Circo equestre Sgueglia/Atto 1
Preludio
A sipario ancora abbassato si ode una voce di donna (Nicolina) intonare un canto a mo’ di stornello, accompagnato da un suono di mandolino e di chitarra. Ad ogni conclusione di frase, risponde un coro di varie voci, che fa da pedale.
Nicolina (canta)
Ragazzo bruno, che mi fai penare,
guarda chi canta, soffre e qui sospira.
Nelle pupille tue mi vo’ mirare:
tu sei la sola cosa che mi attira.
Il coro Cammino su cammino!
L’allegro saltimbanco
non può sentirsi stanco:
girare è il suo destino!
Passa da feste a fiere:
paesi su paesi;
con i suoi buffi arnesi
peregrinando va.
Prima che il coro abbia termine, la tela si leva sul quadro. Appare un angolo della piazza del Mercato, dove ha messo le sue tende il «Circo Equestre Sgueglia». A sinistra la «carovana» praticabile della famiglia di Don Cicciò, il proprietario, a cui si accede a mezzo di una breve scaletta (sul davanti, al lato sinistro) la quale raggiunge una specie di terrazzino, sormontato da una tenda e sul quale s’affaccia la porticina della «carovana» stessa. La facciata del circo è in fondo; facciata che limita l’alto «sciapittó»[1], ad ombrello, innalzato con albero centrale e disteso con corde esterne fissate a terra. Sul davanti della facciata, due scalini di legno grezzo portano all’ingresso, dove, sopra una pedana alta mezzo metro, v’è un vecchio mobile che funge da «bureau». Ai due lati dell’ingresso, rozze litografie, raffiguranti ritratti di cavallerizze, caricature di clown. In alto, scritta a caratteri cubitali colorati, la dicitura: «Gran circo equestre». A destra, una seconda «carovana», anch’essa praticabile ed alla quale si accede, sempre a mezzo di una breve scaletta. A questo lato, in terra, una pentola è stata messa a bollire sopra una latta di
benzina, trasformata in fornello. È un pomeriggio di agosto: l’ora della siesta. Accanto ad un piccolo tavolo quadrato, che è sul terrazzino della «carovana» di sinistra e sul quale si scorgono i resti di un pranzo, sta seduto Don Ciccio: tipo di beone, scamiciato, che sorseggia il suo ultimo bicchiere di vino; e vicino a lui, v’è sua moglie, Manetta, una donna matronale ed energica, intenta a leggere un giornale con una grossa lente d’ingrandimento. Nicolina, la loro figlia giovinetta — magra, cattiva, sensualissima — è affacciata al finestrino della sua «carovana» e sbircia Roberto, il cavallerizzo. Quest’ultimo, sui quarant’anni, volgare, presuntuoso, fatalone, gioca a carte con Carletto, contorsionista al trapezio — tipo di giovanotto furbo e svelto — sopra un vecchio tamburo, retto dalle loro ginocchia. Entrambi sono seduti su due sgabelletti, in direzione della facciata del circo. In piedi, fissi a guardare lo svolgersi della partita, sono Ragonghi (cani, gatti, topi, pulci ammaestrati) e Giannetto. Il primo è un ometto caratteristico, di mezza età, metodico e pusillanime; il secondo è un «tony[2]», tipo di giovinastro toscano. Più verso destra, v’è il placido e bonario Rarrella, clown musicale, che suona un mandolino; e, seduta accanto a lui, v’è Giannina, contorsionista al trapezio: una donna non priva di un fascino zingaresco, che suona la chitarra. In un angolo a destra, v’è Bettina, moglie di Ragonghi, occupata a rattoppare dei pedalini da uomo. Ella è chiamata dai compagni la «donna serpente», a causa del suo fisico di vecchia allampanata e del suo viso bislungo, nel quale campeggiano due occhi sempre attenti a guardar tutti e ad interessarsi di tutto, per farne materia di pettegolezzo, di velenoso intrigo, com’è nel suo istinto deformato da complessi d’inferiorità.
Giannetto (a Roberto, che si stropiccia le mani in attesa che Carletto gli dia le tre carte per il gioco della «scopa[3]») — Adesso ti ci vorrebbe una «donna».
Roberto (dopo aver guardato gli angoli delle carte ricevute, al modo dei giocatori) — È venuta… (Scambia una rapida occhiata d’intesa amorosa con Nicolina, e prosegue con un sospiro) Ma nun è essa… (Giocando senza interesse) «Scopa».
Bagonghi (sorpreso) — «… e nun è essa?» Comme, chella è «donna ’e denare[4]!»! (E mostra la carta).
Roberto (non sapendo che cosa rispondere) — Ah… (come dire: «Già, è vero») E io vulevo «’a donna ’e coppe». (Sorride a Nicolina, che sembra divorarselo con lo sguardo).
Bettina (alla quale non è sfuggita quella intesa, chiamando verso la «carovana» di destra) — Donna Zeno’… (Con intenzione) Uscite qua fuori… (Roberto si volge di scatto a guardarla, come per fulminarla; ella, un po’ impaurita, trova modo di riparare aggiungendo) La caldaia bolle.
Zenobia (scende dal carrozzone premurosamente. È una povera donna non brutta anche se sgraziata. Parla con accento pugliese. È la moglie di Roberto. A Bettina) — Grazie. (Al marito) Robe’… (Prendendo una cartata di maccheroni, che trova su un tavolinetto, a ridosso della «carovana»)… li posso cala’? (E mostra istintivamente la pentola che bolle).
Roberto (senza voltarsi) — Aspetta. Non tengo ancora appetito.
Zenobia (a Bettina e a Giannina che la guardano con considerazione) — E non ha fatto neanche colazione. (A Roberto) Ma come campi tu?
Bettina (mordace) — Campa di amore. (Roberto le lancia ancora un’occhiata di rabbia contenuta).
Zenobia — Che cosa cche cosa, Bettina mia! (Come confidandosi) Ca manco[5] di amore campa più.
Bettina (felina) — Sembra a voi…
Zenobia — Eh? (come dire: Davvero?) E allora «campa di amore» e io non me ne accorgo? Sto dormendo? (Cala la pasta nella pentola).
Giannina (sottovoce a Bettina, alludendo a Zenobia) — Che dice?
Bettina È proprio na torza[6]! Si foss’io a essa, che fa? permettarrie[7] ca maritemo[8] facesse ’o sentimento[9] cu’ ’a zetelluccia[10], sott’a ll’uocchie[11] mieie? Gianni’… (Mostrando Bagonghi) chillo è viecchio e guaie a chi m’’o guarda!
Giannina (ridendo, ironica) — No, nun ve mettite paura.
Bettina Seh, ce facessero ’a prova…
Barrella (a Giannina, mostrando Nicolina) — Gué[12], ma c’è caduta bona ’a guagliona[13], sah! Ce s’è attaccata comme a na mignatta!
Giannina — E isso? (Allude a Roberto) Nun ragiona cchiù!
Bettina (additando Zenobia che è tutta compresa a sventagliare il fornello) — E chella cretina che scioscia[14]!
Giannina — Ma so’ proprio marito e mugliera[15]?
Bettina — No! (Come dire: Macché).
Barrella (a Bettina) — Statte zitta! Che ne saie, tu? (a Giannina) Quella è pugliese, è di Molfetta… E lle purtaie pure na bona dote…
Giannina — Ah! (Come dire: Tutto è chiaro!).
Barrella — E mo[16] che Roberto se l’ha mangiata, tratta la moglie di quella maniera… (A Zenobia) Di’… fu tuo marito che t’insegnò a fare la cavallerizza?
Zenobia — Seh, fu mio marito. Ma perché, non la faccio bene?
Barrella (ridendo) — Tutt’altro!
Zenobia — Eh… ne ho prese di cadute! Tengo le ossa tutte spezzate! (Riprende a sventagliare, mentre Barrella, Giannina e Bettina fanno le loro considerazioni a bassa voce).
Don Ciccio (alla moglie, alludendo a Nicolina) — Addo’[17] sta chella?
Marietta — E addo’ pò sta’? Affacciata ’a fenestella[18]. (Scorge Roberto in amore con sua figlia e si turba. L’uomo, come colto in fallo, abbassa gli occhi. Al marito, in tono perentorio) Chiammatella[19]!
Don Ciccio (ignaro, chiamando con tono bonario) — Niculi’!
Nicolina (accorrendo sul terrazzino) — Papà.
Don Ciccio — Mangiate ’a carusella[20], (Le dà il frutto che ha preso da un piatto. Nicolina, in fretta, fa per tornare al suo posto).
Marietta (alla figlia, con durezza) — Mo vaie n’ata vota[21] dinto[22]? Assettate[23]! (E le mostra una sedia accanto alla sua).
Nicolina (balbetta) — Che sto facenno?
Marietta (con un’occhiata severa e significativa) — Cionca ccà[24]! (Nicolina trasale e siede mortificata e vergognosa, ma anche indispettita).
Don Ciccio (mescendo del vino, alla figlia) — Tie’[25], vivete[26] nu bicchiere ’e vino. ’E chesto n’atu ppoco ce ne sta, po’ è fernuto[27]. (Roberto è in agitazione: dov’è andata Nicolina?).
Carletto (credendo che Roberto voglia guardargli le carte, lo investe) — Eh, guardatelle pure… (Gliele mostra, con ironia) Tie’, te piaceno?
Roberto (svagato) — Chi sta guardanno ’e ccarte?
Carletto E tu t’affacce[28]. (Fa una giocata).
Roberto (col tono di: «Non dire sciocchezze») — M’affaccio? Ched è[29]? «Sette»? ’O tengo[30]. (Gioca e prende con la sua carta che è in tavola).
Carletto (verificando la carta giocata da Roberto) — Aspetta; chisto è «cavallo[31]»!
Roberto (Come dire: Giusto) — Ah! Pareva «sette»… (Carletto lo guarda, seccato).
Bagonghi (ridendo) — «Cavallo pareva sette»>!
Giannetto (sardonico) — Ci ha la testa nelle nuvole! (Roberto lo rimprovera con lo sguardo).
Giannina (a Bettina, ammiccando Zenobia, che ora è intenta a provare il grado di cottura della pasta con una ironica e graziosa cantilena) — Eh, come se lo governa il suo sposino.
Zenobia (un po’ confusa) — Embè[32]… Roberto solo a me tiene… Se non lo accudisco io, chi glielo fa…
Giannina — E giusto! Ma, vedete, è quistione di temperamento. Io, per esempio, non ho voglia mai di far niente. Mio marito, alle volte, s’arrabbia. Ed io capisco che ha ragione, ma ch’aggi’a fa’[33]? (A Bettina) Chillo mo sta dinto, pruvanno? mo ca jesce[34], doppo fatto doie o tre ore ’e capriole e zumpe[35], tene famme[36]? vò magna’? E io nun saccio[37] ancora che aggi’a accatta’ [38].
Zenobia — Ah, no! (Assaggiando un filo di pasta) Io poi, a Roberto mio non gli faccio mancare niente! (Allungando la voce verso il marito) Seh, ca quello chesto vorrebbe vedere: ca, quando tiene appetito, non fosse pronto il mangiare… Madonna, me ne potrei fuggire! (Assaggia un secondo filo di pasta).
Bettina (a Giannina) — Che? (Come dire: Avete sentito? Ad alta voce, con intenzione) Ah! Ce vò ’a furtuna a stu munno[39]!
Roberto (spazientito, sul punto di scattare) — Ah! «Asso»! (E fa per prendere una carta, nervosamente).
Carletto (fermandogli la mano a tempo) — Aspetta, chisto è «tre»!
Roberto (osservando la sua carta) — Ah! (Come dire: Hai ragione) E… me pareva «asso».
Carletto (rifacendolo) — «… me pareva asso». (Con altro tono) Tu he ’a juca’[40]! (Il gioco continua).
Giannina (a Zenobia, come concludendo un discorso) — Si, ma è troppo una servitù.
Zenobia (piccata) — E che vuol dire questa servitù? E dovere della moglie fare tutto al marito. La moglie lava, stira, cuce, rattoppa…
Bettina — …e il marito fa il damerino!
Roberto (scattando) — Donna Betti’… Donna Betti’, lasciate sta’ a mia moglie! (Moderandosi a stento) Fatela cucinare.
Bettina (sgraziata) — Chi ’a sta dicenno[41] niente?
Zenobia (ingenua) — Ca niente me sta a dire.
Roberto — E nun ’a date retta! Mannaggia! (E fa per prendere in una sola giocata tutte le carte che sono in tavola).
Carletto (esasperato) — Eh! Eh! Eh! Arronzate[42] tutto cosa! Staie jucanno[43] a «asso piglia tutto»[44]! (Porgendogli le carte che ha in mano, con eccitato sarcasmo) Vulisse[45] pure ’e mmeie?
Roberto (con tono di scusa) — E chella, mo, ’a capa[46]…
Carletto (a Bagonghi, che appare mortificato per quanto è accaduto) — Oh… ma comme s’ha dda fa’ cu ’a mugliera vosta…?
Bagonghi (a Bettina, uscendo fuori dai gangheri) — Ma comme… io aggio ammaistrato cane, gatte, sùrice[47] e pùlice[48], e nun so’ stato buono a te ’mpara’[49] ca nun he ’arapi’[50] ’a vocca[51]?!
Bettina (acida) — Ma che aggiu ditto? (Indisponente) Quello, mo, Don Roberto tiene il nervo teso… (Roberto la guarda male) M’hanno accidere si ’a parlo cchiù! (E mostra Zenobia).
Roberto (con malcelata minaccia nella voce) — E facite buono[52]: nun ’a parlate a muglierema[53]. Ca chella sta tantu bello[54], quanno nun parla cu nisciuno[55]!
Zenobia (commossa, a Barrella ed a Giannina, che la guardano) — E chesto fa, Roberto mio; chesto fa, vedete? Mi tiene gelosa.
Barrella (mormora a Giannina, che sorride) — Povera disgraziata!
Bagonghi (s’è avvicinato frattanto alla moglie e la trae in disparte) — Ma songo[56] affare ca te riguardano, chiste[57]? Oramai è na cosa ca tene ’a barba[58]! Che te ne ’mporta a tte? Nisciuno parla, vuo’ parla’ tu?
Bettina (feroce, indispettita) — E io faccio na lettera anonima ’a mugliera. (Mostra Zenobia. Bagonghi fa un gesto disperato per dissuaderla da quell’impensato proposito; ma Bettina insiste) E n’ata a essa… (Allude a Nicotina) E n’ata ’a mamma… E n’ata ’o pato[59]…
Bagonghi (con tono rabbiosamente ironico) — Si?
Bettina E le faccio pure raccomandate!
Bagonghi — Eh, addirittura!
Bettina — Raccomandate espresse!
Bagonghi (fuori di sé) — E io spengo[60] diece lire ’e francobolli? Cammina! (Spinge Bettina in malo modo verso l’ingresso del circo. Escono).
Giannina (preoccupata, ma con tono di pigrizia) — Neh, e io che aggi’a cucena’? (A Barrella) Chi ’o sente a chillo (allude al marito) mo che ghiesce[61]?
Zenobia — Povero Samuele!
Giannina — Se sapeste come mi secca di accendere il fuoco!
Zenobia (gentilissima) — Senza cerimonie: appena finito, vi prendete il mio.
Giannina (conquisa) — Uh, grazie.
Zenobia — No, non ci vuole questo «grazie». Ho comprato un chilo di carboni: mi date i dodici soldi e ve li prendete.
Barrella (sottovoce a Giannina) — Com’è gentile Donna Zenobia!
Gisella (compare dall’ingresso del circo. È la compagna di Barrella: donna non più giovane, rotondetta, con un viso giocondo. Ha un grembiule da cucina. Al marito, con accento romanesco) — Di’, a mangiare.
Barrella (a Giannina, alzandosi) — Neh, se volete anticipare…
Gisella — Senza complimenti.
Giannina — Grazie.
Barrella — Zuppa di fagioli. (Chiamando) Carle’, a tavola. (Esce seguito da Gisella).
Roberto (a Carletto) — He vinciuto[62]. Va’ a magna’.
Carletto — Eh! E m’hè ’a da’ na lira. (I due si alzano; Carletto ripone le carte).
Roberto (mette mano alla tasca) — Tie’, cheste so’ ddoie[63] lire. Damme na lira amme.
Carletto (cava una moneta, l’osserva, la porge a Boberto) — Tie’.
Roberto (osservando a sua volta la moneta) — Aspetta! Chisto è nu nichelio[64]!
Carletto (fingendosi svagato al modo di Boberto) — Ah! E me pareva na lira. (Roberto capisce l’antifona e lo guarda male) Ched è? A tte nu «tre» pareva n’«asso» e a me nu nichelio nun pò pare’ na lira?
Roberto — Gué! m’hè ’a da’ na lira!
Carletto — Uh! (Come dire: Smettila) Me pare ca te l’aggio data. (Esce in fretta).
Don Ciccio (che ha assistito alla scena, a Roberto) — Nun da’ retta, viene a bevere[65].
Roberto (avvicinandosi alla carovana e fissando Nicolina) — Grazie, non ho mangiato ancora.
Marietta (a Nicolina, sgarbata e con tono che non ammette replica, indicandole i resti del pranzo) Leva sta rrobba, portala dinto! (Nicolina obbedisce a malincuore e con gesti che tradiscono il suo nervosismo. Roberto si turba).
Zenobia — Robe’, io preparo?
Roberto (seccato) — Un momento.
Don Ciccio (centellinando ancora l’ultimo sorso di vino, a Roberto) — Jh che paura ca ce faciste mettere aieressera quanno cadiste ’a cavallo! Chella povera Niculina facette[66] a faccia bianca comme a chesta tuvaglia! (Manetta ha un moto di nervosismo, mentre il marito placidamente va appisolandosi).
Zenobia (a Roberto che è soprappensiero) — Robe’, posso preparare?
Roberto — Un momento, ti ho detto!
Giannetto (che è stato fino a quel punto a gironzolare, avvicinandosi a Giannina, che è rimasta attonita al suo posto, le sibila all’orecchio) — Da’ retta… Ma i’ che si fa, bambina?
Giannina (irritata, ma senza scomporsi) — Scostati! (E si guarda intorno).
Giannetto — Ma si può sapere che razza di vita è la nostra?
Giannina — He capito: vattenne[67]?!
Giannetto — Eh… Ve’ via, vo’ via, non t’arrabbiare… (Con l’intenzione di infliggerle un grave colpo) Domani mi licenzio.
Giannina (sorpresa e disgustata) — E se capisce! Mo nun c’è cchiù ragione ’e rummane’[68]! Oramaie he raggiunto ’o scopo tuio! (Pausa) ’A schifosa so’ stat’io, ca l’aggio dato retta!
Giannetto (le toglie la chitarra di mano e con la scusa di volerla accordare, dice alla donna, seccato) — Ma santo Iddio, non lo vedi che, qui, non si fa nulla? Io son costretto ad andar via… O che tu mi lasci andare o che tu vien via con me!
Giannina (trovando enorme la proposta) — Si… Nun basta ’o trattamento che faccio a maritemo, l’aggi’a pure abbanduna’!
Giannetto (restituisce la chitarra, con aria annoiata; quindi, scorto Roberto che ammicca Nicolina apparsa al finestrino della «carovana», si rivolge a Zenobia, con tono malignamente scherzoso) — O sofà[69] Zenobia… i’ che gli fa il su’[70] sposo? la fa ingrullire? (Zenobia che, nel frattempo, ha scodellato la pasta, non raccoglie l’insinuazione. Giannetto, fischiettando là stornello «Ragazzobruno…»> esce).
Marietta (alla quale non è sfuggito il significato maligno della frase di Giannetto, fa un cenno deciso a Roberto di avvicinarsi a lei e gli dice con tono di profonda gravità) Robe’, vuie a figliema[71] l’avit’a lassa’[72] sta’!
Roberto (trasecolando) — Ma che site pazza?
Marietta — L’avite lassa’ sta’!
Roberto — Ma vuie ve sbagliate…
Marietta — Nun me sbaglio. Ccà, Ddio ’o ssape[73], che c’è voluto pe’ purta’ na figlia a chell’età… E si ’o pato dorme, io sto scetata[74]… E si a Niculina l’è venuta ’a freva[75], io m’’a metto sotto ’e cavice[76] e ce ’a faccio passa’!
Zenobia (dolce, insinuante) — Robe’… (Roberto si volge di scatto e le lancia un’occhiataccia).
Marietta (continuando, con accento di dolore) — Che so’ sti purcarie[77]? Chella è na guagliona zetella, vuie site n’ommo ’nzurato[78]… L’avite sentuta a Donna Bettina comme tagliava cu chella lengua[79]? L’avit’a avut’a mettere pure a posto… E che aspettammo? ca jescene[80] ’e «tony» e ll’annunziano ’a miez’’a[81] pista?
Zenobia — Robe’, e vuoi venire a mangiare? (Gli mostra la pietanza).
Roberto (scattando) — Nun ne voglio, t’aggio pregato! Mo vengo e te piglio a schiaffe! (Zenobia tace avvilita. Giannina la commisera).
Marietta (concludendo) — Perciò, faciteme ’a carità… truvateve e ghiatevenne[82] 81 ! (Roberto trasale, come sgomento) Jatevenne! Accussi[83] acquistarrammo[84] nu poco ’e pace nuie, vuie… (Mostrando Zenobia che s’è messa a piagnucolare) e chella povera scunsulata! (Ha sparecchiato del tutto la tavola ed entra nella «carovana», lasciando Roberto, pietrificato al suo posto).
Zenobia (a Giannina, singhiozzando) — Per dirgli: Vieni a mangiare… «mo vengo e ti piglio a schiaffi!». Stanotte, per coprirlo che stava scoperto, m’ha fatto cade’ dal letto cu nu calcio… (Ha uno scoppio di pianto) E non è a dire che non mi vuole bene… (Asciugandosi gli occhi) no! Fin troppo me ne vuole! E chi lo sa che l’ha pigghiato[85]! (Dall’interno del circo si ode un vocio confuso e, distintamente, l’allegra voce di Samuele).
La voce di Samuele — Neh, senza cerimonie, venite a mangiare con me!
Giannina (scuotendosi e mettendosi in agitazione alla voce del marito) — Uh, Madonna! (A Zenobia, con premura) Avite fatto cu ’o fuoco?
Zenobia (con voce lagrimosa) — Si!
Giannina (va a rinnovare i carboni sul fornello ed a Roberto con tono conciliativo) — Don Rube’, meh… Nun ’a facite piglia’ collera[86]… (Mostra Zenobia) Ca na femmena accussi, è difficile a truvarse… (Roberto non risponde, troppo assorto com’è nei suoi pensieri; anche il suo sguardo è sempre fisso al finestrino della «carovana» di Don Ciccio).
Zenobia (frenando un singhiozzo) — Deve andare dentro al museo. Deve prendere una mummia e se la deve mettere vicino. (Giannina esce in fretta, a destra, in gran da fare, mentre Zenobia, alle spalle del marito gli sussurra con dolcezza) Mangiati i maccheroni.
Roberto (piano) — No.
Zenobia — Mangiati i maccheroni. (Roberto fa un gesto negativo. È agitato: Nicolina non è apparsa al finestrino) Ma come ti sostieni?
Roberto — Nun ne voglio. Mangiatille[87] tu! (Esce a destra).
Zenobia (dopo un istante di pausa, gridandogli dietro) — Ah, no, eh… E tu domani, dopo domani, l’anno che viene… Uà li trovi… (Mostra il piatto fumante sulla sedia dov’era seduta Bettina) Lia li trovi… (Entra nella sua «carovana»),
Nicolina (ricompare sul terrazzino con una tazza di caffè su di un piatto: si avvicina al padre e lo scuote) — Papà, scetateve… Pigliateve ’o ccafè… Meh, nun ’o ffacite fa’ friddo… (Posa il piatto sulla tavola e rientra nella «carovana» dopo aver guardato in giro. Don Ciccio si desta e comincia a sorseggiare il caffè).
Samuele (entra di corsa dall’ingresso del circo. È il clown popolarissimo nel quartiere, il «re della risata» come lo chiamano gl’imbonitori, il pagliaccio bravissimo a dir lazzi ed a far salti mortali. Così come appare con i panni da fatica: pantaloni di tela bigia, scarpe bianche flessibili e maglia scolorita, stanco, affamato, ansimante, il povero Samuele è quello che è: un uomo non più giovane, sofferente e nel quale l’agilità è soltanto fittizia, dovuta ad inenarrabili sforzi di volontà e di nervi e la lepidezza è soltanto sarcastica. Grida) — Gianni’, ce simmo[88] o no? (Allungando la voce) Jammo[89] che tengo famma, ja’! (Scorge il piatto fumante lasciato da Zenobia: appare lietamente sorpreso e a Don Ciccio, alludendo alla moglie) Uh, chell’assassina… (Siede col piatto fra le mani, rimestando i maccheroni con la forchetta) Chella menesta pure[90] e nun me chiamma. (Mangia una prima forchettata) ’E llassa[91] accussi, ccà ffore[92]… Comme si ’e maccarune fossero na cosa ’e niente… (Mangia una seconda forchettata; col cibo ancora in bocca chiama verso destra) Gianni’!! (A Don Ciccio) Comme se pò ffa’… (E mangia) pe’ sta femmena l’ultima cosa è ’o mangia’… Eppure ’a vita a chiesto s’è ridotta: a na furchettata ’e maccarune[93]… (E mangia) Gianni’!! (A Don Ciccio) E che ve pensate che vene[94]? (Grida) Gianni’!! (Mangiando a grossi bocconi, con dispetto) Embè, m’’e mmangio tutte quante, quant’è vera ’a Madonna! (Giannina rientra da destra con una grossa pentola. Nel vedere il marito intento a divorare il piatto di spaghetti, ha un’esclamazione di atterrita meraviglia; quindi va a deporre la pentola sul fornello, avvilita. Samuele la guarda e l’apostrofa con tono di amaro rimprovero) Viene mangia[95]… Ma comme, chisto è ’o mumento ca he ’a mettere a ffa’ ll’acqua pe’ llava’ ’e piatte? Assettate. (Avvicina una sedia alla sua) Viene mangia. Se lavano doppo, ’e piatte… (Giannina non sa che cosa dire) Mangià. (Mostrando i maccheroni) Nun t’’e ffa’ fa’ fridde… (Ingolla un grosso boccone).
Giannina (con unfil di voce) — Chille non songo ’e nuoste[96]… So’ ’e Donna Zenobia!
Samuele (rimane annichilito, immobile per qualche attimo, con un filo di pasta che gli pende dalle labbra; poi ingolla anche quello, ripone in silenzio la forchetta nel piatto e chiede alla moglie) — E ’e nuoste addo’ stanno?
Giannina (mortificata) — L’aggio mise a ffa’… (E mostra la pentola sul fuoco).
Samuele (rabbuiandosi si leva in piedi di scatto) — Mo he miso a ’nfuca’[97] ll’acqua? L’acqua po’ ha dda vollere[98]… Po’ he ’a mena’[99] 101 102 ’a pasta… Po’ ’a pasta s’ha dda cocere[100]… Po’ l’hê ’a scula’[101]… (Fuori di sé) E tu quanno scule, maie. Maie scule tu? (Con altro tono) E che he fatto tutto stu tiempo?
Don Ciccio (ridendo) — Ha sunata ’a chitarra.
Samuele — Vuie vedite! apposta ’e dicere[102]: «Chillu povero Ddio[103] sta sgubbanno[104], fammele pripara’ nu muorzo[105] ’e mangia’…» chella se sta cu ’e mmane ’ncopp’ ’a chitarra! (A Giannina) Songo ’e ccinche[106], n’atu ppoco s’ha dda mettere porta… (Mostra l’ingresso del circo) tu mo te miette a ’nfuca’ ll’acqua? (Sdegnato) Leva chella tiana[107] ’allà (mostra la pentola) si no cu nu cavice sa’ addo’ ’a faccio arriva’?! (Si domina, osservando il piatto) Me dispiace p’’e maccarune ’e Donna Zenobia… (Solleva con la forchetta qualche filo di pasta; sardonico) Eh… (Come dire: Guarda un po’) c’è rimasto ’o campione! (Don Ciccio sembra divertirsi un mondo. Alla moglie) Comme stevano ccà fore, sti maccarune?
Giannina — Donna Zenobia ha fatto chiacchiere[108] cu ’o marito… e nisciuno ’e lloro ha mangiato.
Samuele (risoluto, prende il piatto e, con la forchetta, sistema gli spaghetti, in modo che la loro quantità possa apparire maggiore, quindi chiama) — Donna Zeno’! (Zenobia compare e, scende la scaletta. Samuele le porge il piatto, a malincuore) Levate sti maccarune ’a ccà…
Zenobia (sorpresa di trovarli in piccola quantità) — E come va che sono così pochi?
Samuele — ’O marito vuosto s’ha mangiato ’e suoie… mangiatevi i vostri.
Zenobia — Ah! (È soddisfatta) Samue’, provane due…
Samuele — No, grazie. ’E mieie se stanno cucenno[109].
Zenobia — Sono buoni: burro e formaggio.
Samuele (mostrando la pentola) — Sono cotti. Giannina mm’’e sta menestanno[110]. (E guarda la moglie, che abbassa gli occhi).
Zenobia — Ma saggiali, almeno…
Samuele (supplicandola, perché non insista) — Nonsignore. Fate conto come se li avessi assaggiati… (Zenobia rientra nella sua «carovana» mentre Samuele va a sedere su uno sgabello, sospirando).
Nicolina (vien fuori dal terrazzino, scorge il clown) — Samue’.
Samuele (alza gli occhi) — Gué, gué…
Nicolina (prende il piatto e la tazza di caffè vuota dal tavolo) — Appena che ho finito, scendo, eh?
Samuele — Eh, eh! (Come dire, ironicamente: Il momento è buono!).
Nicolina — Me passe’[111] nu poco ’o salto murtale.
Don Ciccio — Lassa ’o sta’[112]… Lassa ’o sta’…
Nicolina — E pecche?
Don Ciccio — Chillo mo, Samuele, tene ’o mangia’ ’ncopp’’o stommaco.
Samuele (sardonico) — Famme digerì’ apprimma! (Don Ciccio spiega alla figlia quanto è accaduto).
Giannina (remissiva, al marito) — E allora?
Samuele — E allora, che?
Giannina — Mangiammo doppo ’o spettacolo?
Samuele (maggiormente turbato) — A mezanotte? (A Don Ciccio ed a Nicolina che ridono) È venuta ’a vigilia ’e Natale! (Giannina, indispettita, va a sventagliare il fornello).
Don Ciccio (alla figlia) — Mammeta[113] che sta facenno?
Nicolina — S’è menata nu poco ’ncopp’’o lietto. (Rientra nella «carovana»).
Giannina (seccata di sventagliare, al marito) — Ll’acqua se sta ’nfucanno… io vaco[114] nu mumento dinto… (Esce).
Samuele (levandosi di scatto) — Don Ciccio mio, nun ’a saccio capi’ cchiù! Nun ’a saccio capi’ cchiù! Me pigliarne[115] a schiaffe rò stesso! Ma comme: io mangio na vota ’o juorno[116] e tu (come parlando a Giannina) e ccinche miette a ’nfuca’ ll’acqua? (Don Ciccio va di nuovo appisolandosi. Samuele bagna il dito nell’acqua della pentola, per misurarne il grado di temperatura) Tutte quante hanno magnato o stanno magnanno! E io che magno? Veleno! (Sventaglia nervosamente sotto il fornello e parla a Don Ciccio, non accorgendosi che, ormai, il vecchio dorme) Si Giannina m’avesse vuluto cócere nu maccarone p’’ogne capriola che aggiu fatto… n’avarrie[117] avut’a truva’ na ’nzalatiera [118] accussi… (Con un gesto delle braccia la descrive enorme) E addo’ stanno? (Bagna di nuovo il dito, e sventola; ma infervorato nel suo dire non s’accorge che s’allontana dal fornello e sventaglia a vuoto) E sulo p’’o magna’? In tutto mi trascura, Don Ci’, in tutto… (Si avvicina di scatto al fornello, e sventaglia) È nu mese che le sto dicenno: Mietteme duie punte ’areto[119] ’o cuscialetto[120]. Chillo è a maglia: faticanno[121], se fernesce ’e sfila’[122]… Niente! Chi sa quale sera, dint’ ’a quacche sforzo, darò una doppia rappresentazione! (Poiché s’era allontanato, si riavvicina al fornello, sempre sventagliando) E io me rappezzo[123] ’e cazettielle[124]… Io me lavo ’e fazzulette… (Con la stessa intonazione di sopportazione, dopo aver bagnato di nuovo il dito nell’acqua della pentola) E ll’acqua è fredda e nun se ’nfoca! (A Don Ciccio) Vedete? Vaco pe’ dirlo a essa… avota[125] ’e spalle e se ne va… (Accorgendosi finalmente che Don Ciccio dorme) Don Ci’… Don Ci’… (Esasperato dall’inesorabile russare del vecchio) Vaco pe’ dirlo a chisto… e chillo piglia e s’addorme[126]… E a chi ll’aggi’a dicere? A chi ll’aggi’a dicere? A ’o Padreterno?! (Solleva il ventaglio con le due mani, come il prete solleva il calice sull’altare).
Roberto (riappare da sinistra, fischiettando lo stornello: «Ragazzo bruno» con l’evidente scopo di scorgere Nicolina. Samuele prende a fischiettare anche lui. I due uomini s’interrogano con lo sguardo; poi Roberto, con aria annoiata, poggia un braccio sulla spalla di Samuele ed abbandona il corpo come per pigrizia).
Samuele (scostandolo, vivacemente nervoso) — Io sto diuno[127]… e chillo s’appoggia!
Roberto (notando l’umore di Samuele) — Ch’è stato?
Samuele — Aggio fatto chiacchiere cu ’a signora mia.
Roberto — Io pure cu ’a mia. (Samuele fischietta in tono di canzonatura) Uh! (Come dire: Smettila).
Samuele — A tte pecche è stato?
Roberto — Eh! (Mostrando la sua «carovana», per indicare Zenobia che vi è dentro) Io sto parlanno… e chella penza ’o mmagna’! ’A capa se n’è gghiuta[128]… (Samuele lo guarda sorpreso, con atteggiamento comico) E tu?
Samuele (rifacendo Roberto) — Uh! (Verso l’ingresso del circo, alludendo a Giannina che vi è entrata) io sto faticanno… e chella nun penza ’o mmangia’! ’O stommaco se n’è gghiuto…
Roberto (come parlando a Zenobia) — E mme vuo’ cucena’ ddoie ore primma?
Samuele (come parlando a Giannina) — E mme vuo’ cucena’ ddoie ore doppo?
Roberto — E pretendi ca io mangio?
Samuele — E pretendi ca io sto diuno? (S’accorge che lo sfogo suo e quello di Roberto hanno assunto forma di lazzo; ne ride) Jh quanto simme[129] belle tutteedduie!
Roberto — Nun pazzia’[130]… (E si avvicina alla «carovana» di Don Ciccio, mentre Samuele riprende a sventagliare).
Nicolina (riapparendo sul terrazzino per svegliare suo padre, scorge Roberto e, trattenendo il fiato, perché il vecchio non si desti, si curva sul parapetto del terrazzino e mormora sommessamente al cavallerizzo) — Mammà dorme…
Roberto (dopo essersi assicurato con un rapido sguardo che non è scorto da nessuno) — Liéggete[131] stu biglietto, e rispunne[132] (Glielo passa cautamente).
Nicolina — Si, ma appena tengo tiempo… pecche mo nun è possibile. (Nasconde in fretta il biglietto in seno, quindi scuote suo padre) Papà, scetateve. A ddurmi’ ccà fore, ve fa male. (Don Ciccio si sveglia) Jateve a mmena’[133] nu poco’ncoppa’a[134] branda.
Don Ciccio — Lasciarne sta’. Samuele me sta cuntanno ’o fatto d’’a mugliera.
Samuele (sempre sventagliando) — Durmite… Durmite… (Bagna il dito nell’acqua della pentola) Ccà ce passano cierte caurare d’acqua fredda pe’ capa[135].
Don Ciccio (a Roberto) — Che ora songo?
Roberto (consultando l’orologio) — ’E ccinche e nu quarto.
Nicolina — Già?
Don Ciccio (preoccupato) — Ah! (Alzandosi, a Samuele) E lascia sta’, figlio mio, meh. Accummenciate a prepara’.
Samuele — Io aggio fatto… L’acqua è già tiepida! (Sventaglia con maggiore lena).
Don Ciccio (a Roberto) — Da’ na voce dinto… (Mostra l’ingresso del circo) S’accumminciassero a movere, ca è tarde… (A Nicolina) Vieneme a vesti’. (Entra con la figlia nella «carovana»).
Roberto (sfottente, a Samuele, come a voler subito mettere in attuazione l’ordine ricevuto) — Neh… (e batte le mani) jammo…
Samuele (nervoso) — Aspetta nu poco… (Bagna il dito nuovamente, con ironia) Aggio fatto…
Roberto Hai fatto?
Samuele (sarcastico) — Ccà manco nata ora e meza… e bolle! (Sventaglia furiosamente, volgendo le spalle a Roberto. Giannina riappare dall’ingresso del circo).
Roberto (a lei che gli passa davanti) — Che ha fatto po’, Zenobia, se l’ha mangiate ’e maccarune?
Giannina (fa per confessare l’accaduto) — No… chillo… (E mostra Samuele).
Samuele (voltandosi e avvicinandosi, di scatto, a Giannina) — Chillo che? (A Roberto) Che cosa? ’E maccarune? (Alludendo a Zenobia) Se l’ha mangiate. (Guarda Giannina come per farla zittire) L’aggi’avut’a dicere[136], però, ca tu l’avive pruvato[137]… si no chella nun s’’e mangiava. (Guarda di nuovo Giannina, seccato per l’imprudenza ch’ella stava per commettere).
Roberto — E mia moglie se l’ha creduto? Nun l’ha visto ca ’e maccarune erano intatte, senza tucca’?
Samuele (come per dire: Come sei ingenuo) — Io po’ ce ’e ddevo intatte? senza tucca’? Pe’ ce ’o ffa’[138] credere, me n’aggio mangiato io na furchettata. (A Giannina, che di dietro gli dà piccole gomitate per farlo tacere) Va’ me piglia nu chilo ’e vermicelle[139]… e viene mo! (Giannina esce in fretta, a destra).
Roberto (mette la mano sulla spalla di Samuele, in tono cordiale) — Samue’, grazie tante, eh!
Samuele — Figurati! Quanno se pò ffa’ nu favore a n’amico… (Sventaglia).
Zenobia (apparendo dalla sua «carovana», scorge il marito ed a Samuele, con dolce malizia) — Non li voleva li spaghetti, eh?
Samuele (secondando il gioco) — Non li voleva! (E per fare una carezza a Roberto, gli dà un piccolo schiaffo) Ma poi avete visto che marito affezionato? Per farvi contenta, li ha assaggiati. (Sventaglia).
Zenobia — Saggiati? Quello a momenti tutti se li mangiava! (Roberto afferra Samuele per il bavero della giacca e lo fissa, trasecolando).
Samuele (giustificandosi) — Esagera… (Mostra Zenobia).
Zenobia (al marito) — Non fa niente. Te possano fa’ salute!
Samuele — Grazie! (Roberto ripete il gesto) Rispondo io per te.
Zenobia — Vuol dire che io mi rimedio qualche cosa da mangiare dopo lo spettacolo.
Roberto (come sopra) — Insomma, di maccheroni non ne hai lasciati proprio?
Samuele (sempre giustificandosi) — Per fare la cosa naturale…
Roberto (gli stringe la mano con evidente ironia) — Ti terrò presente, sah!
Samuele (accettando la proposta) — Appiccechete[140] tutt’ ’e juorne… accussi, nun me dà a mangia’ muglierema… mme daie a mangia’ tu!
Roberto (portandosi all’ingresso del circo, grida verso l’interno) — Gué, ’a parata…. se vestesse[141]… (Alla moglie, con poca grazia) A tte, accummenciate a movere, ca, a mumente[142], se principia. (Samuele guarda verso destra per scorgere la moglie e si spazientisce. Roberto si avvicina alla «carovana» di Don Ciccio).
Zenobia (spaventata) — È già ora? Madonna mia! (A Samuele) E io tengo ancora li piatti sporchi da lavare… (Entra in fretta nella sua «carovana»).
Samuele (rifacendola) — E io tengo ancora i piatti puliti da sporcare!
Nicolina (si affaccia al finestrino della sua «carovana» e coglie l’occasione che Samuele le volge le spalle, in attesa impaziente di sua moglie, per mostrare a Roberto due garofani) — Robe’… Tie’, piglia, fa’ ampressa[143]… (Ma è indecisa se lasciar cadere i fiori o pur no).
Roberto (incitandola) — Buttali, a chi aspetti? (Con voce sommessa, mostrando Samuele) Chillo sta avutato, nun vede. (Nicolina fa un gesto come dire: ho paura) E minele[144], minele! (Spazientito) E quanno ’e mmine…?
Samuele (si volta di scatto, credendo che Roberto parli a lui ed alluda ai maccheroni) — E si nun me pporta ’e maccarune, comme ’e mmengo? (Mostra la pentola. Roberto sorride per l’equivoco e, raccolti i due garofani, che intanto Nicolina avrà gettato, entra nel circo. Nicolina si ritrae. Giannina entra frattanto da destra recando in mano una cartata di spaghetti. Samuele la investe) Jammo a correre, ja’! (Rifacendo l’andatura lenta e stanca della moglie) Eh, guarda comme cammina… (Grida) Curre!
Giannina (avvicinandosi al fornello) — Mo subito faccio.
Samuele (le strappa l’involto dalle mani e l’avvia verso l’ingresso del circo) — Lascia sta’, m’’o veco[145] io. Accummenciate a vesti’, ca Don Ciccio già ha dato ’o signale pa parata. (Giannina entra nel circo. Samuele mette l’involto sotto il braccio e seguita a sventagliare con grande lena; poscia alza il coperchio della pentola ed osserva con grande cura l’acqua che è presso a bollire. Trasale) Me pare che veco na ’mbolla[146]… (Con ansia) Na furchetta… Na forchetta… (Ed entra precipitosamente nel circo).
Zenobia (compare dalla sua «carovana» recando alcune stoviglie e posate sporche. Borbotta) — Come mai s’è fatto così tardi… (Va al fornello, scoperchia la pentola e, accortasi che l’acqua è troppo bollente per potervi lavare le sue stoviglie, vi versa dentro, prendendola da una brocca che è ai piedi della scaletta, dell’acqua fredda. Quindi comincia a lavare le posate, canticchiando)
Samuele (rientra con l’involto della pasta in una mano ed una forchetta nell’altra; nel vedere l’operazione di Donna Zenobia, ha un colpo; scatta, con accento di disperazione) — Donna Zeno’, vuie che San Nicola[152] state facenno?
Zenobia (un po’impressionata) — Zittu cu sta parola! Beh?!
Samuele — Ma comme? Io metto ll’acqua p’’e maccarune, e vuie ce lavate ’e piatte?
Zenobia (mortificata) — E si lu sapevo, nun l’adoperavo…
Samuele Mannaggia! (Guarda il cielo come per bestemmiare).
Zenobia — Zitto! (Sorridendo) Lu Signore se piglia collera[153]!
Samuele — E che collera?! ’A collera m’ ’a sto piglianno io, ca resto diuno!
Zenobia (continuando a lavare) — E nun fa niente! Che è cascato il mondo?
Samuele — Dio ’o ssape che c’è vuluto per far bollire l’acqua!
Zenobia — E adesso te metto la pulita.
Samuele — Eh! E io mangio ’a fine ’o mese! (In un eccesso di rabbia dà un morso agli spaghetti crudi, sputa il boccone e si mette a passeggiare nervosamente).
Don Ciccio (compare dalla sua «carovana» in divisa da scena — frac, stivaloni, frustino — e, scendendo la scaletta, investe Zenobia) — Ancora cu sti piatte ’mmano, vuie? Levate sta rrobba ’a miezo, ca è ora…
Zenobia (un po’ mortificata, affrettando la sua operazione) — Ecco, ho terminato. Ce stava un po’ di tempo, ed ho voluto profittare…
Samuele (con feroce ironia) —… che steva l’acqua calda pronta, e s’ha lavato ’e piatte… (Zenobia esce, recando con sé le stoviglie).
Don Ciccio (a Samuele) — Tu quanno te vieste[154]?
Samuele (sedendo) — Mo avit’a aspetta’! Mo aggi’a fa’ ’o chilo[155]!
Don Ciccio (a Carletto, che compare dal circo con una granata tra le mani e comincia a spazzare) — Eh… (Come dire: così va bene) Liggiero, liggiero… Lieve sulo quacche scorza[156]… E po’ miette ’a pedana a posto. (Indica un punto a sinistra dell’ingresso del circo) E va’ te prepara[157]. (Mentre Don Ciccio sta per varcare la soglia del circo, un gruppo di monelli, sbucati da destra, tenta di sgusciare attraverso l’ingresso. Don Ciccio e Carletto li fermano) È presto, è presto ancora. (Esce).
Carletto — Più tardi… (E continua a spazzare).
Samuele (si alza in fretta dalla sedia e si avvicina ad uno dei monelli) — Guaglio’[158], famme ’o favore… cheste so’ ddoie lire… (Gli dà una moneta) va’ a ddu[159] Donna Carmela, ’e rimpetto, pigliarne na lira ’e pane e na lira ’e baccalà… (Il ragazzo intasca la moneta) Ce ’o ddice: è pe’ Don Samuele… (Il ragazzo esce a destra in fretta, seguito dai compagni, dopo aver assentito con un cenno della testa. Samuele, dopo un attimo, grida verso l’interno della scena, come a parlare al ragazzo) Anze, fa accussi: na lira e meza ’e pane e meza lira ’e baccalà… (Segue con lo sguardo il monello, quindi, sospirando, ritorna a sedere).
Bettina (entra, sbucciando un’arancia e buttandone a terra le bucce, che Carletto, con santa pazienza, spazza; a Samuele) — Buona digestione.
Samuele (la sbircia, seccato) — Grazie. (Poi, con ironia) Avete uno stuzzicadenti?
Bettina (fa cenno di no, poi gli siede accanto, seguitando a gettare a terra le bucce, che Carletto va spazzando, sempre più spazientito) — Ho fatto chiacchiere con mio marito.
Samuele — Pure?… E chesta è n’epidemia!
Bettina (subito, intrigante) — Perché, pure vuie ve site quistionato[160]?
Samuele (vorrebbe parlare, ma conoscendo a fondo la loquacità maligna della sua interlocutrice, si frena e risponde) — Parliamo d’altro.
Carletto (vedendo altre bucce in terra, scatta) — Donna Betti’, e menatele ’n terra tutt’assieme… accussi scopo una vota! (Termina di spazzare, quindi va a sistemare la pedana a sinistra dell’ingresso del circo).
Samuele (con lo sguardo fisso verso il fondo, fremendo) — Chella carogna, chella carogna… (A Bettina, dando alla sua domanda un tono di semplicità) Che steva facenno muglierema dinto?
Bettina (riflette un istante, mangia uno spicchio d’arancia, quindi risponde con lo stesso tono di semplicità) — Me pare ca steva parlanno cu ’o tuscano[161]. (Samuele ha un sussulto. Bettina gli offre uno spicchio d’arancia) Ne vulite nu spicchio?
Samuele (rifiutando) — Grazie. (Pausa. Tra sé, con angoscia) Parlava cu ’o tuscano… (A Bettina) E… avete sentito più o meno che dicevano?
Bettina — No… pecche parlavano sotto voce. (Samuele si sbianca in volto. Bettina gli offre uno spicchio d’arancia) Vedite comm’è.
Samuele (accalorandosi, ma con tono supplichevole) — Nun ne voglio. (Tra sé, disperato) E chi nne capisce niente ’e sta femmena? Pò essere… e si nun è?
Bettina — Meh… (Insistendo nella sua offerta) Ve facite ’a vocca doce[162]…
Samuele (irritato, le strappa dalle mani tutta l’arancia e la mette in tasca).
Bettina (sorpresa esclama) — Eh! Che facite?
Samuele — E accussi è fernuta, e nun m’’o dicite cchiù! (Irrequieto si alza e va a guardare a destra nella speranza che il ragazzo torni con la sua colazione).
Bagonghi (compare dal circo e si rivolge a Samuele) — Gué, che staie guardanno?
Samuele M’aggio mannato ’accatta’[163] na lira e meza ’e pane e meza lira ’e baccalà. (Bagonghi ha un’espressione di commiserazione) È ’o quarto juorno ca magno asciutto[164]! (Bagonghi gli poggia una mano sulla spalla in segno di solidarietà; ma lui fa il beffardo) Ed ora, mi vado a vestire da pagliaccio!
Bagonghi (sorpreso dal tono ironicamente enfatico di Samuele) — Gué… Toscaneggi?
Samuele (con profonda amarezza) — No: toscaneggia mia moglie! (Bagonghi rimane interdetto: Samuele si volge supplichevole a Carletto, che frattanto gli si è avvicinato) Quanno vene ’o guaglione…
Carletto — T’’o pporto io. (Samuele esce).
Bagonghi (avvicinandosi a Bettina) — Ma Samuele ha saputo quacche cosa?
Bettina (con l’aria più stupita di questo mondo) — No.
Carletto — E che ttene?
Bettina — Non so… M’ha domandato ’a mugliera dinto che steva facenno…
Bagonghi (prevedendo qualche imprudenza della moglie) — E tu che l’hê ditto?
Bettina — Niente… (Come discolpandosi) Ca steva parlanno sotto voce cu o’ tuscano.
Bagonghi (mettendosi le mani nei capelli per la disperazione) — Uh! Che te piglia n’accidente! (E guarda Carletto, come per dire: ne ha fatta un’altra delle sue).
Carletto (A Bettina) — Ma comme, ogne vota che arapite ’a vocca, facite nu guaio?
Bagonghi (al colmo dell’ira) — Embè, t’aggi’a costruì’ na gabbia, pe’ quanto è vera ’a Madonna!
Bettina (come cadendo dalle nuvole) — Uh Giesù! Io me credevo ch’era na cosa innocente… saccio ca nun ce sta nu palmo ’e via netta[165]? (Al marito) E ccà, nun stongo manco cchiù sicura ’e te?
Carletto (ridendo ironicamente) — Seh, s’’o magnano ’e zoccole[166]!
Bagonghi (a Bettina, alludendo a Samuele) — Chillo mo va dinto… (A Carletto) Curre là… Avess’a fa’ na scenata?
Bettina (implacabile) — Si, ma si ce sta materia ’a sotto[167], è meglio ca taglia[168] o no?
Carletto (a Bettina) — E ve vulite sta’ zitta o no?
Bettina (imperterrita) — Pe’ chesto, chella faccia tosta ’e Giannina nun teneva genio ’e cucena’[169]
Carletto (a Bagonghi) — Eh! Jh che ll’hè ditto mo a chesta! (Esce in fretta).
Bettina (alzando la voce) — Pecche avev’a fa’ ’a languida, ccà fore[170].
Bagonghi ’A vuo’ ferni’?
Bettina — Chi?… (Decisa) Io mo vaco a scrivere na lettera anonima ’o marito!
Bagonghi! No!
Bettina — È inutile ca pierde tiempo! Io ll’ati lettere già l’aggio scritte. (Le prende dal seno e le mostra) ’E ttengo ccà!
Bagonghi (impotente a far tacere quella furia) — Ma vuie vedite a chi vò fa’ passa’ nu guaio! (A lei) Se pò veni’ a ssape’… Pecche ce avimm’a truva’ in una confragrazione[171]?
Bettina (spudoratamente) — E che l’aggio scritte io? Io l’aggio dettate a Gisella… Essa le ha scritte a lapis… Barrella l’ha cupiate a penna… E Carletto l’ha chiuse dint’’e buste!
Bagonghi (con esasperata ironia) — Eh! E sotto poi ci andava scritto: «Il comitato di propaganda»! (Compare Zenobia dalla sua «carovana». È vestita di una goffa e tipica eleganza da cavallerizza. Dando gli ultimi tocchi alla sua «mise», si dirige verso l’ingresso del circo).
Bettina (istintivamente) — Donna Zeno’… (Dopo aver dato una rapida occhiata in giro) Un ragazzo ha portato per voi questa lettera, e se n’è fuggito. (Gliela consegna).
Bagonghi (tra sé, disfatto) — Uh! Ma che assassina!
Zenobia (legge la lettera, sorpresa) — «Caro Don Ciccio, aprite gli occhi, che vostra figlia…».
Bettina (strappandole la lettera di mano) — No… (Gliene consegna una seconda) E qui. (Zenobia la guarda sempre più meravigliata) Il ragazzo ne ha portate due. Una pure per Don Ciccio.
Bagonghi (all’orecchio della moglie) — T’aggi’a fa’ na faccia ’e schiaffe!
Zenobia (legge) — «Cara Donna Zenobia, aprite gli occhi che…».
Bagonghi (prevenendo Zenobia nella lettura) — «… vostro marito…». (Tra sé, all’indirizzo della moglie) Le ha fatte a forma di circolare!
Zenobia (continuando a leggere con interesse crescente) — ….«vostro marito se la intende con Nicolina, la figlia di Don Ciccio». (Si rabbuia, quindi scoppia in una fragorosa risata, a Bettina) Mannaggia l’anema vostra! Sempre a scherzare state! (Entra Roberto; a lui, con foga, come a testimoniargli la sua fiducia, ma, al tempo stesso, scherzosamente) Viene ccà, traditore mio bello! Che mi fai sentire… Beh, ti perdono. Damme nu bacio… (Lo attira a sé).
Roberto (sorpreso, schivandosi per tema che appaia Nicolina) — Stai ferma.
Zenobia (insiste) — Damme nu bacio, taggio ditto!
Roberto — Ma che è stato?
Zenobia (mostrandogli la lettera, con ironico accento drammatico) — Guarda, che m’hanno scritto! Che tu mi tradisci con la figlia di Don Ciccio! (E sorride)
Roberto (rabbuiato, ma padrone dei suoi nervi e della sua calma) — Chi te l’ha data, sta lettera?
Zenobia (ridendo fragorosamente) — Sta pazza de Bettina…
Bagonghi (sottovoce alla moglie, impaurito) — Mo siente…
Roberto (amareggiato, dominandosi a stento) — Davvero? È stata Donna Bettina, eh?
Bettina (senza scomporsi) — Me l’ha data nu ragazzo! e ha detto di consegnare la lettera a Donna Zenobia!
Bagonghi (fa un timido cenno di approvazione col capo a Roberto che lo guarda con mal celata minaccia; quindi alla moglie sempre sottovoce, ma con tono intimidatorio) — Stanotte parlammo!!
Zenobia (a Don Ciccio che entra, allegramente) — Don Ci’, venite, venite qua… C’è pure una lettera per voi. (Don Ciccio si avvicina al gruppo).
Bagonghi (vorrebbe, in quel momento, sparire; alla moglie) — ’E vide ’e conseguenze….? (Le mostra i pugni).
Don Ciccio (senza interesse) — Addo’ sta, sta lettera?
Zenobia — ’A tene[172] Bettina.
Don Ciccio (a Bettina) — E dammella. (Bettina mostra la lettera, ma, stavolta, con esitazione).
Roberto (che dalla prima ha intuito il tenore della seconda lettera, a Don Ciccio, per sviarlo dalla lettura) — Ma non date retta… (E spinge il braccio di Bettina, con palese inquietudine).
Zenobia (al marito) — Fagliela dare, se ride nu poco.
Don Ciccio (a Roberto) — Famme vede’… (A Bettina) Miette ccà. (Prende la lettera e l’apre).
Zenobia (burlona, a Don Ciccio, stentando un tono di estrema gravità) — Leggete, leggete… Che scenufleggio[173]! Sotto agli occhi ce lo facevano, Don Ci’…
Don Ciccio (leggendo) — «Caro Don Ciccio, aprite gli occhi, che vostra figlia se la intende col marito di Donna Zenobia…».
Zenobia (a Don Ciccio che non sa come interpetrare la cosa) — Beh?
Roberto C’è spirito…?
Don Ciccio (trova lo scherzo fuori posto; a Zenobia) — Chi l’ha scritta, sta lettera?
Bagonghi (accortosi che Roberto lo guarda male, a Don Ciccio, rapidamente) — L’ha portata nu ragazzo.
Zenobia (ridendo) — Non è vero! (Mostrando Bagonghi e Bettina) Loro l’hanno scritta… pe’ fa’ nu scherzo!
Roberto — Nun teneno a che pensa’, ’e vvedite?! (Mostra i due coniugi a Don Ciccio, con disprezzo).
Don Ciccio (serio) — Proprio! Invece ’e pensa’ ca ccà… (Mostra il circo) nun se fa manco nu soldo! (Va infondo).
Roberto (traendo in disparte Bagonghi, ha un moto verso di lui come per picchiarlo) — Più tardi, io vi consegnerò un paio di schiaffi… e voi sarete tanto gentile da passarli alla vostra signora.
Bagonghi (tremante) — E non li potete dare a lei direttamente?
Roberto- No: ho il dovere di far sempre capo da voi, che siete il marito. Io piglio a schiaffi a vvuie e vuie pigliate a schiaffi a essa…
Bagonghi (a parte) — L’aggio truvato pure cavaliere!
Don Ciccio (allungando la voce verso l’interno del circo) — Gué, jammo a ffa’ ll’opera[174]!
Giannetto (entrando con aria inquieta) — Ma io non ci capisco più nulla… Ma i’ che gli ha Samuele? (I presenti gli si fanno intorno).
Zenobia — Perché, che è stato?.
Giannetto — ’O ì che lo so, io? E venuto di là a fare una partaccia alla su’ moglie…
Zenobia (a Don Ciccio) — Ho capito: pe’ via de li spaghetti… (Bagonghi guarda Bettina con intenzione di fiero rimprovero).
Don Ciccio (serio) — No: Samuele s’è seccato e con giusta ragione, pecche ’a mugliera se vesteva e chisto (indica Giannetto) steva là…
Giannetto (facendo lo gnorri) — ’O ì che vuol dire?
Roberto (senza dar peso alla cosa) — Ha pigliato gelusia[175].
Giannetto — Non c’era ragione, scusami. (A Don Ciccio, come per giustificarsi) Un si faceva mica nulla di male. (A Zenobia) Si discorreva… (Don Ciccio ritorna presso l’ingresso del circo) Per me… a Samuele gli hanno dovuto dir qualcosa…
Roberto — Giusto. (Con beffarda ironia) Donna Betti’, che ne dite?
Giannetto (a Roberto) — Eh, abbi pazienza…
Roberto (con voce marcata) — «Qualcuna» si è divertita…
Bettina (senza perdersi di coraggio, anch’essa con voce marcata) — «Nessuna»! Ccà la ggente se fanno ’e fatte lloro!
Bagonghi (tra i denti, alla moglie) — Che faccia tosta!
Giannetto (a tutti, ma più verso Bettina) — E scusatemi… Non ha mai detto nulla…
Roberto — Donna Betti’, ’o ragazzo vi avesse portato qualche lettera pure per Samuele?
Bettina — Nessuna lettera! (Con l’intonazione di dire: come siete spiritoso).
Giannetto (spavaldo) — Oh, d’altronde… chi se ne frega! (Bettina, Bagonghi e Roberto escono, incitati da Don Ciccio).
Don Ciccio (verso l’interno del circo) — Jammo, Samue’, ja’! (Samuele appare, tristissimo ed in abito da pagliaccio e grancassa) ’O juorno[176], vedimmo d’accummincia’ cchiù ampressa.
Samuele (guardando verso sinistra, ove mai scorga il ragazzo della sua commissione, a Don Ciccio) — Si nun ce sta nisciuno ancora… (Alla vista di Giannetto, gli volta le spalle e lascia scorgere le lunghe falde del suo tipico frac).
Don Ciccio E se non li chiamate… (Allude agli spettatori eventuali).
Zenobia (dopo aver colto a volo un’occhiata amarissima che Samuele lancia a Giannetto, si avvicina al toscano e gli dice sottovoce) — Meh, vaccelo[177] a dire a Samuele che ci hai discorruto [178] solamente con la moglie. Non lo vedi che l’hai fatto arrabbiare?
Giannetto (Sprezzante e cinico) — Per me… può arrabbiarsi quanto gli pare! (Esce).
Zenobia (si avvicina al clown, per confortarlo) — Samuele… Madonna mia, come sei stupido! Fai lu geluso? Ma che cos’è sta gelusia? Fai l’uomo! L’uomo maschio… indifferente… Come faccio io co’ Roberto… indifferente… Vedi che volta, gira e martella, ma sempre sotto me casca! Così devi fare pure con tira moglie: indifferente… Finché non ti casca sotto… Quando poi la tieni sotto, allora te la pigli e te la maneggi come caspiterola[179] vuoi tu! (Esce).
Samuele (lugubre) — E chisto è ’o fatto: ca sotto non mi casca mai! (Entra Barretta anch’egli in abito da pagliaccio: tuba rotta, cravatta bianca di battista, stiffelius e pantaloni a quadretti).
Don Ciccio — Jammo Barrella, ja’. (Entra Cadetto: calzoncini corti di satin, scarpine, smoking colorato, camicia bianca e colletto di celluloide con cravatta rossa. Si ferma sulla pedana e mette un tamburo a tracolla. Don Ciccio gli chiede) ’E ffemmene[180] so’ pronte? (Cadetto risponde di si, con cenno del capo. Don Ciccio chiama verso la sua «carovana») Niculi’…
Nicolina (appare dalla «carovana» in gonnellino di lamé rosso, corpetto giallo, nastro bianco sul capo; scappa sulla pedana accanto a Cadetto) — Pronto! (Entra dalla sinistra Pepesce, sfaccendato di piazza Mercato, seguito da un codazzo di monelli e di giovinastri. Tutti ammiccano la «parata»).
Pepesce (si toglie il berretto per salutare Don Samuele con comica deferenza) — Don Samuele. (Agli altri) Guagliu’… chisto è chillo ca fa fa’[181] ’e ddiece d’’e resate[182]!Musica
(Gli spettatori si piantano davanti alla pedana, in attesa dello svolgersi della «parata». Dal circo vien fuori Giannina, in maglione, coscialetto e bustino di colore azzurro. La segue Gisella, in calze nere, gonnellino con corpetto rosso, nastro giallo nei capelli. Si dispongono, entrambe, sull’ingresso, in atteggiamento statuario, con le braccia incrociate dietro la schiena. Don Ciccio comincia a suonare forte e a colpi celeri la campanella all’ingresso del circo. Carletto accompagna il suono con un rullo di tamburo. Samuele batte i piatti e la grancassa. Ne risulta un frastuono ritmico, assordante. Barrella assume grottesche pose da direttore d’orchestra e dirige quella musica assurda con movenze paradossali. Frattanto, a quel richiamo sonoro, appare da tutti i lati della piazza gente d’ambo i sessi, d’ogni ceto e di ogni età: gente che si ferma davanti al circo. Don Ciccio dà gli ultimi due colpi alla campana e la caratteristica musica cessa. Samuele si libera della grancassa e mentre i suoi compagni restano fermi in posa, allunga lo sguardo, ansiosamente, sempre in attesa del ritorno del ragazzo dalla sua commissione).
Barrella (a Samuele) — Che stai guardando?
Samuele — Niente… (a Carletto) Nun è venuto, ’o guaglione cu ’o stocco[183], eh?
Carletto (che ha compresa la domanda) — No. (Alcuni del pubblico danno segni d’impazienza).
Don Ciccio (seccato di quella incertezza, si avvicina ai due clowns e li redarguisce) — Neh, ma vuie a chi aspettate? Jh che vuluntà[184] ca nne teneno[185]!
Samuele (tristamente ingoia saliva; a Barrella) — Comincia.
Barrella (con voce stentorea da imbonitore) — Oh! Eccoci qua a noi, Don Samuele… (Pepesce con una piccola mazza batte un colpo alla grancassa. Il pubblico ride. Samuele lancia una guardatacela al «lazzaro». Barrella ripiglia)… Don Samuele… (Pepesce ripete lo scherzo, Samuele freme)… Don Samuele… (Pepesce vorrebbe insistere, ma Samuele, più rapido, glielo impedisce, strappandogli la mazza dalle mani e tentando di spezzarla).
Pepesce No! (Implorando) Nun ’a rompere! (Il pubblico rumoreggia).
Don Ciccio (a Samuele, scattando) — Ma è cosa che, invece di fare la «parata», vi mettete a scherzare col pubblico?
Samuele — Chi scherza? Quello (mostra Pepesce) con la mazza, mi sfonda la pelle della grancassa.
Nicolina (risponde con cattiveria) — E ringrazia a Ddio ca s’’a pigliano cu ’a grancassa…
Samuele (tace; ad un tratto trasale: gli è sembrato di scorgere tra il pubblico il ragazzo della sua commissione. Lo individua, lo interroga con ansiosa inquirenza) — Nun sì, tu ca sì gghiuto a m’accatta’[186] ’o ppane e ’o stocco? (Il ragazzo sgarbatamente gli risponde picche; con un gesto della mano, come, dire: Chi ti conosce?) E va bene! (Ingoia ancora saliva, quindi a Barrella) Attacca, va…
Barrella (con la sua voce da imbonitore) — Dunque, Don Samuele, vogliamo fare colazione?
Samuele (istrioneggiando) — Sissignore!
Barrella (a Cadetto, con l’aria da gran signore) — Cameriere, portate in tavola! (Cadetto fa un inchino ed esce) Don Samuele!
Samuele — Son qua!
Barrella — Voglio mettere a prova la vostra intelligenza!
Samuele- — Sissignore! (Entra Cadetto con un piatto di polpette ed una forchetta di stagno, che porge a Barrella).
Barrella — Samuele!
Samuele (risponde con un clownesco nitrito).
Barrella — Che cosa sono queste?
Samuele (sbirciando nel piatto con avidità) — Polpette!
Barrella — Facciamo come se ci trovassimo nel giorno del giudizio e queste polpette fossero delle anime vaganti da doversi giudicare. La vostra bocca è il paradiso, la mia l’inferno. (Porge al compagno la forchetta) Pescate un’anima.
Samuele (sceglie una polpetta, la infilza con la forchetta e la porge a Barrella, il quale istrionicamente si pone a sbirciare la pietanza).
Barrella (sospira con gravità) — Quest’anima la conosco… È quella di un vecchio usuraio. Sapete che faceva? Dava il denaro al trecento per cento succhiando il sangue della povera gente. Proprio così. Giunto in extremis, negò la benedizione del prete… Morì. Dove doveva andare l’anima sua?
Samuele — All’inferno!
Barrella (mangia la polpetta e porge di nuovo la forchetta a Samuele, che resta con un palmo di naso mentre il pubblico ride) — Ed ora… pigliate un’altra anima.
Samuele (mette più cura nella scelta: infilza un’altra polpetta con la forchetta, che porge a Barrella).
Barrella — Eh… questa è l’anima di un celebre brigante. Fin da bambino si era dato alla macchia. Aveva sulla coscienza ben sette omicidi… È poi: furti, scassi, rapine, stupri…
Samuele — Mamma mia!
Barrella — Morì… L’anima sua dove doveva andare?
Samuele (cedendo all’ineluttabilità) — All’inferno!
Barrella (mangia anche la seconda polpetta e porge una terza volta la forchetta a Samuele, che fa una smorfia grottesca) — Scegliete, Samuele!
Samuele — Un momento! Facciamo che la bocca tua è il paradiso e la bocca mia è l’inferno! (Guarda nel piatto e considera) Qua so’ tutte gente equivoche!
Barrella — Va bene. Pescate un’anima.
Samuele (infilza la terza polpetta, la sbircia: non gli sembra troppo grossa: la rimette nel piatto: ne infilza un’altra e porge la forchetta a Barrella, con espressione di diffidenza).
Barrella (guarda la pietanza con fare ieratico) — Eh… questa la conosco… È l’anima di un ricco sacerdote. Fece opere di bene, aprì ospizi, compì miracoli. Morì santo. L’anima sua beata dove doveva andare?
Samuele (grattandosi la pera) — Non aveva nessun peccato?
Barrella — Nessuno!
Samuele — Morì santo?
Barrella — Santo! Dunque, dove doveva andare?
Samuele (sbadigliando per la fame) — In paradiso! (Barrella mangia la polpetta. Ad un tratto, Samuele strappa la forchetta dalle mani del compagno e mangia con avida prepotenza le altre polpette che sono nel piatto).
Barrella — Eh, che fai?
Samuele — Sono tutte anime da giudicare. Le mando in purgatorio. (Porge il piatto a Cadetto, mentre il pubblico ride).
Barrella (ripigliando il suo tono da imbonitore) — Dunque Don Samuele…
Samuele — Ah, ah?
Barrella — Siete contento di sposare mia figlia?
Samuele — Sissignore!
Barrella — Benissimo. Allora, sapete il matrimonio che cosa è?
Samuele — È nu guaio! (E sbircia la moglie).
Giannina (acida) — Eh… Chi santo te l’ha ditto[187]?
Barrella — No! Il matrimonio è il legame di due persone che si fondono. Mia figlia si fonde a voi, voi vi fondete a mia figlia.
Samuele — …e resto fonduto per tutta la vita!
Barrella — Nossignore!
Samuele — Sissignore!
Barrella — L’uomo, sposandosi, passa ad una vita migliore.
Samuele — No! Passa a miglior vita!
Pepesce Eh, more[188]! (Ride con i compagni).
Barrella — Nossignore!
Samuele — Sissignore!
Giannina (a Gisella) — Oggi sta spiritoso!
Barrella — Il matrimonio è una catena…
Samuele — Al collo!
Barrella — Nossignore!
Samuele — Sissignore!
Giannina (tra i denti) — Meno male ca ’o ssape[189]!
Barrella No! Il matrimonio è una catena…
Samuele — Al piede!
Barrella — Nossignore!
Samuele — Sissignore!
Gisella (a Giannina) — Sta proprio arrabbiato!
Barrella — È una catena che lega due esseri.
Samuele — Nun è overo! Lega a n’essere sulo, pecche chill’àto[190] fa ’o commodo suio[191]!
Giannina (innervosendosi) — Mo piglio, e me né vaco! (Gisella la trattiene).
Barrella — E questa catena tiene stretti, marito e moglie, per tutta la vita!
Samuele — Nossignore! Quando la donna s’è seccata, spezza ’a catena, e se ne va.
Barrella — Ah, non lo può… Ci vuole il consenso del marito!
Samuele — Allora lle fa ’e ccorne[192] cu tutta ’a catena!
Barrella — Ma no!
Samuele — …Pe’ dint’a na maglia[193]!
Barrella — Che dici?
Samuele… Pe’ dint’’o pertuso d’ ’o catenaccio[194]! (Giannina, non resistendo più alle sanguinose ironie del marito, esce di scatto).
Gisella (non riesce a trattenerla) — Giannina! (Frattanto Pepesce, riempita una pompetta di gomma in un secchio d’acqua, lancia, furtivamente, uno zampillo altissimo che bagna Samuele e Barrella, i quali guardano in alto. Il loro gesto provoca grosse risate).
Nicolina (dopo aver dato una scampanellata, annunzia) — Ultimi giorni di nostra permanenza a Napoli!
Don Ciccio — Spettacoli a prezzi ribassati, diminuiti, ridotti e dimezzati! (Il pubblico comincia ad affluire all’ingresso del circo. Alcuni entrano).
Samuele (ha notato l’assenza di sua moglie) — Barre’…
Barrella — Ch’è stato?
Samuele — Muglierema è scappata dinto… È gghiuta addu ’o[195] tuscano… Barre’, è overo…
Barrella — Ma no… Sarà andata dentro a fare qualche servizio…
Samuele (impulsivamente) — Vaco a vvede’ che sta facenno…
Barrella — Nun te movere ’a ccà. Vuo’ fa’ storie[196] cu Don Ciccio?
Samuele (è investito da un nuovo zampillo; rabbioso) — Ma ’a ddo’ vene chest’acqua? (Il pubblico ride).
Carletto (a Nicolina, sorpreso da tanta ilarità) — Che stanno facenno?
Nicolina — Nu trucco nuovo cu l’acqua.
Gisella — Quanto ce ridono!
Zenobia (entrando dal circo, preoccupata) — Neh! Alla moglie di Samuele ll’è venuta na cunvulsione… (Sorpresa di tutti. Samuele, agghiacciato, fa per accorrere).
Don Ciccio (lo ferma, deciso) — Pensa a tte! (Seccato a Zenobia) Voi, simili notizie, non ne dovete portare mentre si sta lavorando…
Zenobia (a Samuele, che la interroga con lo sguardo) — È niente… È niente… Ce sta Bettina… (Esce).
Samuele (a Barretta) — Barre’… a muglierema ll’è vvenuta na cunvulsione…
Barrella (un po’ seccato) — È già… seccata, forse, per le chiacchiere che avete fatto, si è sentita un po’ male.
Samuele (a Don Ciccio, supplichevole) — Permettete che vaco a vede’ comme se sente?
Don Ciccio (sgarbato) — Eh… Lasciammille[197] ccà ’nnanze[198] a chisti quatto[199] guagliune… (Mostra il pubblico) Accussi chille se seccano e se ne vanno…
Samuele (disperato) — Ma pe’ chi ll’è vvenuta sta cunvulsione? P’’o tuscano o pe’ mme? (È investito da un nuovo zampillo; a denti stretti) Ma ’a do’ vene chest’acqua?!
Barrella — Pur’io me sento tutto bagnato!
Bagonghi (entrando dal circo, a Samuele) — Di’… E vieni un momento…
Don Ciccio (scattando) — Eh! N’è vvenuto n’ato[200]!
Bagonghi (a Don Ciccio, giustificandosi) — Giannina sta sbattenno…
Carletto — Stateve zitto! (Anche gli altri, con espressioni di circostanza, rimproverano Bagonghi per la sua inopportunità).
Samuele (investito da un nuovo zampillo, esasperato) — Uh, mannaggia…
Bettina — (entrando dal circo, a Samuele) — E niente… E niente…
Samuele — Donna Betti’?
Bettina — Le sta passanno…
Don Ciccio — Meno male… (Anche gli altri si rinfrancano alla notizia).
Bettina… C’è gghiuto ’o tuscano… Ll’ha spuntato[201] ’o cursé[202]… E se sente meglio… (I presenti fanno gesti come dire: Avete fatto un altro guaio).
Bagonghi (spinge la moglie nel circo, per sottrarla all’indignazione generale) — Trase[203]… Trase… Puozze muri’ cu ’o fieto ’e ggravune[204]! (Escono).
Samuele (con tono di esasperata fatalità) — Nun c’è scampo. Barre’: o subì’ o passa’ nu guaio! (È investito dall’ormai solito zampillo: si volta di scatto e scopre l’autore di quel feroce tormento: Pepesce, che non ha fatto in tempo a nascondere la pompetta. Si slancia su di lui, lo afferra per i risvolti della giacca e gli grida sul viso, prima che qualcuno possa impedirgli di farlo) Si ttu! Si ttu che aumiente[205] ’e turmiente[206] mieie? Ma comme? Io tengo ’a morte dint’’o core[207], e tu me stizze? Ma ’o ssaie che significa fa’ ’o pagliacciò e fa’ ridere ’a ggente, quanno ’o core chiagne a Llagreme[208] ’e sango[209]? Io tengo a muglierema cu ’e convulsione… ’o tuscano ca l’allarga[210] o cursé… ’o guaglione ca è sparito cu ’o ppane e ’o stocco… Mannaggia… (Lo spinge lontano; non avendo nemmeno la forza di inveire).
Nicolina (strilla, per distrarre il pubblico dall’accaduto) — Andiamo che si principia!
Don Ciccio (accompagnando Samuele alla pedana, con intenzione) — Abbiamo un teatro dentro e un altro fuori.
Samuele (rimettendo la grancassa a tracolla) — Ultimi giorni di nostra sofferenza a Napoli! Le convulsioni di mia moglie al trapezio! Nuovi salti e nuove capriole di Don Samuele, il re della risata! (Guardando verso destra) E ’o guaglione s’ha fumato[211] ’e ddoie lire! (La musica ripiglia; il pubblico continua ad entrare).
Nicolina — A prendere i migliori posti!
Don Ciccio — Soldi alla mano! Soldi alla mano!
- ↑ «sciapittó»: parola di gergo che indica la tenda di copertura del luogo dove si dà spettacolo.
- ↑ «tony»: pagliaccio del circo equestre (Dir.).
- ↑ «scopa»: nome di un gioco delle carte.
- ↑ «donna ’e denare»: otto di denari.
- ↑ Ca manco: che neanche.
- ↑ torza: scioccona (D'Am.).
- ↑ permettarie: permetterei.
- ↑ maritemo: mio marito.
- ↑ facesse ’o sentimento cu: corteggiasse.
- ↑ zetelluccia: dim. di zetella, zitella (D’Am.).
- ↑ ll’uocchie: gli occhi.
- ↑ Gué: eh.
- ↑ c’è caduta bona ’a guagliona: ci è caduta bene la ragazza; cioè: si è infatuata per davvero.
- ↑ scioscia: soffia.
- ↑ mugliera: moglie.
- ↑ mo: ora.
- ↑ Addo’: dove.
- ↑ fenestella: dim. di fenesta, finestra.
- ↑ Chiammatella!: chiamala! (perché venga da te).
- ↑ carusella: finocchio selvatico.
- ↑ n’atavota: un’altra volta.
- ↑ dinto: dentro.
- ↑ Assettate!: siediti!
- ↑ Cionca ccà!: resta ferma qua! Da cioncare, divenire paralitico (D’Am.).
- ↑ Tie’: tieni, prendi.
- ↑ vivete: bevi.
- ↑ fernuto: finito.
- ↑ t’affacce: ti affacci, ti sporgi per guardare.
- ↑ Ched è: cose?
- ↑ ’O tengo: ce l’ho.
- ↑ «cavallo»: carta da gioco raffigurante il cavallo; corrisponde al nove nelle carte da gioco napoletane.
- ↑ Embè: ebbene.
- ↑ ch ’aggi ’a fa’?: che devo fare?
- ↑ jesce: esce.
- ↑ zumpe: salti.
- ↑ famme: fame.
- ↑ saccio: So.
- ↑ accatta': comprare.
- ↑ munno: mondo.
- ↑ he ’a juca’!: devi giocare!
- ↑ ’a sta dicenno; le sta dicendo.
- ↑ Arronzate: raccogli in fretta.
- ↑ jucanno: giocando.
- ↑ «asso piglia tutto»; gioco da ragazzi che si fa con le carte napoletane.
- ↑ Vulisse: vorresti.
- ↑ capa: testa.
- ↑ surice: topi.
- ↑ pulice: pulci.
- ↑ ’mpara’: insegnare.
- ↑ ’arapi’: aprire.
- ↑ vocca: bocca.
- ↑ facite buono: fate bene.
- ↑ muglierema: mia moglie.
- ↑ bello: bene.
- ↑ nisciuno: nessuno.
- ↑ songo: sono.
- ↑ chiste: questi.
- ↑ tene ’a barba!: è cosa già nota da tempo!
- ↑ pato: padre.
- ↑ spengo: spendo.
- ↑ ghiesce: esce.
- ↑ vinciuto: vinto.
- ↑ ddoie: due.
- ↑ nichelio: sta per nichelino. Vecchia monetina da venti centesimi (Alt.).
- ↑ bevere: bere.
- ↑ facette: fece.
- ↑ vattenne?!: vattene?!
- ↑ rummane’: rimanere, restare.
- ↑ sora: signora (variante dialettale toscana).
- ↑ su’: suo.
- ↑ figliema: mia figlia.
- ↑ lassa’: lasciare.
- ↑ Ddio ’o ssape: Iddio lo sa.
- ↑ scetata: sveglia.
- ↑ freva: febbre (d’amore).
- ↑ ’a metto sotto ’e cavice: la prendo a calci.
- ↑ purcarie, porcarie: porcherie, sordidezze (D’Am.).
- ↑ ’nzurato: sposato.
- ↑ tagliava cu chella lengua: sparlava.
- ↑ jescene: escono.
- ↑ ’a miez’’a: dal centro della.
- ↑ truvateve e ghiatevenne!: su, andate via! (modo di dire).
- ↑ Accussi: così.
- ↑ acquistarrammo: acquisteremo, avremo.
- ↑ pigghiato: preso.
- ↑ nun ’a facite piglia’ collera: non fatela dispiacere.
- ↑ Mangiatille: mangiali.
- ↑ ce simmo: ci siamo.
- ↑ Jammo: andiamo.
- ↑ menesta pure: scodella perfino.
- ↑ ’E llassa: li lascia.
- ↑ ffore: fuori.
- ↑ maccarune: maccheroni.
- ↑ vene: viene, accorre.
- ↑ viene mangia: vieni a mangiare.
- ↑ nuoste: nostri.
- ↑ ’nfuca’: riscaldare.
- ↑ vollere: bollire.
- ↑ mena’: buttare, mettere la pasta nell’acqua che bolle.
- ↑ cocere: cuocere.
- ↑ scula’: scolare, colare (D’Am.).
- ↑ apposta ’e dicere: al posto di dire, invece di dire.
- ↑ Chillu povero Ddio: quel povero Dio, quel povero uomo.
- ↑ sgubbanno: sgobbando, lavorando sodo.
- ↑ muorzo: morso, boccone; qui nel senso di piccola quantità.
- ↑ ’e ccinche: le cinque.
- ↑ tiana: tegame.
- ↑ ha fatto chiacchie: ha avuto una discussione, ha litigato.
- ↑ cucenno: cuocendo.
- ↑ sto menestanno: sta scodellando.
- ↑ Me passe: mi ripasso (per esercitarmi).
- ↑ Lassa ’o sta’: lascialo stare.
- ↑ Mammeta: tua madre.
- ↑ vaco: vado.
- ↑ pigliarne: prenderei.
- ↑ juorno: giorno.
- ↑ n’avarrie: ne avrei.
- ↑ nzalatiera: insalatiera.
- ↑ ’areto: dietro.
- ↑ cuscialetto: cosciale del pantalone da ginnastica.
- ↑ faticanno: lavorando.
- ↑ se fernesce ’e sfila’: finisce di sfilarsi, si sfila ulteriormente.
- ↑ rappezzo: rammendo.
- ↑ ’e cazettielle: i calzini.
- ↑ avota: gira.
- ↑ s’addorme: si addormenta.
- ↑ diuno: digiuno.
- ↑ ’A capa se n’è gghiuta: la testa se n’è andata; nel senso di: non ragiona più.
- ↑ simme: siamo
- ↑ Nun pazzia’: non scherzare.
- ↑ Liéggete: leggi.
- ↑ rispunne: rispondi.
- ↑ Jateve a mmena': andatevi a distendere.
- ↑ ’ncoppa ’a: sulla.
- ↑ ce passano cierte caurare… capa: abbiamo pensieri molto più assillanti per la testa.
- ↑ L’aggi’avut’a dicere: le ho dovuto dire.
- ↑ pruvato: assaggiati.
- ↑ Pe’ ce ’o ffa’: per farglielo.
- ↑ vermicelle: vermicelli; tipo di pasta alimentare lunga e sottile.
- ↑ Appiccechete: litiga.
- ↑ se vestesse: che si vesta.
- ↑ a mumente: tra poco.
- ↑ ampressa: presto.
- ↑ minele: buttali via.
- ↑ m’o vveco: me la vedo.
- ↑ ’mbolla: bolla.
- ↑ sciore: fiore.
- ↑ cussu: questo.
- ↑ vaso: bacio.
- ↑ ’mpont: sulla punta.
- ↑ de lu mussu: della bocca.
- ↑ che San Nicola: imprecazione, con tono rafforzativo.
- ↑ se piglia collera!: si arrabbia!
- ↑ vieste: vesti.
- ↑ aggi’a fa’o chilo!: devo fare il chilo!
- ↑ quacche scorza: qualche buccia.
- ↑ te prepara: a prepararti.
- ↑ Guaglio’: ragazzo
- ↑ a ddu: da.
- ↑ ve site quistionato?: avete litigato?
- ↑ ’o tuscano: il toscano.
- ↑ Ve facite ’a vocca doce: vi raddolcite la bocca.
- ↑ M’aggio mannato ’accatta’: ho mandato a comperare.
- ↑ ca magno asciutto: che non mangio minestra.
- ↑ nun ce sta nu palmo ’e via netta: non vi è nulla di pulito.
- ↑ zzoccole: topi di fogna, ratti.
- ↑ si ce sta materia ’a sotto: se c’è del marcio sotto.
- ↑ ca taglia: tagliar (lo).
- ↑ genio ’e cucena’: voglia di cucinare.
- ↑ cca fore: qui fuori.
- ↑ truva in una confragazione: trovare in una conflagrazione.
- ↑ ’A tene: ce l’ha.
- ↑ scenufleggio: scandalo; rovina, strage (D’Am.).
- ↑ jammo a ffa’ ll’opera!: frase di incitamento ad operare…
- ↑ Ha pigliato gelusia: si è ingelosito.
- ↑ ’O juorno: al pomeriggio.
- ↑ vaccelo: vaglielo.
- ↑ che ci hai discorruto: che hai parlato.
- ↑ caspiterola: caspita (caspiterina).
- ↑ ’E ffemmene: le donne.
- ↑ ca fa fa’: che fa fare.
- ↑ ’e ddiece d’ ’e resate: molte risate.
- ↑ stocco: stoccafisso.
- ↑ vuluntà: volontà, nel senso di voglia.
- ↑ teneno: hanno.
- ↑ m’accatta’: comprare per me.
- ↑ Chi santo te l’ha ditto?: quale santo te lo ha detto?
- ↑ more: muore.
- ↑ ’o ssape: lo sa, ne è a conoscenza.
- ↑ chill’ato: quell’altro.
- ↑ ’o commodo suio: il comodo suo.
- ↑ lle fa ’e ccorne: lo tradisce.
- ↑ Pe’dint’a na maglia: attraverso una maglia della catena (in tono sarcastico).
- ↑ Pe’ dint’’o pertuso d’’o catenaccio: attraverso il buco del catenaccio.
- ↑ addu ’o: dal.
- ↑ Vuo’ fa’ storie: vuoi litigare.
- ↑ Lasciammille: lasciameli.
- ↑ ’nnanze: davanti.
- ↑ quatto: quattro
- ↑ n’ato: un altro.
- ↑ spuntato: slacciato.
- ↑ cursé: corsetto.
- ↑ Trase: entra.
- ↑ Puozze muri ’cu o fieto ’e ggravune!: (che) tu possa morire per il fetore dei carboni! Cioè: asfissiato dai gas di combustione.
- ↑ aumiente: aumenti.
- ↑ turmiente: tormenti, pene.
- ↑ core: cuore.
- ↑ Llagreme: lacrime.
- ↑ sango: sangue.
- ↑ l’allarga: le allenta.
- ↑ s’ha fumato: ha rubato.