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Paggena:Del dialetto napoletano - Ferdinando Galliani (1789).djvu/90

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NAPOLETANO


venerati come i primi, e i più antichi. Se ora non lo sono più,

Peccato è nostro, e non natural cosa.

L’aver noi negletto di scrivere nel nostro dialetto; l’esserci unicamente occupati dal decimoterzo secolo fino al decimosesto o a scrivere in latino, o ad imitare i Toscani, ci ha fatti decadere da quel primato, al quale ne tempi di Dante (come di sopra abbiam rapportato) sembravamo essere i più vicini. Onde venne a verificarsi intieramente ciocchè di noi presaggendo e quasi profetizzando cantò il Petrarca, allorchè disse:

....... Ei Siciliani,
Che furon primi, e quivi eran da sezzo.[1]

Ora continuando la narrazione della varia fortuna del nostro dialetto diremo, che dopo Matteo Spinello non troviamo altro scrittor nostro in esso fino al creduto Giovanni Villani autore della Cronica di Partenope, che arriva fino ai principj del 1382.

Ma chi ci potrebbe perdonare, e quali olocausti, o vittime ci potrebbero espiare agli occhi di molti, se noi trapassassimno, senza rammentarla, la Pistola in lingua Napoletana dell’immortale Giovanni Boccaccio? Tutti i Cruscanti, de’ quali (chỉ il crederia) Napoli ha abbondato più, che Firenze istessa, avran per fermo


  1. Qualche altro esempio di parole, che furono un tempo generali Italiane, ed ora sono ridotte a soli idiotismi nostri, s’incontrerà nel Vocabolario.