to, bemmenuto per benvenuto, mmitato per invitato etc.
Finalmente non mancan parole nelle quali l’n è puramente un suono, ed una spezie di spirito sovrabbondante, e prodotto dalla sola forza, e fiato della pronunzia; il che siegue soltanto in alcune parole, che comincino da b, o da g, o da z. Così dicesi e mbè, e bene, nzocchè, ciocchè. Ed è tanto naturale, e quasi d’istinto quest’enfasi, e modo di pronunziare che i più teneri nostri bambini, allorchè cominciano a legger l’Abiccì, non lo possono d’altra maniera pronunziare, se non dicendo, A, mbe, ce, nde, nge, nzeta. E noi abbiam veduto talvolta maestri accaniti a sfogar con atroci battiture la loro pedantesca crudeltà su quelle tenere ed, infelici vittime della pregiudicata educazione, e voler correggere questa pronunzia senza poterne venir a capo; quasicchè fosse un demerito ad un nato in Napoli il non saper pronunziar Fiorentinamente, e non fosse questo impegno tanto ridicolo ed assurdo, quanto se un Fiorentino s’affliggesse, che i suoi ragazzi non facciano sentir bene l’accento Napoletano.
Della lettera S può dirsi ad un di presso ciocchè dell’a, e dell’u abbiam detto di sopra. S’incontra tanto spesso questa lettera nelle iniziali delle parole nostre, che quasi un sesto di tutte le voci nostre ne cominciano. In moltissime parole altro non è, se non la preposizione ex de’ latini, dalla quale si è elisa la vocale. Così straere per estrarre. Altre volte è per conversione dell’f, ciocchè avviene in quasi tutte la sillabe Fia Fio Fiu dell’Italiano: così di-
cesi