Paggena:Del dialetto napoletano - Ferdinando Galliani (1789).djvu/25

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DIALETTO

dialetti, ma s’inoltrano a voler ritrovar quelle della legislazione, e de’ costumi, e finanche delle credenze religiose negli effetti della diversa latitudine, e nella varietà de’ terreni, e convertono la Morale in Geografia (teorie oggi attribuite al Presidente di Montesquieu da coloro, che non le hanno sapute scorgere nelle opere del Segretario Fiorentino, che pare esserne stato il primo immaginatore); certa cosa è riguardo al linguaggio della più gran parte de’ popoli oggi abitanti il Regno di Napoli, d’essersi in esso conservata sempre la stessa caratteristica da quella più rimota antichità, di cui si ha notizia fino ad ora. Il dialetto Greco, che questi popoli generalmente parlarono, fu il Dorico, dialetto, che si distingue dall’Attico, e dal Jonico per le vocali più aperte, le voci pronunziate con maggior espressione, le consonanti battute con maggior impulsione. E queste sono le caratteristiche appunto del nostro dialetto, rispetto alla lingua generale Italiana; cosicchè il Napoletano potrebbe ben dirsi il Dorico della favella Italiana. Lo parla il nostro volgo senza gutturali affatto, e senza dittonghi, ai quali anzi è così avverso, e riluttante l’organo, che volendo apprendere a pronunziargli nel Francese, o nell’Inglese, vi stenta moltissimo, e perloppiù non vi giunge mai, a differenza de’ Lombardi, Genovesi, Piemontesi, che nel loro dialetto, benchè d’origine Italiana, hanno tutti i dittonghi de’ Francesi. I Napoletani danno il maggior suono, ed il più pieno, che possono, alle vocali del mezzo delle parole, sostenendole benchè senza gorga. Delle vocali iniziali n’elidono molte dalle voci, e ciò in gra-

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