Paggena:Teatro - Aniello Costagliola.djvu/116

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« A' 21 di agosto dell'anno 1647, una seconda sollevazione generale del popolo scoppiò nella Piazza della Selleria e, sebbene per poco, fece nuovamente comparire nella storia della rivoluzione del 1647 la famiglia di Masaniello. La sera del 20 agosto 1647, Orazio de Rosa, volgarmente detto Razzullo, tintore e frisatore di panni, abitante nel Fondaco della zecca, e capitano del popolo insieme al mercante di seta Agostino Campolo, avea sorpreso, tra le mani di Marco d'Aprea, mercante di drappi d'oro, e di Giuseppe Vulturale, una petizione o fede, che andavasi firmando, e con la quale si attestava come Fabrizio Gennamo, Presidente idiota della Regia Camera della Sommaria, e il consigliere Antonio d'Angelo, non per ordine del popolo, ma per opera di alcuni privati nemici, fossero stati, ai tempi di Masaniello, incendiati; e quindi si domandava che s'istruisse d'un tal fatto regolare processo, e che i colpevoli ne ricevessero condegno castigo. Si diceva questa essere una prima scappatoia, con la quale il vicerè cercava di violare le capitolazioni solennemente giurate nel Duomo il 12 luglio, e l'amnistia accordata con quelle e confermata il 16 dello stesso mese. Con tal preteso voler egli togliersi dinanzi tutti coloro che si erano adoprati al disgravamento ed al bene del popolo, e rimettere le antiche gabelle e le innumerevoli estorsioni che prima del 7 luglio opprimevano Napoli. Ricordavansi pure con affetto le opere di Masaniello in beneficio del popolo, che ora, senza un capo, non poteva reclamare i suoi diritti e i suoi privilegi. E imprecavasi ai traditori della patria che, ossequenti al vicerè, davano mano al Gennaro e al D'Angelo, e principalmente a don Giulio Genoino, che tra musica e banchetti ora godevasi il posto di Presidente della R. Camera della Sommaria, prezzo ed arra di tradimenti passati e futuri. « Gli animi del volgo si esasperavano a tali novelle... Oramai al tumulto non mancava che un indirizzo e un capo, e bentosto l'uno e l'altro si ebbero.
« All'angolo del Pendino; in sulla svolta di via dei Calderai, una vecchia vestita a bruno, salita sopra un poggiuolo accanto alla bottega di un salumaio, apostrofava violentemente, fra i pianti e le strida, il popolo circostante. Era la madre di Masaniello, che il dolore e la disperazione rendevano elloquente. L'infelice rimproverava ai napoletani l'ingrata dimenticanza con cui rimeritavano i beneficî ricevuti dai suoi figliuoli, mentre avevano trucidato barbaramente il primo, e facevano ora perire nelle segrete di Castelnuovo l'altro, che pure tanto si era adoprato e voleva facilmente adoprarsi in pro del popolo. Le parole e l'aspetto della misera, e più la memoria di Masaniello, determinarono i propositi fin allora incerti della turba irritata. — « A Palazzo! Morte a don Giulio Genoino! Morte ai traditori della patria! Viva Giovanni d'Amalfi! », gridò Ciommo Donnarumma, il salumaio, parente di Masaniello. Il grido fu ripetuto da un capo all'altro del Pendino e della Selleria, e più migliaia di uomini e donne si avviarono tumultuosamente verso il Palazzo Reale... La rivolta durò cinque giorni ». Così Bartolommeo Capasso, op. cit.