'A musica d' 'e cecate

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[p. Copertino càgna]

’A musica d’ ’e cecate

La musica dei ciechi

[p. 263 càgna]

La continua tempesta del riso e delle lacrime

GINO CAPRIOLO*


Una “musica” di ciechi, cioé un’orchestrina girovaga e mendicante che alterna, a celebri canzoni napolitane, teneri valzer d’operetta viennese. Tra i suonatori, il controbassista, “Don” Ferdinando, che ha una moglie, Nannina, incontrata e sposata per caso. Com’è Nannina? Don Ferdinando non lo sa. Lei dice d’esser bella, ed egli ama crederle, fino ad esser preso da gelosia per un certo Alfonso, impresario e accompagnatore della piccola “troupe” miserabile.

La gelosia, e il dramma, divampano improvvisi. Don Ferdinando tenta di scacciare la donna, di abbandonare la “musica”, ma a ricondurlo sulla via della ragione è l’umile e tardiva confessione della donna, d’essere brutta, di non poter essere amata e desiderata da nessuno che non sia cieco come lui.

È tutto. Ma la potenza di questo atto unico consiste nel descrivere una immensa tragedia diventata abitudine. Come questi ciechi, e coloro che gli vivono intorno, parlano della loro sventura, con quale naturalezza, con quale indifferenza! E non un attimo lo scrittore indulge al patetico; tutto, nell’atto, è esasperante, tutto mirabilmente sgradevole. I ciechi di Maeterlink appaiono subito di maniera.

Reputo questa piccola opera tra le più significanti di una intelligenza terribile come quella di Raffaele Viviani: il mondo guardato attraverso il freddo vetro dei suoi occhi, in fondo ai quali mai si scorgeva, e sempre s’intuiva, la continua tempesta del riso e delle lacrime.

[p. 265 càgna]

Un trionfo!
Lettera di Raffaele Viviani alla mogle Maria


«Santa mia — scrive Viviani alla moglie Maria da Roma il 28 marzo 1928 — allegramente. Ho scritto un altro Don Giacinto forse più soffuso e più umano ancora. Ieri ’A musica d’ ’e cecate ha ottenuto un trionfo! Era l’atto che ci voleva vicino ad Assunta Spina! Ora sto pensando di scrivere un altro atto per dopo ’O vuto. […] Angelo bello, sono contento di quest’altra nobile fatica e penso che come scrittore divento sempre più bravo. La stampa entusiasta! Ti spedirò i giornali e ne spedirò anche a Di Giacomo»[Lettera 1].



  1. Viviani presentava Assunta Spina e ’O voto di Salvatore Di Giacomo, opere che pensava di rafforzare con Musica dei ciechi e Don Giacinto.
[p. 267 càgna]

’A MUSICA D’ ’E CECATE

LA MUSICA DEI CIECHI

Commedia in un atto


Napoli 1928






Personaggi


Ferdinando, contrabbassista

Don Antonio, mandolinista

Don Lorenzo, clarinista

Don Vincenzino, violinista

Gennarino, chitarrista

Don Alfonso, loro impresario e accompagnatore

L’ostricaro

Nannina, moglie di Ferdinando

I passanti


[p. 269 càgna]

ATTO UNICO


Preludio


A tela abbassata, si ode, suonato da una flebile orchestrina, il valzer lento dell’operetta «Il conte di Lussemburgo» di Franz Lehar. Poi, dopo qualche minuto, appare il quadro: un angolo del borgo Marinari, nel rione di Santa Lucia, inondato dalla luce calda di quel tramonto estivo napoletano. I suonatori, ciechi, raccolti nell’esecuzione del brano, che eseguono con molta accuratezza ed affiatamento interpretativo, sono in fila, l’uno accanto all’altro, a ridosso del parapetto, che s’affaccia sul mare del Castel dell’Ovo. Essi sono: Ferdinando, il contrabbassista; Don Antonio, il mandolinista; Don Lorenzo, il clarinista; Don Vincenzino, il violinista e Gennarino, il chitarrista. Ferdinando, in piedi accanto al suo strumento, che suona con grande trasporto, è un uomo sui cinquant’anni. La sua compunta figura, distinta, signorile, lascia trapelare ancor più la sua grande miseria dignitosa; veste una specie di «tight» liso e consunto e sul capo porta un’autentica «lobbia» nera. Don Antonio è un omone pletorico, vestito miseramente e con disordine; Don Lorenzo è un vecchietto segaligno e porta un paio d’occhiali neri, mentre Don Vincenzino è un rigido spilungone in paglietta e con cravatta nera «La Vallière» e Gennarino è un povero giovane emaciato, infantile, dalla figura sbilenca. Tranne Ferdinando e Don Vincenzino, i suonatori son seduti su piccoli sediolini pieghevoli. Don Alfonso, il panciuto e volgare accompagnatore del concertino, cieco anche lui di un occhio, va questuando l’obolo ai radi passanti, facendo tintinnare a guisa di richiamo i pochi soldini nel suo piattello di latta.

Don Alfonso (con voce inesorabilmente di cantilena) — Signori, la musica… La musica dei ciechi… (Passa un giovanotto, tipo d’impiegato; Don Alfonso lo investe, perché dia l’obolo) La musica…

Il giovanotto — Nun tengo ’e spiccio[1]

Don Alfonso (insistendo) — La musica dei ciechi… (Mostra i suonatori).

Il giovanotto (infastidito) — Ma chille[2] so’ cecate[3] e nun m’avevano visto…

Don Alfonso — E chille pecchesto[4] hanno miso a mme…

Il giovanotto — Ah, vuie pecchesto state ccà? [p. 270 càgna]Don Alfonso — E mme pare: pe’ raccogliere ’e solde e pe’ l’accumpagna’ ’e ccase lloro, quanno hanno fernuto[5] ’e suna’[6]
(L’ostricaro, rozzo tipaccio del luogo, sui quarant’anni, vestito d’un maglione turchino accollato e con una berretta dalla visiera nera, compare da sinistra. Ammicca ironicamente a Don Alfonso, mettendo in ordine le «spaselle», piccoli cestelli rettangolari, della sua merce su di un pancone ch’è lì vicino: alto, quadrangolare, terminante a piano inclinato, come un leggio, cosiddetto la «banca»).

Il giovanotto (a Don Alfonso, interessandosi ai suonatori) — Tutte quante cecate?

Don Alfonso — Tutte! Sei persone cu n’uocchio[7] sulo: ’o mio!

L’ostricaro (a Don Alfonso, con tono sarcastico) — E comme vedono, chilli puverielle[8], si vuie l’arrubbate[9] o no?

Don Alfonso — Vide’ addo’hê’i’[10]! «arrubba’»…

L’ostricaro — No? E che ne sanno chelli povere ggente si quanno raccuglite ’e solde v’’e menate dint’ ’a sacca? (Allude ai ciechi).

Don Alfonso (seccato) — Ostrica’, fallo p’’a Madonna, famme fa’…

Il giovanotto (dando uno spicciolo a Don Alfonso) — Tenite!

L’ostricaro (grida, rivolto ai suonatori) — Mo ha avuto dduie solde!

Il giovanotto (ridendo a Don Alfonso, che freme di stizza) — Ve sfruculea[11] eh?

Don Alfonso — Anfino[12] a che nun me tocco ’e nierve[13]

L’ostricaro (completa la frase, tendendo con minacciosa violenza l’indice verso Don Alfonso, che si ritrae; al giovanotto) —… e le ceco n’uocchio!

Il giovanotto (all’ostricaro) — E chillo uno ne tene e ha dda vede’ pe’ se’ perzune…

L’ostricaro — E io ce l’ammarro[14] pure; e ’o faccio suna’ ’o scetavaiasse[15] appriesso a chillo[16] cu ’a chitarra…

Don Alfonso — Tu?! (Fa per inveire).

L’ostricaro (di rimando) — Vide, vì… t’avess’a spezza’ na coscia cu na puntunata[17] ’e scarpe?.

Il giovanotto (a Don Alfonso, alludendo all’ostricaro) — Se l’ha miso ’n capo…
(Una comitiva allegra passa davanti ai suonatori). [p. 271 càgna]Don Alfonso (questuando) — Signori, la musica… La musica dei ciechi… (Uno della comitiva da un piccolo obolo) Grazie…

L’ostricaro (gridando verso i suonatori) — Mo ha avuto nu nichello[18]

Don Alfonso (ringrazia per un secondo obolo ricevuto, mentre la comitiva si allontana) — Grazie…

L’ostricaro (gridando ancora verso i suonatori) — Mo ha avuto mezza lira…

Don Alfonso (sempre più spazientito, al giovanotto che ride) — Aggio miso ’o cuntrollo… (All’ostricaro) Te ne vuo’ i’, o no?

L’ostricaro — Accussi faie carne ’e puorco[19]! Io me te vengo appriesso appriesso…

Don Alfonso (al giovanotto) — Ma vuie vedite chillu Ddio… (Il «concertino» smette di suonare, mentre il giovanotto si allontana).

Ferdinando (mettendo a posto l’archetto fra le corde del suo strumento) — Don Alfo’, ch’è stato?

Don Alfonso — E nun ’o siente? ’O scucciantone[20] ’e tutt’’e juorne…

Ferdinando — L’ostricaro, l’ostricaro…?

Don Alfonso — Eh, l’ostricaro… Dice ca io v’arrobbo…

Ferdinando (sorridendo) — Chillo pazzea[21]!

L’ostricaro — No, io dico overo!

Don Alfonso — ’O sentite?

Ferdinando — Sape[22] ca vuie ’o pigliate sul serio, e se diverte a ve sfruculia’…

L’ostricaro (mentre Don Alfonso, dopo aver contati gli spiccioli, li mette in tasca) — Hann’a essere diciotto solde!

Ferdinando — Eh? (come dire: davvero? in senso scherzoso) Eh?

L’ostricaro — L’aggio cuntate io a uno a uno… tutte chille ca ce l’hanno dato…

Don Alfonso — Mannaggia! (E guarda l’ostricaro, reso ancor più rabbioso, dallimpotenza di farlo tacere).

Ferdinando (chinandosi verso i compagni) — E chisto (mostra Don Alfonso) ca overo s’’a piglia.

Don Lorenzo (verso Don Alfonso) —Vuje cchiu facite[23] chesto e chillo (allude all’ostricaro) cchiu ce dà dinto[24]

Don Alfonso (autoritario, ai suonatori) — E dimane cagnammo[25] posto; eh?

L’ostricaro — E io nun ve vengo appriesso? (A Don Alfonso, provocandolo, con violenza) Tu tiene n’uocchio, puo’ gghi’ a ffatica’[26]!

Don Antonio — Ferdina’… (Ferdinando presta attenzione) Ma pecché venimmo a suna’ sempe a Santa Lucia? [p. 272 càgna]Ferdinando — P’’a ringrazia’. Chella ce guarda ’a vista ’e ll’uocchie[27]

Don Antonio (completando un suo pensiero) — Tanto, manco niente facimmo…

Don Lorenzo — Se n’è gghiuto[28] pure ’o cantante…

Gennarino — Almeno chillo fermava nu poco ’e gente…

Ferdinando (ha un idea) — Don Alfo’… ma vuie na vota nun cantaveve p’’e ssocietà? Pecché nun facite na cosa… Questi (allude ai passanti) sono abituati… Nel vostro interesse…

Don Alfonso — Eh… io sto fuori esercizio… Tengo nu repertorio viecchio… Che faccio? «’A resata»?

Ferdinando — Eh, facite «’A resata»… Sempre se fermarrà quaccuno, e quacche cosa acchiappate! (Ai compagni) Re maggiore! (I ciechi suonano «La risata» di Cantalamessa. Don Alfonso si dispone a cantare la «macchietta» con atteggiamenti, da «comico», di vecchie «periodiche»).

Don Alfonso

Io tengo ’a che sso’ nato
nu vizio gruosso[29] assaie;
nun l’aggio perzo[30] maie,
va trova lu pecché.
M’è sempre piaciuto
di stare in allegria;
io la malinconia
nun saccio che robb’è!
Sarrà difetto gruosso chistu ccà!
Ah! Ah! Ah! Ah!
Ma io ’o tengo e nun m’’o pozzo cchiu levà!
Ah! Ah! Ah! Ah!

(La breve risata del ritornello è eseguita dai ciechi, all’unisono con Don Alfonso)

Ferdinando (dopo la risoluzione della prima parte della «macchietta») — Don Alfo’…?

Don Alfonso — Ched è?

Ferdinando — E venuto nisciuno?

Don Alfonso — No.

Ferdinando — E facite ’a siconda parte…

Don Alfonso (ripiglia il canto)

Io rido si uno chiagne[31],
si stongo[32] disperato.
Si nun aggio magnato[33],
Io rido comm’a che…

[p. 273 càgna]

Me pare ca redenno[34]
ogni turmiento passa,
ca uno cchiú se ’ngrassa;
Sarrà difetto gruosso chistu ccà!
Ma io ’o tengo e nun m’’o pozzo cchiù leva’!
Ah! Ah! Ah! Ah!!

(Don Alfonso esegue la risata del ritornello, esagerando le espressioni e i gesti. I ciechi lo assecondano, sforzandosi di rider contro voglia, con un risultato quanto mai pietoso e grottesco).

Ferdinando (mentre Don Alfonso, dopo aver finito di cantare, si toglie il cappello, come per questuare) — Don Alfo’…

Don Alfonso — Ched è?

Ferdinando — E venuto nisciuno?

Don Alfonso — No.

Ferdinando — E facite ’a terza parte!

Don Alfonso — Eh, faccio ’a quarta! (L’ostricaro, gli dà uno scappellotto. Don Alfonso infuriato, grida) Beh, mo vaco[35] a chiamma na guardia… (E si allontana a destra).

Don Antonio (all’ostricaro) — Ma facitece fa’…

Don Lorenzo — Nuie stammo cca pe’ ce abbusca’[36] ’o ppane…!

L’ostricaro — Ma pecché v’avit’a fa’ sfrutta’ ’a chillo?

Ferdinando — Quello non ci sfrutta…

Don Antonio — Noi siamo pagati.

Don Lorenzo — Avimmo nu tanto fisso.

Ferdinando — Siamo tanta fissi tutti quanti. Lui per noi è come un impresario.

Don Vincenzino — Simmo scritturate…

Ferdinando — Stipendiati…

L’ostricaro — Eh… (Come dire: davvero?) E quanto ve dà?

Ferdinando (un po’ imbarazzato) — A secondo dell’abilità… Io piglio tre lire al giorno… Il mandolino… qua… due e cinquanta…

Don Antonio — Già, io piglio meno di lui, perché lui è più bravo di me…

Ferdinando — Se non ero meglio, non pigliavo mezza lira ’e cchiú!

Don Antonio (nervoso) — Embé, si fosse ’o mandulino viecchio, t’’o scassasse[37] ’n capo! (Agita lo strumento e butta in aria la paglietta di Don Lorenzo).

Don Lorenzo — Gué…

Ferdinando (solleva il contrabbasso e colpisce l’ostricaro) — Vide[38], vi’…

L’ostricaro — Gué, vide ’a do’ vaie!

Ferdinando — E io si vedevo addo’ ievo[39], mo nun stevo ccà… (Verso Don Antonio) E vedi se non deve sempre trascendere! [p. 274 càgna]Don Antonio — E tu dice ca sì cchiu bravo’e me!

Ferdinando — Va be’, io piglio mezza lira di piú, pecché ’o strumento mio è cchiu’ gruosso…

L’ostricaro (raccogliendo la paglietta e dandola a Don Lorenzo) — Tenite… Dunque, ’o mandulino piglia ddoie lire e meza…

Ferdinando — E gli altri tre, senza offesa dei professori, una e cinquanta ciascuno…

Gennarino — Pecché nuie nun servimmo[40]!

Don Vincenzino — Nu viulino, trenta solde!

Don Lorenzo — E a mme, cu ’o clarino… Have ragione[41] ca nun pozzo leggere ’a musica… si no ogne nota m’avev’a da’ tre e vinticinche!

L’ostricaro — Embè, e pe’ diece lire e meza, nun ve convenesse ’e v’ ’offa’ pe’ cunto vuosto[42]?

Ferdinando — A chi?

Don Antonio — Pe’ cunto nuosto?

Don Lorenzo — E Chi ce accumpagna? Chi ce raccoglie ’e solde?

Ferdinando — Ce vò uno ca vede… Ha dda sta’ cu tanto d’uocchie apierte… ca piglia ’a ggente pe’ pietto[43]… Si no ’e passante sentono e passano, e nuie sunammo[44]. (Canticchia «La risata») Rèdite[45], meh, redite… (Con altro tono) Ne abbiamo messo tre o quattro per farli esigere per conto nostro… Invece quelli esigevano per conto loro… E nuie overo nun vedevamo niente! (I compagni acconsentono) Meglio quel poco e sicuro; accussi simmo certe ca quanno scura notte[46]

L’ostricaro — E comme ve n’accurgite ca scura notte?

Ferdinando — D’’o stommaco… Quanno ’a panza se fa senti’[47] vò di’ ca è scurato notte!

Don Lorenzo — A me… (Mostra il clarino) chisto ’a vintiquattro ore nun sona cchiu!

L’ostricaro — E stu ’mpressario se fa na posizione ‘ncuollo a vuie…

Ferdinando — Embé, che ce vuo’ fa’? Nella terra dei ciechi, biato[48] chi tene n’uocchio...

Don Antonio — A senti’ a isso dice ca ce refonne[49]… (L’ostricaro cava una sigaretta, ma non avendo cerini, esce a sinistra. Ricompare frattanto Don Alfonso, che, meditabondo, va accanto a Ferdinando).

Ferdinando (credendo di parlare sempre all’ostricaro) — Che ha dda rimettere!? Quello è un volgare speculatore. Ti pare che se non trovava il torna conto suo, pagava [p. 275 càgna] a noi? (Don Alfonso, sorpreso, guarda il cieco minacciosamente, ma tace, per lasciarlo continuare) Quello si chiama calcolo! Ostrica’… (Con tono confidenziale) Basta dirti che s’affittaie ’a mugliera[50] pe’ treciento lire ’o mese…

Don Antonio (a Ferdinando) — Statte zitto, ca Don Alfonso pò senti’…

Ferdinando — Ostrica’… quanno sta pe’ veni’ Don Alfonso, avvisami… Hê capito? Trecento lire al mese! E facevano vita aunita[51]: isso, ’a mugliera e ll’amico d’ ’a mugliera… Per dirti che corna tene chillo, e che fetentone è quello là!

Don Alfonso (nascondendo a stento la sua bile) — Cu chi ll’haie?[52]

Don Lorenzo (a parte) — Ah! Ce l'ha ditto ’n faccia…

Ferdinando — …’e che?

Don Alfonso — ’E chello che staie dicenno…

Ferdinando — E che stavo dicendo? Io non mi ricordo…

Don Antonio (a parte) — Mo nun s’ ’o rricorda…

Don Alfonso — … che si fittava la moglie a trecento lire al mese… che facevano vita uniti…

Ferdinando — Ah… (Come dire: ora capisco) Io parlavo del maestro Panariello… (Ai compagni) Sol maggiore… (Musica. I suonatori suonano «’A canzone d’ ’a fatica». Don Alfonso, dopo una breve pausa, si allontana, facendo suonare i soldi nel piattello. Ferdinando si volge a Don Antonio) Chillo steva vicino a mme, e ha sentuto tutto cosa!

Don Antonio — E io te l’aggio ditto: statte zitto, nun parla’…

L’ostricaro (ricompare dando la «voce» e si ferma presso la sua «banca») — Ostriche d’ ’o Fusaro[53]! Belli dattere!

Nannina (moglie di Ferdinando, popolana matura, sciatta e sgraziata, compare da sinistra, annunziandosi con il ticchettìo degli zoccoli) — Ferdina’…

Ferdinando — Gué, muglie’, ched è?

Nannina — M’è arrivata sta carta… (Mostrandola) Guarda ccà.

Ferdinando — E comm’ ’a guardo?

Nannina — Ah… (Come dire: hai ragione).

Ferdinando — Che dice?

Nannina — Na citazione d’ ’o padrone ’e casa…

Ferdinando (sorridendo con amarezza) — Ha fatto ’a citazione? E pecché?

Nannina — E pecché? Pecché ha dd’ ave’ tre mesate!

Ferdinando — E io il mese passato te le ho date le quindici lire…

Nannina (titubante) — E mme servettero[54]. Io stevo senza mutande!

Ferdinando (ironico) — Nu colpo ’e viento, t’aizava ’a veste[55], jh che vvedive! (Con altro tono) Beh, e chill’atu mese io pure t’ ’e ddette… Io sulo na mesata porto attrassata[56][p. 276 càgna]Nannina (balbetta) — E chelli quinnece[57] lire…

Ferdinando —… pure te servettero?

Nannina — Io stevo annuda[58]

Ferdinando — Steva annuda! «La Venere del Milo»! Mannaggia! (Alla moglie) Jh chi me cecaie ’e me spusa’ a tte…

Nannina — «Chi te cecaie»? Tu ire gia cecato…

Ferdinando — E si ce vedevo nun ’o passavo stu guaio! (Nannina fa per replicare, ma vedendo Don Alfonso ritornare, tace. L’impresario si avvicina alla donna, e resta a parlare con lei).

Don Antonio — Ferdina’… è venuta tua moglie?

Ferdinando (con un cenno di approvazione) — Eh…

Don Antonio — E ched è?

Ferdinando — E che ha dda essere? Guaie! Ogne vota[59] ca vene muglierema me porta na pestella!

Don Lorenzo — E ched è a pestella?

Ferdinando — Na piccola peste!

Don Antonio (scherzoso) — Ferdina’… Ma cumm’è mugliereta?

Ferdinando — E chi ’o ssape? A senti’ a essa, dice ca é na bella femmena… (La musica cessa).

Don Lorenzo — Ferdina’… Ma cumme ’a cunusciste…?

Ferdinando — A chi?

Don Lorenzo — A mugliereta

Ferdinando (con voce un po’ commossa) — Stavo andando sotto a nu tram… ’A sentette[60] ’e parla’, ’mmiez’a certa folla che si era fatta intorno a me… Essa tutta me cumpateva[61]: «Puveriello… è cecato e ’o lassano[62] sulo…» Me vulette accumpagna’ a nu café, e mi offrì un bicchiere d’acqua…

Don Lorenzo — ’O facett’ ’o sacrifizio…

Ferdinando — … E un bicchierino d’anice… pecché io mm’ero miso appaura[63]… Po’ m’accumpagnaie ’a casa… Via facendo, cammenanno cammenanno[64], io lle cuntaie[65] ’e guaie mieie, essa me cuntaie ’e guaie suoie, unimmo ’e guaie mie e ’e guaie suoie e ce ’nguaiaieme[66] tutt’’e dduie. Essa era rimasta vedova da venti anni, io pure avevo bisogno ’e nu poco ’e guida… E nu mese doppo, celebrammo le nozze. Facettemo[67] pure na festicciolla[68]: essa cu ’a veste ’e [p. 277 càgna] bruccato[69] e io cu ’o soprabbito niro e col cappello duro… Invitaiemo[70] ’o maestro Panariello…

Don Lorenzo (un po’ maligno) — Ah! ’o scartellato[71]? Buono!

Ferdinando — Ce facettemo pure ’e ffotografie.

Don Antonio — E comme venettero?

Ferdinando — E chi ’o ssape… (Sorride, e, a Don Antonio) Damme nu cerino, famme accendere stu sigaro!

Don Antonio (gli porge una scatola; Ferdinando accende il sigaro, restituisce la scatola a Don Antonio).

Nannina (ad Alfonso, che ha continuato a parlare con lei, guardando il marito) — È nu guaio! Dinta casa nun ’o pozzo lassa’ nu poco sulo. Io l’aggi’a spuglia’, io l’aggi’a cucca’[72]

Don Alfonso — Ll’hê ’a pure spuglia’ e cucca’?

Nannina — E comme… L’autiere[73] pe’ se spuglia’ isso sula, se levaie ’e panne ’a cuollo[74]. E invece de mmena’[75] ’ncopp’ ’a tavola, steva ’a fenesta aperta, e ’e gghittaie abbascio[76]

Don Alfonso — Gué! (Come per dire: guarda, guardai).

Nannina (costernata) — E quanno chillo ha perzo na cosa… ’a matina, comme jesce da casa?

L’ostricaro (si avvicina maggiormente ai due, per ascoltare il loro discorso).

Don Antonio — Ferdina’…

Ferdinando — Che vvuo’?

Don Antonio (cava di tasca un sigaro, protende la mano) — Famme appiccia’[77] pure a mme.

Ferdinando (riesce a fargli tenere il suo sigaro acceso. Pausa. Poi chiama) — Muglie’, muglie’… addo’ staie?

Nannina — Mo, mo… sto parlanno con Don Alfonso. (Pausa).

Ferdinando (dà una gomitata a Don Antonio) — Totò…

Don Antonio — Ched è?

Ferdinando — ’O sigaro mio t’’o staie fumanno tu?

Don Antonio — No.

Ferdinando — E io sento ca tu zuche[78]

Don Antonio — E chillo nun tirava… (Riesce a dare delle boccate; poi) Tie’.

Ferdinando (prende il sigaro e lo porta alle labbra. Ha uno scatto) — Mannaggia! [p. 278 càgna]Don Antonio — Ched è?

Ferdinando — E mm’hê dato ’o sicario[79] ’mmano tutt’’o ccuntrario! M’hê fatto abbrucia’ ’a vocca[80]!

Don Antonio — Uh!

Don Alfonso (con dolcezza, a Nannina, che gli va mostrando un foglio) — Ched è sta carta?

Nannina (mortificata) — Na citazione d’’o padrone ’e casa.

Don Alfonso — Quanta avit’a paga’?

Nannina — Tre mesate, 45 lire. E pe’ chesto che so’ venuta a ddu isso[81].

Don Alfonso — E isso addo’[82] ’e ppiglia? (Pausa) Va buo’, mo t’’e ppresto io, e mm’’e tengo ’a na meza lira ’o juorno[83]. (E mette mano al portafogli).

Nannina (commossa) — Grazie, ma nun facite ’a vede’…

Don Alfonso — A chi? A mariteto?

Nannina — No, all’ostricaro… (E qui l'ostricaro allunga maggiormente le orecchie). Quello guarda sempre…

Don Alfonso (con maggior circospezione) — Viene sott’’o palazzo ’e rimpetto[84]... (Esce).

Nannina (al marito) — Ferdina’… Io mo vengo: vaco a piglia’ ’o ppane pe’ stasera. (E segue impresario).

L’ostricaro (ha sentito la frase di Don Alfonso, ha visto la manovra dei due, e, credendo che si tratti di una tresca, si avvicina a Ferdinando, parlandogli con voce ferma) — Professo’, chella ca mo se n’è gghiuta[85], è ’a mugliera vosta?

Ferdinando — Eh! (Pausa) Comme te pare?

L’ostricaro — Eh! Nun c’é male.

Ferdinando (contento, ad Antonio) — Gué, Anto’… muglierema nun c’é male…

Don Antonio — Chi te l’ha ditto?

Ferdinando — L’ostricaro. (Pausa).

L’ostricaro —… Professo’, arapite[86] ll’uocchie…

Ferdinando — È ’na parola! (Vivamente sorpreso) Pecché?

L’ostricaro — Venite nu mumento ccà! (Ferdinando si allontana di qualche passo dai compagni)… ’A mugliera vosta ha parlato tanto tiempo cu ’o ’mpresario vuosto...

Ferdinando — Beh?

L’ostricaro — …E aggio sentuto io, ca isso ll’ha ditto: «Viene sotto’ ’o palazzo ’e rimpetto…». E mo lla stanno tutt’’e dduie…

Ferdinando (scosso) — Overo? [p. 279 càgna]L’ostricaro (facendogli fare ancora qualche passo, e indicandogli con la mano un punto preciso) — ’E vvedite llà!

Ferdinando — E comme ’e vveco[87]?… (È agitato, ma cerca di essere calmo). Ostrica’, accumpagname, voglio senti’ che ddiceno[88]

L’ostricaro — E chille quanno ve vedono avvicina’ nun cagneno[89] discorso?

Ferdinando (con voce rotta dall’emozione) — Va bene, grazie, vattenne. (Pausa).

L’ostricaro (sinceramente indignato) — E che sango d’ ’a marina[90]! Sfruttarve pe’ ttre solde e farve pure ’e ccorna, po’ è troppo!

Ferdinando — E zitto, non fare sentire ai compagni. (Pausa) Grazie, vattenne[91]

L’ostricaro (convinto d’aver fatta un’opera buona) — Oh, e ssì! (Dà la voce) Ostriche d’ ’o Fusaro! Cannulicchie[92]! (Esce)….

Ferdinando (livido, balbetta, ritornando al suo posto) — Vigliacca! Schifosa! (Non si regge in piedi, urta il compagno vicino. È fuori di sé).

Don Antonio (colpito dal manico del contrabbasso) — Gué, statte accorto…

Ferdinando — Aggie pacienza[93]. (Pausa) Chella schifosa!

Don Antonio — Chi?

Ferdinando — …Schifosa!

Don Lorenzo — Cu chi ll’haie?

Ferdinando — Cu muglierema!

Don Antonio — E pecché?

Ferdinando (rabbioso) — Mme fa ’e ccorna!

Don Antonio — ’E ccorna?

Don Lorenzo — E cu chi?

Ferdinando — Cu Don Alfonso. Mo stanno parlanno sotto ’o palazzo ’e rimpetto!

Don Antonio — Chi te l’ha ditta?

Ferdinando — L’ostricaro.

Don Antonio — Giesù, cu Don Alfonso!

Ferdinando — Cu Don Alfonso, ’o piezzo ’e carogna[94]. Mme vò fa’ addeventa’ comm’a isso! (Gli altri suonatori chiedono che cosa sia accaduto, e Don Lorenzo rivela la novità tra lo stupore di tutti).

Don Antonio — Ferdina’, ma tu te n’aviss’a assicura’ ’e stu fatto. Senza na prova, comme parle?

Ferdinando — Senza na prova? E che so’ gghiute a ffa’ sott’ ’o palazzo? Vicino a mme nun putevano parla’? Pe’ s’allontana’, se tratta ’e na cosa illecita!

Don Antonio — E s' 'o ffacevano sott' 'o palazzo? [p. 280 càgna]Ferdinando — Essa ha ditta ca jeva a piglia’ ’o ppane? Mo che vvene, veco si l’ha pigliato! (Don Alfonso e Nannina ritornano).

Nannina (al marito) — Allora siente…

Ferdinando (cercando con le mani) — Hê pigliato ’o ppane?

Nannina — Non ancora.

Ferdinando (come un dannato, dando un colpo a vuoto) — Schifosa!

Nannina (sorpresa) — Gué?

Ferdinando T’aggio vista, t’aggio vista!

Nannina (meravigliata) — Addo’?

Ferdinando — Sotto ’o palazzo ’e rimpetto, cu ll’amico tuio! Schifosa!

Nannina (schiantata) — Qua’ amico e amico?! Gué?!

Ferdinando — E mm’’e ffaie dint’a ll’uocchie[95]?!

Nannina — Chi?!

Ferdinando — Dice: chillo nun vede! Io veco!

Nannina — Ma tu stisse ascenno pazzo[96]?

Don Alfonso — Ma ch’è stato?

Ferdinando — Niente! (Alla moglie) Pecché sì gghiuta sotto ’o palazzo ’e rimpetto cu Don Alfonso?

Nannina (comprende l’equivoco) — Uh, ca te pozzano accidere!

Don Alfonso — Ah, pecchesto sta furibondo? ’Amico tuio songh’io?

Nannina (giustificandosi) — Ll’aggio ditto d' 'a citazione che avimmo avuta, e Don Alfonso tanto buono m’ha prestato isso ’e cinquanta lire, e mm’ ’e steva danno ’mmiez’ ’a via. E siccome mme mettevo scuorno[97] ’e mme fa’ vede’ all’ostricaro, accussì... m’ha purtato sott’ ’o palazzo!

Ferdinando — E tu pe’ cinquanta lire te faie purta’ sott’ ’o palazzo? Traviata! Traviata! (I ciechi credono di dover suonare un brano dell’opera verdiana e, difatti, lo suonano. Ferdinando trasale) Che state facendo?

Don Antonio — ’A «Traviata»!

Don Lorenzo — Tu hê ditto ’a «Traviata».

Ferdinando — Ma no, io ll’aggio con mia moglie! (Pausa. Si rassegna a suonare. A Nannina, rabbioso) Chesta è ’a musica toia, ’o vì?! Chesta, Verdi, ’a scrivette pe’ mammeta[98]!

Nannina (a Don Alfonso) — Ma comme ll’è vvenuta sta gelusia?!

Don Alfonso — Chi t’ha ditto ca io parlavo cu mugliereta sott’ ’o palazzo ’e rimpetto?

Ferdinando — Chi teneva ll’uocchie!

Don Alfonso — Ll’ostricaro?!

L’ostricaro (che è tornato presso la sua «banca») — Chi ostricaro?!

Nannina (al marito) — Ma siente… [p. 281 càgna]Ferdinando — È finita! È finita! Vattene a casa tua! È finita! (a Don Alfonso) E pure pe’ vvuie è finita. Trovatevi il contrabbassista, perché io non faccio più parte della vostra orchestrina. (Alla moglie) E stanotte non mi ritiro!

Nannina — Addo’ vaie ca nun te retire?

Ferdinando — Passianno[99], sbarianno[100] io sulo, comme a nu pazzo!

Nannina — Ma che vvuo’ i’ n’ata vota sotto a quacche parte? E sta vota nun truove a mme ca te salvo a tiempo! Sta vota, muore!

Ferdinando — È meglio ca moro[101], ca campo[102] disonoratamente!

Don Alfonso — Pienza a suna’ mo!

Ferdinando — E si capisce! Accussì io sono a na parte e isso tenta di suonare dall’altra! Vigliacco!

Don Alfonso (all’ostricaro) — Ma vedite stu piezzo ’e carogna che m’ha cumbinato!

L’ostricaro (minacciandolo) — Gué, statte zitto o sinò te taglio ’o naso! (Pausa).

Ferdinando (alla moglie) — Vattenne ’a casa! Io non mi ritiro!

Nannina — Ma che ssì pazzo?

Ferdinando — Pazzo? Quanto è vera ’a vista ’e ll’uocchie!

Don Antonio (tra sé) — S’è fissato!

Ferdinando — E tu ’o ssaie ca quanno io giuro ncopp’all’uocchie, è fernuta!

Spezza la musica

 Vigliacca! Mascalzona! Dice: chillo è cecato, nun vede! Eppure mo t’aggio visto!

Nannina — Ma che hê visto? Ll’anema ’e mammeta?!

Don Alfonso — Te l’ha ditta l’ostricaro?!

L’ostricaro — È meglio ca mme ne vaco io, sinò ’o jetto[103] a mare! (Esce).

Ferdinando — Ma allora pecché me l’ha ditto? pe’ sfruculia’ a mme?

Don Alfonso — No, pe’ sfruculia’ a mme!

Don Antonio — Magari l’avrà detto in buona fede e tu te ’mpressiune!

Don Lorenzo — Ferdina’! (Piano) Ma ne patisce mugliereta, ’estu male?

Ferdinando — E che nne saccio? Io nun aggio visto maie niente!

Don Lorenzo — E dalle[104] ca «nun aggio visto…».

Ferdinando — Nun aggio ’ntiso[105], nun aggio saputo…

Don Lorenzo — E allora? (Pausa).

Ferdinando (a Don Antonio) — Che ha fatto? Se n’è gghiuta? Dove è andata? Dove è andata?

Don Antonio — Chi? [p. 282 càgna]Ferdinando — Muglierema.

Don Antonio — E io che nne saccio?! (Lunga pausa. Si fa sera).

Don Alfonso (si avvicina a Nannina, che piagnucola e la conforta).

Ferdinando — Silenzio completo! Se ne sarranno jute n’ata vota sotto ’o palazzo! Nun ce sta manco l’ostricaro per poter domandare. (E scruta, istintivamente, nel vuoto).

Don Alfonso (a Nannina) — Me dispiace pe’ vvuie…

Nannina — È na croce ca m’aggio abbracciata. Che pozzo fa’? (Pausa) Pigliatevella[106] ’a cinquanta lire!

Don Alfonso — E comme facite cu ’o padrone ’e casa?

Nannina — S’ ’o vvede isso! Mo l’ha dda passa’ stu mumento! Io ’o ssaccio ca se ’mpressiona… L’ata[107] sera chiammavo ’o gatto… «zu, zu, zu». E chillo mme dicette: « Schifosa, a chi te staie vasanno[108] dint’ ’o scuro[109]?! »

Don Alfonso — Uh! (Ride).

Ferdinando (piano, a Don Antonio) —Totò! Sta ancora ccà.

Don Antonio — Essa?

Ferdinando — E pur’isso! Aggio ’ntiso ’a voce ’e tutt’ ’e dduie!

Don Alfonso — Giesù, pe fa’... «zu zu zu…».

Nannina — Pe fa’… «zu zu zu».

Ferdinando (ascolta, freme).

Don Alfonso — E già, chillo senteva.

Ferdinando (morso dal furore) — Se stanno vasanno!

Don Lorenzo — Giesù, ’mmiez’ ’a via…! (Pausa).

Don Alfonso (ritira il danaro, e lo rimette nel portafogli) — E allora ce ne jammo? (I ciechi si alzano, e si preparano ad andar via).

Ferdinando — Non vengo.

Nannina — E n’ata vota mo?

Ferdinando — Te l’hê fernuto ’e vasa’?[110] (Minaccia).

Nannina — A chi?

Ferdinando — Chisto pure è ’o gatto?

Don Alfonso — E ’o fatto d’ ’o gatto mme steva raccontanno! Jammuncenne[111]! Jammo…

Ferdinando — Jatevenne[112] vuie! Io non faccio più parte della vostra orchestrina.

Don Alfonso (è sinceramente costernato).

Nannina — Don Alfo’, lasciate ’o sta’. Tanto, pure è scurato notte… M’ ’o porto ’a casa.

Ferdinando — ’A casa? Te l’aggio ditto ca nun me ritiro! [p. 283 càgna]Nannina — E comme vaie tu sula? comme cammine?

Ferdinando — E primma d’ave’ ’a disgrazia ’e cunoscere a tte, nun stevo sulo?

Nannina — E stive jenno sott’ ’o trammo[113]

Ferdinando — E nun truvaie a tte ca mme salvaste? E pure mo truvarraggio[114] na mano ca mme salvarrà!

Don Antonio (con dolcezza) — Ferdina’, meh… (Anche gli altri compagni esortano, come possono, Ferdinando a rimanere con loro).

Ferdinando — Jatevenne! Voglio sta’ sulo. Jatevenne, si no mengo mazzate ’a cecato[115]!

Don Alfonso (a Nannina) — Stateve bbona. (Seccato) Chisto a chi vò fa’ perdere ’a capa? Jammuncenne. (Si pone alla testa del breve corteo dei suonatori che, sorreggendosi l’un l’altro, in fila indiana, si avviano ad uscire).

Don Antonio (con tono estremamente persuasivo) — Ferdina’… (E gli tende la mano).

Ferdinando (con suprema dignità) — Abbandonatemi al mio destino!

Don Antonio — E allora… (Don Alfonso e i ciechi escono lentamente).

Ferdinando (sa ormai di essere solo. Si toglie il cappello, lo mette in terra ai suoi piedi, sottosopra, a guisa di piattello. Poi, con tono stringato) — La musica. Signori, prego, la musica… La musica dei ciechi. (Silenzio. Tenta qualche accordo, quindi comincia a suonare la frase «Ch’ella mi creda» dalla pucciniana «Fanciulla del West», ma non riesce ad andare fino in fondo. Prende allora a cantare una parte di «Pusilleco addiruso» di Gambardella, con una vocetta flebile e acuta. Silenzio. Ripete ancora) La musica. La musica, signori. (Si china lentamente, raccoglie il cappello, vi cerca dentro qualche soldo. Nulla. Lo pulisce con l’avambraccia e lo rimette in testa. Ha un attimo di smarrimento. La solitudine lo sgomenta) Signuri’, ’o povero cieco… (Musica. Da lontano giunge il suono dell’orchestrina. Ferdinando si scuote; il desiderio di tornare fra i compagni lo spinge a fare qualche passo verso quel richiamo musicale, a lui così familiare).

Nannina (che era rimasta in disparte, a piangere in silenzio, nel vedere il marito allontanarsi, singhiozza più forte).

Ferdinando (ha uno scatto. Tende le braccia verso quel pianto. Grida) — Nanni’!

Nannina (accorre da lui, con grande amore) Ferdina’ Ferdina’, pecché hê fatto chesto? Hê perduto nu posto sicuro, pe’ sta benedetta gelosia. Ma chi vuo’ ca me guarda a mme? Tu faie chesto pecché nun mme saie[116]. Si mme vedisse, nun sarrisse[117] accussi geluso… Ferdina’, io so’ brutta! (Lunga pausa).

Ferdinando (è ridiventato buono, docile. Nella sua voce c’è tutto il pentimento per la scenata fatta. Ora è commosso, carezza, amorevolmente, la sua donna. Pausa) — L’aggio trattato malamente assaie a Don Alfonso?

Nannina — Comme! ’O pover’ommo n’aveva avuto cunsiderazione! M’aveva prestato isso ’e cinquanta lire pe’ paga’ ’o padrone ’e casa; e tu te sì fatto afferrà chellu ppoco (Pausa). [p. 284 càgna] Ferdinando (sente la nostalgia dei suoi compagni. Chiede) — Addo’ stanno sunanno mo?

Nannina — Sotto all’Hotel Vesuvio. (Pausa).

Ferdinando — …Che ddice, me pigliarrà[118] n’ata vota Don Alfonso?

Nannina — Comme!… Chillo è tanto nu buon’ommo! (Pausa).

Ferdinando — Perdonarne mugliera mia! Io po’ nun ce veco! Si t’avesse visto, nun ce avarrie[119] dato importanza… Ma sa’, me l’hanno venuto a ddicere. E ’o cecato vede sempe ’e ccose ’e n’ata manera[120] (Pausa) Che ddice, me pigliarrà n’ata vota?

Nannina (commossa) — Comme! Sì! sì!

Ferdinando — E gghiammo… Accumpagname…

(Lentamente s’avviano, sorreggendosi l’un l’altro. Una sola figura. Li guida il suono della musica, che continua, dolcemente, nel silenzio).


FINE DELLA COMMEDIA



  1. ’e spiccio: moneta spicciola.
  2. chille: quelli.
  3. cecate: ciechi.
  4. pecchesto: per questo (motivo).
  5. hanno fernuto: hanno finito.
  6. ’e suna’: di suonare.
  7. n’uocchio: un occhio.
  8. puverielle: poveretti
  9. l’arrubbate: li derubate
  10. ’a ddo’hê ‘a i’!: dove devi andare! Per dire: che vai dicendo.
  11. Ve sfruculea: vi prende in giro.
  12. Anfino: fino.
  13. Me tocco ’e nierve: mi innervosisco.
  14. ce l’ammarro: glielo chiudo, glielo cavo
  15. scetavaiasse: strumento popolare, formato da un legno rotondo che si appoggia alla spalla come un violino e da un’altra canna sfaccettata a triangolo su due lati, lungo il cui vertice presenta una dentatura che fa tintinnare i dischetti di latta, infissi alla sua estremità e lungo il dorso.
  16. appriesso a chillo: dietro a quello.
  17. puntunata: colpo di punta.
  18. nichello: nichelio, vecchia monetina da venti centesimi.
  19. faie carne ’e puorco: fai grassi guadagni.
  20. scucciantone: grande seccatore.
  21. pazzea: scherza.
  22. Sape: sa.
  23. facite: fate.
  24. ce dà dinto: si ostina
  25. cagnammo: cambiamo.
  26. gghi’ a ffatica’: andare a lavorare.
  27. ce guarda ‘a vista ’e ll’uocchie: ci protegge la vista.
  28. gghiuto: andato.
  29. gruosso: grande
  30. perzo: perso.
  31. chiagne: piange.
  32. stongo: sto.
  33. magnato: mangiato.
  34. redenno: ridendo.
  35. mo vaco: ora vado.
  36. Ce abbusca’: guadagnarci.
  37. t’ ’o scassasse: te lo romperei.
  38. Vide: vedi.
  39. ievo: andavo.
  40. nun servimmo: non serviamo, non siamo utili.
  41. Have ragione: approfitta.
  42. pe’ cunto vuosto: gestendolo in proprio
  43. pe’ pietto: di petto.
  44. sunammo: suoniamo.
  45. Redite: ridete.
  46. quanno scura notte: quando si fa sera
  47. ’a panza se fa senti’: lo stomaco protesta (per l’appetito).
  48. biato: beato.
  49. ce refonne: ci rimette.
  50. mugliera: moglie.
  51. aunita: unita, insieme.
  52. Cu chi ll’haie?: a chi vuoi riferirti?
  53. d’ ’o Fusaro: del lago del Fusaro (nei campi Flegrei). (Cfr. Viviani, Teatro, III, p. 52, n. 47)
  54. Servettero: servirono.
  55. t’aizava ’a veste: ti alzava il vestito.
  56. attrassata: arretrata (Alt.).
  57. quinnece: quindici.
  58. annuda: nuda.
  59. vota: volta.
  60. ’A sentette: la sentii.
  61. cumpateva: compativa.
  62. ’o lassano: lo lasciano.
  63. miso appaura: impaurito.
  64. cammenanno cammenanno: durante il cammino.
  65. lle cuntaie: le raccontai.
  66. ce ‘nguaiaieme: ci rovinammo.
  67. Facettemo: facemmo.
  68. festicciolla: festicciola.
  69. bruccato: broccato.
  70. Invitaiemo: invitammo.
  71. 'o scartellato: il gobbo.
  72. l’aggi’ a cucca': devo metterlo a letto.
  73. L’autiere: l’altro ieri.
  74. 'e panne ’a cuollo: i vestiti da dosso.
  75. d’ ’e mmena': di buttarli.
  76. 'e gghittaie abbascio: li buttò giù.
  77. appiccia': accendere.
  78. ca tu zuche: che tu suchi, aspiri.
  79. sicario: il sigaro.
  80. abbrucia’ ’a vocca: bruciare la bocca.
  81. a ddu isso: da lui.
  82. addo’: dove.
  83. juorno: al giorno.
  84. ’e rimpetto: dirimpetto.
  85. se n’è gghiuta: se ne è andata.
  86. arapite: aprite.
  87. 'e vveco: li vedo.
  88. che ddiceno: che dicono.
  89. cagneno: cambiano.
  90. sango d’ ’a marina: è una bestemmia (marina è un eufemismo).
  91. vattenne: vattene.
  92. Cannulicchie: cannolicchi.
  93. Aggie pacienza: abbi pazienza
  94. ’o piezzo ’e carogna: la grande carogna.
  95. dint’a ll’uocchie: così visibilmente.
  96. stisse ascenno pazzo?: stai (forse) diventando pazzo?
  97. scuorno: vergogna.
  98. pe’ mammeta: per tua madre.
  99. Passianno: passeggiando.
  100. Sbarianno: farneticando.
  101. ca moro: che muoia (piuttosto).
  102. ca campo: che viva.
  103. ’o jetto: lo butto.
  104. dalle: dagli, ancora, insisti.
  105. Nun aggio ’ntiso: non ho sentito.
  106. Pigliatavella: prendetevela.
  107. L’ata: l’altra.
  108. te staie vasanno: stai baciando.
  109. dint’ ’o scuro: al buio, nell’oscurità.
  110. Te l’he fernuto ’e vasa’?: hai smesso di baciarlo?
  111. Jammuncenne: andiamocene.
  112. Jatevenne: andatevene.
  113. trammo: tramvai.
  114. truvarraggio: troverò
  115. mengo mazzate ’a cecato: do botte da orbi.
  116. nun me saie: non mi conosci.
  117. sarrisse: saresti.
  118. me pigliarrà: mi prenderà.
  119. ce avarrie: ci avrei.
  120. ’e n ’ata manera: in un modo diverso.