote abbracciò e essa non se vo’ fa’ abbracciò)’

Jennaro (addereto a ’e spalle ’e tutte e duje) Jamme, ja’l... (’E forza t’utte e duje a s’ abbraccia). Facite, ca io voto ’a faccia ! Vi’ che se passa !

Matalena (facennose abbracciò). Ma chelle parole non me l’aje da di’ chiù!

Vicienzo. No! no! non te li dico chiù....

Matalena. Ca io non me ’o mereto...

Vicienzo. Aje ragione! è ’a santa verità (Trasc Nannina).

Trase Nannina

SCENA VII.

Trase Vicienzo, Matalena. Jennaro, Nannina e po sti duje loro sule

Nannina. Chella.... Catarina tene no poco ’e freva... Ooce. . Vicienzo. Pure chesto?!

Nannina. Non se fida ’e se movere.

Matalena. Uh, Madonna!... E nce avimmo a sta ccà

stanotte?....

Jennaro. E pe forza! Chella... ’a carrozzella se l’ha pigliata Ferdinando po ghì a ’e Pellerine....

Vicienzo (a Nan/iina c a Jennaro) E vuje addò ve mettitef addo dormite?...

Matalena. Nce sta ’o canapè llà fora...

Nannina. Ohed’è? Ncoppa a ’o canapè? No! No! Matalena. E mena mo! Pe na notte!... Jamme a vedè a chella Uà dinto... (S’abbia). [p. 119 càgna] Nannina. Ncoppn a ’o canapè?... afferrato-.

Vicienzo. Janitiio a vedè cheli aula che 1 e (Asccnno co Matalena). , . j

Matalena (a Vicienzo). Ma elicila parola non me 1 aje di’ fliiù!...

Vicienzo. No! No! (Abbracciannola e jennosenne co essa).

Matalena. Ca io non m’ ’o merelo!...

Vicienzo. Agge pacienza!... Agge pacienza!’.. (Sé? ne vanno).

Nannina e. Jennaro restano sule.

Nannina. Jennà... ncoppa a ’o canapè?!

Jennaro. Embè... no nc’è che fa’... Nce mettimmo ncoppa

t ’o canapè... (Caccio ’o libretto d9,e cunte). Aggio perduto

’a nolarclla d’ ’a grammegna... CA va cercanno dinte

V sacche).

Nannina. Guè! io ncoppa a ’o canapè non me nce mettol-..

Jennaro. La sseme fa’ no poco ’o speziale mo... (Passe ja e fa ’o curile). Trentasette mazze ’e grammegna...

Nannina. Jcnnà Jennaro. Trentasette-..

Nannina. Jennà... (Passianno appriesso, a isso).

Jennaro. Che vuò?...

Nannina. Ncoppa a ’o canapè non è cosa...

Jennaro. Llà nce ne stanno duje e potimmo arremmedia.

Nannina (Sbattenno 9e mane). Ah... si! l’aunimmo tutte e <Ju je ? !

Jennaro. Eh...

Nannina. Mo va buono!

Jennaro. E già ca va buono... va, va... va a fa’ ’o lietto,

ca io.....

Nannina. No, io sola no nce voglio ji!

Jennaro. Ca io aggio fa’ ’e cunte d’ ’a semmana! E a stammatina non m’aje fatto fa’ niente!... Va a fa’ ’o lietto...

Nannina. Io sola?!

Jennaro. Tridice e seje, diciannove... E ventisette ’e sciuscelle.... songo... vintisele e diciannove?... vintisele e diciannove?-Nannina. Quarantasei, meh!

Jennaro. Quarantaseje?... E cliiste me mettono cinquantuno?!... Chistc me vonno arrobbà?!... (Passeja (irraggiato) Avesse sbagliato io?!....

Nannina. Jennà.

Jennaro. Neh, tu che vuò?...

Nannina. Io non tengo genio ’e passià... ’O miedeco m’ha ditto che non m’aggio ’a trapazzà...

Jennaro. Ventisette e diciannove...

Nannina. Ma ’e cunte ’e può fa assettato... Meh!,’. Asset[p. 120 càgna] tate... Ca io non me fido..... Assettate..... no poco ccà vicino

a me.....

Jennaro. Nanni, si io m’assetto vicino a te! ’E cunte non ’e combino chiù... Io me trovo mancante no cantaro ’e vrenna !.....

Nannina. E non fa niente!.....

Jennaro. Tu pazzie!...

Nannina. Guè! quanno io te parlo, voglio essere guardata dinto a V uocchie.... Miette ccà... (Le scippa ’o libretieflo 9o mano).

Jennaro. No! No! pe carità!..-. Va buono!... Damme ’e carte che mo non faccio chiù niente....

Nannina. Assettate!... Uffa! sta tavola mmiczo!... Fatte ’a

chesta parte ccà...

Jennaro. Sia fatta ’a volontà d’ ’o Cielo (S’assetta).

Nannina. Guardarne nfaccia! .. Guè, non me fa’ mettere seuorno!

Jennaro. Neh ch’aggio ’a fa’? Si non te guardo, vuò ca te guardo; si te guardo, te miette seuorno......

Nannina. E guarda... accrianzato!

Jennaro. Neh, tu stasera che vuò a me?...

Nannina. T’aggio a dicere no sacco ’ e cose...

Jennaro. Eh, comme si fosse no sacco de sciuselle...

Nannina. Tiene ’a nocca storta. (Le fa ’a nocca riata vota).

Jennaro. Chesto è tutto?

Nannina. Tiene pure ’a fila storta...

Jennaro. Ma che tengo tutto stuorto?...

Nannina. Siente na cosa... Na bella cosa... (Se fa rossa ros~ sa p’ ’o seuorno e se mette ’e mmane nfaccia e ride).

Jennaro. E chcd’ è?

Nannina. (ridanno e facennose rossa). Na bella cosa— No!.-. T’ ’a dico dimane-. Mo... Mo vaco a fa’ ’o lietto...

Jennaro. E damme ’o libretto...

Nannina. Teh...

Jennaro. Miette ccà...

Nannina. Vaco a fa’ ’o licito.....

Jennaro. E va a fa’ lo lietto... (Co na santa pacienza).

Nannina. E po torno?

Jennaro. E po tuorne!

Nannina. E te dico chella cosa?....

Jennaro. E me dice chella cosa...

Nannina (mmocca a la porta). No... sa ched’è.... Mo t’ ’a dico mo!...

Jennaro. Uh, neh, tu che te faje afferrà?! Chisto è n’affare serio!

Nannina. E viene ccà...

Jennaro. Ah, che santa pacienza! (S’aiza e va vicino a sa). Jamme mo... Ched’è?.... [p. 121 càgna] disturba^’ ’ N°n fuma- Non me Ad© ’e sentere... me

nientÌENNAR0, E COmm è fino a mni<> nun t’ha fatto maie

Nannina. E mo... nio... siente... Stammatina... Staminatina...

Jennaro. Embè?

Nannina. E’ venuto ’o miedeco d’ ’a Congrazione...

Jennaro. Pe Martino che tene ’a tosse?....

Nannina. E... pure pe me Jennaro (danno no zumpo). Pe te?... e che tiene?! Nannina (sputuiuio). (’he vocca amara!... Me senleva... me

senteva......

Jennaro. Che te sentive?! Di’ Non me fa’ mettere appaura!...

Nannina. Non t’appaura-.. Ca è niente... Na vocca anidra amara!

Jennaro. E neint’ato?

Nannina. T’ ’o dico?... T’ ’o dico?—

Jennaro. E quanno?... Ca mo me faje veni na cosa!... Nannina. Siente dinta ’a recchia-.. (Nce ’o dice zitto zitto). Jennaro (zom panno pe la prie zza).^ Overo?

Nannina. Sì... overo!... (S’ abbracciano ima botta). Jennaro (alluccanno e abballanno p’ ’a priezza). Gnò! Gnòt (Chiamma a Matalena). Ah, Gnò!... E venite-. Venite IN SCENA Vili.

Trase Matalena e po Vicienzo.

Matalena. Ch’ è stato?! Ch’è stato?!

Jennaro. E’ stato che... (Le parla zitto zitto dinto o vecchia).

Matalena (alluccanno p’e ’o piacere). Uh?! Overo?! Overo?! (A Nannina che se ne $ta tutta scomosa). Neh, lazzarell’?! lazzarè?! Fasce e cammeselle?! Fasce e cammeselle?! Vicienzo (trasenno). Che robb’è?.-.

Jennaro. Robba bona ! Robba bona (Parla dinto ’a recchia

a Vicienzo).

Vicienzo (a Nannina). Neh, moscia mattea?!-.

Nannina ingrognata a Jennaro). Aje visto? Si ’o sapeva non te diceva niente !...

Traseno Mariano e Teresa appiccecannose, Jennaro va a dicere pure a loro ca Nannina è prena.

Matalena (Chiagnenno e abbracciamo Nannina). Core ’e mamma! Core ’e mamma!....

Jennaro abbraccia a Vicienzo. [p. 122 càgna]

Tbbbsa (mmìezo ’a cammera, a Mariano). ’O siente?!... E tu? tu si buono solo a fa’ chiacchiere tu!

Mariano (resta pe9 nu mum^nta stimato, po9 se guarda attuorno, afferra a Teresa s9 a metto sotto ’o vracdo e squariuniajinese ntramente s’avvia p’o funno d9 ’a scena). E gfcjaar no ’a casa!

S’acala ’o sipario FINE

i [p. 123 càgna]£o buono marito, ecc. ecc.

Dopo la prima rappresenta&one di « O buono nutrito fa ya bona mugli era«, svolto» la sera del 7 dicembre 1886 al teatro <Femce», ora scomparso, in Il Piccolo apparve il seguente articolo di « Bob} » (Robeito Bracco) che abbiamo ritenuto necessario riprodurre integralmente, perchè serve esso a chiarire quanto è detto nella stessa prefazione del Tcreili»

C’è due Achille Torcili.

C’è l’Achille Torelli che incontriamo spesso in via Toledo e al Gran Caffè nelle ore dej gliorno, e che di sera resta tappato in casa,, lontano dalla citta, sulla collina del Voniero, e che, cosi di sera come di giorno, discorre adoperando una specie di linguaggio biblico a base di a in ni at-stranienti, e che cita volentieri Piatone e volentieri parla in latino lilosofeggiando sulla caducità delle umane cose, e che contempla con malinconia il teatro, il pubblico, l’arte mentre con entusiasmo, tanto viv0 e appariscente quanto d’isinteressato e ingenuo, si occupa di elc7Ìoni accalorandosi più pel conte Giusso che per Vittoriano Sardou; — e c’è poi un altro Achille Torelli, che è l’Achille Torelli quasi leggendario, l’Achille Torelli che a vent’anni fu proclamato grande commediografo itaJiano e che, sulle scene d’un teatro di Firenze la veneranda rappresentanza d’un eminente Consesso di letterati, andò, commossa, a ossequiare e a ringraziare in nome della nuova Italia, rinata alla libertà c all’arte nazionale.

C’è due Achille Torelli: uno è quello che scrisse la lettera pubblicala dal Piccalo di iersera. l’altro è l’autore dei Mariti.

Quest’opera, che, nella storia del teatro puramente italiano, è h’ scarsa compagnia a succedere alle commedie di Carlo Goldoni, quest’opera nata da un ingegno vergine senza consigli 0 ispirazioni 0 seduzioni forestiere, quest’opera veramente indigena, tutta indigena, iniziatrice d’una scuola atta a studiare, ad analizzare, ad ammaestrare la società nostra con la semplice e fedele e potente riproduzione del vero sorpreso nel suo momento drammatici, quest’opera che da vent’anni resisde alle vicende burrascose o narcotiche delle scene d’Italia senza scapitare innanzi ai trionfi dei capolavori d’oltr’alpe, di cui nostra miseria naturalmente incoraggia l’importazione, quest’opera, dico, sarebbe potuta ersa sola bastare a rendere serena, sicura, salda la coscienza di chi seppe produrla.

Invece, no ! La lettera di Achille Torelli stampata iersera dal Piccolo — voglio «Urlo io pubblicamente, io, umile cronista si, ma ve_ [p. 124 càgna] race umico suo c suo ostinalo ammiratore — è un’affliggenlc rivelazione. Si, non prima di iersera, e soltanto in seguito a una modesta e leale lettera di Salvatore di Giacomo — j| cui nome era figuralo sui manifesti e nei giornali come se fosse stato lui l’autore della commedia che rappresen lavasi alla Fenice — non prima di iersera, dunque, Achille Torelli ebbe il coraggio di dire a! pubblico di Napoli: questa commedia è mia. Non prima di iersera, egli, l’autore dei Mariti, senti il desiderio, il bisogno, il dovere e il diritto di correggere l’errore o chiarire l’equivoco del manifesto.

II manifesto applicato alle cantomte, nei caffè, nelle trattorie, nelle farmacie variando di colori e di dimensioni, diceva cosi: «Lo buono marito fa la bona mugliera, commedia di SALVATORE DI GIACOMO’; c più sotto leggevasi a caratteri minori: « tratta dai Mariti di Achille Torelli ».

Dopo la correzione o il chiarimento, il manifesto, almeno pei lettori del Piccolo, era radicalmente modificato; ed esso diceva precisamente ccsi:

« Lu buono marito fa la bona mugliera, commedia di ACHILLE TORELLI»; c più sotto, si capisce, a caratteri minori: «riveduta nella forma popolare da Salvcttore di Giacomo ».

E quale sia la rivelazione affliggente mi piacerebbe non piecisare, se non credessi pericolosi i malintesi dell’ambagiiilà. La rivelazione è questa: Achille Torelli non aveva avuto il coraggio di assumere la responsabilità d’una commedia sua.

« Per quale ragione poi — scrisse egli al povero Salvatore di Giacomo che per pochi giorni avevi dovuto provare le tormentose emozioni d’un autore drammatico soltanto per avere riveduta la forma popolare d’una commedia altrui — per quale ragione poi io avrei desiderate che figuraste voi come autore della commedia dirò un’altra <,olta ».

Ebbene, nessuna ragione buona, nessuna ragione legittima, nessuna ragione giusta può consigliare un artista ad attribuire ufficialmente ad altri ciò che è opera sua. L’artista vuole nascondersi, per modestia, per mitezza d’animo, sia anche per sfiducia ?

Si nasconda pure; ma farsi sostituire nella paternità, — no ! Ne discapita lui, e ne discapita chi lo sostituisce.

E la paternità di Achille Torelli questa volta è doppia. Questa volta egli è l’autore dei Mariti, cioè l’Achille Torelli quasi leggendario, ed è — come per una dolce reminiscenza, come per un lieto ritorno al passato, senza filosofia, senza malinconia, senza ammaesframenti, senza (flusso e senza Platone — è l’autore d’una stupenda commedia napoletana.

Dopo la prova generale, che destò in una ristretta ma eletta schiera d’amici invitati il più vivo entusiasmo, il duca Proto, nella consueta rumorosa vivacità deJla sua digerita erudizione, tutto soddisfatto, andò gridando:

Era commedia togata; e adesso è diventata commedia tabernaria ! [p. 125 càgna]

E lutti, intorno, meravigliali, ripetettero a coro: «Uh! tabernaria! ibernarla ! ». menare il solito ribombante e ripetuto « che 1 > dei sim_ >aiico dotto gentiluomo riempiva l’aria della sua contentezza.

Del resto, non c è che dire, la commedia è diventata tabernaria’ /argomento. Je passioni, j caratteri, nella loro esserla, sono Quelli lei Mariti; ma i personaggi, pur serbando i caratteri loro, sono traformati: e l’ambiente aristocratico è divenuto ambiente popolare. Seco tutto. E’ un mirabile spostamento sociale che dimostra come [ualmente la vita, nelle sue intimc vicissitudini, nelle sue evoluzioni istologiche c anche nelle s>ue quotidiane manifestazioni, sia sempre a stessa cosa. L’onesto, intemerato, affettuoso duca pensa, sente e fa iò che, relativamente al suo stato, pensa, sente e fa l’onesto e intemeato e affettuoso ricco chianchiere. Soltanto, invece degli arazzi e dei [uadri antichi c’è la stallina della madonna con innanzi la lampada ccesa; invece della tazza di thè c’è il bicchierino di rosolio; invece’ lei duello c’è la curtelìiaUi.

Da questo spostamento risulta la commedia tabernaria che iersera [ pubblico della Fenice, che era poi la fenice dei pubblici, per eie’ ai:za, per intelligenza, per coltura, applaudì con autentica frenesia; e la questo spostamento risulta, a parer mio (e se dico una sciocchezza’ ssa. grazie a Dio, è mia lo stesso), risulta, dunque, la prima commedia he può, nella storia del teatro napoletano, succedere, cronologicaunte, dopo una lunga e desolante pausa, al vecchio repertorio di Camlarano e Altavilla.

In che modo ha cooperato Salvatore di Giacomo al mirabile spotamento ?

In queU’opera d’arte completa che mi fece andare in visibilio iercra, la parte dovuta al forte ingegno di Salvatore di Giacomo si scorge

i prima vista. Io sono troppo amico di lui perchè non mi si possa ere’ lere un pochino appassionato. Cedo la parola ad Achille Torelli, della hui imparzialità nonostante la sua naturale cortesia verso la gioventù alorosa, nessuno oserà dubitare E Achille Torelli, nella lettera d’ier;era, indirizzata a di Giacomo, scriveva queste parole:

« Io, benché napoletano, non posseggo quella grazia dialettale di ‘ui avete dato prova nei vostri versi; e la mia forma si è giovata in ion pochi punti della vostra, anzi la vostra ha sostituita la mia con •vidente vantaggio ».

Sicché, in fendo in fondo, siamo d’accordo: sostituzione di forma

i; — sostituz’ionc di nome, no !

BABY [p. 127 càgna]On Nicò ssi piecoro

Commedia in un atto dal “George Dandin,, di Molière

PERSONAGGI

DON NICOLA, cafone arricchito.

RUSALIA, mogliera soja.

O BARONE ) . »

J patre e mamma e Rusaha.

A BARUNESSA |

DON ANGIOLINO, nammurato ’e Rusalia. ftUSELLA, serva ’e Rusalia.

LUPINO, servitore ’e don Angiolino.

VURPARIELLO, marito ’e Rusella e servitore ’e don Nicola. [p. 128 càgna]’ON NICO’ SSI PIECORO

(L’attore che esegue la parte di Don Nicola badi a min truccarsi da vecchio, perchè farebbe mancare il /vie della commedia, che è quello di sferzare un villano rifatto, inorgoglito: Don Nicola non è an vecchio, ma un omaccione a’( ii mo tapino, che ha avuto il torto di sposare una figlia di s g. ori; p r tanto signori per quanto da moltissimi anni decaduti, e divenuti ridicoli particolarmente per Vibrido loro linguaggio tra Vitaliano e il napoletano e pe I contrasto fra If orgoglio del loro passato e la loro degradazione presente).

A Panicuocolo, ’o giardino nnanze a ’o casino ’e dòn Nicola. ’Nu muro 9e faccia co ’nu cajiciello mmiezo, appannato:

’o sacino, a mano deritta a uno piano; ’a porta sotto e fnu barcone ncoppa. ’Nu puzzo e ’nu gruppo d’arbere a mano marna, c ’rìauto gruppo d’arbere a mano deritta, vicino a ’o casino ’On Nicola disperannosc e Vurr>ariello consigliarmelo, trasen’ ’

p’ ’o cancello

Vurpariello — E faciteve ’a sèntere ’na vota! Chi pecora se fa ’o lupo s’ ’a magne. Ntustate ’e piede ’n terra! Vuje nce state pe mniazza ’e scopa! Site ’nu bon’ommo d’ ’e tiempe antiche e ’e creature ’e mo nasce no co ll’uocchie apierte e ’e recchie appizzate.

’On Nicola. — Sto facenno ’e tubbercule!

Vurpariello — Stiveve comme a ’nu toro...

’On Nicola — L’he ntise chille duje scugnizze mo ch’i’ passava che facevano ’o sisco d’ ’o mierolo: ’on Nicò! ’on Nicol Mannaggia muglierema! Mannaggia tutte "e ffìglie d’ ’e barane!

Vurpariello — A chella le volle l’uorzo ’n cuorpo: e quanno ’a biava volle ’n cuorpo, ’o cavallo tira cauce.

’On Nicola — Mannaggia ’a superbia! ’E superbiuse comme a mme banno ’a muri!

Vurpariello — Eover’è: quanno ’a formicula mette ’e scer le vo’ mori!

’On Nicola — Pigliàte ’na mazza, pigliate ’nu vurpino! Faciteme ’na rotta d’ossa!

Vurpariello — Vuje no vve facite arrispettà!

’On Nicola — Io vaco dicenno a tutte quante ca me venno [p. 129 càgna]

’o casino, me venn0 ’e massarie: arronzo ’e bagattelle e me ne vaio ncoppa a’ na muntagna e ine faccio romito.

Y uhpabilllo E o ccà o Uà, sempe ’a sotto nce restate! ("bella lene l’arte d’ ’o serpente.

’On Nicola — ’On Nicò, i’he voluto tu! l’he voluto tut

YTi rpakikllo — ’A casa è ’na tiella addò ’o marito è fritto quanno ’a gallina canta e ’o gallo se sta zitto. E fusseve gallol

’On Nicola — So’ ’nu capone! Hai ragione! So’ ’nu capone! Gientomila ducato ca se ne stanno jenno comme ’o fummo d’ ’a camicia !

Xvrparikllo — Mannaggia ’o fummo!

’On Nicola ’O volesse avè int’ ’e mmane a chillo don frichino ca va appriesso a moglierema!

Vurpariello — E che ne cacciasseve? vuje site ’nu cane

ch’abbaja e no mmozzeca.

’On Nicola — Tutto pe non me contenta d’ ’o stato mio!

Me jette ’o fummo int’ a ll’uocchie!

Vurpariello — E mo avite mantenè ’a figlia, ’a mamma e ’o patre: chillo pezzentone, sfrantummatone d’ ’o Barone, che tene chella tubba e jeva co ’e pezze arreto’-- E se ve spusaveve ?na pacchiana, chesto non ve succedeva.

’On Nicola — Si me spusave a Luisella...

Vurpariello — Y7’ ’a sarrisseve spusata?

’On Nicola — Allora m’era juto ’o fummo into a ll’uocchie... ma mo m’ ’a spusasse ciente vote e no una.

Vurpariello — E d’ ’e pentemientc a reto pede nce ne stanno a muntune.

’On Nicola — M’ave’va mettere ’a mano ncoppa ’a coscienza

Vurpariello — Chella Luisella era zitella...

’On Nicola — Punizione d’ ’o Cielo! Ma si muglierema chiave ’e faccia ’n terra...

Vurpariello — Seh ! chella aspetta l’ora e ’o mumento che chiavate ’e faccia ’n terra vuje.

’On Nicola — Gente» se site cafune’ mparateve! mparateve a no vve spusà ’na figlia ’e signore... Me chiagno l’anima mia!

Vurpariello — Lacreme tardive...

’On Nicola — Non tengo chiù coraggio ’e trasì dinto ’a casa mia... volesse trasì e no ttraso...

Vurpariello — E jammo, ca se fa notte e io aggio apcora ’accidcre ’e pullaste p’ ’a cena ’e stasera.

’On Nicola — Ogni vota che me retiro non saccio che trovo.

Y’krparrilllo — E jammo... ch’i’ tengo ’a panza azzeccata co ’e ri ne.

Trameni e, a mano manca, stanno parlanno. Lupino japj’iico jappuco. sioti vedenno a Uovo, trase p’ ro cancielìo e v<t a tuzzotià ’a porta d’ ’o casino, a mano deritta.

On Nicola — E chella mbesa vo pure ’o cuoco

v UHPAR1ELM) -- Chella vo farrà j’ pczzenno... Oh ella co ‘e [p. 130 càgna] vvcslc ’e seta c vuje scnipc co ’nu santatuono ’n cuollo che parite ’nu cafone’.

’On Nicola — (vedenno Lupaio ’n farcia Vi porta) Uè! Chillo chi è?

Vurpariello •— Na f ucci a nova... Ha da essere ’n’ auciello ’e passo.

’On Nicola — Chillo tene ’na brutta ncurnatura... (S’ arape ’a porta e 1 Alpino trasc dinto).

’On Nicola — E che va a ffa’ ncoppa ’a casa mia?!

Vurpariello — E jammo ncoppa e ’o sapimmo.

’On Nicola — E si vaco ncoppa, chella mugliercma m’arraVoglia. me mette dint’ ’o sacco: chella fa vedè ’o janco niro v ’o niro janco, e sempe i’ nce rommano ’a sotto... Io aggio appura foro ’e casa chello eh’essa me cumhina int’ ’a casa.

Vurpariello — Facite fenta ’e non vedè... Mo vedo io ’e che se tratta... Metti teve addercto a l’albere... Si ve facite abbedè non ne cacciammo ccbiù ’e mmane.

’On Nicola — se va a siasconnere adderet o a Valbare 9 e mano manca.

Vurpariello — Vomì ll0 senza talento comme ’a chisto comme s’ha potutoi fa’ ’c donare i’ non ’o saccio.

Lupino — jesce d’ ’a porta.

Vurpariello — Neh! giovino! vuje chi site?

Lupino — Malora! chisto m’ha visto!

Vurpariello — Embè? No rrisponite? Vedite ca i’ chiamino ’o colono!

Lupino — (facennosc irìcinoy sottovoce) Statte zitto ca cca nce sta ’a mangianza pure pe tte!

Vurpariello — Che robb’è? (Guarda si don Nicola sente).

Lupino — Ma tu chi ssì?

Vurpariello — So tutto d’ ’a casa ’e don Nicola.

Lupino — ’O servitore?

Vurpariello — ’O servitore, ’o cuoco...

Lupino — E chi cucina allecca!

Vurpariello — E... (sottovoce) che mangianza nce sta?

Lupino — Parla chiù zitto!

Vurpariello — E tu parla chiaro!

Lupino — No ddicere che ni’ è visto... Si ssi ’nu bestio parie e si ssi n’omnio te staie zitto. Facimmece amice.

Vurpariello — ’E vere amice so’ ’e denare’ (Guarda si don Nicola po’ sfintere e avascia riato poco 9a voce) E sa che te di’ co? Ca si ’a mangianza non ce sta, io faccio ’a trummetta d#,a Vicaria!

Lupino — No dubbità! Quanno Lupino dice ’na cosa...

Vurpariello — Chi è Lupino?

Lupino — Songh’io.

Vurpariello — E va dicenno. (Guarda sempe d’ ’a porle e don Nicola).

Lupino — Chillo, ’o signorino mio, tene ’o patre d’ ’e de[p. 131 càgna] na re: c 1,ll scianipagnonc: ne votta ’e llire comme a quanno se

iiiiiii’HM o ^nino...

yl’iU’MELLO — lit non asci d o semmenato: che mangian za lice sla - c • - »

Li-pinci — Si primma e vcntiqualtorc non le porto cinquanta h’rc p’ accunto chiammanie figlio ’e bona femmena. Chillo ’o patre d’ ’o signorino mio è Deputato: è ’na putenza....

E si non le staje zitto co ’o bbuono, te staje zitto co ’o tristo. Vurpariello — E ’a mangianza?

Lupino — Chello che t’attocca t’attocca (S’abbia).

Vurpariello — E tc ne vaje?

Lupino — E po’ torno.

Vurpariello — E addò nce vedimmo?

Lupino — CVà.

Vurpariello — A che ora?

Lupino — A’ n’ora ’e notte.

Vurpariello — Io voglio fa’ a piczze minane!

Lupino — No ddubità!

Vi : rpariello — E si po’ manche a’ prumessa?

Lupino — Ogne prumessa è debbeto!

Vurpariello — Vi’ ca nuje facinuno a fecozze!

Lupino — Tu ssi d’ ’a casa ’e don Nicola?

Vurpariello — Eh! so’ comme a ’o cane sujo: ’o cane ’e guardia.

Lupino — Embè, io mo parlo sotto mafaro: tu haje da fa’ ■conime e ’o cane d’ ’a favola ’e Sopo.

Vurpariello — Chi è Sopo9

Lupino — Chillo teneva quatte dete ’e cerviello... Vurpariello — Sto Sopo?

Lupino — No: ’o cane.

Vurpariello — Embè?

Lupino — Era ’nu cane sapiente, ’nu cane che chiacchieriava meglio ’e ’nu paglietta. Mmano a chillo, mmano a Sopo, l’animale parlavano... E chillo, mpunto ’e morte, cioè primma ’e muri....

Vurpariello — ’O cane?

Li 7pino — Eh, ’o cane: lassaje ditto ’n testamiento ca ncop’ pa ’a lapeda nce avevano ’a scrivere accussì: «Quanno io... Vurpariello — Quanno tu?

Lupino — No, quann’isso: ’o cane!

Vurpariello — Aggio capito.

Lupino — «Quanno io vedeva trasì quaccuno dinto ’a casa d’ ’o patrone, si chillo che traseva era ’nu mariuolo, io abbaiava; ma si vedevo che chillo non era ’nu mariuolo, ma ’nu nammurato d’ ’a patrona, me steva zitto...

Vurpariello — Seh!

Lupino — ...e accussì me teneva amico, faceva cuntento V» patrone e ’a patrona!

Vurpariello — Vi che cane ’e talento! [p. 132 càgna] Lupino — Chi è deritlo, sciala, e chi non c deritto non lene deritto ’e campa.

Vurpariello — Tu ssi l’aneme d’ ’e fracete ’n capa!

Lupino — Me so spiegato?

Vu rpariello — Comme a ’nu libbro stampato.

Lupino — E statte bbuono.

Vu rpariello — E l’accunto?

Lupino — Cinquanta lire!....

Vu rpariello — E addò stanno?

Lupino — Fa cornine si ’e tenisse dinto ’a sacca!!! Io mo

aggio vede quanto e anta ’a terra ’a fenesla, d’ ’a massaria.....

(Se ne va p’a massaria a mano deritta).

Vurpariello — Aspetta: si t’addummanneno, dì che ssì ’o giovane d’ ’a ìnudista. (Je.nno ncontra a don Nicola che jesce dereto a latterò) Non v’allarmate! Cose ’e niente! Cose ’e niente! State senza penziere! Durmite a quatte cuscino! Chillo è ’o giovane d’ ’a mudista...

’On Nicola — Ma... po’ fa pure ’o portapullaste...

Vurpariello — Ma che pullaste ve jate mettenno ’n capa! ’E pullaste l’aggio accattate io stammatina pecchè ’a signorina ’e vo’ essere fatte ’a cacciatora... E si non vaco ncoppa io, chella muglierema Rusella non tene core ’c l’accidere, e non cenammo manco per mezanotte... E vuje ve grattate sempe ’n capa!.. Faciteve passà ’o suspetto!... E, mo che è ancora juomo, jate ’a farmacia, pigliateve ’nu poco ’e magnesia nfrevvescente e faciteve veni l’appetito....

—’On Nicola — No! i’ vaco ’a cumpra ’na catena co ’nu catenaccio pe nchiudere ’o canciello: chella mbesa ’e muglierema ha nascunnuta ’a chiave d’ ’ canciello e ba ditto che se l’hanno arrubbata...

Vurpariello — (parlanno da ppe isso). (E chillo comme me porta ’e cinquanta lire si trova ’o canciello nchiuso?)

’On Nicola — I’ volesse scopri...

Vurpariello — E stateve cca... ca io accide ’e pullaste ♦ po’ vach’io a cumprà ’a catena co ’o catenaccio. (Va dinto).

’On Nicola (se gratta ’n capa). Si era ’o giovane d’ ’a mudista chillo purtava ’o scatolo mmano... Miettete nguardia, ’on Nicò! Uocchie a cannela! (S’annascojine n’ at a vota addereto a falbe "fi).

Lupino fa ’a spia, vede che non ce sta nisciuno e s’ablia vuatfo vuatto pe se ne V p ’o canciello).

’On Nicola — (ascenno ’a dereto a Valbere) Neh! galantò! Ched’è ’o fatto? Primma ssi sagliuto ncoppa ’a casa ’e Don Nicola, po te ssj abbiato p’ ’& massiaria e mo, comme ’a ’nu mariuolo, te ne stive jenno p’ ’o canciello... Tu non mme capacete! Gatta nce cova!

Lupino — ’I so ’o giovane d’ ’a mudista...

’On Nicola — ’A buscia t’esce ncoppa ’o naso!

Lupino — Addò?! V so’ ’nu galantomo! [p. 133 càgna] ’On Nicola — Io ll10 chiamino ’o Sinncco e te faccio arres’à < 1 • i Y guardie!

Li tino — Sta leve zitto, ca i’ so’ malandrino 1

’()n Nicola — ’Nu linimento fa ire galantomo e mo ssi malandrino?

Lupino - E che deritto tenite ’e dummannà? Chi site?

Ox Nicola — Io... io... songo ’o colono....

Lupino — L si site ’o colono.... (nce se fu sotto auQScianno

vorc) cca nce sta ’a mangianza pure pc vuje.

’On Nicola — Ah, neh?

Lupino — O signorino mio è figlio d’ ’o Deputato che mo passa pure Ministro: è ’na putenza !...._ E si ve prode ’a capa ’e fa’ ’ trummet-ta d’ ’a Vicaria, nce pcrditc ’a sunata e passate pure ’nu guajo— ma si non diede niente, sfìziate pure vuje nzieme co nuje!

’On Nicola — Te voglio fa’ sfìzzià io!

Lvpino - Non alluccate, ca i’ ’e rccchie non l’aggio mannate ’a cunciaria!

’On Nicola — I’ mo chiamino ’e gguardie!

Lupino — I’ ve faccio avè ’na ReVenneta ’e tabbacche...

’On Nicola — Carabbiniere! Carabiniere!...

Lupino — (afferrarmalo p’ ’o vestito) A ll’arma ’e mamineta!.... Ve pozza scennere ’a lengua ’n ganna!

’Ox Nicola — Tc pozza scennere n’ata cosa!

Lupino — Vuje site ’o colono? E facite ’o colono! ntricateve d’ ’c corna voste! Che ve mporta ’e chelle d’ ’o patrone?

’On Nicola — Comme? chillo è ’o patrone mio!

Lupino — I’ ve faccio avè ’na Revcnneta ’e tabbacche!

’On Nicola — O me dice tutto da ’nu capo a Tato o chiamino ’e gguardie!

Lupino — Ma pecchè vulite sapè? Pecchè vulite trasì dinte ’e fatte ’e l’ate?

’On Nicola — Pecchè... pecchè voglio jucà a juoco sicuro... pccchè quanno aggio saputo tutto, allora tengo o curtiello p’ ’o maneco, e allora... o me faje avè ’a Revennita o faccio revutà ’o paese.

Lupino — Vi che fraceto ’n capa! E io l’avevo pigliato pe ’nu cafone!

’On Nicola — ’E cafune teneno ’e sole doppie e ’e cerevelie sottile....

Lupino (se gratta ’n capa). Vuje me pigliate pc ’n ganna...

’On Nicola — E tu me vuò mantenè ’n campana... Mo vedimmo chi è chiù dcritto!

Lupino — O me magno sla mencsta....

’On Nicola — O le jette pe sta fenesta!

Lupino — Avite raggione! (Vapuzziannó) Agrus est!

’On Nicola — Tu m’hc ’a cuntà pane pane, vino, vinol Lupino — Embè... patte chiare... [p. 134 càgna] ’On Nicola — E amicizia longa...

Li bino — Non nce par.te, ossà! pe essere sicuro d’ avè a Revenneta volite ’o piglio mmano...

’On Nicola — Ma to Prgliutte uno comme a mme.

Lupino — Ma si po’ mancate ’e parola?

’On Nicola — F non manco ’e parola!

Lupino — F aggio truvato ’o canciello apicrto...

’On Nicola — ....pecche elicila, a signorina, ha fatto abbedè che s’è perduto ’a chia\e.

Lupino — Embè; si ’o sapite che m’addummannate a ffa?

’On Nicola — Saccio ’na meza cosa; ma voglio sapè tuttot Jammo! Caccia chello che tiene ’n cuorpo!

Lupino — I so’ trasuto p’ ’a porta....

’On Nicola — L’aggio visto...

Lupino — Ma me ne voleva scennere p’ ’a fenesta d’ ’a massaria pecche cca nce steva gente-•. Ma chella, ’a signorina, ’a mugliera ’e don Nicola...

’On Nicola — ’O canusce?...

Lupino — Saccio eli’ è ’nu maccarone senza pertuso, ma non saccio chi è...

’On Nicola — Mbè... va dicenno...

Lupino — ’A signorina non me n’ ha voluto fa’ ji’ p’ "a fenesta, pecchè dinto ’a massaria nce steva Luisella levanne ’e panne spase, pecchè se fa notte. Ntra don Nicola e Luisella nce fuje ’nu mpicchio quann’isso era ancora scasato... Capite!... E chella Luisella ’a vulesse vedè morta ’a signorina... le sta cu l’uocchie ’n cuollo... Ma chella Luisella è passata ’e còveta... E a signorina è ’na rosa... E ’o marito è ’nu casciabbanco... E ’o signorino mio, se po pitta... E’ tenente d’ ’a Territoriale... ’Na bellezza ’e giovane che fa fermà ’a ggente, fa fa’ sputazzella a

V femmene... E chedè vuje scunucchiate?

’On Nicola — Me s’è addurmuta ’na gamma.

Lupino — Me pareva comme se ve fosse venuto ’nu moto... (Guarda che ora è ’n faccia fo rilorgio).

’On Nicola — (da ppe isso). (E si me faccio veni ’nu moto non appuro chiù niente!)

Lupino — Vuje me facite fa’ tarde...

’On Nicola — E... sto signorino tuje è ’o figlio d’ ’o Deputato?

Lupino — Che mo passa pure Ministro: Ministro d’ ’e Finanze.....

’On Nicola — E che fa?

Lupino — Fa ’o Ministro.

’On Nicola — No, ’o figlio...

Lupino — Fa ’o cacciatore: l’ommo è cacciatore.

’On Nicola — E ha fatto ’a botta?

Lupino — ’A sta facenno. Isso fa ’a botta e nuje nce mpurpammo buone buone. Ma si non cc appilammo ’a vocca no [p. 135 càgna]— 135 ppigliammo mmocca. Pc ogne lettera che porto V aggio cinche lire <la iss° c cinche lire da essa; zuco a doje zizze.

’On Nicola E pe cchesto ssi juto ncoppa? pe’ porla ’na

lettera?

Lupino — ’Na lettera e ’nu buchè... pecche ogge è Santa Rusalia, ’o nomnie d’ ’a signorina... E l’autriere fuje Santa Rosa». ’O nomine d’ ’a serva... Rusella!... elicila è cchiu bona d’ ’a patrona... ’O signorino cu santa Rusalia e io cu santa Rosa!

’On Nicola — E Rusella... pur’ essa... tene mano ’a pa troll a?

Lupino — Comme no? Corre ’a suglia pure pe’ essa...

’On Nicola — E ch’ha ditto ’a signorina quanno l’he purtato ’a lettera?

Lupino — S’ha vasato ’o buchè

’On Nicola — Lazzarona !

Lupino — Capite: chillo ’o vaso jeva a ’o signorino mio, t» non ce stanno isso presente, essa 1’ ha dato a ’o buchè...

’On Nicola — Meno male...

Lupino — E non potenno scrivere pecchè tene ’o punticelo, rii a inannato a dicere — c mo nce porto io ’a mmasciata ca ’o canciello sta apierto) e venesse co’ ’a scusa ’e se vulè cumprà ’o casino... E, si s’ ’o compra, ’vuje restate pure colono co’ ’o signorino mio e magnate co’ ’a capa dinto a’ ’o murale comme ’e cavalle ’e carruzzelle.

’On Nicola — E ch’auto ha ditto ’a signurina?

Lupino — Ch’essa non se ne fide chiù ’e se vedè vicino chil lo papero guallaruso ’e Don Nicola.

’On Nicola — L’he voluto tu!... L’he voluto tu!...

Lupino — Io?

’On Nicola — No, isso, ’on Nicola...

Lupino — ....Acqua mmocca! ammarrateve ’a vocca!.... (Se ne va // ’o canciello).

’Òn Nicola — (se piglia a schiaffe isso stesso). ’On Nicò, ssi piecoro!.... L’he voluto tu!... L’he voluto tu!... Tutto è ppoco pe chello che te niierele!..’ E fusse armeno buono a mena mazzate!... Ma no! ssi ’na carogna, ’nu carugnone!... Piecoro e mazziato!

Verteno ’o Barone e ’a Barunessa p’ ’o canciello

’O Barone — E ched’è, ’on Nicò? Vuje ve mettite ’e mmane ’n capa?

’On Nicola — Lassa teme sta! Non me dicete niente! Bene me sta! Mannaggia tutte ’e barune e tutte ’e ffìglie d’ ’e barune!

.’A Barunessa — Neh! scrianzatone!

’O Barone — Ma che diavolo vi afferra? !

’A Baronessa - Nuje venimmo pe ddà ’e ciento ggiorne a nostra figlia e voi nce fate questa accoglienza?

’O Barone — Che educazione? che rispetto è chisto9 [p. 136 càgna]- 136 ’A Barunessa — Fe ve leva ’a ruzzimma ’a cuollo nc« vo a limma d’ ’o ferraro! Da n’anno che ve site apparentato co ’nu barone e ’na barunessa comme a nuje non ve site inparato ancora ’a crianza!

’O Barone — Rustica progenies semper villana fult!

’On Nicola — Jatcla a ’mparà ’a figlia vosta ’a ’crianza!

’A Baronessa — Neh, lazzarone, cafone!

’On Nicola — Jateve a fa’ squartà, socrema e bbona!

’A Barunessa — Chiammateme baronessa:

’On Nicola — E sì ve jate a ffa’ squarta, ve chiammo pure cunlessa e princepessa !

’A Baronessa — Io a farmi squartà?

’O Barone — Ma che fussevo asciulo pazzo?

’A Barunessa — Quanno se tratta ’e mettere a posto ’nu lazzarone comrn’a vvoi io saccio parla pure comme a’ ggerite d’ ’o Lavinaro!

’On Nicola — E che meraviglia? Co ttutte che site barune, ire ve pcducchie e posema, e» da ’o Sissanta, stiveve ’a ’e casa abbascio a ’o Lavinaro; e pe cchesto pure ’a figlia vosta parla ’a lingua d’ ’o Lavinaro comme a vuje!

’A Barunessa — Ma chisto overo è asciuto pazzo!

’On Nicola — Stiveve vuje e ’a mazza; ve potevano mettere dinto a ’nu cufaniello; v’aviveve ’a arrostere ’nu poco ’e carne ’c sporta ’n faccia ’o lume d’ ’a cannela!

’A Barunessa — Neh! busciardone puorco! Barò, aizate ’o bastone’

’0 Barone — Badate a rispettà a mia moglie!

’A Barunessa — Badate a rispettà a mia figlia!

’On Nicola — Ch’aggia rispettà! Chella patesce d’ogna ncarnata!

’A Barunessa — Uh! Uh! Barò... a mme nio me vene ’nu pan loco!

’O Barone — (aiza fo bastone) Voi fate veni ’nu panteco a mia moglie!

’A Barunessa — Barò... Barò!... (facenne vede che vene meno),

’O Barone — L’onore nostro s’amniacchia vicino a vuje!

’Ox Nicola — ’O tiano dice a’ tielia : non mme tegnere!

’O Barone — Ma clieste so’ ccose ’e truone!

’A Barunessa — A mia figlia non ce stanno fose ’appennere: è illibata comme a mine!

’On Nicola — Iih! Vuje che, quarantanne fa, avite fatto ammore co ’nu trabbante quanno ’o Barone era Guardia ’a Ccorpo.

’A Barunessa — Uh!... Uh!... Uh!... (Facennese ’na vampa 9e ffuoco).

’0 Barone — (ch’ha dato ’mi zumpo) Briccone? Svergognatone! Oanaglione! (Aiza %o bastone. Don Nicola se votta adde[p. 137 càgna]- 137 icte ’o puzzo, ’o Barone ’o perseguita, e accussl girano attuorno n ’o puzzo tutt’e duje) ’A Barunessa — nnanze a don Nicola e le rompe ’o mbreUino ’n cuollo.

’O Barone — Ngenucchione! Subbete! Ngenucchione! Cercale perdono a’ Barunessa!

’A Barunessa — E pagateme primma ’o mbrellino

’O Barone — Cercate perdono!...

’On Nicola — se mozzeca ’e mmane.

’A Barunessa — Cacciasse primma diece lire p’ ’o mbrellino.

’O Barone — Diece lire! Si no mo ve spacco ’a capa!...

’On Nicola — L’he voluto tu!... L’he Volulo tu!...

’O Barone — Janimo!... (L’ammenacda c’ ’o bastone).

’On Nicola — Oheste so’ ’e ddiece lire.

’O Barone — E cercate perdono!

’On Nicola — E cerco perdono!

’O Barone — Ma se po’ sapè che canchero v’è afferrato? !

’On Nicola — E ch’ ’o dico a ffa»! Che ne caccio? Chella semp’essa bave raggione....

’O TUrone — Èssa chi?

’On Nicola — A figlia vosta! Trova cavicchie p’ogne pertosa... trova sempe pezze a culore, fa vede ’o janco nire e ’o nire janco, e sempre io nce resto ’a sotto.

’O Barone — Ma se po’ sapè ch’è succiesso? Ve facite asci ’o spirelo? !

’A Barunessa — Chell’aneme ’e Ddio! Io me l’aggio cresciuta into ’o scaravattulo!

’On Nicola — E arrisseve fallo meglio si l’asciugliveve ’o ’selliculo!

’A Barunessa — Uh!... Uh!..

’O Barone (a9 Barunessa) E stateve zitta ’nu poco! Faciteme senti ’e che se tratta! (A don Nicola) Si ha fatto ’na cosa malamente, qua sto io! Nuje campammo d’onore e de dignità! ’A metto a posto io primma ’e vuje! Io faccio cadè ’o spacca’ turo justo!

’On Nicola — E mittitola a pposto senza perdere tiempo!

’A Barunessa — Ma ch’ha fatto?

’On Nicola — Tene ’o vizio dint’a Tossa!

’A Barunessa — Uh!... Uh!...

’On Nicola — Tene ’nu tenente pe nnammurato!

’A Barunessa — Bocca sacrilega! Bocca sacrilega!

’O Barone — Barone, facilenic fa’ ’o giudice!

’On Nicola — Pigliate ’o spaccaturo!

’O Barone — fina je a essa si è ovcro!

’A Barunessa — Ch’ha da essere overo’ Chella è oro ’e /(•celiine !

’On Nicola — Passalo pe sol lo V coscie’ » refice!

’A Bari essa — Barn, dateme ’o bastone!

’O Barone — Barn nè. faciteme fa’ ’o «giudice! [p. 138 càgna]I


’A Baronessa — Ma... ’on Nicò, oca sotiD non cc cliiovc!

’O Barone -: — E quanno ’a fornite?! (’ca nce stong’io! Faciteme fa’ a giustizia comme se deve! (A don Nicola) Avete ditto dio tono ’nu lenente?...

’On Nicola — ’Nu tenente d’ ’a Territoriale: ’o figlio d’ ’o Deputalo che mo passa Ministro de Finanze.

’O Barone — Ma ’o sapilc ’e certo?!

’Ox Nicola — (’Ile fa animore cu niuglierema?

’O Barone — No, che ’o paire passa Ministro?

’Ox Nicola — Uh, tnanaggia Tarma vosta! Vuje ponzate a ’o patre che passa Ministro e non ponzate a ’o guajo die pass’io?!

’O Barone — Io so’ un uomo che non transigge co l’onore!

Comparisce don Angiolino mmocca a’ fo canciello

’On Nicola — E chisto ha da essere isso!

’O Barone — Isso chi?

’On Nicola — L’amico.

’A Barunessa — (da ppe essa) Che bello guaglione!

Angiolino — Scusale... perdonate... M’hanno detto che qua se venne ’o casino...

’O Barone — Ma vuje chi site?

Angiolino -- Sono Angelo Custodi.

’On Nicola — E se chiamma pure Angelo Custode! Tene pure ’a faccia ’e so chiammà Angelo Custode!

’O Barone — ’On Nicò, faciteme fa’ ’o giudice!

’A Barunessa — (da ppe essa) Figlia mia!

’O Barone — E vuje site ’o figlio d’ ’o Deputato?

Angiolino — Cioè d’ ’o Ministro?

’O Barone — E passato Ministro?

Angiolino — Ministro d’ ’e Finanze...

’O Barone — Ministro d’ ’e Finanze?! Io aggio fatto ’o Gunrdia ’a ("corpo fino a ’o Sissanta... e fuje pure nominato tenente’e fanteria.... e aggio fatto ’a dimanda p’avè ’nu Banco Lotto..

’Ox Nicola — Uh mannaggia chi no vve sona a... gloria! Vuje ’nvece ’e dimmannà a sto mio signore comme trase oca,

(alluccanno), co cche diritto trase dinto a robba miai...

’O Barone — ’On Nicò, faciteme fa’ ’o ggiudice!

Angiolino — Che giudice?... Chi ha da essere giudicato... Voi chi siete?

’O Barone — Embè, ched’è? vuje v’allummate dinto a l’acqua!... Io so’ ’o Barone Cassetta!

Angiolino — Ma scusate... perdonate-., chillo signore (muttanno don Nicola), ha ditto dinto ’a farmacia, dinto a ’o caffè

he isso se venne ’o casino...

’On Nicola — E m’ ’o venno ! m’ ’o venno pe ’na magnate ’e ave a ’o primmo che capita... Angioliono— Ei’ m’accatto, si me piace: si po’ non v’ ’o vute vennere chiù, m’ ’a dicite e io me ne vado.... [p. 139 càgna]’O Barone — E chisto sta d’ ’a parte d’ ’a ragione!

’A Barunessa(a Don Nicola) Avete pigliate ’na quinta mbacante, ’on Nicò!

’On Nicola(a don Angiolino) Vuje a chi ’a vulite menà into ’o cruvattino?

’A Barunessa — ’On Nicò, vuje avite pigliate n’equinozio!

’On Nicola — Vuje a chi state a séntere? Chisto non vene cca pecchè le piace ’o casino, ma pecchè le piace a muglierema

’O Barone — Questo poi... questo poi... Ah!... ah!... ah!.. Questo, se è overo, questo no sta bene! Sappiate che mio padre era Guardia d’onore de Ferdinando II., e che mio nonno era d’ ’o Tesoro ’e san Gennaro... e che i miei antenati erano dei sedili Nilo e Capuana.

’On Nicola — E votta lloco!

Angiolino — Ma questo che c’entra? Non capisco...

’On Nicola — Non capite che io capisco che vuje jate secutanno a muglierema?!

Angiolino — Io ?!!!

’O Barone — Questo poi non sta!

’A Barunessa — Mia figlia non se fa secutà!

Angiolino — E chi ’a conosce? chi l’ha vista ancora vostra figlia !

’On Nicola — Uh! faccia ’e cuorno!

Angiolino — Moderate i termini!

’O Barone — ’On Nicò, embè! moderate i termini!...

Angiolino — Io non mi faccio insultare da nessuno! Io so’ nu giovane d’onore! Non vado ngujetanno ’a pace d’ ’e famiglie! Chi ha a’vuto l’ardire de di’ che io vado appresso a vostra figlia? Dicitemmello che le vada a ffa’ ’na faccia ’e schiaffe!

’O Barone — Parla cu vuje, don Nicò!

Angiolino — Siete stato voi?

’O Barone — Rispondete!

Angiolino — Datemi il vostro bastone, Barò!

’O Barone — Questo poi no!

Angiolino(a don Nicola) Pe rispetto a ’o Barone e ’a Barunessa non ve metto a pposto!

’O Barone — Chisto sta d’ ’a parte d’ ’a raggione!

’A Baronessa — Vuje tenite ’e cefescule a ll’uocchie, don Nicò!

’O Barone('e bona maniera, a Don Nicola) Cercate scusa, cercate scusa, a sto signore! questo ha ragione!

’On Nicola('a Don Angiolino) E faciteme ’o piacere: facitece ave’ ’nu Banco Lotto a ’o Barone!

Angiolino — E nce ’o faccio avè! co tutto ’o core!

’A Barunessa — Mettiteve ’a coda mmiezo 'e gamme! (A Don Nicola). Vèneno da dinto a 'o casino Rusalia e Rusella.

Angiolino — Siete stata voi, Signò, ch’avete detto a vostro marito che io insidio il vostro onore? [p. 140 càgna]140

III’ s ai.fa - It»?! hi?!... ( A doti N troia) ’reniti’ ’o coraggio ’o «licore elle io aggio ditto oliesta nfamità?

’A Hauunkssa - i>a a abhrarrià a litixulia

Ilus iclla — 1^ c.hoste so’ huscio nove!

^()n Nicola Dalenie ’na fune po ine mpennoro!

() Haiionh — ehisto pazzo fenosce!

’A Baronessa — So’ ecose elle fanno stravedo!

Rosalia Mammà, chisto me leva ’« saluto!... Papa guardatelo ’n faccia! Tene ’a farcia il’ ’o peccato... K se mozzoca pure ’o minano, vedile!... (Ad Angiolino). K comme ’o poteva dicore oa me venite appriesso si se l’Iia mmenlnto sto mio signore?... Va trovanno peleo |>o se leva a me luorno, pecche isso fa ’o faronolla co Luisella ’a lavannnara!

’On Nicola — Uh!.. Uh!.. ’A pulesso, scanna!

Rosalia — E elicila, Luisella, me volesse accidcrc co H’uocchio! E dico faronolla pecche so’ ’na figliuola Iropp’oncsta po non ddicere n’ala parola!

’O Baroni: — ’On Nicò! ’O Nicò, chosto non sta h!>ene!

’On Nicola — Vint’anne fa., quann’ero scujetato!...

Rosalia — Eppure ino! mo cchiù ’c primma! E l’aggio seni ito io, io, da coppa a ’o barcone, olio isso diceva a Vurpariollo che se sarria spusato a Luisella cienlc vote o no una, cionlo volo a ossa o no a mme!

’O Barone — Avole detto questo?!..

Rusalia — Chiammatelo a giuramento! Ohiammate a Vurpariollo! Vedilo si non è overo.

’O Barone — ’On Nicò! ’On Nicò!...

’A Barunessa — Figlia mia, che sciorta t’è attuccata!

’On Nicola — L’ho voluto tu!.. L’he voluto tu! .. Schiatta!... Ohi a ve ’e faccia ’n terra!

Rusalia — (a Don Angiolino) E jatevenne! jatevenne vuje! vedilo che sto passanno! p’ ’ammore vuosto!

Angiolino — E me ne vado! (Se ne va).

Rusella — Chillo Don Nicola piglia pizza pe ttorteno!

Rusalia — Rusè, chillo signore me vene appriesso?

’On Nicola — Falle cuscienza! Giuralo che non è overo! Svorgugnatona !

Rusella — ’On Nicò, vuje jettate ’o nniro d’ ’a seccia!

Rusalia — Ohi ’o sape a chillo signore?.... E si tene ntenzione ’c mo veni apriesso, nce facesse ’a prova, e vede chello che lo succede: le do ’na lezzione che s’arricorda pe tutta ’a vita soja!

’O Barone — ’On Nicò. ’o sentite o non ’o sentite?

’On Nicola — Ohella tene l’arte d’ ’o serpente! Io nce remmano sempre ’a sotto!

’O Barone — (asciuttanrwse fuocchie p9 \t tenerezza e vasarrno a Rusalia) Onore d’ ’a casa mia !

’A Baronessa — accarezza e vasa pure essa a Rusalia.

’On Nicola — va sotto e ncoppa comme a ’nu pazzo. [p. 141 càgna]

’O Barone — (sottovoce a Rusalia) Ma sa che te dico’ Nonne? Cca campammo tutte ncoppa a isso... c si lajc quaccbe cosa die chillo le ne cacce, io t’accido!

’On Nicola — (a Humiui) Ma comme? ’nu mumento fa’ Lupino, ’o servitore ’e chillo signore, non è sagiiuto ncoppa aduo vuje?!..

ite sulla — Chi è sagiiuto?!

’On Nicola — Lupino?

Rusella — E chi e sto Lupino?

’On Nicola — Cnillo che fa ammore co tte!

Rusella — Co mme?!... Co mine?!... Chi ’o sape sto Lupino?

’On Nicola — A IFanema a’ ’a faccia ’e pipierno!

Rusella — Cheste so’ ccose ’e curiellate!... liarò, chi o sape a sto Lupino?

’O Barone — ’On Nicò! ’on Nicò, mo ne volite troppo!

Rusalia — Mammà... Mammà.-, allascateme ’o curzè-.. i’ me sento manca ’o respiro...

’A Barunessa — Vuje in’ ’a volite fa’ muri st’anema ’e Dio! CO Barone} e a Barunessa stanno attuorno a Rusalia).

’On Nicola — Io me sto magnanno l’anema!... (Se va a assetta ncoppa a ’o scalino alt uomo a ’o puzzo e se mette ’e minane nj accia).

Rusalia — No ’vve mettite appaura, Papà... M’e passate... Me sento bona... Ve ne potite ji,.. (Vasa a ’o Barone e fa Baruncssa)... S’è fatto notte e sta venenno pure a chiovere... Facite prìesto si non ve vene l’acqua ’n cuòllo... Nce sta Rusella che m’ajuia... Tengo ’o stonimaco mpietto.. Chillo me leva ’a salute!... Me ne vaco ’a cuccà senza cenà. (A Don Nicola che sta ancora assettato ncoppa a ’o scalino co ’a capfL che le penne mpietto, comme a ’nu cundaruiato) Cenate vuje! cenate vuje su lo! (Se ne trase).

’On Nicola — Tutto è ppoco!... Tutto è ppoco!

’O Barone — E overo tutto è poco pe chello che ve meritate !

’A Barunessa — Lassatele cocere co l’acqua soja stessa! E jammoncenne, che l’acqua è ’n terra.

’O Barone — Jateve a cuccà, ’on Nicò e scetateve co’

i ’ ’ata capa ! (Se ne vanno p’ ’o cajiciello isso e ’a Barunessa).

’On Nicola — M’hanno fatto scetà senza capa!... Me sbattarria ’a capa ’n faccia a ’o muro!

Rusella — E si ve site scelato senza capa e non ’a tenite diiù ’a capa, comme V’ ’a putite sbattere ’n facc a ’o muro?

’On Nicola — (aizatuiose da ’o scalino e currennole Vi cuoi lo) Mo me le magno a.mmorze!

’On Nicola — (sulo) E diceno ca ’o Serpente ammalizziaje a Èva! .. Addò!... Èva ammalizziaje a ’o Serpente!... Cielo ajuteme!... So’ ’nu pover’ommo... Aggio fatto ’a ciucciaria, ma ’a sio seunlaimo a lacreme ’e sanghe... Ajuteme, Cielo! Levammella ’n tuorno a cheli» nfaina!.. Chella bave sempre raggione essa!"’ Io nce re in in a no sempe ’a sotto... [p. 142 càgna]- 142 Rusella — scapjxi dinto ’a casa.

Trase Lupino p’ ’o canciello.

’On Nicola — afferra Lupino p ’o cravatlino•

Lupino — Ca vuje me strafucate!

’On Nicola — Ma cornine? tu non ssì ’o servitore ’e chillo Angelo Custode?

Lupino — Cornine no?

’On Nicola — Sì o ll0?!

Lupino — Tanto è overo ca chesrtc so’ cinquanta lire... Io aggio ditto a ’o Signorino: Io me so’ fatto ’o culono; ma chillo, culono, non è ’nu muorto ’e famma che nce se ponno mettere do je o Ire lire minano...

’On Nicola — Schiaffacelle ’n faccia ste cinquanta lire...

Lupino — Ma che ve mettitc appaura ’e non avè ’a Reven ii et a ’e tahacche?...

’On Nicola — (pe paura ’e farse scupri). Eh!... propeto accussi!... Tu tc nc vuò asci co cinquanta lire; me vuò vennero ’o llardo into a’Aura!

Lupino — Pigliatele ’e cinquanta lire, che vuje avite chesto e elicilo.

’On Nicola — Mjette cca...! Pe sfizio!... ’A voglio fa’ pavà a isso ’a catena co’ ’o catenaccio pe nchiudere ’o canciello!

Lupino — Embc, vuje nce rompite l’ova minane:: si chiùritc ’o canciello, ’o signurino stanotte comme trase?

’On Nicola — Ha da trasì stanotte?!!!

Lupino — E ’a signurina comm’esce?

’On Nicola — Ah?! isso ha da trasì e essa ha da asci?

Lupino — Si non ce tenite mano, cca facimmo ’ammore co ’c monache!

’On Nicola — (facenno ’na pezzata) Statte! ca non chiudo!

Lupino — Chillo ha da trasì...

’On Nicola — E trasesse! (Da ppe isso) (Mo ’e faccio ncappà ncoppa a ’o fatto).

Lupino — Io me vaco a mettere ’e piantone-•.

’On Nicola — E pecchè ssì venuto?

Lupino — Pe ve portà ’e cinquanta lire... Non me facite perdere chiù tiempo! (Piglia 9na currera e se• ne va).

’On Nicola — (sulo, va sotto a ’o barco,ne) Vurpariè!!!-Yurpariè!... Vurpariè!... Mannaggia chi non te spile ’e recchiel. Yurpariè!...

Vurpariello — (uffaccicuinose co ’na cazzarola mmano?) Che vulite?

’On Nicola — Scinne! scinne ampressa!

Vurpariello — Chiste ’e pullaste hanno pigliato ’e fummo—

’On Nicola — Non fa niente! Scinne! Rumpete ’e gamme!

Vurpariello — Se volta a scen/itre.

’On Nicola — (tutto priato) Mo vedimmo si bave rnggione [p. 143 càgna]- 143 sriiipi’ <‘ss;ì • ’a fa00’ ’ ’ pigbà c’ ’o lardo ’n cuollo da ’o patre e (la ’a inanima! ’A voglio fa’ chiagnere a lacreme ’e sanghe!

Vurpariello — Eccome cca... Cca schezzechea! (Guarda ’o rido).

’On Nicola — Levate ’o mantesino... No, non fa niente: è notte e nisciuno te vede...

Vurpariello — Ma ch’è stato?

’On Nicola — "O servitore ’e chillo don frichino...

VlRPARIELLO — Lupino?

’On Nicola — Eh, Lupino! M’ha pigliato p’ ’o colono... cioè aggio fatto vedè io ca ero ’o colono: l’aggio amminacciato

V chiainmà ’e gguardie: chillo s’è misso appaura... m’ha prunimiso ’na Revenneta ’e tabacco e m’ ha purtato pure cinquanta lire p’ ’accunto.

Vurpariello — (danno ’nu zampo) Sanghe d’ ’a maruzzal ’E cinquanta lire l’ha purtate a vuje?!

’O Nicoli — Ebbi ccà...

Vurpariello — Ah piezzo ’e galiota!

’On Nicola — E mo è venuto ’o momento mio, e ’a muglierema l’aggio ’a ffa’ piglia ncoppa a ’o fatto!

Vurpariello —. Ah figlio ’e bbona femmena! ’E cinquanta lire l’ha portate a vuje?!

’On Nicola — E mo vedo se me vuò bbene! Fa ’nu zumpo, curre da ’o’ Barone, dille che venisse subbeto cca, mo pe mmo! primma ’e mo!

Vurpariello — E si chilo non vo’ veni?

’On Nicola —. Tiralo a’ dinto ’o lietto! Trova ’a scusa......

Vurpariello — Mo dico che v’è venuto ’nu tocco...

’On Nicola — A ll’ossa toje!

Vurpariello — E non capite?! Si le dico accussì chille se volta a romperse ’e gamme, pecche l’ha ditto...

’On Nicola — Oh’ha ditto?

Vurpariello — Oa si vuje inurite,, isso ha da sta’ co tanto d’uocchie, pecche io e muglicrema putimmo fa’ n’arravuogliacuosemo... Lassateme fa’ comme dico io!... Ha purtato ’e cinquanta lire a vuje!... Le voglio cosere io ’o vestito!.... jate ncoppa, ma non cenate! Io aggio truvate tre cape ’e papagno dinto ’a cazzarole d’ ’e pullaste... Tre cape! Capite?... Pecchè accussì vuje V’ addurmite a suonno chino e lloro fanno ’o commodo loro (Piglia ’na currrra e se ne va p’9o randello).

’On Nicola — (su/o). A ll’anema’ ’e l’assassina! M’ha misso ’c cape V piipagne dinto a V pullaste?! E ehella me po’ da’ pure ’na hnhhn pe’ farme fa’ ’a morte d’ ’e scarrafune!... Oielo ajuteme!... Truove! tu ’nu remmedio!...

Rusella ’a coppa 7> barcone

Rusella — Neh! vuje vulite veni a cenà? 0« chille ’e pullaste so cuotte e stracuotte. [p. 144 càgna]jnac

’On Nicola _ Niente! No bboglio cena! Me sento ’o stom ■o mpietto... Me vaco a cuccà diurio.

RrsKM a _ E’ addò ve jate a cucca? chella a signunna

s’è «chiusa ’a dinto c ha ditto che dinto a’ cammera soja vuje non ce avite mettere chiù pede!... E io v’aggio fatto ’o lietto dinto a’ cammera ’e cumpagnia.

’Ov Nicola — (da ppe. isso) Vi cornine l’hanno combinata bona !

RrsELLA —- E ve ne state Hoco fora? Trasitevenne ca eh io ve !

’Ox Nicola — E mo ine ne traso... (S’annasco,nnc sotto ’a l’arco <V’a porta).

Lupino mmocca a yo concililo

Li fino — St! St... Rusè!

R r S ELLA — Lupi...

Lupino Ohclla Luisella s’ ’c miso a ffa’ ’a culata sotto a fenesta... e chillo ’o signorino comme saglie?

Rr sella —- Dincello che venesse pe dda cca... Don Nicola s’è jufo a cuccà diuno... Va! fa priesto!

Lupino — E’ vutleme ’nu vaso!

Rusella — ’A luntano? E che te ne faje! Fa priesto! Mo scenimmo io e a Signurina.

Lupino se ne va c Rusella se ne trase

’On Nicola — (siilo) E cca sto io! Lloro esceno, io ’e nzerro ’a fora e ’o Barone ’c piglia, ’n castagna nzieme... (S’awiasconne V fìnneo ’a vorta)

Rusalia — (ascenno co Rusella) Me sbatte ’o core... Rusella — Tenite ’o sciallo?

Rusalia — 0 vvì cca..

’On Nicola — vuatto vuatto se nfìla dinto e nzerra ’a porta senza fa’ rummore.

Rusella — E ’o cappiello?

Rusalia — Mo m’ ’o metto... Tiene ’nu spingulone?

Rusella — E addò ’o piglio? Dateme ’a balicella a me...

Vene don Angiolino

Rusalia — Ab, Angiolino mio bello (Nce se votte dinto a

V braccia).

Rusella — Meh! vuttatc ’c minane, ca si vene maritemo, avimmo fenilo ’e pazzià.

Angiolino — E ’a carrozza non è venuta ancora! Aggio misso a Lupino ’e gguardia a ’o puntone...

Rusalia — Ah! che parpeto ’e core!

Angiolino — Rusalia mia, non te mettere appaura! [p. 145 càgna]

Rusalia —. Io me metto appaura ’e papà: papà me vo fa sta’ pe fforza co maritemo...

Rusella — Si no a papà le vene meno ’a mangiatora: ’a mangi at ora è vascia...

Rusalia — Rusè, non di’ ste ecose!

Angiolino — E i’ l’aveva capito...

Rusella — Jate! vedite si e venuto ’a carrozza!

Angiolino — Io sbatte tre vote ’e mmane e chisto è ’o segnale, (Sr ne va currenno).

Rusalia — Oca chiove...

Rusella — E arreparammoce sotto a’ l’arco d’ ’a porta. Uh! e cca ’a porta sta nchiusa!

Rusalia — E chi 1’ ha nchiusa?

’On Nicola (da coppa ’o barcone) Chi sfrucolea ’n faccia ’a porta?

Rosalia — Uh, Madonna!

’On Nico-la — Chi sta lloco?

Rusalia — Comme facimme?

’On Nicola — Chi è?

Rusella — Amice!

’On Nicola — Amice?! A ll’anema ?e l’amice! Nemmice co ’a scuppetta mpustata...

Rusella — Chi ha nchiusa ’a porta?

’On Nicola — So’ stato ’io.

Rusella — E pecchè?

’On Nicola — Tarde arrivaste e male alluggiaste!

Rusella — (a Rusalia sottovoce!) Stateve zitta! Don Angiolino vene, vuje ve Tie jate e non fa niente che io resto! Rusalia — Chillo me vede!

Rusella — E ch’è ffatto gatta che nce vede ’e notte?

’On Nicola — E che d’è? V’è scesa ’a lengua ’nganna? Non parlate chiù?

Rusella — Ca chiove!... Aprite ’a porta!

’On Nicola —. Mo nce metto pure ’a varra...

Rusella — Ma me Volito fa piglià ’na puntura?!

’On Nicola — A te solamente?

Rusella —< E a chi auto?

’On Nicola — A chcll’auta bona cristiana d’ ’a patrona tojav..

Rusella — E addò sta?

’On Nicola — Sta lloco...

Rusalia — Uh, Madonna!

Rusella — Chella s’è cuccata...

’On Nicola — Into a ’o lietto non ce sta; aggio girato pe

tutta ’a casa e non ce sta...’

Rusella — Vedite ncoppa ’o suppigno...

’On Nicola — Lloco sta! E lloco ffora avite ’a mori tutt’e doje! Mo vene ’o Barone e lloco fora v’ha da trovà. [p. 146 càgna]— 146 Rusalia —> Uh. mamma mia! .. Si me trova’., comme faccio?!

’On Nicola — Tante vote va ’a lancclla into a ’o puzzo Mino a che nce lascia ’a mancca!

Rusalia — Nuje simmo asciute a piglià ’na Vuccata d’aria.

’On Nicola — Seh! co chisto tiempo, picciuso... Barò! Barò !

Rusalia — Ah, pe l’ammore ’e Ddio!...

’On Nicola — Ah mo v’ è turnata ’a voce?....

Rusalia — Facitelo pe tutte ’c Sante!

’On Nicola — E raccomannateve a Santo Ohiuppillo! Vuje tenite p’avvucato a Santo Ohiuppillo che ’a facettg a ’o Demmonio! Ve facesse fa’ isso ’na penzata!.... Una ’e chelle penzate voste pe mpapucchià a me a ’o Barone c a tutte quante.... Mo se vede che site capace ’e fa’... Lloco te voglio, zuoppo, a sta sagli ut a...

Rusalia — Vuje me facit^ accidere ’a papà!

’On Nicola — Vuje sapite asci ’a dinto a ’o ffuoco! Facite ’na bella penzata, ’na tirata ’e mente!

Rusalia — (a Rusella sottovoce). E l’aggio fatta!

Rusella — Àvimmo fatta ’a frittata.

Rusalia — Perdunateme! Aggio tuorto! So’ ’na birbanta! Facitelo per carità! Non me facite chiù nfonnere cca fora! Non me facite trovà cca fora!

’On Nicola — Lloco avite muri!

Rusalia — Io ve cerco perduono!

’On Nicola — E’ venuto ’o momento mio!

Rusalia — Io me cagno!

’On Nicola — Vizio ’e natura nfìno ’a fossa dura!

Rusalia — Io’ve voglio bbene!

’On Nicola — Tanto è overo che m’avite misse ’e ccape ’e papagne dinte ’e pullaste.

Rusella — E comme l’ha saputo?!

Rusalia — Ve ggiuro che no ve dò chiù dispiacere! Non me facite trovà da papà! Chillo m’accide!....

’On Nicola — E io piglio ’nu terno!

Rusalia — Ah, si? non me vulite perdonà?

’On Nicola — Manco si seenne san Nicola d’ ’o Paraviso!

Rusella — Facitelo per carità!

’On Nicola — E,’ fatta ’a lemmosena!

Rusalia — (sottovoce a Rusella). Si me ne vaco p’ ’o canciello me ncontro co papà... Aggie ’a trasi dinto e po me ne scenno p’ ’a Teneste... Piglia ’na preta, ’na preta grossa, e che faccio avvede che me ietto dinto ’o puzzo, jettac^ ’a preta’ ’. Tu strille, chillo esce... e i° nie mpizze dinto... e jo’ me ne aceo" no p’ ’a fenesta e non me ’ncontro co papà....

Rusella — E addò ’a trovo ’na preta grossa? Mo nce votto ’a balicella... [p. 147 càgna]— 147 Rusalia — Tu ssi pazza! Llà ncc stanno è ccose d’oro mie u dinto! Piglia ’nu vasulo fora ’o canciello....

’On Nicola — E che d’ è? Mo non scacatejate chiù?

Rusalia — Io ve vaso ’e romane!

’On Nicola — E ’e piede quanno so’ ccuotte.

Rusalia — Vedite ca io me votto dint’ ’o puzzo!

’Ox Nicola — E starnino ’o mese Austo e ’nu bagno ncc •dice---.

Rusella — (lurnanno co ’nu vasulo mbraccio). A ll’anema ’c comme pesa ! (Posa ’o vasulo ncoppa a ’o puzzo)

Rusalia — Vedite ca io me volto?!

’On Nicola — Fate il comodo vostro!

Rusella — Oh ella, a cesterna è futa!

’On Nicola — Chi ’o ddice non ’o ffa.

Rusalia — Ah, chi ’o dice non ’o ffa?! E mo Ve faccio vede si ’o faccio! (A Rusella sottovoce) Votta ’a preta!... E strillai (Piglia ’a balicella e s’annasconne• addereto ’a porta)

Rusella (votta ’a preta e dà ’nu stillo che se sente nu miglio lunlano) Ajutol... Aijuto!: Currite!.... Gente!... Gente!...Assassino!... Assassino!... Scennite!-.. ’A s:gnurina s’è vuttata into a ’o puzzo!... Avite ’a ji’ ’n galera!... Gente!... Gente!.... Assassino!

’On Nicola — seenne tremmanno, cu ’na cannela allummata nimano.

Rusella — Io non ne voglio sapè niente! Non ne voglio sapè niente! Site state vuje!... Site state vuje!...

’Ox Nicola — (tremanno, co ’na voce ’e pianto, affacciato ncoppa a ’o puzzo e faceimo lume dhito a ’o puzzo). E... io... cca non sento nisciuno muvimento int’a l’acqua!

Rusalia — se-1tipizza dint’ a porta e ’a nzerra co ’a chiave a doje vutate.

Rusella — E mo ’o sentite ’o movimento.

Rusalia — (affacciannose da ’o balcone). Neh! don Nicò, e che state facenno? State vedenno ’a luna dinto a ’o puzzo?

’On Nicola — Uh!... Chella sta llà ncoppa? Mo Vengo e te scanno, no mporta che vado ’n galera!

Rusalia — Si truvasseve ’a porta aperta!

’On Nicola — se mozzeca ’e mmane.

Rusella (da ppe essa). E mo aggio avvisà Lupino che nce ne scennimmo p’ ’a fenesta... (Va p’asci p’ ’o canciello e sbatte ’n faccia ’o Barone).

’O Barone — E che malora!...

Rusella — E che saccio!...

’O Barone — E’ muorto?... E’ muorto?

Ritsella — Chi?

’A Barunessa — Don Nicola?!

Rusella — Passasse Vangelo e dicesse: Amen! (Se ne j a currenno). [p. 148 càgna]— 148 ’O Barone — E ch’è siato?! ’On Nicò-! Vurpariello nc’èvemito a dicere che v’era venuto ’nu moto!

’On Nicola — E me sla venenno!... Me sta venenno!...

’A Barunessa — Ma ch’è stato?

Rusaija -— (V/ copjm ’o barcone). E’ stato... è stato che mentre io durmeva, io po\era nnucente, isso se n’è scappato da ’o lietto senza farse seniore e se n’è ghiuto a sta’ co Luisella ’a lavannara ! Sto femmeniero! Sto secuta vaiasse!

’On Nicola -- Io?!!! Io?!!

|0 Barone — Comme?... Comme?!

’On Nicola — Non è overo non è overo!

Rusalia — Avite capito, papà?! Avite capito, mamma?!... Me lassa, a mine durmenno» e isso, ’e notte, se ne va a ffa’ ’e scrianzatezze soje fore ’c casa!

’On Nicola — Non è overo! Non è overo!

’O Barone — Ma vuje site ’nu puorco overo!

’On Nicola — Buscie! Buscie! Chclla tene o Diavolo’n cuorpo!

’O Barone — Chclla ha ragione!

’On Nicola — Io mo me strafoco co ’a fune d’ ’o puzzo!

Rusalia — Co’ ’na mugliera figliola cumme a mme!

’On Nicola — E’ ’na nfamità! è ’na nfamità!

’A Barunessa — Scustumatonc!

’O Barone — Scustumatone!

’On Nicola — E dateme ’n cuollo! Dateme ’n cuollo! Me merito tutto! L’aggio voluto io!...

Rusalia — Io me sveglio e no m’ ’o trovo vicino... E allora nzerro ’a porta... E ’o faccio resta lloco fora; e lloco ha da muri: cca dinto non nce ha da mettere chiù pede!

’On Nicola — (s’affaccia ’ncoppa a ’o puzzo) Embè, è meglio che moro! anema e curaggio... (Pe se vuttà intt9o puzzo) ’O Barone — (’o muntene) E mo che vulite fa’?! Site pazzo!

Rusalia — Facitelo vuttà! Facitelo vuttà!...

’On Nicola — Pe dà gusto a chella nfama? No!

’A Barunessa — Arape, cca mo venimmo nuje...

Rusaua — Vuje pazziate?! Si arapo pe ffa’ trasì a vuje, trase pure isso! Jesse a’ lucanna! jesse a’ lucanna!

’On Nicola — Ah, nfama! Ah, nfama, Ah, nfama!

Rusalia — Papà, mammà, jatevenno a’ casa!

’A Barunessa — Arape!

Rusalia — Non nce penzate! non arapo... Ma V’ ’o ddico ’na vota pe ssempe, da mo in poi isso se fa ’o fatto sujo e io me faccio ’o fatto mio! Sparlenza!... Niente!... Non ne voglio sapè cchiù niente! ... Spartenza! M’assegna tanto a ’o mese e me mette nomme penna! Me ne vado! Bona notte! Bona notte! (Se ne frase e nzerra ’o barcone).

’A Barunessa — Jammoncenno, Barò! Non nce dammo cchiù confidenza a sto scostumatone! [p. 149 càgna]— 149 ’O Barone — Lassa ’a mogliera figliola pe ghi a sta co’ ’na

vecchia!

’A Barunessa — Assegnatece tanto a ’o mese e ognuno se vede/o fatto sujo! Scostumatone! (S’abbiano p"o canciello). Arapite ’o mbrello, Barò!

’On Nicola — (salo, affannanno) ’Aggio ’a muri. Cheslo me spetta! aggio ’a muri!-.. Mparateve cafune: Mparate 9n cuollo a mme!.... Non c’è chiù remmedio!... Me so raccummannato a ’o Cielo e manch’isso nce po’! Manche Dio n’ ’ po’ leva ’a tuorno!

Vurpariello, venerino9 currenno e piccianno.

Vurpariello — Patro!... Patrò... Patrò...

’On Nicola — Tu non tiene chiù patrone... so’ mmoruto! Vurpariello — Chella se n’è scappata!

’On Nicola — Ohi?

Vurpariello — Co ’o nammurato!

’On Nicola — Chi?

Vurpariello — Donna Rusalia!

’On Nicola — E pe ddò è passata?

Vurpariello — Se n’è scesa p’ ’a fenesta d’ ’a massaria... Me l’ha ditto Luisella tutta priata.... E l’aggio visto pur’io, co l’uocchie mieje, dinto ’a carrozza, che jeva comme ’o viento. E se n’è scappata pure muglierema!... Ma io le coito appriesso! (Se ne va 9e correrà).

’On Nicola — (sulo arape ’e braccia, sfaddenocchia ’n terra). Cielo, te ringrazio! E truvato ’o remmedio! Se n’è scappata! Me l’he luvata ’a tuorno. Mo campo fino a cient’anne! (Torna a vasa ’n terra) S’ acala ’o t elone [p. 151 càgna]E, ddoje catene

PERZUNAGGE

CARMELA, mogliera ’e PAPELE

CRISTINELLA nepote ’e Carmela CIRO, furiere d’ ’e Cannuniere d’ ’a Marina Riale CUMPA’ NICOLA PERZECHELLA, serva ’e Carmela. [p. 152 càgna]•E DDOJE CATENE

VI primma cammera comme se frase dint’a casa ’e Papele e Carmela a Torre d’o Grieco. Cumpà Nicola e Papele fraseno chiare hiarian no ri’ ’a porta e sfrata.

Nicola. I’u che capa tiene? Vi che tu ’o passe ’o guaio!

Papele. Che guaio? Io tengo chill’angelo ’e mugliera! Si non ni’ ’a fosse pigliata, io dama fuoco a l’erba verda Pe ni’ ’a piglia !

Nicola. Vi che ’o diavolo, primma d’essere diavolo, era angelo pur isso!

Papele. Va a fa ’a spia pe’ dinto ’al mascatura df ’a porla d’ ’a cucina, e po nce mette ’a recchia rifaccia pe sentere.

Nicola. Vaje meUenne l’uocchie e ’e recchie pe tutte ’e pertose e P9 dice che non si geluso!

Trase Perzechella

Perzechella arapenno, ’e botto, ’a porta d’ ’a cucina ’a sbatte ’nfaccia ’a Papele.

Papele. All’arma ’e mammeta.

Perzechella. E che malora! M’avite fatto speretà d’ ’a paura.

Papele. Guè, io me faccio male e chella se mette appaura!

Perzechella. E comme? aviveve da jì addò ’o miedeco p’ ’o male ’e luna?

Nicola. Chisto si nun sta sotto ’a pettola d’ ’a mugliera!...

Perzechella. E jate addò ’o miedeco, chè quanno uno tene ’o minale ’e luna, d’ ’a mugliera se n’ha da scurdà!...

Papele. E... nioglierema addò sta?

Perzechella. Dinto a ’o boschetto ’e Puortece.

Papele (aumbr annose). Dinf’o boschetto?

Nicola. Uah! manco si llà nce stessero l’animale feroce!

Perzechella. Chella è juta c’ ’a nepote...

Nicola. Te mettisse paura pure si va co Cristinella?

Papele (capuzzianno). Dinto a ’o buschetto... Nu luogo sulagno...

Perzechella. Chelln non è frmmena che s’ ’o mmereta sto pensiero fauzo che ve site mise ’ncapa. [p. 153 càgna]- 153 Nicola. Vi che, a Napule, chella facette fa ’e nummere dinf’a Pignasecca!

Papele. ’O dicite a me?!... Io chella matina, me voleva accatta ’nu palammcto... E chillo, ’o pisciavinnolo, ne teneva uno frisco e n’auto che puzzava a mille peste. Io volevo ’o palammcto frisco... E chillo, pe fforza, me voleva mmuccà ’o palammeto fetente. Allora, i’ me facette brutto, me mettette ’ncoppa ’o punto, e tanto facette che chillo, ’o pisciavinnolo, ine schiaffaje ’o palammeto ’n faccia...

Nicola. ’O frisco?...

Papele. No, ’o fetente...

Nicola. Ma tu pecchè te vuò fa piglia pe cchiìi scemo ’e chillo che ssi?...

Papele. Eh no... pecchè... chillo jette pe schiaffarlo ’n faccia a mme, e, pe sbaglio, ’o cuglictte ’n faccia a Carmela, che» a chillo momento me passava pe vicino.

Perzechella. Eh. ncc steva io pure presente...

Papele. S’arrevutajc ’a Pignasecca!

Perzechella. Donna Carmela addeventaje ’na vufera sozzata: scippale ’a valanza ’a mano ’o pisciavinnolo... e che vediste, neh! Nu serra serra!

Papele. Rummanetteme solamente io e Carmela mmiezo a ’o vico...

Perzechella. E vuje rummanisteve pecchè, p’ ’a paura, v’era venuto ’o mmale ’e luna...

Papele. E chella Carmela me mettette dinto a ’na caruzzella e me purtaje a ddo mammema... Me sparaje ’na freva!...

Nicola. ’Mammeta teneva ciente cape ’e cerviello!... Sapeva che, a morta soja, te sarrisse trovato comme ’a na criatura sperduta.

Papele. E tanto me stette attuorno mammema che me facette sposà a Carmela...

Perzechella. Primma ’e morì, vicino a ’o lietto sujo stesso...

Nicola. ’Na mamma le morette e n’ata ne ncappaje!...

Papele. Chillo, ’o Signore, nzerra ’na porta e arape ’nu purtonc.

Nicola. E over’è: manca ’na mamma po’ tenè a pacienza che tene mogliereta co tte!

Papele. Chclla m’ ’e tutto! M’è mamma, m’è sora\ m’è mogliera...

Nicola. Ma si le faje capì che po’ mettere ’o pede sparo, succede che chello che non t’ha fatto, t’ ’o ffa e t’ ’o ninnerete t

Papele. Facilitino accossì: dicitencello che me so tornato pc le porla sto mazzetto. (Dà nu mazzetto ci Nicola).

Nicola, (guardanno p’a porta d"a strada). ’A vi lloco!... Non le fa vede!... Vattenne p’ ’o giardino...

Papele. ’A voglio vede ’nu poco p’ ’a senga d’ ’a porta...

Nicola. Basta che te rumpe V gamme!... (’O votta pe n"o

fa i). [p. 154 càgna]— 154 Papele (sotto a porta d’ ’a cucina). ’Nu poco p’ ’a senea... (Se ne ini).

Nicola. Oh, grazie a Dio!

Perzechella. Pe ffa ’o marito a chillo nce vonno ’e furcinelle!

Nicola. Chclla bellezza ’e femmena, che vottarria ’nterra ’na montagna, s’è juto a piglia chisto cippo ’e guaje!

Traseno Carmela e Cristinella d’ ’a porta ’e strata.

Carmela. Uh, ’o Cumpare!

Cristinella. Oh! finalmente? Ve sto aspettanno co l’ova ’m pietto!

Perzechella (a Carmela). Vuje volite niente ’a me?...

Carmela. Stalle attiento a ’o brodo ’e Papele.

Perzechella. Non dubitate ! (Se ne va dinto 9a cucina).

Cristinella (a Nicola). Jammo!... dicite!....

Nicola. E mmò!...

Cristinella. E. si non parlate che site venuto a fa?

Nicola. So’ venuto... primma ’e tutto (a Carmela) pe ve dà sto mazzetto...

Carmela. E ched’e, jate portanno mazziette?

Nicola. Chillo, Papele, s’è tornato arroto pe ve porta sto mazzetto...

Carmela. Uh, povero Papele!

Cristinella. E jammo! Paterno che v’ha ditto?

Nicola. Patcto ha avuto ’a mmasciata da parte d’ ’o patre ’e Ciro, che sta mbarcato ’ncoppa ’a Garibaldi•

Carmela. Ciro?...

Nicola. Eh, Ciro....

Carmela. ’O figlio ’e Gaforiele abbascio Calastro?

Nicola. Eh! ’o sopimmo che stato nfumata pe Ciro...

Carmela (nzerianno ’e diente). Have ragione che mo so maretata !

Nicola. Addò nc’è stato ’o ffuoco, ’o nniro ’e fummo restat

Carmela (rosecanno). Io nce facette ammore tre anne... e avevenio pure cacciate ’e carte.... ’O voleva bene... ’O voleva bene overo...

Nicola. Viato ’o primm’ammore!...

Carmela. Ma po’ ’na matiria (nzerrea 9e diente) quanno isso steva c’ ’o bastimento a Massa va, nu compagno d’ ’o sujo, me fecette leggere ’a lettera che llà, isso se spassava co ’na nera, co n’abissinese, una ’e chella femmene animale... e a mme m’aveva misso a ’o ffrisco...

Nicola. E nzino a tanto che se spassava....

Carmela. Vuje che ve facite asci a vocca!

Nicola. E si sentite a isso have ragione isso..

Carmela. Addò?...

Nicola. ’E campane se senteno a chioppa. [p. 155 càgna]

Cristinella. ’Nu cristiano se mette co ’n ’animale?;’, na femmena nera?

Nicola. ’E femmene, o nere o janche o paunazze...

Carmela. Jatevenne! Jateve a scena c’ ’a rena ’e vitrera, cornine ’a ramina arruzzuta! Jateve a mettere dinto a ’o cufe’ naturo d’ ’a culata e faciteve vuttà ’n cuollo a liscia vollutaU.

E manco nce arrivate!...

Nicola {co ’na santa pacienza). E nce jammo a metter dinto a ’o cufenaturo...

Carmela. Voglio ringrazia a Ddio co ’e ddenocchie scuperte d’esserme sposato a Papele e no ’a isso!..

Cristinella. E sto Ciro, sto sciore ’e primmavera, paterno ’o Yo’ cunzignà justo a mme?... Ohello che non boglio all’uorto me nasce;

Nicola. Pateto te manno dicenno che isso mo è nostromo ’n coppa ’a Marta Pia, e tu non può sta ccà, a jettarte ’e spese a ddò Papele, pe tutta ’a vita toja...

Carmela. Non te ne ncaricà chillo Papele non dice niente...

Nicola. Papele non conta...

Carmela. Nonzignore, conta! pecchè io non so’ femmena che faccio tratta pe scemo a maritemo, si pure è scemo...

Nicola. Ma a buon cunto che volite fa’? Ciro n’ato poco e have ’o congedo... e pateto a Ciro te vo dà pe fforza...

Cristinella. Pe fforza?!.. Jate jà! ’O rre manco ’e surdate vo pe fforza!...

Nicola. Ma starnine a sentere! Tenimmo conziglio!

Carmela. Couziglio ’c volpe, rammaggio ’e galline!

Cristinella. Parlate camme si Tore non fosse figlio a vuje...

Nicola. Io faggio da fà sposà a figliemo Tore? E cca ’a cummara nce dà ’na mano... Nuje avimme da sparà appusato... avimmo da trasì p’ ’a fenesta...

Cristinella. O p’ ’a fenesta o p’ ’a porta, io a Tore me piglio!...

Carmela. O Tore o Ciro, l’uommene, so tutte ’e nu colore: non ce sta a chi da’ ’a mano deritta! Fanno tutt’evera fascio!

Nicola. Vi’ comme state nguttata!

Carmela. Nchiavecarse co ’na femmena nera!

Nicola (a Cristinella). Siente a mme: Chillo Ciro mo vene cca...

Carmela. Che ccosa?...

Nicola. E quanno è venuto, ’o puorco è ’o nuosto!

Carmela. Chi? Gomme? Addò vene?

Nicola. Se dice che ’o chiuovo nuovo caccia ’o viecchio: e’ sta vota, ’o chili vo viecchio non fà trasì ’o nuovo!

Carmela. Vuje che chiuvo ve site misso ’n capa? Ohi vene?

Cristinella (avvampannose d’ ’a collera). E comme vene accossì se ne va!... E primma che vene isso me ne vaco io! (Una votata s’abbia dinto ’e cammere ’e lielto). [p. 156 càgna]- 156 Nicola (jcjmole appriesso). Chillo (’irò torna a vcdè a donna Carmela e tu duorme a quatte cuscine...

Cristinella. Eh, si! duorme, duorme, co ’na carcara ’m piet.lo! (Se ne na).

Carmela (sola co Nicola). Vuje facile a palla corta, Oumpà: pe fa’ sposa Cristinella a ’o figlio vuosto, volite abbarrucà Ciro ’ncuollo a mme?

Nicola. Chillo sempe a vuje tene dinto ’o core! E have ragione: vuje facite abbaglia a vista pure a mine, che so’ bhiecchio.

Carmela. E Vuje aute uominene >o viecchie o figliule, site tulle una pasta ’e franfellicehe!

Nicola. Vuje, cca, a Ciro le facite veni ’nu poco d’appetite... Le date nu poco ’e mangianza...

Carmela. Se po’ annetta ’o musso!...

Nicola. Chillo non sape ancora ca ve site maritata...

Carmela. ’O sape. ’o sape! Ncc ’o facette sapè io pe mmasciata fatta, nfì all’Affreca, che rne sarria mare tata, e me sarria vuttata pure a rompenne ’a noce d’ ’o cuollo pe fa’ dispietto a isso.

Nicola. Ma vuje state ntussecata overo!

Carmela. E me dispiace una cosa solamente: ’o vaso che le dette, a chillo nfame, quanno par tette...

Nicola. Cummà, vuje volite mesurà l’ate co ’a mezacanna vosta e non ve trovate!

(’armela. Uno che ha avuto ’nu vaso da me, da ’na femll1 ena comme a mme, se va a mettere co una ’e chelle femmene {‘iiimale?... Ma ccà sotto non ce chiove!

Nicola. E levateve ’a preta a into ’a scarpa!....

Carmela. Vedile che comme stongo co ’a nevrature i’ ve faccio cliiammà allarme a tutte quante!...

Nicola. Vuje facite ’na botta e doje fucetolé! Ciro vene cca pe vede a Cristinella, torna a vedè a vuje, e non vo’ chiù a Cristinella...

Carmela. Vuje che cunte ve site fatto?

Nicola. Ma chillo Ciro lassaje isso a vuje ?

Carmela. Isso a mme?... Io era figliola ’a essere lassata ’a isso ?

Nicola. A buon cunto, ’o lassasteve vuje?

Carmela. I’ le mannaje a dicere, all’Africa, pe mmasciata fatta: pe dispietto tujo, doppo che m’aggio da piglià ’o ciuccio, m’ ’o cocco dinto a ’o lietto non mporta che co ’e fierre me sfonne ’e lenzole!

Nicola. Oooh! beneditto Ddio!

E mmo che succede?... Chillo vene pe vedè a Cristinella, non sapenno che cca nce state vuje torna a vedè a vuje ©•••

Carmela. Compà, io ve faccio pazzo!

Nicola. Ma che avite da fa’ overo?

(’armela (co rìallucco). Io so’ maretata!

Nicola. Uh, all’ebbreca ’e mo!... [p. 157 càgna]— 157 ( armela. lo cammino deritto!

PJ,cola. E nu poco ’a smerza che fa! Carmela. Che cosa?

Mirouv. Si ’o vedite! Co ’a medadia ’i

Nicola- Si ?o vedite! Co a medaglia ’mpietto!.....

Nicola. Si ’o vedite! Co ’a medaglia ’mpietto!..... Co tanta

medaglia d’argiento! Bello sul’isso!... Nu brillante!...

,1<! Carmela. ’A fore: e ’a dinto ’nu vrito ’e carrafone!

Nicola. Basta che vuje a chillo le date ’na meza guardata s0tto ste ceglie nere; l’uocchie non fanno corna!

Carmela. Appilate! ch’esce feccia!

Nicola. E che core tenite!

Carmela. Io tengo a maritemo, che tene ’a salute d’ ’a

carrafa d’ ’a zecca!

Nicola. Uuuh! State a vedè che Papele ve po’ mettere ’o pede ’nnante!.... Vuje comannate a bacchetta! Vuje ve site mis~ so ’o cazone.

Carmela. Sissignore! me l’aggio misso; ma no ’a mo! l’ag cazonel

mammema a ’o fraterno»

na vota sola m’ ’o levaje; e nce appizzaje nfino all’urdemo treculle!.... E m’era arredotta comme a ’na lacerta! Me cadevano

Y panile ’a cuollo! E se non fosse stato p’ ’o povero Papele, ch’è ricco, non fosse stato p’ ’a mamma ’e Papele, che non me lassujc ’e pedo pe m’ ’o fa’ spusà, a sfora starria ancora vonr niecanno centrelle, facenno ’a femmena ’e servizio a chisto, a chillo e chill’ato! Miedece, pagliette giudice, nutare, ’mpignature giuVene, vieccliie, una nzerta!... Pe quinnice o vinte lire o mese, vonno pure ’a verginità ’e ’na povera figliola, che tene sulo chello.... Jate, jà !... L’uommene, l’aggio avute pe mmane e tutte ’e manere! E uno sulo, uno sulo me credevo che non era d’ ’a nzerta....

Nicola. Ciro!...

Carmela. ’Nu giovane che te nce sarrisse confessato!... E po’ se scummigliaje ’a ramma pur’isso... Jate, jà . Una fescina e chiaccune!... ’O vizziuse o chiachielle!

Nicola. E si, chillo, Papele, è nu chiachicllo....

Carmela. E’ ’nu chiachiello, sissignore! ma nisciuno ha da ave l’ardire d’ ’o cuffià! E ’nu povero nfelice e hhasta!...

Nicola. E allora pecchè v’ ’o site spusato?

Carmela. P’ ’o difennere! Te capaceta? Me Faggio pigliato Primma pe no fà ji a mammema a ’o spitale e po’ pe dispietto’ pecchè Tuonimene me so’ venute a schifo’ .. N’avesse ’ncontrato uno ca non fosse viziuso! Uno! Miezo! All’arma d’ ’e mamme Moro! Stanno sempe affrisco affrisco!... ’O cehiù accrian/.ato fu je ’nu tenent iello d’ ’e bersagliere. tìglio d’ ’a patrona addò steva a servì... Armeno chillo, quanno me sontette dicere, co V laureine all’uocchie: «Signori, non tengo auto che l’annore’, armeno chillo se deHe arreto... K che Cristo!... K po ’na niatina [p. 158 càgna]

me dicet te: « Menò, sa che nc’è de nuovo? a mme me vene ’na tosa: levammo a paglia ’a vicino o ffuoco; vattenne, chè tu si troppo bbona! » E me dette pure quatto mesate.... Ma tutte fate?... A connnincià da chillo trippabbozio d’ ’o Priore, che fu ■(> santificete.... Arrassusià !... Nce ne stesse uno che ascesse d’ ’a razza!-.. E meglio accossi si so’ zctella ancora... M’ ’o ddiceno ’nfaccia, co ’na resella ’e carcerato, tutte ste bbone pezze iV ’o quartiere; che se credono ’e me da’ collera! tutte ste facce ’o tanimurriello pittate, che se volevano sposa loro a Papele pecchè ò ricco e pecche è scemo-... Se s’ ’o fossero pigliato Uopo, ifarriano fatte tavole e tavulclle!... M’ ’o so’ pigliato io, e mo io. a lloro le faccio ’na piata, a tutte ste canelle lente e pente che vanno passianno pe sotto e pe ncoppa e vanno mettermo ’e carticlle pe Napole che io so’ zetella ancora! E meglio accussì, si ’e figlie hanno ’a veni viziuse e schefenzuse comme a tutte st’i milurdine, tirate a zuco ’e caramella, comme a chillo brillante ’e don Ciro...

Nicola. E ’a lengua sbatte addò fa male ’a mola!

Carmela. Mille vote meglio Papele, sì sì!.... Io a Papele non ’o considero cornine a marito — ’o saccio che Ddio non ce ha chiammato! — ’o considero comme a ’na criatura dinto ’a casa....

Nicola. Embè, non v’avite manco da piglià Pincommodo d’ ’o porta ’n carrozza: chillo nce va ’a ppe isso!

Carmela. Cumpà, tu t’haje ’a mettere ’ncapa ’na cosa, ’na cosa che nce sta ’ncapa a mule e a tte non te trase: justo pe chesto, pecchè Papele è ’nu povero ’nfelice e che Pannore sujo non s’ ’o po’ defennere co ’e mmane soje, justo pe chesto, non ’o voglio ’ngannà, non ’o voglio fa messero!... Em^bè, tu eh; nce vuò fa?!.. Ognuno tene ’nu slizio! Si Papele fosse n’auto, si fosse n’ omino, che co ’na curtellata m’ ’ potesse fa’ pavà, si fosse ’nu canaglioiie ’e chistc, parola mia che nce t-roVarria sfizio; ma venerrìa ’a fantasia ’e le combinà ’o servizio!. Ma a chillo poveriello no!... L’annorc sujo non s’ ’o po’ defennere! Non c’è sfìzio, cumpà!

Trase nata vota Cristinella

Nicola. Ma pe ffa’ felice a sta povera bardasela? che se ne sta jenno ’n zogna ’n zogna?...

Cristinella. Io nce aggio penzato, zi Carmè; ’o cumpare dice ’na cosa... Si no, sto Ciro me fà passà nu guajo!... Chillo vede n’ata vota a vuje e non se piglia cchiù a mme... Vuje fazite vedè......

Carmela. Niente! Non me portate p’ ’e viche nun voglio a’ niente!

Nicola. E niente avite fa’ ! V’avite solo da sta zitta. Dicimll0 nuje che vuje site vedova!... A bucia ’a dicimmo nuje!... Reta a nuje ’ncoppa ’a cuscienza! [p. 159 càgna]— 159 Cristinella. Uli, zi Carmela mia...

Cibo, furiere cannuniere d’ ’a Marina Riale t vestuto a lic( hctto. c Vi medaglia d’argiento ’mpietto, cumparesce ’ mmocca Vi porta ’e faccia.

Cibo. E’ permesso?

Nicola. ’O vi lloco!

Ciro vede a Carmela e le seenne V/ lengua 9nganna e resta comme Vi na statua, co ’a vocca aperta.

Carmela (da pe essa). Mannagia! (guardanidio stuorto).

Nicola. E ched’è? Non trasitc? (’O va a piglia p a mana).

Cahmela (da pe essa nzerrianno ’e diente) S’ ’e fatto cchiu simpatico ’e elicilo che era sto mhiso! (Se vorria mozzccà ’e rumane).

Nicola. Me parite nu capone slorduto... E nzerrate sta vocca, ca si mino ’e siate e nce traseno 9 e mmosche.

(Ziro (a Carmela). Vuje cca?...

Carmela. Io cca.- sissignore (jìfragnennose ’nncuorpo).

Cristinella (sottovoce a Carmela). E non facile st’uocchie a cestaricllo!

Nicola. Vuje site venuto... già se sape....

Ciro (non sapenno citello che dice). Se sape., già so’ venuto.

Nicola. ’Pe vedè... a Cristinella....

Ciro. Già... pe vedè...

Nicola. Ma chella... Cristinella...

Cristinella.... non nce sta... E juta a ’o munastero... d’ ’a y.ia monaca...

Nicola. Già.... nce dispiace...

Ciro (nzerrianno V’ dente, guardanno a Carmela). E’ cosa ’e niente....

Nicola. Comme facimmo?

Carmela (scerìanjnose ’e mmane). E sentite a mme è mmegìio che facite passo...

Cristinella. Gnernò, gnemò! Mo jammo io e cumpà Nicola a ’o munastero.... E’ nu passo ’e via... ’A jammo a chiammà mvjt’...

Nicola. Si aspiette ’nu poco...

Ciro. Si sapevo... no nce veneVa-..

Cristinella. Se ve cuntentate d’aspettà?...

Ciro (sempe co U’uocchie ’e fuoco ’ncuollo a Carmela). < omme vulite vuje...

Cristinella (jenno a piglvà ’oi scialle). Cumpà, non ve ne jate che cca non saecio chello che ne vene!

Nicola (sottovoce a essa). Iih! site fatta ’a prova ’e mbomma !

Cristinella. Allora ’a commare ve tene compagnia ’nu momento.....

Nicola. Aspiette?...

Ciro. Aspetto... sissignore... [p. 160 càgna]— 160 Cnm/’i Nicola c Cristinella se ne vanno p"a porta da strada. ’Nu momento V silenzio.

Carmela. Embè!... ve state zitto?...

Ciro. E... ch’aggio ’a ffa’?... Me poteva maje mmaginà che cca ncoppa ncc ama trovato a vuje?.,. Chi s’ha da rompere ’a noce d’ ’o cuollo trova ’a strada ’a scuro...

Carmela. E ggià!...

(’irò. ’A femmena è comme a ’o gravone...

Carmela. Se sape...

Ciro. Stutato teglie e alluminato coce...

Carmela. E accussì è!-.’ Quanno ’na femmena è nera comme a ’nu ggravone l’omino, che ’nce se mbruscina vicino, addeventa fur isso niro e zuzzuso comme a ’nu ggravone mpurpato d’acqua: e non è cchiù buono a s’allummà! non è cchiù buono a cocerc! c hbuono sulo a tegnere! a tegnere solamente!

Ciro (ammulanno). E avite ragione vuje!

Carmela. E ssì! mo aggio tuorto!

Ciro. Me l’allicordo, ma l’allicordo che m’ ’o facisteve di’ re pure a Massaua. che io m’era misso co ’a schiava d’ ’a figUa ’e Ras Alula...

Carmela. Uh, faccia ’e cuorno! Io saccio leggere e scrivete !... ’A leggette io ’a lettera, che scriviste a ll’amice tuoje! m’ ’a leggette io stessa, co H’uocchie mieie!....

Ciro. E che diceva, che diceva? Vallicurdate hbuono?...

Carmela. Yatte! vatt’a mettere c’ ’a faccia dinto ’a munnezza!

Ciro. Mo v’ ’o ddico io! mo v’ ’o conto io comme fuje...

Carmela.... c comme non fu je...

Ciro. Chillo, ’o conte Savaroux, me volette porta co jsso... e jettemo llà ’mmiezo a chille animale.... ’A primm ’acchitto non cc faecltcro niente: ma po’ senza di’ nè aseno nè bestia, na bella ma ti na, nce attaccajeno a tutte quante comme a tante caprette e nce cumbinarono, uno cca, uno llà; sotto a ’e capanne... Io m’era portato ’o niandulino co nimico... e, chella. ’a figlia ’e Ras Alula m’addummanaje a che serveva ’o strumento....

Carmela. Non ’o sapeva ancora, povera ’nnucente!

Ciro. E io le rispunnette.

Carmela. Te si pure mparato a parlà abissinese?

Ciro. Rispunnette ’a signe... E chella, tuccanno tuccanno ’e \ ccorde, le venette ’o gulio ’e me sentì cantà....

Carmela. E tu ’a faciste cuntenta!

Ciro. Me facette levà ’c catene da ’e nimane...

Carmela. E’ chelle d’ ’e piede no?

Ciro. E me faceva fa’ ’na cantata a primma matina, n’ata ’a miezo juorno e n’ata a ventiquattore...

Carmela. Una a dilazione, n’auta a pranzo e n’auta a cena!....

Ciro. Chella po’, ’a schiava me portava ’o mmagnà a una[p. - càgna]



[p. - càgna]



[p. 161 càgna]- 161 scuso c se ile veneva, ’e notte, chiano chiamilo a sentì ’na canzone pur’essa...

Carmela. Aveva ragione, a puverella: ’a patrona tanto e a

essa niente!

Ciro. K io steva ncatenato c m’aveva da stà... E si faceva vcdè ’o spruceto, elicila me pigliava a morze...

Carmela, Povero galantomo; non era isso!

Ciro. E cchesto, chesto aggio scritto a iramice a Napole—

H vuje me facisteve risponnere, una votata, che io ve facevo schifo: che me ero nzanchiata l’anema e ’o cuorpo pecchè m’ero mi sso co n’animale; e che vii je, pe ripetere ’e parole ‘voste, ve sarrisseve maretata pure co’ ’nu ciuccio... E dicitemmello, facitemmella sta finezza, chi addumanna non fa errore- ’o voglio accanoscere sto ciuccio ferrato ’n quatto che ve site cuccato dinto a ’o lietto...

Toma Cristi nella

Cristinella. Uh.... vuje comme state a ccurto ’e nutizie; cliella è vedova...

Ciro (danno ’iiii zumpo p"a priezza). E’ vedova?!...

Carmela. Addò?... Vattenne!

Ciro. Vedova?

Carmela. So’ maretata!... So’ maretata!... Va! Va!... (Le vota 9 e spalle).

Cristinella (sottovoce a Ciro). ’O ddice pe ve n’abbià!

Ciro^ Uh, Carmela mia!...

Carmela. Mo me facite scappà ’a pacienza...

Cristinella ’a reto a ’e spalle 9e Carmela, fa segno a Ciro the no/i 9a stesse a credere.

Carmela (a Cristinella). Què, non fa ’o telegrafo!

Ciro. Ssi vedova?

Carmela. So’ mmaretata, mmaretata!...

Cristinella (fa segno che non è ov^ro).

Ciro. Me pare comme quanno, a mmare, ’mmiezo a ’nu cielo ’e nirefummo, s’allarieno ’e nuvole ’e botto, e te vene ’nfaccia ’nu raggio ’e sole!

Carmela. Vedite che cca ne vene ’nu sconquasso!

Ciro. Ssi vedova?

Carmela. So’ mmaretata! (Alluccajino).

Ciro. No mporta: l’ancnia conta, l’anema è zetella sempe!

Cristinella. Uh zi Carme, chisfto tene ’na parlatura che ne fa ji ’e capa a ’na femmena!

Carmela. Te ne vuò jì a fa’ benedi tu ’a primma?!

Ciro. Io faggio trovata n’ata vota e me pare ’nu suonno...

Carmela. E siente a mine che è nu suonno.

Ciro. Ma che aggio fatto? che peccato aggio fatto? Io stevo

ncatenato!... .

Carmela. E avimmo fatto e doje catene, a toja e a mia... [p. 162 càgna]162 —

(ino. <.-bella co ’na parola me faceva fa’ felle, felle!...

CRISTINELLA. PllVCricllo !...

Omo. E sapitc qua canzone cantava sempe? Chella che veneva a canlù, arbanno juorno, sotto ’a fene&ta vosta:

Tu si lo sole e ssì tutto tu sola; lo songo cornine a Varba solamente,

E senza ’o sole, senza te, so’ nniejnte!

So’ irniente!.-.. AlVommo levace Vammore,

Levare ’o sole a Varba e se ne more!

Cristinella (jennesenno ’nzuocolo). Uh’ chisio comme arape ’a vocca t’affattura !

Carmela se sta jitenerenno.

Ciro. E ’na matina che i ’steva appucundruto chiù ’e Tate vota e non ne volevo ’ncuorpo ’c cantà, elicila, comme a ’na tigre, ine dette ’nu muorzo ’nfaccia a sta recchia... Vedite! vedite co ll’uoccbic vuoste: nce ne manca ’nu piezzo...

(Cristinella. Pu veriello !.. .

Ciro. E ppo, era nera,, sissignore, ma aggio da dicere ’a verità, era pure ’na guagliona ’e sidice anne...

Carmela. Guè! Io me stevo mpiantosenno e chillo se ne vene che era ’na guagliona ’e sidice anne! Tomatenne mmiezo a chille animale, a chelle vufere nere!... Facite una miscula nza!...

Ciro (ngrif annose). Vi’ che io nce so’ stato n’ anno...

Carmela. E chi tratta co ’o zuoppo ’ncapo afi’anno zoppeca.....

Ciro. E’ nu poco animale nce so’ addeventatao!...

Carmela. E io so’ cristiana ancora!... Nire co nire e janche co janche!

Ciro. Ma comme i’ so’ nniro?

Carmela. Niro chiù d’ ’o niro d’ ’a seccia !

Ciro (afferra/mola p9 9e mane). Tu co st’uocchie ’e ffuoco...

Carmela. E quanno lasse?

Ciro. St’uocchie tigrate! (l9abbraccia).

Carmela. All’arma ’e mammeta!

Trase Papele

Papele vedenno che Ciro abbraccia a Carmela, te vene ’na chelleta, sconocchia una botta e cade ’nterra ’mmocca ’a porta.

Cristinella. Mamma d’ ’o Carmene!

Carmela. Papele!... Lassa! Puozze essere acciso! (Corre odm dò Papele).

Papele — Aiutatemi !

Carmela (chiammanno). Purziè! Purzièl...

Cristinella. Uh, Madonna!... (Aizeno 9a terra a. Pqpele e ’o sosteneno pe sotto 9e braccia).

Ciro. Ma... chisto chi è? [p. 163 càgna]- 163 Tnise Perzechella d’ ’a cucina e Nicola d’ ’a strada

Cristinella. Nu poco ’acito!...

Carmela. Chiammatc ’o iniedico!

Tiro. Ma... dii e chisto?

Perzecueli-A. Chisto more!

Nicola. E’ ccosa ’c niente, cosa ’e niente!

Carmela. Avete visto?? Io ’o ddiceva!...

Oro. Ma se po sapè chisto chi è?

Carmela. E’ maritemo! è maritemo!

Papele. Scuscienziala !...

Ciro. Ma comme? Mariteto non è muorto?...

Papele (s’aiza da copp’a seggio). Tengo tutte ’e spirete vitale!

(’irò. E ino finisce ’c campà ! (Caccia ’o curtiello9 che porta attaccato a ’o laccio che le penne nganna).

Perzechella e Cristinella danno nallucco vuttannose ’ mini e zo.

Nicola afferra Ciro p’ ’c spalle.

Papele. Tenitelo! (Tremmano comme ’na foglia e facenuose comma ’a no gliuommero).

Carmela (dà de mano a ’na seggia e $e votta a dif esine re Papele). Fremmete sa, pe la Madonna! Ca si tu tiene ’o curtiello, io so’ bbona ’e farte abballà ’ncoppa a ’na tredicinche!

Ciro. A mme?

Carmela. A ite!

Ciro. A me che tengo ’a medaglia?

Carmela. E ’e prodezze toje valle a fa’ all’Affreca ma <’ca non fa ’o farenella che troove ’a forma d’ ’a scarpa toja!

Papele. Avite capito?

Carmela. E accoccia tu p’ ’o primmo! (’o votta arreto).

Cristinella. Uh, mamma mia!

Perzechella. M’è squagliato ’o sango ’n cuollo.

Nicola, (tenenno a Ciro). E statte!

Ciro. Lassateme! (pe se votlà ’ncuollo a Papele).

Carmela. E n’ata vota mo!

Nicola. Puozze ciuncà! (Fa na fatica ’e vastaSQ pe manlene a Ciro, aiutato da Perzechella e da Cristinella).

Carmela. M’è marito! m’è marito! E chesto è tutto ’nu mbruoglio ch’hanno fatto p’ ’e fine lloro sta moscia mattea e sto bello cumpare che tengo... Io non so’ vedova! So maretata!... E si non ffosse auto, pe riconoscenza, pure arria a fa’ ’o dover© mio, pecche isso (Papele) è ricco e io era juta pezzenno, e isso jm’ha levata l’anema e ’o cuorpo ’a dinto ’c ppene. E si non è buono isso a defennerse, nce stongo io!...Jammo!... Chello Jie vene ne vene!

Papele. Avite capito?

Carmela. A pposto tu! (’o votta arreto).

Ciro. Chesto a mme? Chesto a mme? [p. 164 càgna]- 164 Carmela. Sissignore, te villette bene... Non me fa scuorno.— ’A verità pure ’iìfaccia ’a morte! Te vulette bbene assaje....

Papele. Assaje?...

Carmei^a.... Ma tu te mcttiste c’ ’a schiava ’0 Ras Alulal

Ciro. Io steva ncatenato!

Carmela. E ino sto ncatcnata io!

Ciro. Io non me poteva movere!

Carmela. E mmo no mine pozzo movere io!

Ciro. Ncatenato!... Ncatenato!....

Carmela. Sissignore; ma nce trovaste sfizio.

Papele. Scustumato!

Carmela (a mano smerza, a Papele). Mo t’ ’o dongo nu paccherò !

Nicola (tenenno a Viro che so i?o’ vot-tà ’ncuollo a Papele). Ma te vuo sta?

Ciro. Fnciteme scamazzà a chillo! E’ omino chillo?

Carmela. E si non è omino e’ n’omnio non ’o tengo a ffìan~ co, nè tengo uno a ffront^ c ppurc è ’nu sfizio! Jammo!

Nicola. Embè, Ci, che vuò fa?... Chella è mmaretata... ’O fatto è fatto!... Nce sta ’o sacramento...

Ciro (mozzccawiose coppola; c’ ’o ehianto che Vannozza 9nganna). E va bbene!... Si, serraje maretata, nce starrà ’o sacramento... ina sta nfamità l’iiaje da pavà... Ste lagreme, che m’ annozzeno ’nganna l’haje da pruvà tu pure, tu pure!... ’O Signore no ppava ’o sabbato... Io m’era raccumannato ’a Madonna pccchè m’avesse zuffunnato a mmare. e vuje m’avite carnato cca... e m’avite ditto che chella era vedova-... E cchesto 9o sacramento ’o permette, ove? Chesto sta bbene?

Carmela (a Nicola e a Cristina). Che v’aveva ditto?... ’O vedite?... M’avite misso d’a parte d’ ’o tuorto?....

Ciro. Aggio da vedè chella femmena, chella sciorta ’e femmena ’mmano a chi?...

Papele (facenno ’nu passo nnanze). Minano a chi?

Carmela le da’ ’no sbut-tolone.

Nicola. E bbasta mo!... Jammo... Vienetenne!...

Perzechella. Puveriello!

Nicola. ’Nu soldato che cliiagne! Miettatenne scuorno!

Ciro. Aggio visto ’a morte a faccia a faccia... e’ a ffronte ’e cliello chei soffro mo, ’a morte è niente! ’Mé potesse scippa ’o core e magnarmello a mmorze!...

Carmela. Che m’avite fatto?... Che m’avite cumbinato?... (Patenno ’e tutte ’e manere ye disperajmose).

Ciro. Non avite appaura chè non avite fatto niente... ’O core ’mpietto non l’rfvite maje tenuto!... A vite sempe tenuta ’a superbia!... E stateve bbona! Stasera me mmbarco... Lassateme, Cumpà!... Mmiezo a l’abissine, miezo a lloro voglio jì a farme fa’ a tanto ’o piezzo!... Lassatemela. (Co9 nu ditlore proprio verace, co nu schianto ’e morte, co nu strado che passa da [p. 165 càgna]165 parie apjMtrte Vane.ma V chi ’o sente). Io aggio perduto a Carmela mia!-., lo aggio perduto a Carmela mia!...

‘ Carmela (che se sente annuzzà ’nganna, sbotta a chiagnert non ne potemmo chiù). Uh, jateve a fa’ benedicere tutte quante !... Vuje che volito ’a me puverella?... vuje che m’avite fatto fa?... Chisto m’è marito... chillo steva ncatenato... chisto r.on è bbuono manco a essere aeciso... chillo se vo ji ’a fa’ fa’ a tanto ’0 piezzo... E jateve a fa’ benedì tutte quante che io non aggio fatto niente e sto patenno, sto patenno ’e ppene d’ ’a morie peggio ’e tutte quante! (Se volta ncoppa ’a seggia, e co ’« tracce ncoppa ’a Invola e ’a capa nxmiezo a ’e brocce co \’iu sulJuzzo ’e morl’e).

(’ll10. No, no: chi prova ’e ppene d’ ’a morte non site vuje!.. Campate!... Ve site sposalo a uno che tene ’e dudece carrine... e, dinto a nu bacile d’oro, io prego a Ddio che non ce jettate maje ’o sanglie!

Nicola. E jammo mo!... (strascejiannolo).

Ciro (minocca ’a porta se ferma, se vola n’ata vota, se scippa ’a medaglia ’a pieito e ’a jelta nnanze e ’e piede ’e darmela). Teli!... E dincello a sto cliiachiello che te si cuccato dintc lietto che se n’ahbuscasse pur isso una ’e cheste! Dincello !.. Yad’a muri! Tu campa!... (Se ne va).

Ciro. Ma primmo e ji a mori ve voglio lascia nall’icuord< (s<? leva ’a medaglia a pietto ’a vasa e a proje a Nicola). Daten cella!... Datencclla e... che dicesse a chillo chiachiello che s’< cuccato dinto a ’o lietto che se ne abbuscasse pur’isso uni ’c cliesta! (Po’ co mx dolore proprio verace, co nu schianto morte,: co nu strazio che passa ’o core a parie a parte) agg& perduto a Carmela mia! .. (Co cchiù dolore ’e voce)- Io aggi perduto a Carmela mia!... Io aggio perduto a Carmela mia!.. (Esce disperato).

Carmela sbotta a chiagnere come a na disperata pur’ ess cu ’a faccia nascosta rnmieze a ’e braccia ncoppa a tavola (Cala ’o sipario) [p. 167 càgna]’O miullo d’ ’a rota

PERZUNAGGE

ACHELE, soprannommenata « ’O sole ’e San Ferdinando » una ’e chelle fenimene che a quarantacinche anne, teneno ancora ’o fuoco d’ ’a giuventu int’ ’e vene e songhe ancora bbone, chiù bbone ’e na figliola ’e vint’anne.

rEFANO, frate sujo, nu mbriacone.

MALIA, figlia ’e Stefano, d’ ’o primmo lietto.

ITTORIO, sergente fuchista d’ ’a Marina Reale, nipote a Rachele, figlio ’e Mariano, n’ato frate ’e Rachele; muorto.

ARLUOCIO e CAROLINELLA, figlie d’ ’a bonanema ’e Sofia, che era figlia ’e Rachele.

IOCILLO, figlio ’e Custanza, sora ’e Rachele.

ON CIOCOPAOLO, omino abbasato patre ’e

MBERTO, furiere d’ ’e Berzagliere.

ATERINA, vicina ’e casa ’e Rachele. [p. 168 càgna]’O MIULLO D’ ’A ROTA

A Surriento dinto ’a casa ’e Rachele mmiezo a na massaria. Na lìdia stanza pulita cornine a nu specchio: nu tavuhno pe’ seri nere a inano deritta, na tavola pe stira a mano manca; ’a porta pe ddò se frase a ’o muro ’e faccia: mi cumò co ’a lampa nnanze a’ Madonna d’ ’o Carmene; nu stipo co ’e lastre a lata parto, chine ’e piatte, bicchiere e but te glie- Nu barcone e na porta pure a ma.no deritta.

Amalia stiranno; Rachele ncujetannose co Stefano; Carolinella nfaccia a ’o barcone.

Rachele — Avite ragione che quanno non ce steva ’o prugrcsso, no ncc mparavano a leggere e a scrivere!... Aggio ’a ringrazia a matreama!... (A Stefa.no) E scrive a ’o notare, che chesUi massaria fuje cumprata pe 55 mila ducate! no lire!... E vide quante lire fanno... Ama, nfrattanto, rispunne tu a sorcina Custanza... E dateme ’a cazetta, che a sta’ co ’e mmane ninnine ine sento veni na chellata... Jammo!... Ve muvite?!.... Fogliemolle! (A Stefano) Embè, quanta lire fanno?... Uh! ommo ’e niente!... Leggere non saccio, ma po’ nummere... (Le scippa ’a carta ’a mano) Tre pe cinche, quinnece... duje pe tre, sej... Fanno 224 mila lire e 25 centeseme.,. E mo (sempe a Stefano) aiza ncuollo e vattenne: m’he purtata a figlieta Amalia e cca non ce haj chiù che fa!

Amalia suspira.

Stefano — E comme? simmo frate e sora?...

Rachele — M’ ’o vaco a cagnà a ’o banco d’ ’o sciùlio n’ato frate cornine a te!... Va! va! e Ddio t’accumpagna!

Stefano — I’ mo vaco dint’ ’o cellaro a ’ staggia ’o vino viecchio... (Se ne va facenno irre e orre co 9e gamme).

Rachele — (vasanno a Amalia) E tu... che malora! mo staj co me... e potarrisse sta nu poco ’e buon’umore!

Amalia — (vasannole ’e mmane comme a n’assetata) Vuj site ’a Madonna mia!

Rachele — E tu... te me faj spartere l’anema! Beneditto )io!... Ohe appecundria!... Jammo, Amà, scrive a sorema Cutanza... Miettelo mpulito... (Dettanno sottavoce) «Cara surela... non è cosa ’o matrimmonio ’e figlieto Ciccillo co Canili" [p. 169 càgna]— 169 nella... chille se so pigliate a tu zzo ’e na mala manera... E po’ Carulinella è trasuta appena appena into a ’e sidece anne... \1 Frase Catarina.

Catarina — (co premura) Embè?... Vittorio?... Vene o non vene ?

Rachele — E che saccio...

Catarina — E che core?... A vuj che l’avite fatto da mamma e da patre non scrive manco si vene!

Rachele — Ha scritto ’o puveriello-.. e a st’ora arria essere arrivato... Tengo ’o core strinto dinto a na mano.. Ca se dice che s’è perduta na turpediniera...

Vittorio alluccanno da fora.

Vittorio — Addò sta?... Faciteme abbedè p rim ma a zi Rachele...

Catarina — ’O vi lloco!

Rachele — (dàn.’io nu zumpo p"a priezza) Vittorio!

Vittorio — (vestuto ’a sargente ’e marina, na bellezza ’e giovene a trent’anne) Uh! zi Rachele mia bella!... (Sfabbracciano e se vaseno comme a mamma e figlio) E ched’è? ve site miso acchiale?

Rachele — Embè, chille l’uocchie se ne stanno jenno... ’O l)i comme chiagneno...

Catarina — E chella è ’a priezza...

Vittorio — Cariti!... Caroline! (p abbraccia e ’e vase) (A Carolinella) Guè, è fatto ’o musso a cerasiello... Dimme ’a verità: ’o piccio tc renne ancora?

Carolinella — Sempe! sempe!

Rachele — E a Catarina ’a vide?...

Vittorio — E cornine no? Le dongo pure nu vaso.

Catarina — Guè non comincià a fa’ ’o lazzero!...

Vittorio — Uuuuh! Y vengo d’ ’o Giappone... Là ’e vase vanno a na lira ’o centenaro....

Catarina — E, siente a me, nce vonno nu centenaro ’e giappunese pe fa’ nu miezo core ’e na napulitana!...

Vittorio — E ovcr’è !

Catarina — Ca, a Napule bello, simmo tutte sciure ’e passione...

Vittorio — Napule sapite ched’è? Mo v’ ’o dico io ch’aggio fatto ’o giro d’ ’o munno e aggio fatto ’o cunfront0 cu l’aute paise: Napule è na sguigliatura ’e sciure ’e passione mmano a tante giardenicre canimurriste!...

Catarina — Guè! chisto non è chiù pazzo! E’ turnata ’e n’ata manera!

Vittorio — Non è ovcro: so’ sempe’ ’o stesso. Prova ne sia che aggio penzato sempe a vuj? [p. 170 càgna]

Catarina — Overo?

VrrroRio — Pure l’ata notte quanno nce stevemo pe perdere... e s’è perduta ’a turpediniera 105...

Rachele — Povere figlie ’e nianmia!

Vittorio — Nce fuje nu momento, nu momento che overo vedette a morte co lTuocchie.. e facette ’o vuto...

Catarina — Che vuto?...

VnTORio — Che me sarria spusato e me sarria pigliata na figliola... Basta, vutammo sto vico... Agrus est! Non c’è che fa: mo me l’aggio ’a vevere... Aggio fatto ’o vuto?...

Rachele — Ma che vuto?...

Vittorio — Po ne parlammo... (N zignaiuio a Amalia) E chella figliola chi è?

Rachele — Comme?... Soreta cucina! Amalia!...

’A primula figlia d’ ’o primmo lietto ’e fraterno Stefano!

Catarina — Stefano ’o mbriacone!...

Vittorio — Ama! (L’abbraccia) (Sottovoce a Catarina) Chella me pare ’a Madonna Addulurata. M’ha ditto pure Don Ciccopaulo (a Rachele) ’O cumpare vuosto, che mo vene pur isso... Simnie venute nzieme c’ ’o vapuretto, io, don Ciccopaolo e o figlio.

Carolinella — (tutta priato) Umberto!.., ’O saccio pur’io, m’ ’o dicette a Napole da zi Custanza.

(’aterina — Chi ?

Carolinella — Umberto Chillo mo passa tenente c’ ’o complimento...

Vittorio — ’E vi lloco!...

Rachele — Uh... e co tanta ggente comme se fa? Io m’aggio vestere p’ ’a messa.

Trase Don Ciccopaolo c ’o figlio Umberto furiere d9 ’e Berzagliere e Cicillo nipote ’e Rachele e figlio d’ ’a sora soja jCustanza.

Ciccopaulo — Eccoce ca! Eccoce ca!

Rachele — Oh! cumpare mio, vuj comparite comme a’ cumeta !

Ciccopaulo — (sbalurduto) E che robb ’è? Vuj c’ ’a scuffia e l’occhiale?

Rachele — Eml)è me so fatta vecchia.

Ciccopaulo — Vecchia?! Vecchia?! Se fanno viecchie ’e sante mparaviso; ma vuj site sempre «’O sole ’e San Ferdinando!»

Rachele — Uh ! A sante viecchie non s’allummene canneté... Guè, peccerè, penzate a fà fà marenna a sti figliule... S’assetta nzieme cu Ciccopaulo).

che — A me p’ ’o primmo chè me n’aggio ji a Napole’

Carolinella — Oooh, pe grazia ’e Dio! te ne vaj!

che — E tu damme p’allicuordo sta rosa.

Carolinella — Vattè! [p. 171 càgna]— 171 che — Ma comme? na figliola porta mpietto na rosa ammusoiata ’e elicila manera?

Carolinella — Ohi non le piace ’a lassa sta!

Umberto — (a Ccirulinella) Non è fiore da sta’ in petto a

viiie veramente!

Carolinella — (ammussata guardanno Umberto e po vutannose a Catarina) Non s’arricorda manca che m’ ’a dette isso a Napole Fatriere!

che — Ma comme una porta na rosa ammusciata?

Catarina — E si chella ’a vo’ purtà?!

che — .Tettola!

Carolinella — (chiù ammussata). Non ’a voglio jettà ! pecchè non so na ngrata! Bello core! Na povera rosa quanno v’ha cunzolato co l’addore sujo s’ ’a da jettà?! E io m’ ’a voglio tenè moscia e bbona, non fosse auto che pe m’allicurdà d’ ’o core niro che tenite tutte quante! tutte quante! (Dà na guardata spruceta a Umberto e se ne va dinto sulluzianno).

Rachele — (vutan.nose) Cli’è stato?

che — E chi ne capisce niente!

Catarina — Sto bestio! (Mostanno a Ciccillo).

Rachele — (a Ciccillo) Fallo pe chi tiene mparaviso: vattenne a Napole!

che — E me ne’vaco... faccio marenna, aizo ncuollo e me ne vaco! (Se ne va p’ ’a porla ’e faccia).

Rachele — E vedite che si vuie non penzate a’ fà fa’ marenna a chiste, io ’a messa non m’ ’a perdo, e chiste diune restano!

Ciccopaolo — No, p’ammore ’e Ddio! Sacco vacante non se re je allerta!

Catarina — E jammo, Amà, che te dongo na mano io. — (Vanno dinto a’ cucina Catarina, Amalia e Carluccio. Restano Rachele, Ciccopaolo, Umberto e Vittorio).

Ciccopaolo — Ma a buon cunto, site vuie o non site vuie? co ’a scuffia e Pacchiale?! «0 Sole è San Ferdinando?!»

Rachele — Eh, ’o sole che se corca...

Umberto — ’O sole è bello sempe: o sponta o cala.

Vittorio — A me me dispiace che m’è zia: si no...

Rachele — Guè, n?n comincia a scombinà co sta vocca!

Vittorio — Zizì, avite ragione che l’ata notte che nce stevemo pe perdere facette ’o vuto ’e me sposa na figliola disgraziata e levarla d’ ’o peccato...

Rachele — (m^tterniose ’e mane ncapa). Uh, maramè!

Vittorio — ...Si no me naimirraria ’e zizia!

Rachele — Mo t’ ’o sono mi paccherò... Manneggia! Me stive fuccnno rompere accliiale! (S"a leva).

Vittorio — Quanto è bbona ziza senza acchiale!

Umberto — Na rosa ni usca rellu!

Vittorio — Vuje facite veni ancora ’a cannarutizia ’e l’iiminore! [p. 172 càgna]- 172 Rachele — E già, a ’e tiempe ’e mo, vene solo a cannarli tizia! r animore vero non vene!

Ciccopaolo —’O dicessero l’aute, ma no vuie che ve maritasteve a quimiccc amie!

Rachele — E fuje... fuje pe me levà ’a sotto ’e granfe ’e

matrejema....

Ciccopaolo — E Sufìella? Sufiella, ’a figlia vosta bonanema, for/c stevu pur’ essa sotto a ’e granfe ’e na matregna?

Vittorio — E non se maritaje pur essa a sedici anne? (A Umberto) E facette pur’essa duje figlie a uno ventre, Cantinella c Cariuccio...

Rachele — (asciuttannose ’e Ictgrcmc) E Carolinella è venuta tale e quale ’a mamma... ’O miedeco non fa auto che rac< umannarme ’e starle attientc. Ogne tanto, ogne tanto na tussella... Io le faccio passa tutte ’e verrizze, tant’ è ’a paura ’e m’ ’ vede sparì ’a nanze....

Ciccopaolo — Eeh! Io faccio ’o salassatore e me ne Tentenno !

R\chele — E Amalia pur’essa, co chillo sfurcato d’ ’o patre...

Ciccopaolo — Stefano?

Vittorio — ’O mbriacone.

Rachele — E co chella janara d’ ’a matregna Donna Maria 1 erosa, che se vennaria ’o patre ngalera. Ma tanto aggio fatto che Amalia m’ ’a songo ritirata co me... E chille puverielle ’a Uà, e chiste barramine ’a cca... non saccio comme aggio tenuto e tengo capa a lanta cose....

Vittorio — Vuie, vuie site ’o minilo d’ ’a rota!

Rachele (co ’e lacremc a IVuocehie) Ma ’o trapeno vero ’o trapeno dint’ ’o core che m’ ’o spercia a parte a parte è ’a memoria ’e figliema Sufìa!... Non me pozzo capacità!... Cumpare mio, è mpossibile!... A quattuordece anno l’avctte levà d’ ’o cullegio, pecchè non truvavo chiù arrecietto... Comme sta? comme non sta?!... Tale e quale comme a mo pe Carolinella... Se nammuraje comme a na pazza... ’O miedeco me cunzigliaje ’e farla maretà... A primma figliata facette duje figlie a uno ventre e non ce resistette...

Vittorio — E (mostranno Rachele) a trentunanno era nonna!

Rachele — E da Tata parte fraterne Mariano me diceva: «Rachè, t’arraccumanno Vittorio!» — E ’o core me diceva: «Rachè, statte attiente a Amalia, chè llà succede nu guajo!... E io eh’? era l’ultema sora d’ ’a casa...

Vittorio — Vuj site ’o miullo d’ ’a rota!.

Rachele — ...co tutte ste bammine attuorno, non sapenno comme m’aveva ’a spartere, me facette anema e curaggio, e l’aggio purtate nnanze, tutte arrucchiate attuorno a me, comme a tanta pullicine.

Ciccopaolo — Senza ’o miullo ’a rota se spalomma! [p. 173 càgna]

Rachele — E cca, carulianncmo ’o cerviello pc trova cavicchie! po ogne pertosa, non spcnncnno nu centeseme a Vviento. acciicchiatc ’e torninole ’e grano aceno a aceno, fino n che non aggio levate tutte ’e dietibete... A capa me s’è ad«iobiihifa, l’uocchie se nc stanne jenno, ’c mane che ’e teneva comme a elicile ’e na signora, me l’aggio fatte chiene ’e calle; ma nce songo arrivata: Vittorio mo passa furiere machinista; Amalia ’a marito; Cariuccio e Carulinella teneno ciento e dudìcimila lire... e mo... mo... pozzo morì!

Umberto — Vuj che muri !

Ciccopaolo — Facitcmc vasà ste mane, ve voglio Yasà ’e calle che ve site fatte nfaccia ’e mane!

Umberto. — Vuie ne facite ì ’e capa ’a ggente!

Ciccopaolo — Guagliù: vasate! vasate! (Puglie ’e mmane ’c Rachele, e ne fa vasà 9e calle a Vittorio e a Umberto),

Rachele — (se tire ’e mane). Eeeeh!

Traseno Caterina e Ciccillo co na valiggia mmnno

Catarina — Chella Amalia me pare nu capone sturduto; ha fatto piglia ’e fummo ’a frittata, ha fatto cadè ’o panaro e ’a fatto abrucià ’o ppane int’ ’o fumo...

Ciccopaolo — No cchiu?

Rachele — E che malora! Datele pane e casecavallo a sti puverielle! Accedite duje pullaste! Jate abbascio a ’o celiare.

Ciccillo — Eh, là zi Stefano nce s’ è nzerrato a dinto e alIucca che l’acqua nfraceta ’e bastimiente!

Trase Carulinella ammussataNa campana luntana sona miezojuomo

Rachele — Ah, nigra me! Miezojorno! F me perdo ’a messa! Catari fa tu... Faciteme ji a vestere... Non me so manco arrivata a ncignà ’o vestito ’e Madama Wolf! (se ne va dinto a vesterse).

Catarina — E mo che ’a vedite c’ ’o vestito ’e Madama Wolf ve schiarate ’a vista!... Jammo...

Se ne vanno p’ ’a porta ’e faccia Catarina, Don Ciccopaolo e ’Umberto. Restano Ciccillo, ’Vittorio e Carolinella i

Ciccillo — s’addenocchia nterra // aretmeià 9e panne dinto ’a valiggia.

Carolinella — va sotto e ncoppa co na brutta mutria. rusecanno.

Vittorio (a Carulinella). E ched’è? Mazzeche sorve’

acerve?

Ciccillo (a Carolinella accuneianno V panne). Vattenne ’q vicino n mme; si no diceno ebo le fuccio \otil c sturzillc<>» [p. 174 càgna]- 174 Carolinelia — Vattcnne tu!

che — E me ne vaco...

Carolinella — Si aggio mannà a dicere quacche cosa a zi rustanza dongo ’a lettera a Umberto...

che (sempe accuneianno ’e panne). E chillo, Umberto, se ne vene co me.

Carolinella — Comme? Se ne vene?

che — Eh. —

Carolinella — E quanno?

che — Mo..

Carolinella — Addò maj!

Vittorio — E ino sapite che vulite fa? tornateve a

appiccecà !

Carolinella — E chillo me dice che Umberto se ne va

co isso!

Vittorio — E a te che te ne rnporta?.

Carulinella — E comme, Umberto da zi Custanza me dicette che se sarria restato?

che — E mo se nc va... (Sempe accunciatino ’e panne).

Carolinella — E pecchè se ne va?

che — Tene n’appuntamento.

Carolinella — Co chi?

che — Co na perzona...

Carolinella — E chi è?...

che — N’amico.... femmena...

Carulinella — (comme si avesse avuta na lanzata a ’o <ore). Na figliola?

Vittorio — (tuppeteja co ’o pede a Ciccillo pe non ’o fa parìa) E tienatcllo ncuorpo!

Carolinella — Na figliola?

che —i ’A figlia ’e Nannina ’a Siciliana.

Carolinella — È Umberto ’a vo’ bene?!

Vittorio — Nonzignore! (A Ciccillo) Chella non s’ ’o po’ sposa, pecchè si se torna a maretà perde ’o lasceto d’ ’o marito» che l’è muorto...

che — (chiudenno ’a valiggia) E pe cchesto se ne vonno ji tutte e duje a l’America...

Carolinella — (co nu sulluzzo nganna, cadenno into a ’e braccia ’e Vittorio). Chiammateme ’a Nonna chè voglio morì....

Vittorio — Ciuccione! (a Ciccillo).

Trase Rachele v^slula che è na bellezza

Rachele — (veden.no a Carolinella che è venuta meno jette fo scialle pel’ aria e corre a pigliarsela into a ’e braccia)• Ah, Mamma d’ ’o Carmine!! Che è stato?! Che è stato!!!

Vittorio — (nzignanno a Ciccillo) Sto bestio!

Rachele — (a Ciccillo) Che l’he fatto? Che l’he fatto? che — Io?! [p. 175 càgna]— 175 Vittorio — L’ha ditto...

Rachele — Che l’he ditto?

che — Niente!

Rachele — (portanno Carolinella nfaccia ’a seggia e facerinoia assetta). Caroline! Carolinè! Chi è stato? Chi è stato? Ciccillo?!

Carolinella — (co tante ’e lagrime barraggia che l& cadérlo dall’nocchie) Isso! Isso! Isso!

Raciiele — (a Ciccillo) Mannaggia l’arma ’ e chi t’ha fatto, non mporta che è sorema! Jesce! Vatte a rompere ’è gamme a Napule !

che — E me ne vaco! Me ne vaco! Oa nc’è trasruto ’o Demmonio! (Se piglia a valiggia e se ne va currenno p’ ’cl porta ’c faccia).

Rachele — M’ha levato ’a salute!

Carolinella — Nononna bella... nononna bella...

Rachele — Core mio ! Core mio !

Carolinella — Nononna bella... io me ne moro...

Rachele — E pecchè? (Disperata) Spiegate!

Vittorio — E chella s’è tanto spiegata!

Carolinella — (affannando) Aveva?,, aveva astipata chella povera rosa... pecchè me l’aveva data isso a Napole... isso co ’e mane soje... e isso non s’è manco allicordato che me l’aveva data..

Rachele — Isso chi?

Vittorio — Umlberlo...

Carolinella — E io spere va... spereva...

Vittorio — S’è nammurata essa sola...

Carolinella — E isso vo bene... a Nannina... a siciliana... Uuuh! i’ me sento na cosa che me se rompe mpietto!

Rachele — (atterruta, ngcnocchiannesc vicina a Carolinella, abbracciammo la vasannola) Core mio! Angelo bello mio! Figlia mia!

Vittorio — Non ’o sta a sentere a chillo maccarone senza pertuso !

Rachele — T’ha ditto na cosa pe n’ata! Siente a nononna toja... Siente a mme!

Carolinella — (comme a tutte V guaglione verrezzuse seguita a sulluzzà e a non farse capace).

Rachele — E si Umberto è nu buono giovine...

Carolinella — (fernenno 9e selluzzà ’e botto) Buono! buono! n’angelo!

Vittorio — No pucurillo pazzo...

Rachele — Embè... non te disperà... lassa fa ’a me! Ca nce sta nononna loja!

Carolinella — E m’ ’o daje? M’ ’o faj sposà?

Rachele — (ndecisa) E... e ’, e...

Carolinella — (tornammo a forse iteni V sturzille se votta, s’abbandona fiata vota ncoppa ’a seggia) Auah! [p. 176 càgna]

Raciikle ~ (ile bottot apjHiurat(i) l’ ’o dongo! V ’o dongo!

Carolinella — de botto se ripiglia e zompa p’ ’a priezza...

Rachele — E jamme mo! Asciuttete l’uocchie.’

Vrrromo — Si. tene ’a salute d’ ’a carrafa d’ ’a zecca, ma è pure na mala marpiona...

Rachele — (« Vittorio) E tu pure, tu pure nce micttc ’a parola pugnente ! (A Carolinella) Va dinto... viestcte p’ ’a messa...

Va! Pienze ’a salute!

Carolinella — (jcnno) Chillo è n’angelo! i

Rachele — Sissignora! (Abbiannola)

Carolinella Chillo se sente ’a messa... j

Raciif.le — E mo vedimmo...

Carolinella — Chillo mo passa tenente c’ ’o complimento...

\ ittorio — Eh, ’e zucchero e cafè...

Rachele — (vedetino Umberto che vene) ’O vi lloco... Vatte vestere... Che me faj perdere ’a messa! Lasseme fa a mme!

Non nce penzà!

Vittorio — ’O piccio le renne!

Carolinella — zompa, abbraccia a Rachele, s’ a magna ’e

vase.

Vittorio — L’e tornata ’a salute!

Carolinella — se tic va znmpanno.

Rachele — Torna priesto! Viestete ampresso! (A Vittorio E vatteniie tu pure... Lasseme sola co’ Umberto.-.

Trase Umberto.

Vittorio — Vuie, vuie site ’a Madonna ’e tutte quante! (Se ne va).

Umberto — E overo è... Femmene comme a vuie na vota ce nc stevano, ma mo chi t’ ’e ddà !

Rachele — Chi v’ha ditto! Peccerelle... peccerelle che p’ ’e guarda v’avile ’a schiara ’a vista ’e Fuocchie, a Napole nce ne stanno ancora! Nce stanno cierte sciure annascuse che overo se ponno mettere ncoppa a l’altare nnanza ’a vista ’e Ddio! E chi se ne va appriesso a ’e sciure ’e pezza... nigro isso!

Umberto. — Fossero sciure ’e pezza! Ma chille so sciure ’e carta velina, pe non dicere ’c carta straccia!

Rachele — E over’è! L’ammore ’e mo s’arreduce a na cosa ’c carta velina... e, chello che è peggio, ’e carta straccia, pecchè s’arreduce a ila cosa sola... E l’ammore, bello mio non è na cosa sola: e l’anema e ’o cuorpo... Na vota l’anema nce steva; ma mo nc’c rummaso solo ’o cuorpo...

Umberto — Ah, mannaggia che non so nato allora!

Rachele — Vuj aute giuvene ’e mo, v’avite mparà punto e da capo a fa l’ammore... Vuj avite ji n’ata vota ’a scola!

Umberto — A qua’ scola?

Rachele — A’ scola sotto ’e peccerelle ’e sidece anne’.. Là tvite jì a vevere nfaccia a fonte verace ’e l’ammore! Vuj mmece [p. 177 càgna]- 177 iute meUenno ’o musso nfaccia a ’c butteglie Je gassose che hanno pigliato ’c ranceto... Ve piace ’a botta e a scumma... L the vive? No poco d’acqua co ’e terepetillea dinto... L’ammore t he uno sente pe na piccerelia è ’o calore d’ ’a salute... l’animore che uno sente pe... chell’aute è ’o calore d’ ’a freva!...

Umberto — Ma che corpa avimmo nuj ante puveriellc ’e ino si d’ ’c femmene comme a vuie s’ ’c perza ’a semmenta? Fari lece vede na femmena comme a vuie e vedite sj non ascimmo pazze! Vuie ’e che munno site? Vuie che sole site? Vuie ne facite jì ’e capa pure a S. Simone stilila si ve guarda ’a coppa ’a culonna! F vicino a vuie me sento... me sento...

Rachele — Guè, guagliò... addo vaj c’ ’o ciuccio?

Umberto — E che saccio!... Addo vaco vaco!... Non ’o saccio manch’io!... Chello che faccio! (L’abbraccia e le dà no vaso)

Carolinella — (che torna a veni a chisto momento vede : dà nu strillo, se mette ’e mane ncapa e scappa p’9a porta ’e faccia, addò se ncontra co Carlnccio che trase) Chillo ha vasato a nononna ! !

Rachele — (che e rummasa sbalurduta) Ah, figlio ’e bona cristiana!... (N’ato poco e le vene na chelieta)

Cari/tccio (a Carulinella) Ha vasato a nononna?!

Rachele — Uh!... Uh!... Uh!...

Carluccio — (facennose nnanze una botta, co ll’aria d’ ’o meglio guappo; a Umberto) Neh, mio signò!...

Rachele — (afferra p’ ’o vraccio a Cariuccio e cunzìgnannoie 9e die d’ ’e scuppulune• l’abbia dinto) A pposto!... Muccusicllo! Dinto! (’O votta dinto; afferra Carolinella e a porta pure sino a porta vuttannoia dinto ’a cammera).

Traseno Ciccopaolo e Vittorio

Ciccopaolo — Ched’è?

Rachele — Scustumatonc! (Cornine na pazza, affannasino’ morta pt$o scuorno) Uh! che m’aveva succedere!!... ’O figlio vuosto... Uh, faccia mia! Nnanze ’a figlia ’e figliema!... Uh! Uh!.... Chillo... Chella... Scustumatone! Scustumatone!

Ciccopaolo — Ma ch’ha fatto?

Vittorio — Che l’he fatto?

Umberto — se gratta ncapa.

Rachele —- M’ha dato nu vaso! E Carulinella ha visto!. ..

Ciccopaolo — Uh, mannaggia chi te facette che fuje proprio io!

Vittorio — Ma tu si pazzo overo!

Rachele — (abbellita, jenno sotto e ncoppa) Truvate nu remmedio!... Vedile!.. Arreparate!... Nnanze a’ peeccrella! Uh! uh! uh! .. (’O sudore le scorre a cate).

Vittorio — E mo... mo...

Rachele— Chella se po credere... Uh! Uh! (Se votta ncoppa

a na seggia pe morta).

Vittorio — E mo! mo!! mo!!! Mo ve facite veni nu moto... [p. 178 càgna]- 178 Ve perdile dinto a na chicchera!.., Mo arremedio io... Nuj ’e tirate ’e mente ’e tenimmo a ’o cuinanno nuosto... Io parlo forte chella Carulinella senta ’a Uà dinto e se persuade... < 1he maloni!... <Va state mmano airuommene! (Parla a voce aula) Ecco ca... Don Ciccopaolo mio... Vuie pigliate pizza pc’ torteno... Mo \e spiego io... (Se fu sotto ’a porta) Mo ve dico io comme fuje L’ comme non fuje... Chillo Umberto... ’o figlio vuosto... a Napole, da /i’ distanza vedette a Carulinella e se ne nammuraje...

Umberto — Io?

Ciccopaolo - ir dà nu pu ni o dinto V distate p’ ’o fa’ sta

zitto.

\ ittorio — E mo... ’o steva dicenno a zi Rachele... Capite?.. ’O steva diccnno c non sapeva si zi Rachele accunzenteva... Ha visto che zi Rachele aceunzenteva... e, p’ ’a priezza, l’ha dato nu vaso...

Carolinella — danno nn strillo ’e priezza, trase una botta c se ootta inf’e braccia ’e Rachele.

Rachele — (aizannose) Addò?!... Io dongo st’anema ’e Ddio mmano a chillo sbertecellato? !...

Carolinella — (se votta ncoppa ra seggia. abbandunannese y ’o solito, comme si le venesse ’na chelluta) Aaaah!...

Rachele — (atterruta, votajmose a contentarla) T’ ’o dongo! T’ ’o dongo!

Vittorio — Non morì !

Carolinella — se sente n’ala vota bbona.

Ciccopaolo — (sottovoce a Umberto) Sessantamila lire %e dote!... Ciuccione!

Rachele — Mannaggia!... Stango fra l’ancunia e ’o martiel’

lo... E chillo Cristo jette a crià l’ammore pe se fa mettere ncroec primma primma isso! (A (kirufinella) Ma non ce penzà... fatte capace che si sto mio signore (Umberto) non s’acconcia’ to ’e cervella io ntosto ’e piede nterra!... Chisto tene ’e ffurie d’ ’o turrente, che se demipa a coppa ’a muntagna e se porta ?e ponte appriesso....

Vittorio — E che ve ne facite ’e n’acqua morta!

Carolinella — Acqua che non corre fa pantano e fete!

Rachele — Una cosa, una cosa non me fa dicere no munno e palla: (a Umberto) che luaj voluto bene a mammete e a so’eta!...

Carolinella — (tuppetiannola dinto a ’o scianco sottovoce) \ dice si?... Dice si?

Rachele — Ma doppo n’anno ’e prova! doppo duje anne ’e >rova!... ’A currezione nce vo... Si non se porta remmedio iriesto, ’o tantillo addeventa tantone...

Vittorio — E non facite tre fiche nove rotale L.

Trase Amalia.

Amalia — ’A tavula è apparicchiata.

Rachele — E jammo... ’A bbona ’e Ddio... M’avite fatto per[p. 179 càgna]- 179 clere ’a messa..’ (’/\ Carolinella) Avviate nnanze tu co frateto... (iUtroli netta esce zumfxtnno co Variuccio). (A Umberto) Guè, guagliò. • patir chiare... ponza a surcà deritto... (avviannose) si

ll0... eo tutta a sciabulella a Iato... (Se ne vanno p ’a cucina).

Restano Vittorio e Amalia.

A mai.fa — va arapì ’o stipo. e nce resta co ’a capa of accia comme a na nzenzata.

Vittorio — (le va vicino) Ama...

Amalia — tremma comme si avesse avuta ’no paura atVinxpr avviso.

Vittorio — E’ overo che. non ce simmo viste da non saccio quanto ticnipo... ma...

Amaija — E che vulite?

Vittorio — Embc, simmo frate cucine... e parlammoce co tu!

Amalia — Non ce aggio fatto ’a vocca!

Vittorio — No, è pecchè pure vuj avite na brutta opinione ’e me: ve credite pure vuie...

Amalia — Gnernò...

Vittorio — E qua uno è accossi, diciteme tutto...

Amalia — (’he v’aggio a dicere? (Se votta ncoppa ’a seggia; s’annasconsic ’a faccia into V mmane).

Vittorio — Vuie me parite ’a Matalena sotto a Croce!... Mannaggia che... (Se gratta ncapa).

L’ata notte, quanno nce stevemo pe perdere, io facette ’o vuto e levà na figliola d’ ’o peccato: e, mannaggia! me sono attaccate ’e mmane, aggio fatto ’o vuto, e mo l’aggia mantenè... non me pozzo sposà na figliola onesta comme a vuie... Ma (l’abbraccia) si non ve pozzo essere marito, frate vuosto nce so nato e nce voglio rommanè... Vuie site a sora mia... Stateme a sentere...

Trase Rachele.

Amalia — Lassateme...

Rachele — E che rabb’è? Ched’è st’abbraccio?...

Vittorio — E stateme a sentere pure vuie!...

Rachele — E che aggio sta a sentere...

Vittorio — Lassateme parla, ch’ ’e parole non so scuppettate... A bbuordo, into a quatt’anne che avimmo fatto ’o giro d’ ’o niunno, non ce steva ’a spennere niente, o solamente quacche meza lira a vinicola, e me songo accucchiate duje mila e setteciente lire...

Trase Stefano chiù /ubriaco V primma.

Amalia — (comme si avesse visto o Diavolo vedenno fo patre) Non me facite vedè a pateinoi... Non me facite vedè a paterno!... (Comme a na pazza) Facitenie mori si me volile bene ! (Se ne va dinto una vutata). [p. 180 càgna]- 160 Vittorio — (a Rachele) E cca robba lice sta sotto!...

Si 1:1 \xo — chella... che se n’è scappala è figlimu Amalia... (Se (frutta ncapa).

Rachele — E mittece nomine penna!... Assassino!

Stefano — (a Vittorio) Ve grattate ncapa pure vuj?... Siate pacrariate?...

Vittorio — Vatte a fa squarta... (Le vota ’e spalle e se votta nvoppri ’a seggio vicino ’a tavola e avascia ’a capa).

Stufano — La paccariazione non è vriogna... non è vriogna-.. ma non è priezza...

Rachele — capuzzianno e guanlanno Stefano co na cera’ ai za ’o scialle ’a terrò, ’o puUzza, ’o mette ncoppa ’a. tavola e ’o chieja, c po se leva ’e scincgnaglia p ’e ghì a stip<ì•

Stefano — Priezza no! Priezza ll0! (S’abbocca ’1 co e a Uà) Non me pozzo pria., pecchè i’ so’ nu puorco... e nisciuno o sape meglio ’e me... Ma... ognuno è na cosa -, ognuno è cheli» che po’ essere... I’ non [jozzo essere auto che nu puorco..

Rachele — Mo parie buono!

Stefano — Se me volite fa vede a verità addò sta ’e casa,

nravite da fa’ mbriacà...

Rachele — appujanno ’e puze «ncoppa a tavula 9o sta sentere c ca pozze ja.

Stefano — Io era usciere... ’0 capo usciere... e mo int’ ’a casa nce sto pe mazza ’c scopa... E stani mo ’c casa ncoppa a ivasteeo... E nioglierema Maria Teresa tene na tosse!... na tosse!... ’A tosse è ’o tammurro d’ ’a morte... Pozzo mannà a nioglierema a ’o spitale? Moglierema è na signora!... ’O p^"’» era paglietta... Pozzo fa .U a atterrà a moglierema c’ ’o carrettone d’ ’o Municipio?... Moglierema è na signora...

Rachele — Cacciamunnezza!

Stefano — Quatte guagliune... ’A primma Amalia... Moglierema l’è matregna... ma, s’ha da dicere ’a verità non fa particulari là pe nisciuno: tira schiaffe e cauce a tutte quante...

Rachele — Famme jì a chiammà a quaccuno che s’ ’o purtasse a chisto... (s’abbia).

Stefano — Amalia scippava cusenno cammise... e nu jurno jette a portà cirte cammise a nu signore...

Rachele — sentenne chesto se ferma sotto ’a porta e se vola a sentere 9o riest o.

Stefano — Ma chillo se voleva mesurà ’e cammise nnanze a essa...

Vittorio — (s’aiza) No cchiù?...

Stefano — E nfrattanto ’e guagliune so morevano ’e famme a’ casa... E moglierema Maria Teresa jeva sotto e ncoppa comme a n’animale feroce... «Sfaticata! sfaticata!» alluccava ncuollo a Amalia. «Fuss’accisa! fuss’accisa! non si bona a portò nu soldo a’ casa!... E ’e piccerille moreno ’e famme! Non teneno na scorza ’e pane pe s’ ’a roseci» E Amalia rispunneva: cMa ch’aggia fa?! che aggià fa?!» — tFustfaccisaI va a mesurà [p. 181 càgna]

‘ammise ncuollo a chillo signore! Fuss’acc’sa! Penza ’a cam>ata! Vatt’a bbuscà ’a sorde, che ’e piccerille mo moreno...» — s’ce ne steva uno che veramente allora allora spirava...

Rachele e Vittorio — stanno a sentere co l’uocchie spai anate e ’e recchie pestile.

Stefano — Amalia zerriaje ’e diente, se mettette ’e stivalet?. dette ’e mano a ’o scialletiello, e ascette... Erano ’e cinche... nce steva ancora ’o sole--. A ’e sette’Amalia tornaje, e ’o sole on ce steva chiù!... (S’assetta e cade c’ ’a faccia mmiezo a ’e •accia ncoppa a’ tavola).

VirroRio — (guardanno nf accia a Rachele) ’O sole non ce eva chiù?!!!....

Torna Amalia.

Rachele — (’e botto, afferranno Vittorio p’ ’o vraccio; sotuoce) Che vuto faciste Tata notte quanno artiste per perderte rumare?... ’O dovere mio l’aggio fatto, ma songo arrivata -de... ’O vuto l’he fatto ’e spusarte na figliola disgraziata... fferra p’ ’o vraccio a Amalia) Chesta è mogliereta....

Amalia — sbalurduta non sape ’e che se tratta.

Rachele — (a Vittorio) Zitto!... Zitto!... Non se replica!... cossi voglio!... (Votta Amalia dinto a ’e braccia ’e Vittorio).

s’acala ’o telone [p. 183 càgna]Tu si’ ’na santa !

perzunagge’

^IA, mamma ’e LUIGGE, nu giovane ’e vintanne. che fi ’o curallaro; e mamma ’e LUCIA, na figliola ’e diciottann< che sVrn fatta monaca Elisabettina.

sT DAMIANO, patrone ’c varche, curallare a Torre d’ ’< Gricco, patre ’e VITTORIO, cannuniere scelto d’ ’a Marin: Riale.

’ONNA, socra ’e MARIA, e mamma a MICHELE, marinar pur’isso, e mmuorto e’ ’a febbre gialla in America. ìOLACHIANIELLO guardaporta. [p. 184 càgna]TU sr ’NA SANTA!

Na stanza clini’ a na casa ’e ggente ’e basso celo, ma nun puvcrella. Na porta ’e faccia pe Udo’ se trase d"a scala. Doje aie porte, una a dritta, che da’ fluito ’a cammera (V ’a Nonna, n’ata, a sinistra’ che dà flint o a ’e cammere ’e Maria e d’ ’e figlie suo je Luiggc e Lucia.

>A Nonna cu na [accia ar raggiai a sta cusenno vicino ’a muoia ’e mano manca.

Maria esce ’e pressa d’ ’a porta d’ ’e- cammere soje e va ncojitra a Lucia e a Luigge che traseno d’a porta ’e faccia’

Lucia (vestuta Vi monaca Elisabettina, tutta carpechiata tifacela d’ ’o itajuolo, trase e se volta rnbraccio a Maria) — Manr ma mia bella!

Luigge — E ino. grazi ’a Dio, chesta nun è chiù monaca! Me sento n’ato tanto!

Maria (che ha vasaio e tornato a vasà Lucia, co IV nocchi’ incliiute ’c lagrime) — Figlia mia!...

’A Nonna guarda c’ V/ code ’e liuocchie, cu na cera storte e nun s’aiza d’ ’a seggia; e seguita a cosere.

Luigge —< (a Lucia) Vasa ’a mano a nonneta

Lucia — (Sr fa disgusto, ma ubbidisce e vase ’a mano ’a nonna).

’A Nonna — E mino... nun site cchiù monaca?

Lucia — No... Chille Padre Ludovico facette ’a regula che chi se fa Elisabettina se pò spuglià...

Luigge — E se pò pure maretà.

’A Nonna — Nun aveva a che penzà Padre Ludovico.

Lucia — E ne vulit^ sapè cchiù vuje che isso, che era nu santo?!

Maria — E certo è tutto juto deritto derittQ Mparaviso, addò.... (se’ ferma a mezza parola...)

’A Nonna — (Arrutanno ’e riente) Addò nun ce vanno tutte quante... ovè?

Maria — Nonzignore: nun voglio dicere chesto: voglio dicere addò vanno ’e Sante e (suspira) e ’e martire; e no chillache teneno ’o fele dint’ ’o core!....

’A Nonna — Passateve ’a mana p’ ’a cuscienza. [p. 185 càgna]’ 165

Mania - inscienza netta nun havc paura ’e tronule!... I,assumilo si il (d Lucia) Parlammo V te... Mo ssì cuntenta?....

Li ( iA - Ma songo e nun sonico cuntenta... Speravo ’e tru“ \à ’a pace mia dinf’o eunvento....

Maria — E addò ce sta pace a stu munno?... Nun c’è che fa... Te vuò spuglià?...

Li cia Si... Nun me voglio fa truva vestuta’ a monaca ’a Don Damiano.

’A Nonna — E che fa si ve trova vestuta ’a monaca?...

Li cia — Fa na cosa... Janimo. (Se ne va cu Maria p’ ’a porta mona manca).

Rcstajio sale Luigge e ’a Nonna

Li’igge — (che tutto stu ttempo è stato a guardarla co’ na nuiìa cera). Io vulesse sapè che tenite, che’ ve piglia che rusecatc chiuove da quanno ve susite fino a quanno ve cuccate?... Schizzate veleno...

’A Nonna — The parole so’ ccheste?!

Lvigce — E ve cuntentassevo ’e furfucià solamente; ma

ll0... Tulle sto facce amare che facite a sorema Lucia, me fanno scurdà ’o 1-bene che vulite a me... E mmo pecchè ve muzzecate ’e minane?... Chi ve capisce?... Ma sapite che ve dico?

O vulite bene senza particolarità, a mme e a sorema. o a ci’ sciuno ’e tutte e duje.

’A Nonna — Io nun tengo ato che a tte, ncoppa a ’o munito! Tu ssi ’o Paraviso mio!

Lrir.CE — F me sbattarrìa a capa nfaeci’ ’o muro. Ma pecche io songo ’o Paraviso vuosto’ e sorema. pe vvuje, è comme si fosse ’o Demmonio?!!

’A Nonna — Tu ssi na cosa e essa n’è n’auta...

Lricc.E — E dicite ea mme vulite bene? E pò nun vedite che me date ’a morte facennonic suspettà che mammenia è stata na femmena malamente?

’A Nonna — No! No! No! No ddico chesto...

LriGGE — Nu poco dicitc, e n’ato poco nun dicite... Vuje me facite pena cornine a n’anenia dannata!

’A Nonna — No! No! nini pena!... Si tu suoffre io moro. (’O nò abbraccia; isso se scanzu).

Traseno Maria e Lucia che ino nan sta chiù vestuta ’a monaca

LncGE — (’a Notvia) E mino, pe ste doje o tre oro chi’ nun pozzo sto rea min me ncujetale a mammerua e a sorema; faciteve ’o fatto vuosto... Io aggio ’a ji a Torre pt%r vedè ’o curallo ch’anno purtat » ’c varche ’e don Damiano, che m>’ turnute ’a Barbaria. — Ma’ sin Ite bhona... Sfatte bona Luci... (Vaso a Maria e se nc <«/).

’A Nonna — (u Maria r a Lucia). ’O Cielo m’ha dn fà ’a [p. 186 càgna]- 186 grazzia l’ me ve leva tulle e doje ’a nnanze a ll’uocchie! Voglio ringrazia Lkiio co’ V de nocchie scuperle!

(Se tu- ya (UìUq ’a cammera soja)

Lucia — (a Maria). Ma ... che Thè fatto tu e che raggio fatto io a ciiella vipera

Maria — (susptranno)» Nun ’a da retta; fa finta ’c nun ’a sentì.

Lucia — Chella m’ha fatto perdere ’o mmeglio, ’o mme’ glio doppo ’e l’annore: m’ha fatto perdere ’a nnucentità e m’ha iuilo capì ’a zuzzimma che ce sta ncopp’ ’o munno...

Maria — E nun è male, è bbuono: accussì na povera figliola se pò sape guarda; na povera nnucente se pò truvà dint’a nu guajo senza sapè comme.

Lucia — Mamma mia bella,; che schifo è stu munno....

Maria — Saje comme se dice: o te magne sta menesta . .

Lucia — Quanno nun teneva nfaccia sti carpeche d’ ’o vajuolo che m’hanno svisata, io me metteva appaura ’e chiunque me guardava... Clic dulore che sò rummasa accussi svisata!... Ma, meno male, che ll10 nisciuno me guarda cchiù... Me sento ’e sta sicura. So’ contro a’ tentazione... A tre povere cumpagne mejc, ’e nammurate l’hanne sfreggiate... Ma si me vedo vicino a Nonneina, me pare ’c me vedè ’a morte ncuollo ’e n’ala manera.... lJc essa me jette a fà monaca... Ma che n’aggio avuio?... Nisciuna è chiù straziata ’e ine, pecchè nisciuna comme a me se vede ’a mamma soja bella, ngiuriata e muzzecate da ini serpe avvelenato...

Maria — (suspira). I’ me credeva d’ave’ sarvata l’anema— ma aggio ’a aspetta ancora...

Lucia -- Fallo pe’ ccarità, dimme tutto! Da ’o mumento ( he chella vipera è stata bona ’e farine capì ’o munno, tu me può dicere tutto... Dimme ’a verità? ’O vuliste bene a Paterno? o to spusaste senza vulerlo bene?

Maria — L’aggio stimato assaje....

Lucia — Stimato? Stimato sulamente?

Maria — Stimato primma... e vuluto bene doppo, pecchè Ferdinando teneva core; nun era cornine ’a mamma...

Lucia — E pecche chella senza core ce l’have tanto co’ tte? .. N’ato ppoco e va mettenne ’e cartielle pe’ Napule che tu si stata.... Nun tengo ’o curaggio d’ ’o dicere!... Mamma mia bella na femmena malamente!... (fa na mossa 9e strazio

Maria — Dio me vede e vede si sò stata na femmena malamente!

Lucia —. (/’abbraccia) Perdonarne! Perdonarne! Si io nun credo a tic nun credo chili manco a Dio!... Io me guardo aituorno e l’ammore che me vedo attuorno me fa schifo!... L’uommene pare che spantecano e moreno per farse vule’ bene ’a na figliola e pò se ne servono pe ce campà ncoppa... E io m’era juta a fà monaca pe scappa da mano a l’ammore... e ce sò capitata senza sapè comme. [p. 187 càgna]

Ma.ua (appaitrala rafferra pe tutt’ ’e <Jojf. ‘e tracciai

Sonuiu’ Ih1 ditto • •

Trase <1’ Vf porta e farcia ’o Guardaporta, solachianiello r o mante sino nnanza e ’a guglia mmano

’0 Gi’ahoai’orta — ’Onna Mari... abbascio ce sta n’ommo Y na sessantina d’anne, che me pare uno ’c marina... E ha ditIci ch’isso è juto a ’o cunvcnto pc truvà a donna Luciella, e

min l’ha «ruvata.

Li-oia — Ohisto è don Dannano.

’<) Gi AiiDAPonTA — Eh. accusai m’ha ditto, ca isso è don

Damiano.

Maria — (Huve nu triemmulo).

Li cia — (a Maria). Clic haje?...

’O Guardaporta — Chella malora ’e vecchia (mosta co ’a mano Vi canunera d’ ’<i Nonna) ine carreca ’e male parole si tea ncoppa ce faccio saglì a quacche marenaro... Io vulesse sanò predio ce l’have co’ ’e marenare....

Maria — (dopo mi mumento ch’è stata ptnzanno). Fallo saiilì... Ccà so’ io ’a patrona: ’a casa è ’a mia. (’O solachiar Viicìlo se ne na). Parlace tu... (a Lucia).

Lucia — E tu nun ce vuò sta presente? Pecchè nun ce vuò sta presente?

Maria —’ Pecchè... pecchè saccio chello che faccio, e ac( iissì ag^ia fa... E si pò isso, don Damiano, vò parlà pure cu me. m’ ’o puorte dinto addò me. amiriseuso d’ ’a Nonna... Mn Ui m’hc niisso na spina dinto a l’anema: m’hè ditto che ce» ssi capitata?... Che fatto?... (l’afferra). Ch’è fatto?... Quacche ecosa malamente/’...

Lucia — (subbito) No! no! mamma mia bella! Niente malamente!

Maria — N’ato ppoco e mureva!

Lucia Nun te mettere appaura!... E’ nu giovane aunura lo... e nun ce parlammo ancora co’ ttu... Mo te dico tutto....

Maria — ( rassicurata). ’O vj lloco don Damiano.... Parlammo quanno se n’è juto... (se ne va dinto ’a cammera soja).

Trase don Damiano

Lucia — ’O sapevo che sarrisseve venute... ’O core ve sleve aspettanno!.... Ve vedevo tanto spisso quanno era peccerella! e pò, tutta na botta, nun v’aggio viste cchiù... Ma che ve ne site fatto?... M’arricordo tutte ’e vase elle me riveve.., e tuite ’tl pazzielle che me purtaveve... Ma pecchè nun ce site cumparzo cchiù? Mammema me diceva: sta mbarcato p’ ’a pesca d’ ’o corallo... Ma nun stiveve sempe mbarcato... E sta bbene chesto che v’ireve scurdato ’e me?

Damiano — No, nun me so’ maje scurdate ’e tte; e quanno nun stevo mbarcato e stevo a Torre, cca nun ce puteva [p. 188 càgna]— 183 aeeuslà pecche si nonnete me vedeva addéventava na furia...

Ma cu In ito chcsto si nun tc puteva vede, te veneva a sentì canta ncopp’ ’o coro ’e rElisabettine.

Lccia — Peccerclla me vuliveve tanlo bene, e mo m’avite da volò bene doje vote tanto, pecche aggio assistilo a Vittorio,

’o figlio vuosto; iiuii Paggio abbandunato maje nu mumento, nfì a quanno nun asccttc ’e periculo.

Damiano — Me Plianno ditto... appena sbarcato.

Licia — Ve l’ha ditto Vittorio?

Damiano — Nun faggio ancora visto a Vit!oro.

Li cia — E comme? ’O figlio vuosto?!

Damiano — Ma pe veni ’e pressa addò te, nun aggio penxato a isso.

Li cia — Vittorio steva mpermesso... c mannaie a dummannà doje Elisabbettine pe essere assistito... Nun vulette es~ sere purtalo a ’o spitale ’e Marina e nun vulette resta a ’e Pellegrine... Ma se po’ appennerc Pe vvuto. E io e n’ata monaca, sora Letizia, arrivajcmo ’a casa vosta proprio a ’o mumento die isso s’era aggravato e le purtavano ’o Santissimo... E che dulore quanno io sapettc che isso s’era pigliato a curtellate pc ila femmena...

Damiano — (suspiranno). Che nun s’ ’o meretava’..

Lucia — E ovcr’è, chella ha perzo adderettura ’o punto d’annorc...

Damiano — E si nun ’a perzo adderettura, ’o tene mappuciato.

Lucia — E nun ve dico niente che cunzulnzione fuje ’3 mia quanno Vittorio me dicctte che s’era tirato solo pe sa difennere, pecche isso a chella nun a vuleva cchiù bbene. E allora io me voleva fa giurà che isso nun se sarria tirato cchiù pe nisciun’ata femmena...

Damiano — Nun dì| pe cclie sta via tu non ce passe...

Lucia — No! Vittorio nun è chiù nu guaglione; è nu giocane serio, tene ’a coppa a trent’anne; e tene core, pecchè porta sempe ncuollo ’o ritratto d’ ’a mamma che murette’

Damiano — L’adorava ’c penziere...

Lucia — Tene core! nun è comme a tutte Tate!

Damiano — E tene giudizio, si no nun ’o facevano sottocapo....

Lucia — E isso nun me vulette giurà che nun se sarria cchiù tiralo pe nisciun’ata femmena, pecchè — me dicette — si me succede che m’aggio ’a tira pe vuje, me tirasse ciente vote e no una.

Damiano — (fa nu zumpo e se fa palledo comme a nu muorto). Ha ditto accussì?... Che pe tte?..

Lucia — Si! propeto accussì...

Damiano — E tu?...

Lucia — (modesta) E io...

Damiano — Le disti raggione?... (appaurato). [p. 189 càgna]— 189 Lucia — (facennosc rossa) A di a verità... nun penzaje chiù ch’ero monaca... e si nun le dette raggione co’ ’a vocca, le dette raggione co ’o core... E ’o jette a dicere a Madre superiore; e essa me dicette: «figlia mia, spogliate... ’a Regola tf \>

permette... »

Damiano — (da ppe isso) Ah, Madonna!... (s’appoia a na reggia).

Lucia E pe cchesto me sò spugliata... E co’ Vittorio ce simmo dato appuntamento, che isso, ogge, sarria venuto a parlà cca cu mammema...

Damiano — (ch’ha fati a ’a faccia comme a nu cadavere) E pecchè vene a parla?...

Lucia — Primma ’e tutto vene pe me-levà a mano a Nonnema... Chella vo’ ’a morta mia...

Damiano — (l’abbraccia ’e botto) Ah, nfamat

Lucia — Ah comme me vulite bene! Gomme m’avite abbracciata appaurata!

Damiano — Dimme, dimme! Che t’ha fatto Nonneta?

Lucia — Che ve voglio dì!... E’ na storia troppa longa...

Damiano — No! ll0! me l’haje ’a dì! ’O voglio sapè! .. Me vene na cosa.

Lucia — Ve basta ’e sapè che na vota, chella signora — che me fa nu ribrezzo a chiammarla nonna — na vota vulette che

io l’accompagnasse.... Jettemo pe na strata srulagna. e ce ferma jemo a na casarella puntellata, che pareva che allora allora se ne cadesse: -— «Trasie •— me cHcette ’a Nonna — cca ce sta nu malato, -e puortele sie doje lire ’e lemmosena’. Io trasette... Nu fleto ’e Terra Santa me facette dà, nu passo arreto; nun puteva chiù tira ’o sciato, tanta d’à puzza... Chillo puveriello steva murenno c’ ’o vajuolo niro...

Damiano — (se l’abbraccia n’ata vota tremmanno) E nonneta nun trasette?

Lucia — No; essa restaje fora.

Damiano — AlPanema ’e l’assassina! Pe nun se miscà essa ’g vajuolo....

Lucia — E io m’ ’o miscaje... E si nun murette fu je proprio pecchè a Madonna me tjraje ’a dinta a’ fossa... E doppo tanto tiempo ce penzaje; e na voce me dicette dint’o penziero: «Nonneta te purtaje Uà pe fnrte miscà ’o vajuolo...»

Damiano — (danno n’allncco) E mannneta se nè stette?! Nun suspettajc niente?!

Lucia — No, pecchè ’0 suspette a me me venette doppo tanto tiempo, doppo che m’era fatta monaca...

Damiano — Tu nun haje da resta manco n’ato mumento dinto a sta casa... Manco n’atu mumento!

Lucia — E addò vaco?...

Damiano — Viene ’a casa mia...

Lucia — (Priannose c avvampandosi nfaccia) E pilori vene a dicere che me facite spusà a Vittorio?! [p. 190 càgna]— 190 Damiano — (spaventato, se mette V minane ncapa) Fammc parla co’ Nonneta... No! elicila è na tigra che nun s’addoma...

Fanime parlà cu manimeta: vancello a dicero che ce aggio ’a parlà ino pe ino! primula ’e mo.,..

Lucia — E coni tue state allarmato?...

Damiano — Va! va! nun me fa sta ncoppa a ’e spine!

Li1 cu — va dinto a cammcra ’e Maria Damiano — resta stito nu mumento turnannese a mettere V mnianc ncapa.

Trase a Nonna.

A Nonna — (cu ’o veleno a ’o musso) E io ’o sapevo che sarrisseve venuto cca doppo d’essere stato a ’o cunvento!...

Nun ce vo addhnanna! Venite cca pe vvedè a Lucia ’a figlia d’ ’o figlio vuosto!

Damiano — Vuio /.‘he nfamità jate caccianno! Vittorio nun ce trase pe niente!

A Nonna — Ove?!

Damiano — Me farrisseve scennere ’e Sante da ’o Paraviso!

A Nonna — vulite che ve renfresco a memmoria?!

Damiano — State cu ’o pedo dinto ’a fossa e manco v’ar’ rennite! E penzate a muri!

A Nonna — Io penzo a figliemo! A chillo povero Ferdinando mio! E nun pozzo manco jì a ngenucchiarme ncoppa a5 fossa soja! (.se torce ’e mmane).

Damiano — ’E marenare se sape: se sa addò nasceno e nun se sa addò moreno...

A Nonna - Povere a lloro che mentre stanno pe mmare nun sanno eli elio che fanno ’e mugliere a’ casa lloro!

Damiano — E che sapite?! Che ve site misso ncapa?!

A Nonna — Saccio che chella bona pezza ’e norema Maria’ doppo che facette ’o primmo figlio Luigge, ascetta gravida n’ata vota ntramente fìgliemo se mbarcava pe l’America, addò murette ca febbre gialla... E intanto, cca, ncapo ’a nu mese» norema Maria parturette a seconna vota e facette doje femmene , doje gemelle.. Nun o sapite chesto? o facite vedè ’e nun sapè?

Damiano — ’O saccio, sissignore...

A Nonna — Ma nun sapite che chella mpechera ’e donna Maria aveva appruntato tutto pe’ nun fà sapè niente a nisciuno, e pe fìglià annascuso? E artatamente me facette ordinà l’aria da ’o micdeco: me manna je a piglià l’aria...

Damiano — E che necessità aveva ’e narturì annascuso si era maretata e poteva fà quante figlie vuleva?

A Nonna —• Nun teneva ’a faccia ’e cumparì nnanze a me p’ ’o rimorso che teneva d’avè tradito a figliemo!

Damiano —’ E statevc z‘tta cu sta vocca sacrilega! Dio ’o pò dicere si chill’angelo ’e Maria ha fatto nun dic’auto che nu peccato ’e penziero! [p. 191 càgna]- 191

A Nonna — ’A passione soja, quann’era zitella, fuje ’o figlio vuosto, Vittorio!

Damiano — E vaMbene! Ma vuje de nu pilo ne facite na

I r«i ve!

A Nonna —• Quann’era ancora figliola e teneva diciassette anne se nnainmurajc d’ ’o figlio vuosto!...

Damiano — Essa sì! Ma Vittorio no! Vittorio steva ancora ’ii scola d’ ’e pilutine, e nun ponzava a essa! e teneva appena diciotf amie ! E comme putite suspcttà che Vittorio, che mo tene 36 arine, puteva essere allora ’o patre ’e Lucia?

A Nonna — Vuje a chi vulite arra’vuglià?... A diecciottanne nun puteva essere ’o nnanimuratc ’e Maria, che s’era maretata e aveva fatto pure ’o primmo figlio!

Damiano — Puteva essere! Ma nun l’è stato.

A Nonna — Vuje anniearrisseve Cristo!

Damiano — Veditece meglio! Schiarateve ’a vista!

A Nonna — Schiaratavella vuje! Guardate a Vittorio e guardale a Lucia: e vedite si nun se sumigliano comme a doje gocce d’acqua! ’O bedesse pure nu cecato!

Damiano — E si sapisseve ’a verità e l’odio nun v’accecasse, nun parlarrissevo accussì!

A Nonna — E qua’ è ’a verità? Pecchè nun a dicite? Pecche nun ’a putite dicere! V’annozza nganna!

Damiano — Nun ’a dico pecchè, io, io! nun tengo ’o diritto ’c parlà...

A Nonna — E chi tene ’o deritto ’e parla?!

Damiano — Maria! Maria! essa sulamente!

Trase Lucia.

Ltcia — Mammema ve sta aspettanne. Jate!

Damiano — Mo parlo io cu Maria, (trase dinto addò Maria) Vumparisce Vittorio mmocca a9 porta 9e faccia

A Nonna — (varria avvctntar$e ncuollo a Vittorio) Avite raggione! So’ na povera vecchia! So’ ssola! Figliemo è muorto! Xun tengo ’a nisciuno... e vuje tenite ’a forza! Ma ce sta Ddio ’a Uà ncoppa che è ’o cchiù forte ’e tutte!... (se ne va dinto cT ( animerà soja).

Vittorio — (a Lucia) Cu chi l’have? E’ pazza?

Lucia — No! è nfama!... E v’ ’o po’ dicere papà vuosto. che,

ii stu mumento sta parlanno cu mammema, pecchè nun vò ch’i resto manco n’ato mumento vicino a nonnema... e vo’ ch’i’ vengo a stà eu vuje a’ casa vosta; ma comme pozzo veni a sta cu

vuje si primma nun songo comme a figlia a isso e mualiera

a vuje?

Vittorio — (se mette ’e mmane rifaccia).

Lucia — E ched’è? Sta parola nun ve fa piacere? [p. 192 càgna]

VriTOiuo — Koss’angelo ’a vocca vosta!

Licia — Ma che ve passa ]>’ ’a capa? Pecche suspirati’?

Vittorio — Pecche vuje tenite diciottannc e io ne tengo

i rcn ’asci.

Lucia — 1’ guardo a chi tene core e no a chi tene lPanne... ]’ mi il so na capa allerta...

Vittorio ~ ’A giuventù mia se ne sta jenne...

Licia — Meglio accussì! meglio accussì! pecchè accussì min tenile chiù ’a capa a’ pazzia -. Nisciuno me guardava chiù pe ste carpeche che tengo nfaccia, e vuje sulo, vuje sulo, quanno sentisie’ve die m’era miscato ’o vajuolo pe jì a purtà na leminosena a nu puveriello che steva murenno cu ’o vajuolo, vuje sulo me didsteve « pe stazione ’e core vuje me parite chiù bella ’e primnia ! •

E iiiin me spugliaje a monaca allora, solo pe puterve assistere... E doppo che sò stata juorno e notte vicino a vuje, Ddio ha fatta ’a grazzia a vuje e a mme; e v’ha tirato ’a dinto a’ fossa.

Vittorio — Site stata vuje che m’avite tirato ’a dinto a’ fossa....

Lucia — Nun scumhinate mo: è stato Ddio!

Trase n’ata vota don Damiano.

Damiano — (a Lucia) Va, addò mammeta, pecchè io aggio parlà cu Vittorio..,

Lucia — Ma ehed’è? Pecchè affannate ’e chesta manera?

Damiano — Va! va addò mammeta! Nun perdere tiempo! Fallo pe ccarità...

Lucia Ma... ’e che se tratta?...

Damiano — Se tratta d’ ’a pace ’e tutte quante!...

Lucia — va.

Vittorio — (sulo co’ Damiano) Ma che c’è?... Ch’è succiesso ?...

Damiano — C’è che chella vecchia, che nun saccio si è cchiù pazza o cchiù birbanta sta nfamanna a Maria, pecche dice che tu ssi stato.... l’amico ’e Maria...

Vittorio — Io?! E’ na nfamità! Nun è overo!

Damiano — E nisciuno ’o sape meglio ’e me che nun è overo! Ma, pe ddisgrazzia ce fuje nu fatto, e da chillo fatto n’è venuta tutta sta calunnia ncoppa a chella povera Maria...

Vittorio — E qua’ è stu fatto?

Damiano — Che veramente Maria, se nnammuraje ’e tte, llora, tan fanne fa, quann’ire ancora figliulo sguiglio comme essa...

Vittorio — Ma io f ’o giuro ncoppa a l’anema ’e mam’ iema... [p. 193 càgna]- 193 Trase ’a Nonna.

Damiano — {passe V botto pe se mettere mmiezo nfra Vittorio e ’a vecchia).

A Nonna — E facite buono a ve mettere nnanze a ’o figlio vuosto j)’o difennere’ — pecche na mamma disperata comme a mine, c capace ’e tutto! ’c tuito! E me dispiace che nun tengo minane nu curtiello...

Vittorio — (a ’o patre passanno nnanze a isso) Agge pa’ cienza! min me fa passa pe carogna!... (A nonna) Iamme sentenno: ’E che me neurpatc? (chieja ’e braccia).

A Nonna — D’avè offeso ’o sanghe mio! d’avè levato l’annorc ’a figliemo! d’essere stato l’amico ’e norema Maria!

Vittorio — (cu tutta Vi forza) Nun è overo!

A Nonna — E ’a parola vosta nun conta ’o riesto ’e niente!

Vittorio — E si ’a parola mia non va niente, ce sta na prova che va! Si site na pazza, va bbene, ma si ve ruminane nu poco ’e cerviello nun credo che me tenite pe tanto nfamo e svergognato che doppo d’avè avuto ctye fa’ cu ’a mamma me voglio spusà ’a figlia! E nun voglio credere che pe vuje donna Maria è na femmena accussì jettata, che doppo d’avè avuto a che fà cu me, accunsentc ’e farnie spusà a’ figlia... Mo che di’ cete?

Damiano — (se votta ncoppa a na seggfia comme a nu Cristo spirante).

A Nonna — (rummanentno sbalurdita) Vuje ve vulite spusà Lucia?! E Ddio ’o pò permettere?...

Vittorio — E pecchè nun l’ha da permettere?...

A Nonna — E guardate a papà vuosto ca mo spira! Duman’ natnnccllo a isso! che fino a nu mumento fa ha jurato e spergiurato che norema Maria nun teno manco nu peccato ’e penziero ncoppa a’ cuscienza!

Damiano — (aizannose ’e botto altuccanno) E ’o torno a giurà mille vote! E ’o guiraraggio fino a l’urdemo mumento d’ ’a vita mia!

Trase Maria cu Lucia

Damiano — Mari, parlate! Dicite tutto! Nun è chiù tiempo

’e ve sta zitta!

Maria — (cu fforza). Sì! Parlo; ma solamente a figiiema!

?? essa sola tengo ’o dovere ’e parlà! (a Damiano) Purtateve a Vittorio! Di-citencello che ce sta ’a legge ’e Dio che nun permette ca isso se sposa a Lucia!

Lucia — sta cu Vuocchie- sbarrate e ’o core che le sbaite, affannanno comme a nu mantece.

Maria — Vitto’, pateto te diciairà chello che che i’ mo dico a figiiema... (A Damiano) Purtatevillo! Faciteve ubbedi! [p. 194 càgna]- 194 Damiano - (eh’ ha ve afferrato Vittorio pe nu uraccio) lamino! Ubbidisce! (se si e na cu Vittorio tirannello p"o uraccio).

Mahia (cadenno ncoppa a na seggio) Ah! Ohe terrore!

’A Nonna - E fncitcncello capì ’a figlia vosta stu terrore che ve piglia!

Maria - (aizannose ’e botto, cu tutte l’anema) Sì! Dio ha vuluU) t he figiiema capesse tutto, pecche accussì io ’a putesse leva a’ dinfVa fossa addò vuje ’a state vuttanno!!! Ohe vuje tenite n’odio cu mme pecchè ve site misso ncapa che io aggio tradito a ’o figlio Vuosto — site mamma — e chesto, chesto pure ve se po’ perdunà; ma che avite voluto e vulite abbelenà ’o core d’V figlie mieje, che m’avite voluta fa schifa da ’e figlie mieje faeennole credere che io so’ stata na femmena malamente. chesto, chesto nun ce sta Ddio nè nisciuno che V’ ’o po’ perdunà! Ascite!... Levatevc ’a nante a ’ ’uocchie mieje!... Nun me ne mpoHa niente d’ ’a stima vosta! E, sì m’ ’a date, a’ jettor E manco na parola voglio dicere a vuje!... Jatevenne!... E quanno ve ne jate?!

’A Nonna — E me ne vaco! me ne vaco!... Parla a figlieta!.. Ma primma. dàlie nu specchio rumano! dincelle che ce se mi"’ rasse dinto e vedesse si essa nun rassumiglia tale e quale a Vittorio! (se ne va dinto ’a cammera soja).

Maria — (torna a cade assettata; Lucia, tremmemno. le s’assetta vicino e l’afferra pe’ mmane). Ero figliola... teneva meno ’e l’aità toja... e vulette bene a Vittorio che teneva l’aità mia... ’O vulette hbene senza che isso ponzasse a mme... E pecchesto ’o malrimmonio mio cu Ferdinando se putette cumbinà. cu tutto che chella vecchia nfama sapeva che io aveva voluto bene a Vittorio... Ma Vittorio nun ponzava a me- E io me capacetaje... e me spusaje... E, doppo d’ave parturito a Luigge, era gravida n’ata vota.

Lucia — E’ me?...

Maria — Aspetta!... E steva ancora a ’e primme mise ’e c bella siconna gravidanza e pateva assaje; c pe cchesto vulevo sempe a mammema vicino a me... Ma quanto chiù spasimava p’avè mammema vicino, chiù essa, cu ogne scusa, cu ogne pretesto cercava ’e starme luntana, pe nun se fa avvedè.... E io cuminciaje a capì... Nisciuno sapeva che mammema teneva na passione pe Damiano, o patre ’e Vittorio; e io sulamente n’aveva nu suspetto-..

Lucia E ’o marito ’e mammeta?...

Maria — Paterno?... Dio pozza perdunà apprimma apprimma a isso!... Aveva abbandunata a mammema figliola; doppo d’averla straziata ’e tutte ’e manere.... E nun se sape chiù che se n’è fatto... E mammema puverella, sola, abbandunata, aveva pigliata na passione p’ ’o patre ’e Vittorio, ps don Damiano, che era viduvo pur’isso... Io teneva diciott’anne’ e chella mammema era ancora meglio, ’e me... E essa» pe nun [p. 195 càgna]- 195 se fa vede, cercava ’e starme lunlana quanto chiù puteva... Ma venettc ’o mumento che nun me putette annasconnere chiù niente.-. Capisce?... E doppo d’avè parturito... essa... aizaje Puocchie a ’o Cielo e dicette: «E mo Madonna bella, me può perdunà! ’O peccato ch’aggio fatto ’o sconto cu ’a morte!» -E io chiagnenno, disperata me l’abhracciaje dicenno: «Tu mmuore pecchè cride che io te disprezzo!» — E perdoneme In ])ure (dicette essa): io moro! Baciarne a figlieto Luigge... N’ato ppoco e sarraje mamma tu pure n’ata vota; maritetc Ferdinando, sta mbarcato, socret» nun ce sta; e tu fa cunto d’avè duje gemelle: ’o nomme mio ’e Lucia ’o metterraje ’a peccerella mia e a’ farraje passà pe ffiglia toja e accussì sa!’ ’ l’arra je l’annore a essa e a me....

Lucia — (tremma tutta quanta).

Maria — ’A figlia mia nun campaje... e tu hé zucàto da

o pi etto mio ’o latte d’ ’a figlia mia!

Lucia — Ah! tu ssi na santa!... (se votta a vasarle ’e mma■ ie) Santa! Santa! Santa!

S’ acala ’o telone [p. 196 càgna]INDICE

VOL. I

m

>oli mia! (Prefazione deflo stesso Autore) . norrista per forza (Novella sceneggiala)

buono marito fa ’a bona mugliera (Commedia

atti)...........

n Nicò ssi piecoro (Commedia in t alto). ddoje catene (Commedia in 1 atto) . miullo d’ ’ ’a rota (Commedia in i atto)

i si5 ’na santa! (Scene ’e nu dramma) [p. 198 càgna]
















Presso L.