randa antichità, che tacquero tra noi, e che ci son pervenuti.
Ecco lo stato de’ linguaggi di quelli popoli, quando piegarono il collo non diremo al giogo, ma ad una disegual società co’ Romani. Riempiuti di colonie di essi, dovette farsi un misto, ed un mescuglio di quelle quattro o cinque sorti di linguaggi. Orazio ci ha conservato, che ai Canosini davasi per scherno il soprannome di bilingues per lo miscuglio de’ due linguaggi Greco e Latino, che facevano nel parare. Egli stesso, quantunque di famiglia originariamente Romana, ebbe bisogno di studiar sotto un illustre grammatico Beneventano la culta lingua Latina, e dirozzarla da quella mistura di Sannitico, e di Greco, che insiem col latte avea succhiata. L’esistenza d’un linguaggio diversissimo dal Latino tra gli Osci fino ai più bassi tempi della Republica è indubitabile per la testimonianza degli scrittori, e per l’avanzo di qualche iscrizione Campana, le quali malgrado la difficoltà di leggerle, bastano ad indicarci la somma diversità e ne’ suoni, e nelle voci.
A quella prima, e indubitata dimostrazione della varietà, che han dovuta avere anche nell’età di Augusto i dialetti nostri dal dotto Latino, aggiungasi ora l’altra non men certa, che della stessa lingua Latina solo una piccola parte è a noi pervenuta in quello scarse, e sfrantumate opere di scrittori, che dalle ingiurie non del tempo divoratore, ma dello zelo religioso (attento a distrugger in essi le tracce del paganesimo, e delle empie filofofie) sonosi potute salvare, e giunger a noi. Sono quelle o-
pere