Ber. (trattenendolo) Ah, neppà... più tardi.
Pul. Perdonò monsiù; sge aveva il cancaro ncuorpo e voglio mangè.
Ber. Ma questo non è il momento di pranzo; io mangio sempre alle quattro di Francia.
Pul. È io mangio alle 12 d’ Italia^ di Francia, e di Pozzulo. Alè...
Fra. Va bene, mo mino ve servo, (via per la parte del giardino)
Pul. (risentito) Eccellenza, sge sui e vvù mo avimmo da, mangè, sino io faccio lo quarto; capevii?
Ber. Bien, bien. (facciasi il seguènte dialogo con tutta precauzione) Donè muà. (mette la mano per esiger danaro)
Pul. Che sciosc?
Ber. Arsgià.
Pul. Avete asciato? che cosa?
Ber. Donemuà il danar che hai in saccja.
Pul. E quello è mion.
Ber. Lo conservo muà.
Pul. Ah! lo conserve tuà? gui, gui: piglievù. (glielo dà) ’
Ber. (conserva la borsa in sacca f e quindi rincula in un cantone sul davanti, parlando tra sè, senza curarsi di ciò che dice Pulcinella.) (Oh! lassarne fa sto cunto mo: io teneva 25 ducate...) (seguita a conteggiare)
Pul. (con tuono) Io di questi 18 ducati, eccellenza, avrebbo pensato di comprarmi una pareglia di storni.’ comme vi pare?
Ber. (Aggio spiso 10 ducate li vestite, e vvinte carrine so sservute pe lo viaggio.)
Pul. No, no; ajggio penzato meglio, me voglio compra due ciucci, eccellenza; per