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Paggena:Del dialetto napoletano - Ferdinando Galliani (1789).djvu/138

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NAPOLETANO

      Ma non che me mettisse a na gajola.
   Ed io vertesse, e hommo retornasse,
      Comm’era primmo e te trovasse sola,
      Ma non che me mettisse a na gajola.
   E po tornasse a lo buon sinno gatta,
      Che me ne scesse pe la cataratta,
      Ma che na cosa me vertesse fatta.

Della seguente non ci hanno lasciata notizia il Basile, ed il Cortese, se non che della prima, strofa.

II. A la rota, a la rota
      Mastr’Ange ce joca;
      Nce joca la Zita,
      E Madamma Margarita.

I versi, che susseguivano, mancano, ma ci sembra canzone antica assai, e fatta ne’ tempi del Re Carlo III. di Durazzo, e della Regina Margherita d’Angiò. Si cantava ballando quella spezie di danze in giro, che i Francesi dicono Rondes, o Branles, i Toscani carole; noi le chiamavamo Ruote. Anche gli antichi Francesi al pari degli antichi Italiani usarono cantar qualche canzonetta nell’atto di far quella danza allegra, e semplice, e di così remota antichità, che risale ai primi tempi de’ Greci, e de’ Romani. È celebrata la canzone fra essi per accompagnar questi Branles, che comincia:

Quand Biron voulut dancer.

Parimente hanno servito le due susseguenti canzonette ad accompagnar col canto le liete,

carole.

III.