Paggena:Teatro - Menotti Bianchi.djvu/21

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venticinque anni fa, generi primitivi in cui l'Arte si camuflava di sanguigne tuniche e un colpo di coltello risolveva, perpetuamente, il nodo scenico.
Ma nelle produzioni posteriori, da Rosa Esposito al Cantsastorie, la personalità sua si afferma netta e spearata. È già in La Figlia della Madonna un passo grande è fatto in questa nuova via: quivi la maternità e la nobiltà dell'amore non consanguineo si eleva e si purifica in un raggio superiore, quasi di sacrifizio.
Dopo «'O Dovere» studio di caratteri e «Int' o Canciello», studio d'un carcere, in cui il ladro unico si alterna al ladro filosofo, in «Notte», il Bianchi si afferma in tutta la maturità del suo ingegno. Dramma profondamente angoscioso pur essendo condotto senza scoppi, senza crosci e senza violenze: in una notte piena di poesia e di amarezze muore, l'amante tradito, di malinconia, mentre lei, la infedele, accorsa nell'ora ultima è scacciata dalla madre di lui folle di dolore.
Trame, come ognuno vede, esili, fila sottili allacciate senza nessuno artificio d'intreccio, senza nessun nodo gorgoneo. Eppure il dramma cozza nell'intimo e si esprime turbinoso, come una raffica; eppure lo scioglimento, che di rado è la catastrofe consueta, sorprende e travia e dilania ogni aspettazione.
Da: «La Sicilia» anno X, n. 259 (Catania).

Emilio Scaglione