Teatro - Aniello Costagliola/Presentazione

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PRESENTAZIONE



Nella visible vita cotidiana, Aniello Costagliola appariva un uomo insensibile pacato sereno, d'una serenità chiusa opaca, non gioconda, né malinconica, d'una serenità a pari distanza dal pianto e dal riso. Il suo aspetto i suoi atteggiamenti i suoi atti la sua voce erano i connotati d'una esistenza che impassibile si lasciasse portare lentamente da un mediocre Destino giù giù per il declivio del tempo come un sughero dalle acque pigre d'un cheto fiume. — Al contatto dell'Arte altrui egli si rivelava un tutt'altro uomo. Si rivelava un sensibile. O addirittura una sensitiva. Le sue sensazioni, che il troppo scarso e scolorato e quasi timido eloquio non bastava a esprimere, chiedevano l'ausilio della penna per manifestarsi tali quali erano: vivaci, ricche, complesse, espansive, personali. E, scrivendo d'arte, s'inebriava. S'inebriava soprattutto nel designare ciò che più aveva destato la sua ammirazione, nell'adornarlo di cesellati elogi, nel proiettarvi una luce che ne rischiarasse i pregi all'occhio del lettore. Il biasimo non gli si confaceva. La

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sua prosa facile lucida e densa — così spesso sperperata nelle anonime snervanti rassegnate e necessarie fatiche del giornalismo — era palpitante di ebrezza quando egli ammirava. E da quella prosa traspariva la sua gioia. Traspariva ch'egli amava di ammirare.
«Nil admirari», fu un motto proveniente dalla negativa filosofia epicurea, ed è rimasto come un motto deprimente, come un triste consiglio d'inerzia spirituale. L'ammirazione è una festa dello spirito. E amare di ammirare è una nobile ed esclusiva facoltà dei temperamenti semplici dolci ottimistici, predisposti alla letizia.
Ma c'era un terzo Costagliola: un Costagliola nel cui profondo un vigile pessimismo, tetro spasmodico e pietoso, accoglieva le ripercussioni di tutti i dolori umani, gli echi sinistri dei fatali peccati e dei delitti che abietano l'umanità, le ombre delle eterne miserie materiali e morali che dei delitti e dei peccati sono l'infinito scenario. Da quest'altro Costagliola — che nella visible vita cotidiana era insospettabile — sorgeva l'autore di teatro.
E appunto le affermazioni più schiette più concrete e più mature dell'autore di teatro compongono questo postumo volume, che io, onorandomi di compiere un dovere verso il fedele amico scomparso, presento a un pubblico che non è — lo so — una folla, perché alla somma, prevedibile o imprevedibile, dei gusti e dei capricci e dei diritti delle folle nulla del Costagliola più veramente

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artista fu e sarà mai veramente vicino. Sono quadri foschi di cui le piccole sagome ingrandiscono nella livida visione che diffondono. Son quadri angosciosi che schiantano l'animo. Sono brevi tragedie segnate con l'acquaforte del pessimismo, della pietà, dello spasimo. Miserie, peccati, delitti, dolori, e ancora dolori, e sempre dolori. In Aniello Costagliola l'autore di teatro era congenitamente tragico.
La comicità la caricatura il grottesco, di cui la sua acuta osservazione traeva dal Vero gli elementi, appaiono nei mirabili scorci sintetici delle svariate innumere figure di sfondo, nei particolari di folklore ambientale da lui riprodotti con perfetta vivida dipintura: e la tragicità svolgentesi nell'organismo scenico è intensificata dall'antitesi, violenta o ironica. Ma, come sostanza e scopo totale risultato d'arte, la comicità la caricatura il grottesco non si riscontrano che in alcuni dei suoi lavori scritti in collaborazione con Raffaele Chiurazzi:
'O Cumitato, 'A femmena, L'Agnello Pasquale... e ne dimentico forse qualcuno. La circonstanza che lo trama degli ultimi due da me citati derivò da due gioielli del Boccaccio si aggiunge al criterio pel quale credo non essenziale nel Costagliola l'espressione comica. E, pur astraendo da tale circostanza, io insisto. L'indole e i caratteri più insisti — l'essenzialità — d'un autore non sono identificabili e non sono da ricercare nella fusione e confusione del suo ingegno con quello d'un altro

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autore. Bisogna ricercarli nella sua opera individuale. Una collaborazione copre sempre d'una ambigua parvenza il profilo della intrinseca personalità di ciascun collaboratore. — Sicchè, io trattengo ogni ulteriore indagine dinanzi al laboratorio creativo e tecnico in cui Aniello Costagliola e Raffaele Chiurazzi, insieme, costruirono la commedia vernacola ridondante di buonumore popolaresco per secondare, opportunamente, la gran voglia di ridere che hanno per atavismo le platee del teatro dialettale napoletano, dove regnarono — e, conveniamone, non senza gloria — Pulcinella e Sciosciammocca. L'arte di Aniello Costagliola, autore tragico, tendeva a sollevare, non per programma, ma per impulso istintivo, il teatro dialettale napoletano all'importanza del « teatro di pensiero ». Si può disapprovare cotesta tendenza come troppo ardua e ambiziosa, si può giudicarla una pericolosa deviazione, specie se si consideri che ben si contennero nei confini d'un propizio romanticismo, cioè d'una affascinante poesia di colore e di sentimenti, molto tradizionale, quei nostri Valorosi — tra cui qualcuno d'altissima rinomanza e autorità — che più luminosamente contribuirono all'evoluzione e all'ascensione del teatro dialettale napoletano di questo primo quato di secolo. Ma io dovevo essere e fui e sono entusiasta d'una tendenza che confortò e carezzò in me l'autore di Don Pietro Caruso, di Sperduti nel buio, di Nuttat''e neve (Napoli vista

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da un suo figlio malinconicamente pensoso) e di quell'
Uoccchie Cunzacrate con cui volli indicare le maggiori possibilità etiche del teatro dedicato al popolo.
Accanto a me, sulla medesima strada, deferente e fervoroso, era Aniello Costagliola. Conoscitore impareggiabile di tutta la scala degli strati sociali inferiori della Napoli d'oggi, della Napoli d'ieri, della Napoli storica, della Napoli morta e sopravvissuta nell'atmosfera oltre le cose tangibili; collezionista di tutte le favole, di tutte le leggende, di tutte le superstizioni, di tutte le stranezze pullulanti tra il Vesuvio e Posillipo fino a quando Posillipo e il Vesuvio hanno potuto difendere contro l'invasione della Civiltà crudele la più bizzarra e meravigliosa città del mondo; cultore e discernitore delle dovizie del nostro dialetto con la stessa paziente passione e con lo stesso acume filologico con cui Niccolò Tommaseo studiava e discerneva quelle della lingua italiana — Aniello Costagliola mise Napoli Napoli Napoli in ogni piega in ogni fibra in ogni molecola dei suoi lavori scenici. Ma anche qualche altra cosa mise nei cinque drammi qui raccolti, di non uguale valore, uguali nella forza e nella evidenza della loro interiorità. Vi mise la sua inquietudine: Vi mise la febbre e l'inchiesta della sua mente inquieta. In essi, attraverso la napoletanità viva e perfino esuberante della figurazione teatrale, si sente l'ansia di un'arte esploratrice dei più reconditi segreti

[p. it càgna]della coscienza, scrutatrice di ampie e profonde verità, ricercatrice dei nascosti e intricati cammini del Male e del Bene — Ecco il teatro di pensiero.


Ho detto quassù che so di presentare questo volume a un pubblico che non è una folla. Lo confermo. Quando si avanza il Pensiero, le folle fuggono.

Napoli - Gennaio, 1929.


ROBERTO BRACCO