Paggena:Del dialetto napoletano - Ferdinando Galliani (1789).djvu/70

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NAPOLETANO

quello, che i nostri predecessori composero in vulgare, si chiama Siciliano, il che ritenemo ancora noi; & i poderi nostri non lo potranno mutare. Racha, Racha: che suona ora la tromba de l’ultimo Federico, che il sonaglio del secondo Carlo, che i corni di Giovanni, e di Azzo Marchesi potenti? che le tibie degli altri Magnati? se non, venite, Carnesici, venite altriplici, venite settatori di avarizia. Ma meglio tornare al proposito, che il parlare indarno. Or dicemo, che se vogliamo pigliare il volgare Siciliano, cioè quello, che viene dai mediocri paesani, da la bocca de’ quali è da cavare il giudizio, appare, che ’l non sia degno di essere preposto agli altri; perciò che ’l non si proferisce senza qualche tempo, come è in,

„ Tragemi deste focora se t’este a bolontate.

„ Se questo poi non vogliamo pigliare, ma quello che esce dalla bocca de’ principali Siciliani, come nelle preallegate Canzoni si può vedere, non è in nulla differente da quello che è laudabililsimo, come di sotto dimostreremo. I Pugliesi poi o vero per la acerbità loro, o vero per la propinquità dei suoi vicini, fanno brutti barbarismi, e dicono,

„ Volzera che chiangesse lo quatraro.

„ Ma quantùnque comunemente i paesani Pugliesi parlino bruttamente, alcuni però eccellenti tra loro, hanno politamente parlato, e posto ne le loro canzoni vocaboli molto cortigiani, come manifestamente appare a chi i loro scritti considera, come è,

„ Madonna, dir viglio. Et

„Per