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Paggena:Del dialetto napoletano - Ferdinando Galliani (1789).djvu/47

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DIALETTO

che, comme se chiamma, camme s’addommanna, me faje favore, ed altre molte per non trattenerli in mezzo alla carriera del discorso, e della ragion turbata, ad andar rinvenendo il proprio, e giusto termine, che dovrebbe usare.

Frutto di quella della offuscante accensione è il supplemento, che fa ai nomi propri, di cui non fi sovviene in quell’istante. Vuol nominar un uomo con isdegno, e con disprezzo? lo chiama lo sì D. Cuorno. Una donna? la Sia Sgujnzia.

L’energiche imprecazioni, talvolta le abominevoli elevazioni accompagnano, e figurano in questo tumulto di pensieri, e di subitanee espressioni. Qual sintassi vuol aspettarsi allora? Furor verba ministrat. Ma se l’animo acceso da violente padroni del Napoletano, che prorompe in gesti, in parole, in imagini, non osserva rettoriche regole, non sinrassi non grammatica, non vocabolario talvolta, e tale l’effetto di scuotimento, che fa negli astanti, che gli elettrizza tutti a segno, che sacondia Toscana non v’è, che a tanto arrivi.

DEGLI ERRORI DI LINGUA.


S Iccome il nostro volgo parla nella goffa semplicità assai correttamente il suo natio dialetto, così tutti i nostri scrittori, eccetto i due

il Lombardo, e il Capasso, hanno chi più, chi meno commesso molti, e intollerabili errori di lingua, e barbarismi, e taluno vi è, che passa per classico, quale il Fasano, e il Valentino, che ne fono pienissimi. Onde è, che non sa-

prem-