Paggena:Del dialetto napoletano - Ferdinando Galliani (1789).djvu/122

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NAPOLETANO

inflessioni de’ verbi simo, promettimo palesano quel dialetto stesso, che oggi comunemente tra noi si parla; nè conviene arrestarsi alla diversa ortografia, essendo noto ai dotti, che gli siessi Dante, Petrarca, e Boccaccio, padri della eleganza Italiana, ne usarono una diversissima dal suono vero delle parole, e piena di latinismi, scrivendo experientia, facto, docto, etc, ed infinite altre parole scritte con una durezza, che poi tutta dispariva nella pronunzia.

Semplicità grande farebbe il credere, che quello linguaggio usato negli atti pubblici della Nazione, e del Re, non lo fusse stato per altro, che per ignoranza della buona lingua Italiana. Chi può ignorare la vasta erudizione del Re Alfonso, e del suo ministro Antonio Beccadelli Panormira, e di tanti nobilissimi ingegni, che coltivarono il Latino, e l’elegante Italiano nella corte di lui, e di Ferrante suo figlio? Serafino Aquilano, e Antonio Tibaldeo fiorirono in quel tempo tra noi. Ma per terminare il disinganno, rapporteremo un’ordinanza, che noi diremmo oggi Dispaccio, del Re Alfonso II. dell’anno 1494.

„ La ditta Majestà per comodità tanto publica, quanto particolare, beneficio de la soa Cità, et Citatini de Napoli, et anco per commodità de majore opportunità de li confluenti, permette, ordina, et dispone le infrascripte cose, cioè.

In primis, che sia lecito ad ogne persona, quale tene, et possede territorij in lo territorio de la ditta Cità de Napoli, et in le costere, et valuni de Chianura, et in li valluni de Quarto, et in le selve de Marigla-

„ nel-
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