mia? Siffatta ragione si deduce dalle parole di Vittorio Bersezio, nella sua Storia di Vittorio Emanuele II (Vol. VIII, pagina 562): «Dopo l’enorme successo dei «Mariti», Achille Torelli fu trattato senza pietá». — Qualche cosa di simile il Verdinois, nei suoi Profili letterari. E questo che dicevano il Verdinois e il Bersezio era confermato da una lettera di Giuseppe Verdi al Manzoni, la quale non ho presente, ma leggo nella Revue latine, dell’ottobre 1902. Eccola: «Tutti danno addosso ad Achille Torelli; ma non sarei meravigliato che fosse lui ad aver ragione. Se egli avrà la forza di resistere a questa corrente, arrivato ai quaranta anni sarà salvo. Ma guai a lui se seguita ad aver paura! Egli non scrive oramai che sotto l’incubo della paura!» Verissimo! Mi avevano ridotto talmente impaurito e malato che non osavo più dare alle scene un lavoro col mio nome. Mi si taccerà di essere stato un debole: a torto! ero un malato, un malatissimo, e quando il corpo è affranto, lo spirito trema. Si domandi al Cardarelli fino a che punto ero malato in quel tempo. E vorrei fosse ripubblicato un articolo commoventissimo, nobilissimo, di Roberto Bracco, sul Corriere del Mattino, dove egli scopriva chi era il celato autore di una commedia intitolata: Nodo gordiano. — E per la stessa ragione io non palesavo di essere l’autore d’’O buono marito…
Ma prima che la commedia fosse rappresentata il Di Giacomo si vide costretto di scrivere al Verdinois la seguente lettera, pubblicata nel Picche, n. 47, del 18 dicembre 1876:
«Carissimo amico,
«Voi non leggete i giornali… Se aveste però letta una mia lettera aparsa nel Corriere del Mattino, il giorno dopo la prova generale d’’O buono marito, avreste rivolto al Torelli tutte le vostre lodi, perchè la commedia è di Achille Torelli; io non ne ho riveduta che la forma napoletana, che già era ottima; ho mutato qualche frase, aggiunta qualche battuta, ho consigliato il Torelli di fare del 4. e del 5. atto un atto solo… A Cesare quello che è di Cesare….
vostro S. DI GIACOMO»
Infatti, il Di Giacemo non fece altro che mutare al mio napoletano pochissime frasi; ma evidentemente egli tenne a far sapere di avermi consigliato di fondere il 4. e il 5. atto della commedia. Invece un altro e mollo, molto più importante sug-