Cic. E m’’a vulite dà justo a mme?
Pas. Ma se anche si tratta di fa un sacrìfizio, é per sei o sette mesi… quante me l’accorzo.
Cic. Sicuro, chesto vulevo fa! Iatevenne; dirigetevi ad altri che per me non è cosa.
Pas. Ma ecco qua… sentite.
Don. d. d. Posso entrare?
Cic. Chi é? avanti.
Don. (fuori) Io vengo avanti senza essere conosciuto, ma mi darò subito a conosere. Io sono Donatino Stocchetti.
Pas. Donatino, il fratello di Alberto dell’amico nostro, (a Cic.) pel quale vi feci pregare per l’affare della casa di cui abbiamo parlato.
Cic. Aspettate… e pirciò.. (mall’arma d’’o sbaglio: io parlavo d’a, figlia e chille me parlava d’’a casa) Sicchè voi non siete D. Sergio Funicella padre d’una figlia che mi volevate far sposare, di cui mi parlò l’amico Vincenzo Rispoli?
Pas. Nossignore. Ma come! Alberto non v’ha ditto?
Cic. Io ad Alberto non lo veggo da otto giorni…
Don. Ed Ecco appunto perchè ora vedete me, essendo mio fratello andato a Firenze per affari e tornerä fra un mese. Perciò ha girato a me questa vostra cambiale che scade fra un’ora, e cho voi pagherete ne son certo.
Cic. (Na piccola c’’o limone!)
Ans. Signori buongiorno.
Cic. Mo simme tutti dei nostri!
Ans. Caro D. Felice, finalmente v’aggio trovato.
Cic. (Eh! ccà ce vo faccia tosta. e poi finirla e per sempre,) Signori miei, ma io sono troppo fortunato di avere in casa mia questi onori.
Don. Sapete, l’ora scorre, ed io..
Cic. Non dubitate che vi soddisferò.
Ans. Neh, ca io non tengo tiempe ’a perdere.
Cic. Ma che tiempo, adesso vi aggiusterò io…
Pas. Oh! e mo c’avite sapute l’affare d’’a casa, me dite di si?…