nic. Signori miei.
Rac. Siete venuto pel concetto dota farsa?
Nic. Tutt’altro; son venuto per concertare an doèttocon la sigoora D.’ Daur?..
Rin. Vestitevi dunque sabito a carattere. (via)
’Lui. In quel camerino v’ è J’ occorrente, entrate. ’ (lo spinge in fondo ed appena sarè ‘entrato nel detto luogo egli premurosamente chiama Donatino) D. Donati, mo proprio jatevenne, e n«n ce venite chiù appriesso a nnqje. ’ ’. ’ ’
Rac. Partite, perchè a momenti sarà qui vostrajiaDotti Qorro come un fulmine^ (via per f ingresso) Iati. Racbè, io non te sgrasso I Racfaè, tu i>on me fajepassa no guajo costa scioltezza tojaJ baje visto mo? s’è veduto l’effetto de li pparole meje?—questo è un ottimo giovane, è in galantuomo, non potrà ingannare. — Mo miòtr tele mmocca a la zia... chi aacbe ecornacchione avrà dda essere...
Nic. (comparisce dal suo camerino inosservato a Lui. e Rac.) Quest’ abito...che? (guardando per Fingresso) fortuna... non me sganno!.. trase lo nipote de la vecchip! spalancammo li rrecchie. (entra nel camerine e fa topolino)
Don. (ritorna agitatissimo) Son perduto! mia sia smonta di carrozza! (entra novellamente nel suo camerino e chiude)
Nic. (dice tra sè) L’aggio trovato noagtagna; la poiiza è la mia. (rientra nel suo camerino)
Lui. (batte per rabbia Ufta sedia at suolo d cuL«fo)Cuorpode no cavallo a la mpèitola! io co passalrianoguajol ’