Paggena:Circo equestre Sgueglia - Raffaele Viviani - 10 commedie.pdf/6

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Raffaele Viviani


zina, trasformata in fornello. È un pomeriggio di agosto: l’ora della siesta. Accanto ad un piccolo tavolo quadrato, che è sul terrazzino della «carovana» di sinistra e sul quale si scorgono i resti di un pranzo, sta seduto Don Ciccio: tipo di beone, scamiciato, che sorseggia il suo ultimo bicchiere di vino; e vicino a lui, v’è sua moglie, Manetta, una donna matronale ed energica, intenta a leggere un giornale con una grossa lente d’ingrandimento. Nicolina, la loro figlia giovinetta — magra, cattiva, sensualissima — è affacciata al finestrino della sua «carovana» e sbircia Roberto, il cavallerizzo. Quest’ultimo, sui quarant’anni, volgare, presuntuoso, fatalone, gioca a carte con Carletto, contorsionista al trapezio — tipo di giovanotto furbo e svelto — sopra un vecchio tamburo, retto dalle loro ginocchia. Entrambi sono seduti su due sgabelletti, in direzione della facciata del circo. In piedi, fissi a guardare lo svolgersi della partita, sono Ragonghi (cani, gatti, topi, pulci ammaestrati) e Giannetto. Il primo è un ometto caratteristico, di mezza età, metodico e pusillanime; il secondo è un «tony[1]», tipo di giovinastro toscano. Più verso destra, v’è il placido e bonario Rarrella, clown musicale, che suona un mandolino; e, seduta accanto a lui, v’è Giannina, contorsionista al trapezio: una donna non priva di un fascino zingaresco, che suona la chitarra. In un angolo a destra, v’è Rettina, moglie di Ragonghi, occupata a rattoppare dei pedalini da uomo. Ella è chiamata dai compagni la «donna serpente», a causa del suo fisico di vecchia allampanata e del suo viso bislungo, nel quale campeggiano due occhi sempre attenti a guardar tutti e ad interessarsi di tutto, per farne materia di pettegolezzo, di velenoso intrigo, com’è nel suo istinto deformato da complessi d’inferiorità.

Giannetto (a Roberto, che si stropiccia le mani in attesa che Carletto gli dia le tre carte per il gioco della «scopa[2]») — Adesso ti ci vorrebbe una «donna».

Roberto (dopo aver guardato gli angoli delle carte ricevute, al modo dei giocatori) — È venuta… (Scambia una rapida occhiata d’intesa amorosa con Nicolina, e prosegue con un sospiro) Ma nun è essa… (Giocando senza interesse) «Scopa».

Bagonghi (sorpreso) — «… e nun è essa?» Comme, chella è «donna ’e denare[3]!»! (E mostra la carta).

Roberto (non sapendo che cosa rispondere) — Ah… (come dire: «Già, è vero) E io vulevo «’a donna ’e coppe». (Sorride a Nicolina, che sembra divorarselo conio sguardo).

Bettina (alla quale non è sfuggita quella intesa, chiamando verso la «carovana» di destra) — Donna Zeno’… (Con intenzione) Uscite qua fuori… (Roberto si volge di scatto a guardarla, come per fulminarla; ella, un po’ impaurita, trova modo di riparare aggiungendo) La caldaia bolle.

Zenobia (scende dal carrozzone premurosamente. È una povera donna non brutta anche se sgraziata. Parla con accento pugliese. È la moglie di Roberto. A Bettina) — Grazie. (Al marito) Robe’… (Prendendo una cartata di maccheroni, che trova su un tavolinetto, a ridosso della «carovana»)… li posso cala’? (E mostra istintivamente la pentola che bolle).


  1. «tony»: pagliaccio del circo equestre (Dir.).
  2. «scopa»: nome di un gioco delle carte.
  3. «donna ’e denare»: otto di denari.