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Paggena:Teatro - Achille Torelli.djvu/15

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fore e trafore) mette in accordo i suoni, e così, di mano in mano assetta il vernacolo, finchè esso non giunge alla stabilità e alla compostezza della Lingua.

La fantasia dei napoletani mira particolarmente al colore e quella dei toscani al disegno della parlata; gli uni eccedono nelle tinte, gli altri sono impareggiabili nella precisione dei vocaboli corrispondenti alle idee.

Il Dialetto, dal più al meno, è come un’armatura in cui le assi, le spranghe, le traverse sono mal salde o mal chiodate; al contrario la Lingua è un congegno dove tutto sta a squadro e in rispondenza perfetta…

In conclusione, il Dialetto ciurla nel manico e la Lingua no. Questo è il dialetto parlato; ma quello scritto non deve ciurlare! Da noi si scrive, o per dir meglio si scriveva a quel tempo, il dialetto, raccogliendo ora l’uno ora l’altro suono di un medesimo vocabolo, e ciò contraddice all’Arte, la quale c’è non per uscire dal dialetto ma per scegliere fra le varie forme quella meno scorretta e più in rapporto con le altre affini. Insomma, a mio vedere, bisogna scrivere il Dialetto, cogliendolo nella sua più alta evoluzione verso la Lingua.

Come i fiumi vanno al mare senza la scorta degli ingegneri, così i dialetti tendono a divenire Lingua, senza che i grammatici vi abbiano arte nè parte.

Il nostro popolano dice trafoche e trafore e noi non usciremo dal vernacolo, scrivendo trafore.

La forma non ha altro dovere che quello di comunicare il pensiero quanto più chiaramente, efficacemente e sollecitamente è possibile: l’ondeggiare delle forme ritarda la comunicazione delle idee. Una bella definizione del Bello è questa: il Bello è ciò che si capisce più facilmente.

Premesse queste idee, dirò che, nello scrivere la mia prima commedia napoletana, «’O buono marito fa ’a bona mogliera», non ero sicuro di me e volli interrogare il Di Giacomo, essendo io poco pratico della nuova ortografia dialettale introdotta dal Russo e da lui; ed essendo anche dubbioso di adoperare qualche espressione troppo italiana o arcaica, perchè la mia forma, (in quel tempo) s’alteneva a quella dei nostri classici poeti dialettali; prova ne sia la mia «Canzone ’e Salumone votata a lengua nosta» e la mia scena: «Vaco a morì, tu campa!», scritte prima d’’O buono marito.

Per quale ragione io nascondeva che questa commedia era