fiuto da brano artistico, strepitò perchè io da togato rendessi tabernario anche il finale del lavoro. — Stanislao Manca, nella Tribuna, scriveva a questo proposito: «Il Torelli ha tratto questa commedia dai suoi Mariti, ma non si tratta di una traduzione e tanto meno di una riduzione. L’autore ha riprodotto le stesse curiose vicende coniugali, nei rapporti della minuta borghesia, con un calore e un sapore asai diversi da quelli che si riscontrano nella figurazione degli aristocratici personaggi de I mariti». — E io non rilevo, per tanto, se un certo ragazzo non sprovvisto di ingegno e d’attitudine al teatro, ma benissimo provvisto di malignità, s’ostina a dire che ’O buono marito è una riduzione, s’intende! Bisogna togliere a me il marito di avere scritto il primo lavoro del Teatro d’Arte napoletano; Ma tiriamo via!
E gli altri miei lavori? ’O guappo pe fforza — ’O miullo d’’a rota — ’E doje catene — ’A chiesa d’’o sanghe — Non te ne ncarricà — Don Nicò, si’ piecoro! — Tu a chi vuò mettere int’’o sacco? — Implicitamente, erano dichiarati indecorosi, perchè erano esclusi dal repertorio decorosamente composto. Nego assolutamente che il Di Giacomo avesse intenzione di usarmi una villania; ma mancava il tempo per mettere in iscena le mie commedie; quindi lasciai il posto a lui e alle sue.
E qui mi torna conto rammentare un fatto. Piacque al Ministro Baccelli il disegno (vagheggiato e poi smesso da Roberto de Sanna) di presentare la Drammatica italiana all’Esposizione di Parigi; e per fattuazione di guesto disegno io fui chiamato alla Minerva da Giuseppe Costetti, allora Direttore Gerale dell Istruzione superiore. Ma il Costetti ed io, prevedendo che gl’introiti non avrebbero pareggiate le spese, ci vedemmo costretti a stremenzire il repertorio e a ridurlo a pochissimi lavori. Ma come regolarci per non far torto a nessuno degli autori nostri compagni? Non volendo escluder loro, Costetti ed io escludemmo noi stessi, e non comprendemmo nel repertorio nessuno dei nostri lavori, a cominciare da I mariti. — E passiamo a dir altro.
I poeti drammatici sono come i sarti, i quali per essere eccellenti, occorre che abbiano, oltre la stoffa, la maestria del taglio. Si può possedere la più bella delle stoffe e rovinarla in tagliarla per farne un abito… Il Di Giacomo (ne domandi a Benedetto Croce, se egli non ha fede in me) è un lirico dialettale di primissimo ordine; ha stoffa artistica come nessuno;