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Teatro - Libero Bovio/Vicenzella

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”VICENZELLA„

DRAMMA IN TRE ATTI

[p. 181 càgna]


«Attraverso i tre atti di Vicenzella ci è apparso iersera un artista pieno di dolcezza, di inquietudine e di malinconia. Il secondo atto, sopra tutto ci ha dato la gioia di scoprire in uno scrittore di teatro una sensibilità delicata, accorata, un po’ morbida, un po’ tormentata, ma sincera. Anche in Vicenzella come in molte altre opere sceniche napoletane, i particolari sono più leggiadri e più freschi della commedia. Gli è che in fondo è la commedia, è il dramma di Napoli che questi artisti scrivono e riscrivono. L’azione conta per essi meno del quadro che vogliono dipingere con amore commosso. L’unita che essi cercano è più di spiriti che di cose. Il loro protagonista è l’ambiente, i loro personaggi sono un po’ i simboli della loro città, e sono visti attraverso una specie di meditazione, che li evoca fuori da una realtà un po’ velata di sogno, un po’ tenera di rimpianti, un po’ lagrimosa di nostalgia. Napoli è amata e descritta sempre con dolore. Vi sembrano esuli, questi poeti, esuli portati lontano dal destino e pur sempre rivolti con l’anima verso la città luminosa. E voi sentite che i particolari, le piccole carezzevoli impressioni notate in scorci vivaci, hanno la brevità, la fugacità, spesso il disordine, spesso l’abbondanza dei ricordi che a un tratto, suscitati da una apparenza, da un profumo, da un suono, sorgono in folla, e dilagano. Molte volte la commedia scompare dietro questo fluttuare di immagini; molte volte i suoi valori umani svaniscono, ma quel che resta ha pur sempre un gusto di gioia triste e soave.

Vicenzella appartiene a questo tipo di teatro, nel quale a tratti palpita la vita e a tratti invece solo un ritmo interiore, una musica segreta dove in parte la verità di snatura, ma non perde di grazia. È la storia di una fanciulla, di una piccola modella che adora un pittore, ne è amata sino allo spasimo, ma lo tradisce, lo lascia perdere perchè il denaro è [p. 182 càgna]lucente e l’abbacina; ma poi torna, torna sempre, ora umile, ora superba del suo potere, ora tutta in pianto, ora tutta lume, di riso giovanile. La sua storia è fatta di fughe e di ritorni; e la storia del suo pittore è fatta del pensiero di lei, un pensiero cocente, un pensiero disperato, che dà l’insonnia, che distrugge l’ingegno, e uccide lentamente.

I tre atti sono tre ritorni di Vicenzella: l’ultimo è più drammatico. Viene alla casa del pittore non più col suo visuccio tra infantile e protervo; viene butterata, deformata dal vaiuolo. Piccole vicende: tre ritornelli della stessa canzone; un po’ uguali, un po’ monotoni nella loro apparenza esteriore, ma intimamente diversi, e diversi poeticamente, anche se teatralmente identici. Teatralmente, sì, non c’è che dire, questa commedia non si muove: si rifà continuamente: il primo atto si rinnova più vasto nel secondo; il secondo si rinnova più nero nel terzo. E i soli stati d’animo che il Bovio ha riprodotti sono quelli della rondine che torna a primavera alla gronda: torna una volta impetuosa, torna una seconda volta piena di trilli, torna la terza con l’ala stroncata. Sì, questo dramma manca di struttura, manca di sviluppi, di moti progressivi, manca di cause, manca di conseguenze. Non c’è che dell’amore che canta. Ma come canta bene.

E poi c’è un mondo di artisti riprodotti con una passione intenerita, un gruppo di pittori malati di passione per l’arte loro, una schiera di artisti che i De Goncourt avrebbero amati. Val la pena di vederli come ci appariscono nel secondo atto, uno dei più fioriti, festosi, chiari, commoventi atti del nostro teatro, nel quale l’autore ha trovato dei rapporti spirituali tra gli uomini e l’ambiente veramente deliziosi. E nel centro dell’alto una donna cieca. la madre del protagonista, la più bella figura della commedia, serena, alta di ogni più umana umiltà, sorridente dal buio. Quando parla sembra sfiori il cuore di un suo figlio, tanto rispettosa è del dolore della sua creatura. Ma quando Vicenzella viene per l’ultima volta, viene brutta, viene distrutta, quella madre si identifica nel figlio; la sua vita che in lei s’è soppressa rivive perchè ormai con quella del figlio s’è confusa. E la vecchia a Vicenzella che vuol partire per sempre, perchè il suo amante, il suo amore, non la vegga qual è, grida le parole stesse che egli le griderebbe, perchè queste parole che egli non ha dette, le ha sentite tutte rifluire dal silenzio al suo core materno. Non occorre che io sottolinei la bellezza [p. 183 càgna]poetica e simbolica di questa subitanea ispirazione d’artista; ma debbo dire che dal punto di vista del teatro essa è un gravissimo errore. In un’opera d’arte nella quale le figure conservassero qualche irrealità di immagini, questo sarebbe un vero colpo d’ala; ma in una commedia dove appariscono solo persone, questa voce materna che grida come propria la passione torbida del figlio, dà una impressione di artificio e turba certe nostre riverenti sensibilità filiali. Fu questa l’impressione del pubblico che non decretò all’ultimo atto onori uguali a quelli decretati ai due precedenti. Così mentre dopo il primo atto s’erano avute tre chiamate; e quattro caldissime dopo il secondo, ce ne furono due dopo il terzo.

La commedia venne recitata mirabilmente. Era unanime, viva l’ammirazione per la grazia, la gaiezza, la passione di Mariella Gioia, per la nobilissima recitazione della Del Giudice, per l’ardore col quale interpretò la sua parte il Pretolani, per la serena comicità dell’Amodio, per il Corbinci che rievocò il Dalbono in una figura di vecchio pittore, per tutto l’insieme ricco e affiatato dell’esecuzione. Stasera Vicenzella si replica».

RENATO SIMONI

(dal «Corriere della Sera» del 23 Novembre 1916)

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LE PERSONE


PEPPINO DE MURO I pittori
MICHELE GIGANTE
NICOLA MANCINI
SAVERIO ANTINORI
GIANFRANCO
LUCIANO CARELLA
SCHETTINI


ANNA DE MURO
VICENZELLA
MONSIEUR GEROME LENTIER
CIMAROSA
LUCIA, la piccina che accompagna la cieca


ASSUNTA le « Sartine »
AMELIA
IDARELLA
ANGIOLINA
CONCETTINA
NANNINELLA
BIANCHINA
PUPESSA, una piccina
[p. 186 càgna]
SCIALONE, l’oste
COCÒ, lo scemo rossiccio
CICCILLO, il garzone
TOTONNO, il « cacciavino »
DONNA 'NDRIANA, l’usuraia
AITANIELLO PALUMBO, il garzone del fornaio
SERRAFINO SPASIANO, il fornaio
IL POVERELLO DI CAMPAGNA
DONNA CARMELA SCHIAVONE
DON GIOVANNINO AMMENDOLA
DON ERMINIO SCHIAVONE
MIMÌ 9 anni I piccini della coppia Schiavone
BEBÈ 8 »
NUNÙ 7 »
SISINA 6 »
NANELLA 5 »
PACIONE 4 »
MATALENA, la balia che reca il poppante fra le braccia
I «POSTEGGIATORI»
L'OSTRICARO BORBONICO

In Napoli, a’ tempi nostri.

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PEPPINO DE MURO:
Ventisette anni, bruno, intelligente, vibrante: parla a scatti; ogni suo gesto è una pennellata.


ANNA DE MURO:
sua madre. Ha settant’anni. Alta, magra, cieca, è una creatura singolarissima. Il suo analfabetismo farebbe impallidire molti dotti e molte dottrine. È una veggente. Parla con brio, e sorride: non vuole che la sua cecità incomba sull’arte del figliuolo. È una ironista. Sin nella voce somiglia straordinariamente a suo figlio.


NICOLA MANCINI:
un vecchio enorme, candidissimo, dall'aria bizzarra. La sua risata è piena, grassa, clamorosa, ma, come smette di ridere, gli occhi gli si velano nuovamente di malinconia. È un maestro.


MICHELE GIGANTE:
un vecchietto irrascibile, piccolo, tutti nervi: due occhietti iniettati di sangue, la barbetta incolta, e una piccola zazzera che gli svolazza sotto l’ampio cappello di feltro. È poverissimo. Balbutisce assai spesso, [p. 188 càgna]specie quando parla con concitazione. Ha la voce piccola e stridente.


GIANFRANCO:
un tipo di barbaro, — parla più con il gesto che con la parola. È tutto ossa: ha quarant’anni; — i suoi capelli nerissimi sembrano aculei. Nel suo cervello si affollano idee ed immagini disordinate.


SAVERIO ANTINORI:
è un giovane d'ingegno. Artista sensibilissimo, ama fraternamente De Muro, e ne divide le ansie e gli sconforti. È un pò ”Marcello„ il celebrato eroe della ”Bohême„ con qualcosa in più: l'amore per la politica.


LUCIANO CARDELLA
è un bel giovane, — e, forse, non è altro. Dipinge, scrive, canta, suona, declama, è un dilettante.


SCHETTINI:
è un giovanetto di talento; innamorato della sua arte. È facile agli entusiasmi. È ancora un ingenuo, e però è sensibilissimo alla grazia femminile.


CIMAROSA:
(i pittori lo chiamano così per la singolare somiglianza col grande e soave musicista), è un vecchietto losco e tapino. Come tutti i ”mezzani„ dell’arte, è un affamatore degli artisti. Insensibile ad ogni ingiuria, segue il programma della sua vita: far quattrini ad ogni [p. 189 càgna]costo. Il suo occhio è mariuolo, ma la sua voce è melliflua. Ha le mani rapaci.


VICENZELLA:
è un pò la sintesi della femminilità napoletana. Buona, cattiva, fedele, infedele, mite, violenta, innamorata, capricciosa, tormentatrice, ella è un miscuglio di vizii e di virtù. Ma ha una vera anima d’artista, e però non adora che gli artisti.
Più che la modella, è la collaboratrice di Peppino De Muro.
La sua testina è un capolavoro


IDARELLA:
una ”rossa„ dall'aria dispettosa e provocante.


BIANCHINA:
è un tipetto di ”signorina„, — toscaneggia e sgrammatica.


ASSUNTA:
la ”capopopolo„ lazzara e rivoluzionaria.


NANNINELLA:
una piccola sensuale.


ANGIOLINA:
festosa e volgare.


CONCETTINA:
è un tipetto romantico.
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COCÒ:
un giovanetto rossiccio, scemo e muto. Ha diciotto anni, è scalzo: non ha nemmeno la camicia: La sua ”mise„? Tight nero, calzoni bianchi, enorme garofano all’occhiello, paglietta giallognola, senza cupolino, calata fino alle orecchie, e un ramo ricco di foglie, che egli agita fra le mani. Adora le ragazze. È in fondo un sentimentale.
[p. 191 càgna]

L'AMBIENTE:


Alla ”Pigna„ nella vecchia osteria di ”Scialone„.

In fondo il breve muricciuolo scalcinato, che termina, dall’un lato e dall’altro, in due scalette di pietra, che danno nel cortile dell’osteria.

A sinistra, la piccola porta di mattonelle colorate, che mette nella parte superiore della osteria. Sulla porta un panciuto balconcello settecentesco, a cui l’edera si è attaccata.

A due passi dalla porta, la gran tavola intorno alla quale siedono i pittori, che amano più bere e discutere, che mangiare.

Un’altra tavola, nel fondo, che sarà tra poco animata dall’allegra invasione delle sartine, che celebrano in campagna la fine dei loro amori, — ed una più piccola, nascosta, quasi, sotto a’ tralci, da’ quali pendono grappoli maturi. Questa tavola aspetta la sua ”eroina.„

Ciccillo, il garzone, sparecchia e apparecchia la tavola nel fondo. È in maniche di camicia, il berretto sulle ”ventitrè„, e zufola non so quale arietta.

Schettini, seduto sul muricciuolo, ritrae sulla carta, l’effigie di Cocò, il giovanetto muto, scemo e rossiccio.

Tutto, qui, è pittoresco, senza averne la pretenzione. [p. 192 càgna]

Una banderuola, un fanale a gaz, un lampioncino, alla veneziana, attaccato ad un piccolo albero, e non so che altro, che contribuisce alla caratteristica singolarità del quadro.

Sfondo: la campagna autunnale, divina nella sua malinconia.


È il tramonto.

[p. 193 càgna]
IL PRIMO ATTO


SCENA I.


DE MURO, GIGANTE, ANTINORI, MANCINI, GIANFRANCO CARDELLA, SCHETTINI, COCÒ, CICCILLO.

La discussione è animatissima, e sta per divenire tempestosa. Gli artisti sono rossi in volto, e gesticolano follemente.

GIGANTE

(fuor di sè, levandosi da sedere, e battendo più volte col pugno sulla tavola, grida con la sua voce piccola e stridente:)

E a Esposito no? A Gaetano Esposito nun l’hanno fatto murì pazzo?

MANCINI E DE MURO

(gridando anch'essi)

Mbè?…

GIANFRANCO

(con la sua gran voce ”cafona„)

E Avella no? Nun è muorto jetteco e pazzo? [p. 194 càgna]

MANCINI E DE MURO

(urlando)

Sì, sì, sì,… Embè?…

GIGANTE

(battendosi con la mano sulla fronte, — i piccoli occhi iniettati di sangue:)

E Zavatti, Cristo! Zavatti nun fernette a ’o manicomio?

MANCINI

Sì…

(coprendo con la sua le altre voci:)

E che vuò dì cu chesto?… Conchiudi.

DE MURO

(a Mancini)

Aspè…

(rivolgendosi, poi, a Gigante:)

Di più ti dico,… di più… Gargiulo… t’’o ricuorde? — Un artista.

GIGANTE

Per la Madonna!

DE MURO

(afferrandolo pel braccio:)

Zitto!… Gargiulo, bello, alto, robusto…

MANCINI

… Tantillo ’e barba… Pareva nu ”Turiddu„.

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DE MURO

E ll’uocchie celeste comm’’a nu Nazzareno…

CARDELLA

Sunava ’a chitarra comm’’a nu Dio!

GIGANTE

(con un urlo)

Zitto tu!

(a de Muro e Mancini, incrociando le braccia:)

Mbè?

DE MURO

Ll’attaccieno mane e piede — accussì — e ’o purtaieno a’ pazzaria pure a isso…

MANCINI

Pe’ bia ca se fissaie…

GIGANTE

Sì, sì, ’o ssaccio: che all’esposizione ’e Torino nun l’avevano premiata "Turris infranta"

(a de Muro)

Ma, allora, tu m’aiute a dì…

DE MURO E MANCINI

(gridando)

No… [p. 196 càgna]

GIANFRANCO

Come no? Allora venite a chello ca dich’io…?…

SCHETTINI

(a Cocò, che ancora ride a sgambetta:)

E fermo… E tu nun te’ â movere…

CICCILLO

(a Schettini)

Pressò, chillo ’a cervella ’a tene sana… ’A frotocafia nce mancava!…

GIANFRANCO

(a Ciccillo, imponendogli silenzio:)

Stsss!

DE MURO

(a Gianfranco:)

Che cosa? Che dice tu?

GIGANTE

(a Ciccillo)

M’’o ppuorte stu zuffritto?

CICCILLO

{{outdent|E si vuie nun cumannate…

GIGANTE

E portalo, ca è n’ora!…

Ciccillo esce, zufolando, pel fondo)

[p. 197 càgna]

GIANFRANCO

(che ha le idee fisse:)

Venite a chello ca dich’io: che a Napoli un artista o more pazzo, o more pezzente…

MANCINI

(scattando:)

Napoli! Napoli! Napoli! E dalle cu Napule! Napoli sumiglia a tutte ll’ati paise d’ ’o munno, con qualche cosa in più: l’aria, la luce, il colore…

GIGANTE

(nervosissimo, agitando le mani:)

Va bene, avimmo capito, — nun ne parlammo cchiù… Tu, quanno magne e bive…

MANCINI

No, Cristo!, ca nun sto nè pazzo, nè ’mbriaco…

CARDELLA

Ma dico: nce ’o vulessemo ’ntussecà stu poco ’e magnà?

MANCINI

Che nce azzecca stu ’ntussecà? Se parla, accussì, pe’ dì ’na parola. E dico e affermo che la sorte degli artisti — fortunati o no — è sempre la stessa. Nisciuno se ne preme ’e lloro. Vivono, lavorano, crepano fra la generale indifferenza…

[p. 198 càgna]

DE MURO

E nun se n’hanno ’amariggià, pecchè nisciuno l’ha pregate ’e fa’ chello ca ffanno

(a Gianfranco)

Se tu, invece ’e fà ’o pittore, avisse fatto ’o giovine ’e nutaro, a chest’ora ’e mo, camparrisse, felice e cuntento, nella miseria, cu’ na caterva ’e figlie ’ncuollo, e na mugliera prena ogni nove mise…

GIANFRANCO E GIGANTE

Avanti… continua…

DE MURO

(cambia improvvisamente di umore, e siede)

No… mo nun ne tengo cchiù genio, pecchè sto penzanno a n’ata cosa…

(ridiventa pensoso, e non apre più bocca)

GIANFRANCO

’O bbì!…

(come a dirgli: sei a corto di argomenti, e tronchi il discorso)

DE MURO

(si stringe nelle spalle)

GIGANTE

(a Schettini)

Viene mange.

[p. 199 càgna]

SCHETTINI

Nu mumento, maestro: ho finito.

MANCINI

(a Gianfranco:)

’O bbide che? Ma volete vedere quanto siete ingiusti voi con questo paese, che non è, poi, nè migliore, nè peggiore degli altri? E sienteme a me… Henry Bech era italiano? Era napoletano?… No. Era francese. Beh, quando Bech è muorto, dint’’a sacca non gli hanno trovate che due lire — doie lire — e settantacinque centesimi.

(a Gigante che fa per interromperlo)

Zitto!

(e continua)

{[Autore:Giacinto Gallina|Giacinto Gallina]] era napoletano? No. Bene: Gallina muore, e non lascia tanto da pagare una gondola funeraria di quarta classe…

CICCILLO

(viene dal fondo)

Ecco ccà ’o zuffritto…

GIGANTE

(che è tutto intento ad ascoltare:)

Vattenne, nun ne voglio

(e allontana Ciccillo con il braccio)

CICCILLO

(fa per insistere)

[p. 200 càgna]

GIGANTE

(con un grido:)

Vatteeeeeenne!…

(Ciccillo si allontana sbalordito)

GIANFRANCO

(gli grida dietro:)

Sta ’nzalata vene o nun vene?

Schettini, intanto, ha finito lo ”schizzo„ di Cocò, il quale, nel vedersi riprodotto sulla carta, sgambetta, fa dei grandissimi inchini al foglio che stringe fra le mani, manda altissime grida di gioia, ed esce lentamente pel fondo, balbettando:

COCÒ

Beeell!… beeell!… beeell!…

MANCINI

E così Bizet, Verlein, Poe: tutti morti nella miseria e miez’’e guaie…

SCHETTINI

(accostandosi alla tavola, e guardando la campagna, grida a Mancini:)

Maestro, maestro, un tramonto divino!

GIGANTE

(a Mancini)

Appriesso… [p. 201 càgna]

MANCINI

Appriesso che? Che vuo’ sentere cchiù? Vuò parlà ’a mo nfì a dimane?

(ridiviene dolce e sereno)

Io, pe’ me, tengo sete, e bevo.

(E così dicendo, scoppia in una di quelle sue buone, interminabili risate.)

CARDELLA

E po’, dico: giusto a tavola avimma parlà ’e ’sti ccose!}}

(il suo tono è, come sempre, urtantemente brioso)

GIGANTE

Tu te ’â sta zitto, tu!

CARDELLA

E pecchè?

GIGANTE

Tu sì n’ata cosa: tu nun appartiene a nnuie…

DE MURO

(dolce, a Gigante:)

Michè!…

GIGANTE

(ancora rivolto a Cardella:)

Tu cante, tu suone, tu pitte, tu faie dramme, puisie, articule p’’e ggiurnale, — trase dint’’e salotte e faie chiagnere ’e signurine: tu faie tutte cose. Tu nun appartiene a nuie… [p. 202 càgna]

DE MURO

(stringendogli dolcemente il braccio, perchè taccia)

Michè!

GIGANTE

(un po' brillo, a de Muro, con effusione:)

Quanto si bello! Tu me può di’ tutte cose. Tu si artista

(gridando)

Ar-ti-sta, e i’ nun sto ’mbriaco….

CARDELLA

(un po' offeso, rivolgendosi agli altri:)

Ca pe’ bia ’e sti chiacchire ccà, non è arrivato…

GIGANTE

Addò?

MANCINI

Iammo, basta mo.

GIGANTE

Addò? Io aveva ”pittà„, nun aveva ”arrivà„ — E sò sittant’anne ca pitto. E di quello che pensa e dice la gente nun me ne ’mporta niente. Nì-en-te. Me sò spiegato? — Il pubblico non ama che i dilettanti, ed io detesto il pubblico e i dilettanti.

(Guarda de Muro, che si addolora nel vederlo un pò brillo, ed esclama:)

Quanto sì bello! Tu, tu, tu si artista! [p. 203 càgna]

SCENA II.

SAVERIO ANTINORI e tutti gli ALTRI

Saverio Antinori arriva ansante, frettoloso, impolverato. È il solo personaggio che ricordi nella “mise„ i celebri eroi della Bohême„.

ANTINORI

(si ferma nel fondo, sotto l'albero, e canta:)

         Marcello, finalmente?
         Qui niun ci sente…,
         Io voglio separarmi da Mimì,…

(un interminabile: Ohoooo! accoglie il pittore che dall’alto del muricciuolo saluta, seventolando più volte in aria il suo cappello a larghe falde.)

CICCILLO

(a Gianfranco, recando la scodella con l'insalata:)

’Nzalata riccia!…

ANTINORI

(come a giustificare il suo ritardo:)

E quanno i’ mo me so’ spicciato!

I PITTORI

(fan la tosse, per metterlo in berlina)

[p. 204 càgna]

CARDELLA

(istigato dagli altri, si leva, e con vibrato accento oratorio, l’indice teso, rifà la voce di Antinori, mentre i pittori ripetono sempre l’ultima parola di ogni frase).

Compagni, il giorno delle rivendicazioni è arrivato… Non piombo alla fame, non scherno alla miseria, ed occhio al tugurio!

UN PO' TUTTI

Bene!

Bravo!

(applausi, approvazioni, risate)

ANTINORI

(fa un gesto come a significare: Ah, poveri voi!)

CICCILLO

(ad Antinori:)

Nu buono vermiciello, o preferite nu muorzo ’e menesta?

ANTINORI

Chello ca vuò tu, ma in mezo minuto, pecchè tengo ’na famma che ’a veco cu ll’uocchie…

GIANFRANCO

(a Ciccillo:)

E che ddiece, st’acito nun sape ’e niente?!…

CICCILLO

Ma che pazziate? Chell’eva ’na votta ’e vino ca è ghiuta ’e spunto. [p. 205 càgna]

SCHETTINI

(a Ciccillo)

’O bbide ca me sto affuganno?… M’o ppuorte ’stu vino?

CICCILLO

In un furmino.

(e scappa via)

ANTINORI

(si ferma dinanzi a de Muro, a gambe aperte, gli dà un colpo sulla spalla, e scoppia a ridere.)

DE MURO

Nun ridere… Siente…

(si leva, e lo trae in disparte)

MANCINI

È arrivato Carlo Marx?! — Stave bene!

DE MURO

(a Mancini:)

No… una parola… È ’na cosa ’e premura…

GIGANTE

’A sapimmo… ’a sapimmo!…

GIGANTE

’A sapimmo… ’a sapimmo!…

MANCINI

(dà il segno, e gli artisti, battendo con le mani sulla tavola intonano a coro la solita aria, con la quale canzonano de Muro:)

È l'amore un vago augello,
niun lo può domesticar…

[p. 206 càgna]

GIGANTE

(ad Antinori:)

Chillo mo se l’ha levata ’a capa. Vide come nce le ha fà trasì n’ata vota!…

ANTINORI

(seccato, a Gigante:)

E bive se ê ’â bevere!

GIGANTE

(borbollando:)

Mannaggia Vicenzella, e chi l’ha criata!

(E ricomincia, animata, la conversazione tra gli artisti)

ANTINORI

(a de Muro:)

Ma cchiù o meno, se pò ssapè ch’è stato?

DE MURO

Niente, — è fenuto!… Ch’eva essere?

ANTINORI

Ma quanto è certo Dio, a vuie ’a capa nun v’aiuta… Aieressera: ”Bene mio e core mio„ e, ogge, accussì, ’e bello, ’a ’ncontro pe’ Tuledo, e me dice ca tutto è fernuto… [p. 207 càgna]

DE MURO

(subito)

Tu l’è ’ncuntrata?

(impallidisce)

ANTINORI

(ridendo)

E a te che te ne ’mporta?

DE MURO

No, niente. Dico: tu l’hai incontrata, e, naturalmente anche lei t’ha detto ca tutto è finito.

ANTINORI

(ridendo)

Sì… fino a dimane…

DE MURO

No, nun ridere, ca mi dispiace, perchè ti giuro che stavolta è finita; vedi, è finita, per quanto voglio bene…

ANTINORI

(turandogli la bocca:)

Nun giurà… Statte zitto…

DE MURO

Ma sto allegro, ― vedi, ― mai come a ’sta volta sto allegro, come si niente fosse stato… Ah, la liberazione, [p. 208 càgna] capisci? — la libe-ra-zio-ne!… Pozz’î, pozzo venì,… pozzo fà chello ca voglio…

(e continua a discorrere)

MANCINI

(scattando d'un tratto)

A chi?… I ”macchiaioli„ di Firenze che dicono di avere creato l’impressionismo? E chesto l’aveva creato la scuola di Posillipo… Romanticismo, verismo, impressionismo: ccà tutto è nato primma…

GIGANTE

Mo ave ragione isso ’A scola ’e Posillipo, va bene, — oramai è fuori discussione, — ma la scuola di Portici, fondata da de Nittis e Rossano… ’a scola d’é Parule, fondata da Esposito…

(e la conversazione continua animatissima)

DE MURO

No…. no… no… no… che vuò? In quanto a questo siamo in due ordini di idee completamente opposte… Ma tu capisci ca chella va allo studio di Siano, che poi non è nemmeno un artista, — è un imbecille qualunque, — per posare nuda… Se quella è la sua naturale tendenza: fare la…

ANTINORI

(turandogli di nuovo la bocca)

Zì… zì… zì… Non esagerare…

(in un orecchio, canticchiando:)

Quando s'é come voi,
non si vive in compagnia…

[p. 209 càgna]

DE MURO

E perciò, ognuno piglia la sua via, e così…

(non trova le parole, — poi scatta:)

Vicenzella è una cosaccia! Cchiù faie p’’a…

(fa dei gesti con le mani, come a significare: più fai per portarla su)

e chella cchiù se ruciulea dint’’a lota, perchè, in fondo, mio caro, ognuno segue il suo naturale destino…

CICCILLO

(venendo con la ”zuppiera„ di maccheroni:)

’E piere… ’e piere…

DE MURO

(ad Antinori:)

Va magne, ca po’ ne parlammmo…

ANTINORI

(si accosta lentamente alla tavola, tentennando la testa, e sorridendo con amarezza. Poi, volgendosi a Ciccillo, esclama:)

Ma ch’eveno pronte?

CICCILLO

Ma che pazziate?! Quello è uno espresso ca Scialone l’ha fatto propetamente cu ’e mmane soie…

GIANFRANCO

(a Ciccillo, gridando:)

’Stu vino vene o nun vene? [p. 210 càgna]

SCHETTINI

(levando la bottiglia vuota, grida:)

Vino… vino… vino…

CICCILLO

(turandosi le orecchie, e precipitandosi verso il fondo:)

Viene… viene… viene…

ANTINORI

(mangiando voracemente:)

Il manifesto rosso ha suscitato un delirio. Al comizio di domenica, a Vicaria, avremo cinquantamila operai… Turati è con noi. Il proletariato si desta!

MANCINI

E chisto è n’ato che ’a capa nun l’aiuta!

ANTINORI

Statte cu’ st’idea tu, ca staie frisco… L’arte e la politica, miei cari, camminano a braccetto. Chi non sente nel fondo del suo cuore l’urlo lacerante della miseria, è un fetente — non è un artista, — ed io lo prendo a calci nel sedere.

(agitando la gamba, scuote e solleva la tavola, suscitando un immenso fracasso di piatti, bottiglie, bicchieri.)

GIGANTE

Aspè…

SCHETTINI

(ridendo)

Tiene ’n mano… [p. 211 càgna]

MANCINI

Chist’è pazzo!…

GIANFRANCO

Mantiene!


SCENA III.

ASSUNTA, AMELIA, IDARELLA, ANGIOLINA, CONCETTINA, NANNINELLA, BIANCHINA, PUPESSA, COCÒ, poi CICCILLO, e gli ARTISTI.

Cocò sale la scaletta con gran rumore, in fretta, sventolando il foglio, sul quale è riprodotta la sua immagines, a matita, e mandando piccoli gridi di gioia.

Tutta la comitiva si volge verso il giovinetto. Nel frattempo si odono voci argentine, — risate lunghe, clamorose, qualche voce, qualche ”battimano„.

Ed ecco che irrompe la gaia comitiva delle sartine che han litigato con i loro innamorati. La scena si ravviva, come per incanto.

È come un soffio di primavera, in questo malinconico autunno.

LE GIOVANETTE

(invadendo, d'un tratto la scena, salutano i pittori con degli allegri e rumorosi:)

— Buona sera!

— Bona sera!

(ridono e sventolano i fazzoletti)

[p. 212 càgna]

ANTINORI

(saluta, agitando l'enorme cappello)

GLI ALTRI ARTISTI

(rispondono, cordialmente, al saluto:)

— Bona sera!

— Bona sera!

AMELIA

(fa per andare verso la piccola porta di sinistra)

ASSUNTA

Addò vaie?

NANNINELLA

Viene t’assetta.

AMELIA

(ritornando sui passi)

E che ssaccio, chillo c’ha ditto: ca nce steveno ll’ati stanze cchiù ’ncoppa…

ANGIOLINA

I’ ’a ccà nun me movo…

CICCILLO

(venendo dal fondo:)

Gragnano spumante…

(e depone tre bottiglie di vino sul tavolo)

Gli artisti, eccitati dalla dolce visione femminile, accolgono con gioia il ”nettare degli dei„ [p. 213 càgna]

GLI ARTISTI

(salutano l'arrivo di Ciccillo, con un formidabile:)

Ohoooo!…

AMELIA

(sottovoce, ad Assunta:)

Giesù, e si nce vede quaccuno?

ASSUNTA

Madonna, e quanta vuommeche! — Sì ’o ssapevo, nun nce venevo.

CARDELLA

(agli artisti)

Ma vuie vedite quanto so’ bellelle?!

MANCINI

’A bionda… ’a bionda pare nu ”Michetti„.

SCHETTINI

Maestro, e ’a bruna? — Guardate ’a bruna che bella tinta di capelli…

(Le sartine, intanto, siedono rumorosamente)

BIANCHINA

Ahaaa!… Come si sta bene sotto alle fresche frasche!… [p. 214 càgna]

ANTINORI

(levando il bicchiere, e rivolgendosi alle fanciulle:)?

All’eterno femminino!

(Le fanciulle rispondono con la più clamorosa delle loro risate)

GIANFRANCO

(ad Antinori:)

Tu ’ê ’â parlà dint’è cumizie: ccà nun te truove!

ASSUNTA

E ched’è, ccà nun vene nisciuno?

CONCETTINA

(a Pupessa:)

Dà na voce al cameriere.

PUPESSA

(dall'alto della scaletta, gridando:)

Neh, bellu giò!

COCÒ

(che se n’era stato in disparte, nascosto dietro l’albero, viene avanti, si presenta a Bianchina, fa una magnifica riverenza e le offre il garofano.)

BIANCHINA

(che se lo vede comparire dinanzi:)

Madonna, e che paura! [p. 215 càgna]

COCÒ

(con gesti di ammirazione:)

Beeell! Beeell! Beeell!…

(E vuol mostrare alla fanciulla il suo ritratto)

— Le ragazze scoppiano a ridere —

MANCINI

(alludendo a Cocò:)

Che capo d’opera!

BIANCHINA

(un pò rutata, — a Cocò:)

Lete ’a lloco!

COCÒ

(ride, ed insiste nell’offrire il fiore:)

Bell!… bell!… bell!…

IDARELLA

’E capito: vattenne? — Uommene nun ne vulimmo!

(gli dà uno spintone, e Cocò, tutto mortificato, si allontana e va a sedere sul muricciuolo, in fondo)

CARDELLA

(con aria intraprendente)

E pecchè?

IDARELLA

E pecchè ’o libro d’’o pecchè andò a mare e si perdè! [p. 216 càgna]

CARDELLA

Io una domanda vi ho fatta…

IDARELLA

(rifacendo la voce di Cardella)

E io una risposta vi ho data…

SCHETTINI

Site accussì bellella, e site accussì schiattosa…!

IDARELLA

Embè, avite visto?!

(le compagne scoppiano a ridere)

CONCETTINA

(battendo forte col coltello sul piatto)

Cameriere! Cameriere!

CICCILLO

(di giù, gridando:)

Viene…

ANTINORI

(ad Idarella)

Le altre ”Musette„ invece, vedete come stanno allegre?!

ASSUNTA

E sapite pecchè stammo allegre? [p. 217 càgna]

TUTTI GLI ARTISTI tranne DE MURO

(con viva curiosità)

— Perchè?

— Perchè?

— Perchè?

ASSUNTA

Pecchè avimmo fatto sciarro cu’ e nnamurate nuoste…

(gridando più forte:)

Cameriere!

MANCINI, GIGANTE, GIANFRANCO, SCHETTINI, CARDELLA, ANTINORI

(scoppiando in una clamorosa risata:)

Ohoooo!…

BIANCHINA

Nun è overo!

IDARELLA

’Sta scema!

CONCETTINA

Nun ’a state a ssentere!

(quasi contemporaneamente)

CICCILLO

(venendo in fretta, con il berretto a sghimbescio, anche lui inebbriato da questo inaspettato soffio di primavera.)

’E piere!… ’E piere!… [p. 218 càgna]

IDARELLA

(a Ciccillo:)

Giuvinò, vuie nce avita dà nu poco ’e cunfidenza pure a nuie, sinnò aizamo ’ncuollo, e nce ne jammo!

CICCILLO

Voi ordinate… ed io vi servo…

(con una intonazione leziosa, che non gli è abituale)

CONCETTINA

Che tenete di pronto?

BIANCHINA

I’ vulesse fichi e priggiotto.

ASSUNTA

… ’O vvide ca nun nce sta apane, nun ce sta vino, — nun ce sta niente!…

IDARELLA

Si ’e fagioli assoluti sò pronte…

NANNINELLA

… I’ pe’ me, voglio nu muorzo ’e menesta…

ANGIOLINA

… Sì nun puorte l’antipasto… [p. 219 càgna]

PUPESSA

(urlando, con le mani ad imbuto, per far trionfare la sua voce su quella delle sartine che parlano a coro:)

Faciteme nu vermiciello…

CICCILLO

(sedando con le mani il tumulto:)

Uno alla vorda,
uno alla vorda,
per carità!…

(Stavolta i pittori frenano a stento la risata)

ASSUNTA

Nè, e chi t’’o ffà fà?

NANNINELLA

’A dò le vene a chisto?

IDARELLA

Iammo, nun fà ’o ridiculo, — va dicenno: che tiene?

CICCILLO

(in fretta, a cantilena:)

Nu buono vermicello, nu fagiolo, ’na menesta, nu fegatino, nu rognone, ’na custatelle ’e maiale, ddoie sasicce, nu fritto misto, nu pollo alla cacciatora, nu buono ragù di casa, ’na genovesa, ’na bella turtiera ’alice.

ASSUNTA

No — a ’o pesce ’ncampagna nun nce aggio fiducia… [p. 220 càgna]

CICCILLO

Vuie che dicite? Chillo è nu scampolo ca ’o patrone l’ha accattato stammatina a ’o Capo!

ASSUNTA

Sienteme a me, giuvinò, si nò ccà nun nce spicciamo manco pe’ dimane: fance nu bello vermiciello al filetto di pomodoro: ma sà comme haddà essere? cuotto e nun cuotto…

CICCILLO

Allora, vermicelli per tutti?…

IL CORO DELLE SARTINE

Eh…

Sì…

… Ma spicciate…

ASSUNTA

(ripete, più forte)

Cuotto e nun cuotto…

CICCILLO

Verde… sta bene?…

(grida verso giù:)

Patrò…

(e fa per allontanarsi.)

IDARELLA

… Aspè… e puortace ’e ffiche c’’o prusciutto pe’ tramente… [p. 221 càgna]

BIANCHINA

E nu surzo d’acqua, ca m’arraggio d’’a sete…

CONCETTINA

Vì che a tavola nun nce sta nè pane nè vino…

CICCILLO

Subito viene…

(Ed esce in fretta pel fondo)

CARDELLA

(si leva, ed offre una bottiglia di vino alle fanciulle)

Se volete cominciare…

ASSUNTA

No…

ANGIOLINA

Grazie tante…

CONCETTINA e LE ALTRE

Pecchè ve vulite mettere in cerimonie?

ANTINORI

Accettate. È rosso come la nostra bandiera…

CARDELLA

(versa il vino nei bicchieri)

LE SARTINE

(levando i bicchieri:)

Alla salute! [p. 222 càgna]

GLI ARTISTI

(levando anch'essi i bicchieri:)

Alla salute!

AMELIA

(ad Antinori:)

Scusate: vuie state ’e casa a’ Speranzella, N. 26, a ’o primmo piano?

ANTINORI

No. Abito ai Ponti Rossi.

(declamando:)

La mia stanza è una tana squallida,
il fuoco spento; v’entra e s’aggira…

I PITTORI

(a coro)

vento di tramontana…

CICCILLO

(recando un piatto enorme:

Pane, fichi e priggiotto.

(Grandi ovazioni accolgono il garzone e l'antipasto.
S’ode dall'interno uno schioccar di frusta, ed un gaio ed interminabile tintinnio di sonagli.
Di giù, la gran voce roca di Scialone:)

Cecciiiii!… [p. 223 càgna]

CICCILLO

(a sua volta, gridando verso sinistra:)

Tatoooò!

(e corre, giù pel fondo)

TOTONNO

(precipitandosi per la scaletta di sinistra, e scomparendo pel fondo:)

Gnoooooò!…

— S'ode ancora un tintinnar di sonagli; poi, voci, saluti, mormorio, confusione —

IDARELLA, AMELIA, CONCETTINA e PUPESSA

(corrono ad affacciarsi al muricciuolo, in fondo)

IDARELLA

Assù, viene vide: stanno arrivando ’o duca e ’a duchessa…

CONCETTINA

Madonna, e che nubiltà!

ASSUNTA

Seh, staie fresca… e i’ mo me soso!…

ANTINORI

(agli altri, indicando le fanciulle:)

Mo l’îta guardà… comme stanno mo… in mezzo alle foglie… con quello sfondo di campagna ca se vede e nun se vede… Una meraviglia!… [p. 224 càgna]

SCENA IV.

DONNA CARMELA SCHIAVONE, DON GIOVANNINO AMMENDOLA, DON ERMINIO SCHIAVONE, MIMÌ, BEBÈ, NUNÙ, SISINA, NANELLA, PACIONE, MATALENA, che reca il poppante fra le braccia, SCIALONE, CICCILLO, TOTONNO, COCÒ, E GLI ARTISTI E LE SARTINE.

Donna Carmela, una bella ”maesta„ un pò matura, ricca di perle e di oro, si appoggia al braccio di Don Giovannino Ammendola, un bell’uomo dall’aria ”ammartenata„ e grottescamente galante. Segue don Erminio Schiavone, con due bambini per mano, uno in braccia, e gli altri attaccati alle code del suo tight nocciuola.

Erminio Schiavone ha un pò l’aria di essere il padre di sua moglie, ma, in realtà, non è che una losca macchietta, come un pò losca, in fondo, è tutta questa piccola comitiva. Scialone fa strada alla ”troupe„ dando ordini a voce altissima. E’ un fastidioso confusionario questo Scialone.

SCIALONE

(a Ciccillo)

’A tavula è pronta?

(a Totonno)

Dì c’acalasseno ’e maccarune…

(a Cocò:)

Da ’na voce all’ostricaro… [p. 225 càgna]

DON GIOVANNINO

(a Scialone:)

È ccà o cchiù ’ncoppa?

SCIALONE

’A stanza superiora. Me dicisteve chella?

DON GIOVANNINO

Pricisamente.

(nel venire avanti, la nuova comitiva saluta i presenti. Don Giovannino porta a pena la mano al cappello)

SCIALONE

(a Don Giovannino)

’O ssolito; p’’o cucchiere nce penzo io?

DON GIOVANNINO

Pricisamente. ’O vino te raccuanno, ca p’ ’a cucina intanto ne rispongo semp’io.

SCIALONE

Nun dubitate. Tengo ’na butteglia ’e gragnano spumante, ca, quanno l’asaggiate, me ne date ’na voce.

DON GIOVANNINO

(procedendo alla presentazione:)

La commara Carmela Schiavone, il suo marito, i loro bimbinelli, e l’amico Scialone.

(Scialone, col berretto fra le mani, si abbandona a [p. 226 càgna] grandissimi inchini, a cui i coniugi rispondono con leggeri cenni del capo.)


DON GIOVANNINO

Commà, Scialone è il Pataterno della cocina casareccia. Te fa ’na bragiuola imbottita, ca, senza offesa, potarrebbe accoparire innanzi a una sua ardezza riale.

(e così dicendo, si avvia per la porta di sinistra, seguito da tutta la comitiva)

(a Donna Carmela, cedendole il passo:)

Preco. La ronna innanzi, per bia che anco nella ristrettezza dell’amicizia, bisogna a procetere con il calaté.

Le sartine scoppiano in una lunga risata, tanto più clamorosa per quanto più lungamente repressa.

ASSUNTA

Tu ’ê visto a chillo?

IDARELLA

Giesù, chillo m’ha fatto venì ’na cosa dint’’o stommaco!

GIANFRANCO

(con l'occhio ancora volto verso la comitiva che si è allontanata)

Che capo d’opera!

MANCINI

Carattere… colore… ’Na meraviglia! [p. 227 càgna]

GIGANTE

E dire che in un paese com’’a chisto, nce stanno ancora gente ca pittano ’o marenaro cu ’a pippa ’mocca!

AMELIA

Ma ’o marito era ’o cchiù giovine o ’o cchiù viecchio?

BIANCHINA

’O cchiù viecchio, l’ê ’ntiso?

NANNINELLA

E comme, a chella aità tene na criatura ’e latte?

ASSUNTA

(le dice qualcosa nell'orecchio)

NANNINELLA

(scoppiando a ridere:)

Vattenne, — tu quando si sporcacciona!

(La frase di Assunta fa il giro della comitiva, e ogni sartina la ripete all’altra, nell’orecchio, provocando queste esclamazioni:)

ANGIOLINA

Uh, Madonna!

BIANCHINA

Giesù!

CONCETTINA

Quanto si triviale! [p. 228 càgna]

IDARELLA

A che bba penzanno!

(piccole risate, trattenute dal pudore)

CICCILLO

(recando una enorme zuppiera di maccheroni:)

’E piede… ’e piede!…

(e depone la zuppiera sulla tavola delle sartine)

Vermicelli al filetto di pomodoro!…

Un uragano di applausi. Le fanciulle si mettono all’opera con singolare voracità: la tavola si rianima, come per incanto.

SCHETTINI

(a Ciccillo)

’Stu rappolo d’uva vene o nun vene?

CICCILLO

Uva muscarella? Subito viene.

GIGANTE

Si t’abbusche nu granato, portammillo…

(Ciccillo esce pel fondo)

Durante questa seconda metà dell’atto il via-vai di Totonno e Ciccillo è continuo. L’uno reca da pranzo agli avventori del ”pergolato„ e a quelli delle stanze [p. 229 càgna] superiori, e l’altro reca bottiglie, fiaschi e boccali di vino, sempre in gran fretta, e con grandissimo movimento.

Il vecchio ostricaro borbonico, attraversa la scena, lentamente, e reca una enorme cesta di ostriche nelle stanze superiori.


IL VECCHIO

(traversando la scena, — con voce sdentata:)

Bonasera e salute!

ASSUNTA

(agli artisti:)

Nun v’avimmo ditto manco: state servite.

CONCETTINA

Chille nun abbastano pe’ nuie!

NANNINELLA

E che c’entra questo? Bisogna sempre a procedere con il ”calatè.„

(rifà la voce di don Giovannino Ammendola. Grande ilarità).

[p. 230 càgna]
SCENA V.

Ecco VICENZELLA

In fondo appare Vicenzella. Ha la faccia verde di bile. Veste povera, ma capricciosa. Le mani nelle tasche della piccola giacca bleu, ed il fazzoletto di seta rossa intorno al collo. S’arresta un istante: volge gli occhi d’intorno, — i grandi occhi neri, velati di malinconia, che più risaltano sul rosso ardente del fazzoletto, — si morde più volte, nervosamente, il labbro inferiore, — poi scuote la testa, — e viene avanti.

VICENZELLA

(traversa la scena, senza guardar nessuno, e va a sedere alla piccola tavola, che è in alto, sotto l’erba rampicante)

(Nel passare dice un rabbioso:)

Bonasera!

DE MURO

(impallidendo, — ad Antinori:)

Vicenzella!

(diventa cadaverico)

Tutti gli artisti mormorano qualcosa. È un momento d’incertezza. Le sartine fissano la nuova arrivata con curiosità. [p. 231 càgna]

DE MURO

(ad Antinori, concitatissimo, mordendo il tovagliolo:)

Tu ce l’è ditto.

ANTINORI

’O ssapeva primma ’e me. Pare nu sbirro ’e pulizia.

DE MURO

Dincello ca se ne jesse, si nò, quanto è certo Dio, faccio nu guaio!

ANTINORI

E aspè, non ghi’ ’e pressa…

E MURO

Mo haddà essere!

ASSUNTA

(sottovoce, alle compagne:)

I’ dico ca sì, ma chesta po’ se n’è venuta solo p’’o deritto!….

(le sartine mormorano qualcosa: fanno qualche apprezzamento.)

VICENZELLA

(aspra, alle sartine:)

Parlate cchiù zitto, ca j’ ’e rrecchie ’e tengo bone.

(e volge, con un movimento dispettoso, la testa dall'altra parte.)

[p. 232 càgna]

ASSUNTA

Ccà nisciuno v’ha turciuto, bella gio!

VICENZELLA

(senza volger la testa:)

E vuie me turciveve!

DE MURO

(allarmato, ad Antinori:)

Mo vide ca s’appicceca cu chella!

IDARELLA

(ad Assunta, — un pò timida:)

Te vuò stà zitta?

VICENZELLA

(cambiando imediatamente tono:)

Lassat’’a parlà… I’ nun me piglio collera. Manco p’’a capa!

(e scoppia a ridere clamorosamente, e, con lei, ridono tutte le altre)

NANNINELLA

(bevendo, — un pò rossa in viso:)

’A verità, ’stu gragnano se ne scenne…

BIANCHINA

(ridendo, e bevendo anch'ella:)

Te n’ê fatto già tre bicchiere… [p. 233 càgna]

VICENZELLA

(ancora rivolta alle sartine:)

A me nun nce avita venì appriesso…

(imitando la voce di ”qualcuno„)

”Sono un tipo sbetico… sono mezza pazza… e debbo andare al manicomio!„

(dà un colpo col coltello sul piatto)

Eh, mo nce vaco!… J’ facc’ j’ a’ pazzaria!

BIANCHINA

(toscaneggiando ancora:)

Se è per noi, nessuno v’ha detto niente…

VICENZELLA

(mordendosi ancora il labbro inferiore:)

No… grazie… Parlo io e io…

(battendo più forte il coltello sul piatto:)

Cameriere!

CICCILLO

(venendo dal fondo, — con il berretto a sghimbescio:)

Comanda, madamigella…

VICENZELLA

Oh, e pecchè faie ’o ridicolo? — Mo t’avvio nu piatto ’ncapo… e bonasera! [p. 234 càgna]

DE MURO

(fa per levarsi: è un movimento istintivo, — ma, giacchè nel dire: ”E bonasera!„ Vicenzella scoppia in una di quelle sue nervose e interminabili risate, de Muro cade a sedere, scrollando più volte la testa)

CICCILLO

(rimanendo in atteggiamento statuario:)

I’ nun me sò manco muoppeto!

ASSUNTA, NANNINELLA, BIANCHINA

(ridendo con pietà:)

Povero crestiano!

CICCILLO

(immobile, con voce grave — cantando:)

Guarda don Bartolo
sembra una statua…

VICENZELLA

Portami mezzo pollo…

CICCILLO

(si allontana comicamente, — misurando i passi, e agitando le mani.)

ANTINORI

(si leva, e lentamente si accosta a Vicenzella. Siede al tavolo, e le parla con tono di dolcezza:)

Ma pecchè si’ venuta? [p. 235 càgna]

VICENZELLA

Pecchesto.

ANTINORI

… Sienteme a me, vattenne. Nun facimmo storie ccà…

VICENZELLA

Storie ’e che?… I’ mangio e pago, — e nun aggia da’ cunto a nisciuno.

ANTINORI

… Ma vulimmo fa’ ridere ’a ggente?

VICENZELLA

Nun ce sta niente ’a ridere. I’ nce sò capitata scasuarmente: me moro ’e famma.

ANTINORI

Scasuarmente?

(guardandola negli occhi)

VICENZELLA

Sine, sine…

(le vien da ridere, ma immediatamente cambia tono e ridiventa verde in volto:)

… E manco ’e scuppettate me smoveno ’a ccà…

ANTINORI

(manda un sospiro, si leva, e lentamente torna alla sua [p. 236 càgna] tavola. Dice qualcosa nell’orecchio di de Muro, che si agita, e gesticola nervosamente.

— Nel frattempo Schettini, Gianfranco e Cardella si sono accostati alla tavola delle sartine, con le quali han fatto comunella.

Son rimasti, però, in piedi, formando, così, un gruppo artistico.

CARDELLA

(ad Idarella)

… Mo tenite ’o core dint’o zucchero, è ovè?

IDARELLA

E sì, mo nce mettevemo a chiagnere!

SCHETTINI

E a ’o nammurato vuosto nun nce penzate poco?

IDARELLA

Manco tanto…

GIANFRANCO

(a Nanninella:)

Si ve faccio ’na domanda, me rispunnite?

NANNINELLA

(tutta rossa in viso:)

A sicondo. [p. 237 càgna]

GIANFRANCO

… Comme se chiamma ’o sposo vuosto?

NANNINELLA

Si chiamma Capardo Giuseppe, e accaccia ’e ccanzone.

— Vicenzella, intanto, si leva, sale sulla sedia, strappa alcune foglie dall’albero, e ne stringe una fra i denti. Poi comincia a fischiare un motivetto. De Muro si agita sulla sedia, gesticola, borbotta parole, — poi tace, — e poi ricomincia ad agitarsi.

CARDELLA

E pecchè ve ce site cuntrastata?

NANNINELLA

… Pe’ ’na sciucchezza ’e niente. Pecchè dummeneca me stette tre ore dint’’a cchiesia…

VICENZELLA

(senza volger la testa:)

Avite fatto proprio buono!

CARDELLA

(a Concettina:)

E ’o vuosto?

CONCETTINA

’O mio era lavorante calzolaio: nu buono giovane, ma troppo geluso… Figurateve ca ’na vota me pigliaie c’’o [p. 238 càgna] trincetto, pecchè i’ evo juta a ’o triato San Ferdinando cu nu frato cucino d’’o mio, furiere ’e marina…

ASSUNTA

(un pò accesa dal vino:)

I’ ne tenevo tre, — ma uno ne vulevo bene, e chillo ha dato parola sapato passato…

VICENZELLA

(fra i denti:)

… L’uommene!

DE MURO

(la fulmina con lo sguardo)

IDARELLA

Giesù, che faccia tosta! E ’o va dicenno pure…

ASSUNTA

I’ so’ schietta e riale. Chello ca tengo ccà, tengo ccà…

(a Bianchina:)

Damme nu surzo ’e vino…

GIANFRANCO

(a Pupessa:)

E tu… pure tiene ’o nammurato?

PUPESSA

(ridendo:)

… ’O tenevo… [p. 239 càgna]

GIANFRANCO

… E t’ha lassata?

PUPESSA

(offesa:)

Me lassava?! — L’hanno ’nzerrato dint’’e Cappuccinelle…

BIANCHINA

Ah, faccio buon’io che all’uommene nun ’e credo!

VICENZELLA

(amara)

… Comme a me… I’ all’uommene nun ’e calculo… Uno ne piglio, e n’ato ne lasso… Mo me vene appriesso nu tenente ’e fanteria ch’è bello sul’isso… Biondo, fino, delicato, tene ’e llire, e parla frastiere… Quanto me piace!

DE MURO

(scattando, e alzando il tono della voce:)

… Ma è una sgualdrina o no? — Io questo vi domando…

ANTINORI

(calmandolo:)

… Vabbuò,… chella pazzea…

MANCINI

’O ddice pe’ te fà sentere currivo…

VICENZELLA

(che ode le parole di Antinori e Mancini:)

… Senza ca dicite ’e no… È overo… è overo… E schiatta! [p. 240 càgna]

DE MURO

(a Vicenzella, gridando:)

… Smettila, mannaggia chillu Di…

(verde in volto, stringe nervosamente con la mano un angolo della tavola e la solleva)

Un mormorio fra le sartine. Giancarlo, Cardella e Schettini si accostano a de Muro. Antinori va presso Vicenzella.

VICENZELLA

(a de Muro)

Chi siete voi? Chi vi conosce?

DE MURO

(agli artisti:)

… Chesta me vò fà passà nu guaio a me!…

(ha le lacrime nella voce)

VICENZELLA

(con tono di sfida:)

… Tenitelo forte, — nun nce ’o facite passà ’stu guaio!

DE MURO

(fa per lanciarle contro un bicchiere)

GIGANTE

Che faie? [p. 241 càgna]

GIANFRANCO

… Ma che sì pazzo?

MANCINI

… Ma che modo è questo?

ANTINORI

(a Vicenzella, — turandole la bocca:)

… Assettate, e zitta tu!…

VICENZELLA

(mugolando, con la bocca imbavagliata:)

… Oh, tu sì venuto ’ncampagna? — E sò venuta pur’io… C’avive lassata ’a serva a’ casa?

DE MURO

(a denti stretti:)

Ma ’o vide ca i’ nun voglio parlà, e tu me vuò fà parlà pe’ forza…

GIGANTE

(a de Muro:)

Ma è mai possibile che avita fà ’stu teatro avante a’ gente?

DE MURO

E che songh’io?

ASSUNTA

(levandosi, insieme alle altre compagne, e circondando Vicenzella)

E ghiammo, bella giò… [p. 242 càgna]

IDARELLA

Sò nzirie ’e nammurate…

CONCETTINA

Subeto fernesceno…

VICENZELLA

(liberandosi dalla stretta delle sartine:)

E che ê ’a dicere?

DE MURO

Niente…

VICENZELLA

(urlando:)

Signori miei, sapete tutto il contrasto pecchè è stato?

DE MURO

Zitta, mannaggia!…

(e fa nuovamente per avventarsi. Stavolta è così eccitato che fa paura.

(Gli amici a stento rescono a trattenerlo)

VICENZELLA

(che, dinanzi alla violenza, perde tutta la sua audacia, siede, mormorando:)

Basta… basta… È finita… Nun parlo cchiù… nun parlo chiù!

(e comincia a singhiozzare disperatamente, con la testa fra le mani)

Le sartine la confortano, mentre gli artisti calmano de Muro, che borbotta ancora parole incomprensibili.

[p. 243 càgna]
SCENA VI.


IL «PEZZENTE DI CAMPAGNA»

Entra il ” pezzente di campagna „.

Alto, magro: una faccia tutta ossa, e l’espressione dell’automa. Si appoggia alla lunga mazza, e reca un sacco sulle spalle.

IL VECCHIO

(ripetendo la sua cantilena)

Fate la carità… Fate la carità…

(e va presso le tavole)

VICENZELLA

(si scuote, alza la testa, si asciuga gli occhi, con un gesto di dispetto, e battendo forte col coltello sul tavolo, grida:)

Cameriero…

CICCILLO

(venendo dal fondo)

Mezzo pollo a grande velocità…

(e reca il piatto con il pollo)

VICENZELLA

(senza guardare il piatto:)

Portame nu paccuttino ’e sicarrette… [p. 244 càgna]

CICCILLO

(cavando un paccottino di sigarette dalla tasca:)

Sicarrette, pronte.

Compariscono, intanto, nel fondo i ”Posteggiatori„ e cominciano a strimpellare un ballabile. Due tre coppie di sartine ballano).

VICENZELLA

(a Ciccillo:)

Famme accennere…

CICCILLO

(porgendole i cerini)

Pronti i cerini.

(E va via, pel fondo)

VICENZELLA

(la sigaretta fra le labbra, — fuma con aria dispettosa; poi, accorgendosi dei suonatori, si accosta ad uno di essi — al più vecchio — e poggiandogli la mano sulla spalla, gli domanda:)

… Sapite sunà ” 'O marenariello ”?

IL PIÙ VECCHIO DEI SUONATORI

(quasi offeso:)

Comme?!

VICENZELLA

E ssunate. I’ canto.

(al pezzente, costringendolo a sedere al suo posto:)

[p. 245 càgna]

Assettate cca’ tu, — e magna…

Tutti riprendono i loro posti. I suonatori ” intonano „, la dolce introduzione della divina canzone di Gambardella fra la commozione dei pittori e delle sartine.


MANCINI

(commosso:)

Povero Gambardella!

Appare, in fondo, Cocò, attratto dalla musica. Si abbraccia all’albero, poggiando la sua testa contro il tronco. E ascolta a bocca aperta. Sembra quasi trasfigurato. Gli artisti e le sartine ascoltano, assumendo ognuno di essi, un’aria malinconica e pittoresca. Fra le foglie trema un raggio di luna.

Tutta la scena è un quadro.


VICENZELLA

(con un fil di voce, sospira:)

Oi né, fa priesto, viene,
nun me fà spantecà,
ca pure ’a rezza vene
che a mare sto a mmenà
Meh, stienne ’sti braccelle,
aiutame a tirà,
ca stu marenarielle
te vò sempe abbraccià…

[p. 246 càgna]

Vicin’’o a ’o mare
facimmo ammore
a core a core
pe’ nce spassà…

Qualche sartina e qualche pittore, inebbriati dalla musica, a mezza voce, fanno il coro:

Sò marenaro
e tiro ’a rezza
ma p’allerezza
stongo a murì!


IDARELLA

(scoppia a piangere forte)

La canzone è interrotta.


ASSUNTA

(scuotendo Idarella:)

Oh, e che t’afferra?

IDARELLA

(fra i singhiozzi)

Vulesse fà pace cu ’o nammurato mio!

Lo sguardo di de Muro si incontra con quello di Vicenzella: si guardano a lungo — de Muro ha gli occhi pieni di lacrime. [p. 247 càgna]

VICENZELLA

(guardandolo, con tenerezza infinita, e accostandoglisi un poco)

Imbecille!… Imbecille!…

DE MURO

(ha un piccolo singhiozzo:)

Vattenne!

VICENZELLA

Imbecille mio bello!…

(son vicini, ora, l'uno all'altra)

Te voglio tantu bene… Tantu bene te vò Vicenzella toia!…

(cadono l'uno nelle braccia dell'altra)

I pittori e le sartine, nel vedere gli amanti abbracciati, stanno per dare in acclamazioni.

Antinori, portando il dito sul naso, fa segno che tacciano, e induce la comitiva a ritrarsi in fondo, per ammirare la campagna, sotto il raggio della luna.

I pittori e le sartine con scherzosi: "Ssts!.. sstsstss!„… si allontanano in punta di piedi ― Cocò, nel sorprendere gli amanti abbracciati, manda un grido di gioia, strappa il garofano dall’occhiello, e lo lancia alla coppia, gridando:

COCÒ

Bell!.. Bell!… Bell!… [p. 248 càgna]

IDARELLA

(con un piccolo grido:)

’A luna!… ’a luna!…


BIANCHINA, ASSUNTA, CONCETTINA
(intenerite)

’A luna… ’a luna!…

— Le sartine e i pittori guardano verso la campagna, mentre Cocò, intenerito, lancia loro dei piccoli baci. Qualche voce sospira ancora:

Vicino ’o mare
facimmo ammore
a core a core
pe’ nce spassà…

DE MURO

(a Vicenzella, stringendosela al cuore:)

Tanto me vuò bene?…

VICENZELLA
(con infinito abbandono:)

Tanto!… Tanto! Tanto!

(ha un piccolo singhiozzo nella voce)

— In lontananza, le ultime note della canzone di Gambardella —


E CALA LA TELA

[p. 249 càgna]
SECONDO ATTO

[p. 251 càgna]



L’AMBIENTE:

Nello studio di Peppino de Muro, — uno di quei caratteristici e singolari studii di pittori napoletani, in cui l'elemento artistico si fonde, con strana armonia, nell'ambiente. Accanto a “Psiche„ o alla maschera di “Beethoven„ è ben facile sorprendere qualche vecchio arnese casalingo, o, per stabilire i termini antitetici, la maschera di “Pulcinella„, o la enorme tuba bianca del “guappo antico„.

Una piccola consolle settecentesca, nel fondo, e su di essa: libri, dappi, tazze, frutta, fiori, quadri. — Una chitarra, attaccata al muro, in un angolo — Quadri, quadretti, disegni, bozzetti, tele, tavolozze, pennelli, stoffe, dovunque.

Un piccolo divano verdastro, sul quale dorme l'enorme e malinconico “Muscione„.

A destra, una piccola porta, che, mediante una scaletta visibile, mette nella povera e soleggiata casa di de Muro. Su questa porta si apre — come un grande occhio luminoso — una finestra. Un'altra grande finestra è a sinistra, in fondo, e illumina tutto l'ambiente. Tra il soffitto e l'arco una tenda bianca. [p. 252 càgna]

Drappi di ogni colore: roso cupo, viola, verde, bianco, nero, celeste pallido, rosa…

In un angolo, una piccola “Madonna„ dinanzi alla quale arde una lampada.

I dipinti – tranne qualcuno che è attaccato alle pareti – sono disposti, quà e là, disordinatamente: un “autunno„ – una “marina al sole„ – una “piccola chiesa di campagna„ – “barche pescherecce, di notte„ una “antica Santa Lucia„ –, e “Vicenzella„ motivo predominante, su tutte le tele: Assunta Spina, è lei; zì Munacella, è lei; Crestina 'a capuana, è lei; Anema bella; Colombina; Chiarina Beneduce, lei, sempre lei, la piccola e grande ispiratrice di Peppino de Muro.

Zerillo„ irrequieto e canoro, si agita nella gabbietta, che è sospesa alla finestra, dietro la quale spunta il piccolo albero carico di limoni.

Due, tre cavalletti. Ad un cavalletto lavora Michele Gigante. Egli riproduce sulla tela “Aitaniello Palumbo„ il garzone del fornaio, nella “posa„ di “Pulcinella in atteggiamento di stanchezza„, col dorso poggiato al muro, la maschera alzata sulla fronte, ed il mezzo sigaro spento, fra le grosse dita inanellate.

E per tanto il vecchio Gigante lavora nello studio di de Muro, in quanto il giovane e glorioso pittore ama dare ospitalità ai suoi compagni più poveri che non sono riusciti, in tanti anni di lotta, a crearsi il loro cantuccio per lavorare. E quì, a Napoli, ve ne sono parecchi.

Più in alto è il cavalletto di de Muro, con sopra una tela bianca. Cattivo segno: de Muro non dipinge!

[p. 253 càgna]

Ad una panca, in fondo, siede “Donna ’Ndriana„, una rossiccia enorme, sfiancata, dalla faccia lentigginosa e dall'occhio torvo. Si fa vento col fazzoletto, sbuffa ed agita, di tanto in tanto l'ombrello.

A destra, in fondo, è la porta di entrata, una porta verdastra, ad un solo battente, che dà sul viottolo campestre, bianco e lucente sotto il sole d'estate. De Muro è, come sempre, alle prese con Cimarosa.

[p. 255 càgna]

SCENA I.


DE MURO, GIGANTE, CIMAROSA, AITANIELLO PALUMBO
DONNA NDRIANA

DE MURO

(a Cimarosa, — raccogliendo un quadretto da terra, prendendone un altro dal cavalletto, un altro dalla sedia, un altro dalla “ consolle „. — con voce di collera:)

E chisto ’o vuò?… Chist’ato?… Chist’ato?… Pigliate tutte cose…

CIMAROSA

Chiano, chiano, figlio bello, tu t’allumme comme a nu fiammifero… Cimarosa è galantomo.

GIGANTE

(mandando un grido:)

Ahaaaa!

CIMAROSA

(accostandosi a Gigante, e battendogli con la mano sulla spalla, col suo eterno sorriso:)

Sempe ’e ’na manera!… [p. 256 càgna]

GIGANTE

(senza smettere di dipingere:)

Quanto sei schifoso!

CIMAROSA

(calmo e sorridente:)

Ah, ’sti parole, ’sti parole!… Nun se diceno ’sti parole a Cimarosa…

GIGANTE

(si leva, col pennello fra le mani:)

Ci dissangui, per la Madonna!

CIMAROSA

(con un gesto delle mani lo invita alla calma)

DE MURO

(intervenendo, — ai due:)

Ve voglio bene; nun perdimmo tiempo…

(a Cimarosa)

Ciente lire me servono. Pigliate tutto chello ca vuò.

AITANIELLO PALUMBO

(a Gigante:)

E ghiammo bello, a j’ ’e rine nun m’ê ssento cchiù!

GIGANTE

(nervoso, ritornando al lavoro, sbuffa, e grida a Palumbo:)

Ah, e quanto si lóteno! [p. 257 càgna]

CIMAROSA

(a de Muro:)

Avimmo ditto: ’a meza figura…

DE MURO

(incrociando le braccia:)

Mbè?

CIMAROSA

… ’O paesaggio…

DE MURO

Mbè?

CIMAROSA

E ’sti quadrille ca so’ belle, sissignore, pecchè tu brutto nun saie pittà,… ma sempe tre quadrille sò…

DE MURO

(scattando:)

Ma tu che me cunte?

(indicando uno dei quadretti)

Chisto surt…

(non finisce la parola, si gratta in testa, nervosissimo, – poi glielo scaraventa contro…)

Teh, pigliatillo!

CIMAROSA

(calmo, raccogliendo il quadretto:)

Quanto si bello!… Teh!…

(gli spicca un bacio sulla punta delle dita)

[p. 258 càgna]

DE MURO

(rimane ritto, dinanzi al cavalletto, le mani in tasca, e la pipetta, spenta, fra le labbra)

Arravogliate tutte cose e portatelle.

CIMAROSA

(accostandoglisi, e mettendo mano al portafogli:)

Primma ll’uoglio p’’a lampa…

DE MURO

(amaro)

Ca j’ manco ’a lampa allummo cchiù!…

CIMAROSA

E pecchè, figlio bello?! Finchè nc’è salute…

DE MURO

Iammo, conta; fa ampresso.

CIMAROSA

E sò cinquanta, e diece, fanno sissanta, – e cinche, e sò sissantacinche, – e vinticinche: e ssò nuvanta…

(cavando dal panciotto un pò di argento)

E una, e doie, e tre, e quatto, e cinche… E quante sò?

DE MURO

(nervosissimo:)

Nuvantacinche. [p. 259 càgna]

CIMAROSA

(cavando dalla tasca del calzone un rotoletto di monete di bronzo…)

E t’ ’ê â cuntentà, figlio bello, ca l’ê rummaso senza ’na lira a Cimarosa…

GIGANTE

(sempre dipingendo:)

Accussì t’aggia vedè!

CIMAROSA

(ride amaro, e comincia ad avvolgere i quadri in un gran foglio)

AITANIELLO PALUMBO

(zufola il motivo di un'arietta antica)

GIGANTE

(a Palumbo:)

Ohoo!…

(come a dire: smettila!)

PALUMBO

Aggiatece pacienzia… quanno penzo a chilli barbaro trarimento, nun me fido ’e stà ’nchiummato a unu pizzo…

GIGANTE

Dico: te pare chisto ’o mumento ’e penzà a’ nnammurata toia ca t’ha lassato?… [p. 260 càgna]

PALUMBO

E pe’ chi pò? P’’o sacristano ’e Sant’Eligio!… Ah, ca mannaggia…

(si morde una mano, e si rimette in posa)

CIMAROSA

(insinuante, a de Muro:)

E ccà nun ce vene Vicenzella?

DE MURO

(aspro)

No.

CIMAROSA

Figlia bella, fa de bene a tutte quante! Se strascina ’o francese p’’e tutt’’e studie.

DE MURO

Ah?…

(ride nervosamente)

CIMAROSA

L’avarrà fatto fà ’na cinquantina ’e ritratte da Aprile ’nfì a mo, e Mossiù Gérome — chillo accussì se chiamma ’o francese, Mossiù Gerome — posa d’’a matina a’ sera, pe’ fà cuntenta a Vicenzella che vò fa’ abbuscá denare a tutte ll’artiste… È addiventato ’e marmolo, ’o povero crestiano!

(ride a lungo con la sua risata di femmina)

[p. 261 càgna]

No cchiù tarde d’aiere ’a truvaie dinto studio ’e de Cesare…

(fissando una tela sulla quale è riprodotta la madre di de Muro…)

Madonna! Una faccia tu e mammeta. E pure ’a voce nce sumiglia. Cierti vote tale e quale.

DE MURO

(senza badargli:)

Aiere ’a truvaste?

CIMAROSA

T’aggio ditto: aiere. E chi ’a cunusceva cchiù? Mo marcia alla moda — a ’o dernier crie. Vestite ’e Parige… brillante a ’e recchie, a ’e mane, e parla pure frastiero…

(senza levar gli occhi dal ritratto della madre di de Muro:)

Vuò fà n’affare?

DE MURO

(subito ed aspro)

No, chillo nun ’o venno.

CIMAROSA

(continuando, senza scomporsi)

Brillante a tutte pizze… cu nu cappiello ca pare nu ciardino: tutte rose…

(una piccola pausa)

’Ê fatto proprio buono ca l’ê lassata… Chell’era nata pe’ ffà ’a… [p. 262 càgna]

DE MURO

afferrandolo per un braccio:)

Zitto-.. zitto. Basta — Nun voglio sentere cchiù niente…

CIMAROSA

Ahaaa!…

(toccandosi il braccio indolenzito)

E che brutti maniere ca tiene, figliu mio!… Uno te dice ’na cosa pe’ bene…

DE MURO

(turbatissimo, senza violenza, stavolta:)

Zitto… Zitto… Vattenne… Basta…

DONNA ’NDRIANA

(un pò aspra, a de Muro:)

’On Peppeniè, aggiatece pacienzia, ca j’ tengo che ffà…

DE MURO

(volgendosi, irritato:)

Nu mumento…

(raddolcendo subito la voce:)

Un momento, e sono a voi.

(trae a sè Cimarosa, che ha finito di avvolgere i dipinti, e, mettendogli una mano sulla spalla, con una certa dolcezza gli dice:)

… Siente… te vulevo dicere ’na cosa…

CIMAROSA

Dì, figlio bello. [p. 263 càgna]

DE MURO

(pensa un istante, poi lo allontana con una certa violenza, come se scacciasse una idea che lo turba)

No… niente, — vattenne… Nun te vulevo dicere niente…

CIMAROSA

(ridendo, a modo suo:)

Che tipo, Madonna, che tipo!

(prende l'involto, ed esce, salutando)

Signori a tutti!

— Nessuno risponde al saluto —

(Appena Cimarosa è andato via, Gigante si leva, va verso l'uscio, e sputa più volte dietro il vecchietto lercio.)

GIGANTE

Phu! Phu! Phu!

(e torna al lavoro)

DE MURO

(chiama Donna ’Ndriana:)

… Donna ’Ndrià…

DONNA 'NDRIANA

(si leva, e va presso de Muro)

DE MURO

Sò rimaste novanta. Non è così? Ecco servita.

(le dà le novanta lire)

[p. 264 càgna]

DONNA 'NDRIANA

(riconta il danaro, che conserva in un grosso fazzoletto di colore, — assicurandolo con due nodi)

DE MURO

Sta bene?

DONNA ’NDRIANA

(fa cenno di sì, e si allontana, augurando la:)

Bona jurnata.

DE MURO

(secco)

Grazie.

E la femmina dalle anche enormi, esce pel fondo, dopo che s’è terso il sudore della fronte col dorso della mano. Sull’uscio s’imbatte in „Serrafino Spasiano“, che nel venire in fretta le dà un terribile spintone.

DONNA ’NDRIANA

(con un grido:)

Santa Lucia!…

(e si allontana, borbottando contumelie.)

[p. 265 càgna]
SCENA II.

Ecco Serrafino Spasiano; — un omaccione dalla voce roca e dalla faccia bianca di farina. È scamiciato. Ha borbottato anch’egli qualche improperia all’indirizzo della femmina, ma, poi, volge la sua attenzione e la sua ira contro il suo garzone. Si arresta sull’uscio. Ha gli occhi iniettati di sangue.

SPASIANO

(a Palumbo:)

E si' galantuomo tu?

(minaccioso, con voce di collera:)

E tiene murale e cuntegno?… Tu si ’a schifezza ’e ll’uommene!

(fa per avventarglisi contro. Aitaniello Palumbo ripara dietro il cavalletto. De Muro e Gigante trattengono lo sdegno di Spasiano.)

DE MURO

E quando maie?

GIGANTE

E comme te vene?

SPASIANO

(con collera rattenuta, a Gigante:)

Ca puzzate essere beneditto! Vuie pure me dicisteve a me ch’eva roba ’e manco mez’ora. — e cu mo sò [p. 266 càgna]tre ghiuorne ca ’sto scanzafatica fa ’o Pulicenella ccà dinto…

(levando la voce, a Palumbo:)

Iammo, spogliate!

(riabbassando il tono:)

Ca pe’ ghi a chiammà ’a vammana, pè bia ca muglierema se turceva comm’ ’a ’na serpa ’ncopp’ ’o lietto, aggio lassato ’o furno solo!…

(alterandosi man mano:)

E si me facevano ’n’angaria? Si m’arrubbavano?… Si me facevano nu sfregio?… A me?!…

(si morde le mani)

DE MURO

(invitandolo alla calma, con un gesto delle mani)

Piano… piano…

SPASIANO

(alzando ancora il tono:)

Io addiventavo lo zambello del quartiere, — j’ me n’eva j’ ’a ’ncopp’’a ’Nfrascata… I’ m’eva annasconnere sotto terra…

GIGANTE

Nun esaggerà…

SPASIANO

’A corpa ’e chi è? E d’’a mia, pe’ bia che al monto non si può ausare maie una agevolezza…

[p. 267 càgna]

DE MURO

Sissignore, ma quello…

SPASIANO
(interrompendolo)

Se io m’avrebbo rifiutato al fatto del Purcinella…

GIGANTE
(scusandosi:)

Ma, vedete, quello poi…

SPASIANO

vi avrebbe afflitto il castigo che meritate…

GIGANTE
(con un urlo improvviso:)

Ohoooo! Tu pe’ chi iesce? Pigliate a Pulicenella, a Culumbrina, a ’o guappo, a ’o tartaglio, a San Carlino cu tutt’’o llario ’o Castiello, e aiza ’ncuollo e vattenne!

(dandogli uno spintone)

SPASIANO

Ohoo!… e nun buttà!

GIGANTE

E si no che me faie?

DE MURO
(interponendosi:)

Ma che site asciute pazze? [p. 268 càgna]

SPASIANO

(mordendosi le mani:)

Quel Pataterno che mi fa vedere!

(assume un alteggiamento di un indescrivibile pittoresco)

GIGANTE

(gli grida:)

Ferma! Nun te movere. Che bella mossa! Per la Madonna, chist’ommo pare nu quadro antico! E chi ci aveva badato?!…

SPASIANO

(vinto dall'affanno, traballando, — con un fil di voce:)

’Na seggia…

PALUMBO
(gridando, di dietro il cavalletto, senza muoversi:)

’Na seggia… ’Na seggia… ’Na seggia…

DE MURO
(porgendo la sedia a Gigante grida:)

Arape ’a fenesta.

SPASIANO
(fa dei segni, come a dire: mi manca l’aria!)

PALUMBO

(senza muoversi dal suo posto)

Acqua… acqua… acqua… [p. 269 càgna]

GIGANTE

(a Palumbo:)

E tu pecchè nun te muove?

PALUMBO

E si chillo me vatte?

DE MURO
(spruzza dell'acqua sul viso a Spasiano)

SPASIANO
(respirando forte, e riavendosi:)

Ah!… I’ sò malato, e nun me pozzo piglià collera…

DE MURO

Beh, fortunatamente è passato!

SPASIANO

Chillo ’o speziale me l’ha ditto: “Sott’ ’a ’na mossa ’e chesta nce può pure rummanè…„

(a Palumbo, con calma:)

Viestete e ghiammuncenne…

GIGANTE
(rivolgendosi a Spasiano:)

Te truvasse nu miezo tuscano?

SPASIANO
(fruga nelle tasche, ed offre mezzo sigaro a Gigante)

Fronna lasca… [p. 270 càgna]

GIGANTE
(decantando il sigaro:)

Una meraviglia!

PALUMBO

(che ha smesso il camice di Pulcinella, per vestire i suoi abiti, — con un lieve accento di paura nella voce, rivolgendosi a Spasiano:)

All’ordine!

SPASIANO
(scrollando la testa:)

Dio t’ ’o perdona!… M’ê levato duie anne ’e salute ’a cuollo!…

(a Gigante e de Muro:)

Basta, chello ch’è stato è stato!…

GIGANTE E DE MURO
(gli stringono con effusione la mano)

PALUMBO
(offrendo il braccio a Spasiano, con comicità:)

Appuiateve, Princepà…

SPASIANO
(scoppiando a ridere, e dandogli un colpetto sulla guancia:)

’Stu lazzaro!

DE MURO E GIGANTE

Bene! Bravo! [p. 271 càgna]

(battendo le mani)

La pace è fatta!

PALUMBO
(spentolando la coppola:)

Ebbiva sempre il principale mio Serrafino Spasiano!

GIGANTE E DE MURO
(gridano:)

Evviva!

(e scoppiano a ridere clamorosamente, mentre Palumbo trascina via Spasiano, gridando ancora: Evviva! ed agitando il berretto.)

Ora i due pittori ridiventano serii, anzi pensosi, e par che questo pò di gaiezza non serva che a preparare una più profonda malinconia.


SCENA III.

DE MURO E GIGANTE


DE MURO

(spalanca la finestra, dietro la quale trionfa un piccolo albero di limone, le cui foglie, ora, sono agitate da un venterello fresco e leggero; — poi va a sedere sullo sgabello, in fondo,— i gomiti poggiati sulle ginocchia, e la testa fra le mani. Un’ ondata di sole illumina l’ambiente. S’ode il cinguettio degli uccelli.)

GIGANTE
(s’affaccia al finestrone, e risponde al cinguettio con uno:)

Zi zi - Zi zi - Zi zi… [p. 272 càgna]

(poi viene avanti, e, accennando a questa festa di luce, con una cerla esaltazione, esclama:)

E pure, come sarebbe bella la vita se l’umanità non fosse cosí fetente!

(accennando alla campagna sotto il sole:)

Com’è bella!…

DE MURO

(preso anche lui da lanta bellezza, levandosi, e fissando lo sguardo sulla campagna:)

E che buò pittà, si chillo ’o Pateterno ha pittato accussì bello?!…

GIGANTE

(gli posa una mano sulla spalla)

DE MURO

(con voce cupa:)

Già, io nun pitto cchiù, e solo di questo sono felice… Nun nguacchio cchiù tele… nun dico cchiù buscie… non inganno la gente…

(con una risata nervosa:)

Io sto per diventare un galantuomo, mio caro Gigante!

GIGANTE

Tu staie p’ascì pazzo, caro pittore! [p. 273 càgna]

SCENA IV.


ANNA DE MURO. la piccola LUCIA, PEPPINO DE MURO
MICHELE GIGANTE

Su l’uscio appare Anna de Muro, la cieca, guidata da Lucia, la piccina dolce e pallida, che ha due grandi occhi neri e lucenti.

Anna de Muro non è la cieca accademica dalla voce lamentosa e dal gesto tragico: tutt’altro. È una creatura nobile e bizzarra, tutta materiata di umanità. Nella voce nel gesto, nel calore della parola somiglia profondamente a suo figlio: a Peppino de Muro.

La sua cecità non è incombente: è, quasi un elemento essenziale alla sua bizzarra originalità. Preferisce il riso al pianto. È una ipersensibile.

ANNA

(dal fondo, arrestandosi sulla soglia, — al figliuolo:)

Staie tu e Michele Gigante.

GIGANTE
(ridendo)

Che zengara!…

DE MURO

…Tre ore, mammà, — tre ore,… Addò site stata?

ANNA

’O Re m’ha chiammata a Palazzo… [p. 274 càgna]

(alla piccina che reca tra le mani alcuni fiori campestri:)

’Nant’ ‘a lampa d’’a Madonna.

(la piccina pone i fiori dinanzi alla piccola lampada della Madonna)

DE MURO
(grattandosi in testa)

’N’atu pigno?

ANNA
(comicamente)

Oh!… Nun sia maie!…

DE MURO

E che avite ‘mpignato?…

ANNA

…Tabacchere ’e lignammo…

(scoppia a ridere)

Un silenzio

DE MURO

E allora?

ANNA

Sò scesa nfì a’ Maculatella.

DE MURO

A pede? [p. 275 càgna]

ANNA

A Pede. Sò trent’anne ca nun sentevo ’o sisco d’ ’a sirena… M’ò sò sunnato stanotte… Uhúúúúú!…

(rifa il fischio lugubre della sirena)

E stammatina l’aggio voluto sentere… S‘io fosse stato pittore, sempe ’o mare avesse pittato: varche, vele, rezze, rimme, e mare… mare… mare…

(fa il quadro col gesto: largo, espressivo, immenso. D’un tratto, cambia tono, e, comicamente soggiunge:)

Nun fa niente che a mare nun nce stanno taverne!…

(e soffoca il sentimento nel riso)

GIGANTE

(ridendo:)

’A vi’ mamma d’’o figlio…! ’E mmosse… ’a faccia… ’a voce… Che cosa magnifica!

DE MURO

Mammà, ve vulissive fà capitano ’e mare comm’ ’a papà?

ANNA

(ride e fa cenno di “si„ con la testa)

LUCIA

Parteva nu legno pe ll’America… Tutte quante salutavano c’ò fazzuletto… ’A gnora pur’essa ha cacciato ’o fazzuletto, e s’è misa a ffà accussì… accussì…

(sventola a lungo il suo fazzolettino)

[p. 276 càgna]

DE MURO
(a Gigante:)

Tu vi’ che scumbinatorio!

ANNA
(tentenna la testa, e sorride)

LUCIA

A me m’ ’é scappato a chiagnere. Ma a’ gnora, niente… S’è fatta ianca ianca, ma nun chiagneva…

ANNA
(a Gigante:)

I’ so’ comm’ ’a tte, don Michè: i’ nun chiagno maie.

GIGANTE
(subito, con fierezza:)

Mai!… Sittant’anne,… e nun saccio ched’è ’na lacrema. È il mio solo orgoglio!

DE MURO

Basta, mammà: ogge che nce passa ’o guverno?

ANNA

Fanzi in brodo, manzo glassato, maionese di pesce, frutti, dolce e cafè…

DE MURO
(subito, interrompendola:)

Cheste sò doi lire: mannate accattà quaccosa pe’ mangià…

[p. 277 càgna]

ANNA
(alla piccina, dandole i soldi:)

Nu zumpo addù ’o putecaro: nu chilo’e perciatiello, nu quarto ’e nzogna; e turnanno, fatte dà tre solde ’e pummarulelle fresche da Angiulina ’a parulana… Va, bella d’’a zia…

(a Gigante)

’On Michè, tu nce tiene cumpagnia?

GIGANTE
(ride in segno di assentimento)

ANNA
(alla piccina:)

E allora piglia add’’o canteniere miezo litro ’asprinio

(ridendo)

chillo ca piace a Michele.

DE MURO
(a Lucia che sta per uscire:)

Aspè… ’nce stesse quaccosa dint’’a credenza?...

ANNA
(alla piccina:)

’Nc’ evena stà duie fagiuline d’aieressera… va nce scarfe... E vide ca dint’’o teraturo ’e sotto, arravugliata dint’’a nu salvietto, nce haddà stà tantillo ’e provola…

(La piccina sale la scaletta che mena su)

[p. 278 càgna]

DE MURO
(a Gigante)

Michè, si vene ’o curniciaro, damme ’na voce…

(e, lentamente, stirando le braccia, si avvia verso la scaletta. Poi si volge d’un tratto:)

A proposito, mammà: chella sveglia ca steva ’ncopp’ ’a culunnetta che se n’è fatta?

ANNA
(con una cerla titubanza:)

Ah, chella sveglia ca steva ’ncopp’ ’a culunnetta? — E chella j’ ’nce ’‘aggio rialata a Peppeniello, ’o figlio ’e Mammela… Povero criaturo, eva j’ a’ scola a’ matina, e nun sapeva maie c’ora eva!…

DE MURO

Statevi bene. È fernuta pure ’a sveglia!

ANNA

Uh, Giesù, e chillo nun tene ’o nomme tuio?… Peppeniello si chiamma…

DE MURO
(fa un gesto con le mani, come a significare: che squilibrio mentale!… e sale la piccola scala, che mena su.)

Un lungo silenzio.

[p. 279 càgna]

SCENA V.

ANNA DE MURO E MICHELE GIGANTE

ANNA
(a Gigante:)

Manc’ogge Zufia è venuta?

Silenzio.

ANNA

Tene ’na bella vucella quanno canta…

GIGANTE

Sì, povera figlia… ma nun c’è nata pe’ ffà ’a mudella.

ANNA

… È cuorpo ’e verità, e nun nce campa buono miezo all’artiste…

GIGANTE

Sarrà pecchesto…

ANNA

E pò nun tene ’n’onza ’e salute… se vede quanno parla…

GIGANTE

Pallida pallida… doie labbra cchiù ghianche ’e stu fazzuletto…

(Un silenzio)

[p. 280 càgna]

ANNA

Peppeniello nun sta pittanno?..

GIGANTE
(non risponde)

ANNA

Manc’ogge ’â pittato?.

GIGANTE
(mentendo:)

St… ogge si… ’â cuminciato nu…

ANNA
(si leva lentamente, va presso il cavalletto,— passa la mano sulla tela:)

’On Michè, chiste sò ’e quatre cchiù belle: chille ca nun se pittano maie…

(e ride con malinconia poi si allontana, e passa la mano su di un’altra tela:)

Ccà sta ancora Vicenzella… Chist’’è ’o ritratto cu ’e violette ’npietto… Nun è overo ca l’ha vennuto?…

GIGANTE

Si… no…, ma…

ANNA

È bello assaie? [p. 281 càgna]

GIGANTE

(con slancio:)

Assaie!

ANNA

Comme pusava chella sbruvugnata!

GIGANTE

Pure vuie ve chiagnite a Vicenzella?

ANNA

Vincenzella era ’na canaria: cantava semp’essa. Chiagneva e cantava… Ma che saccio, quanno nce steva essa ccà, era n’ata cosa… Embè, me cride?… ’A vulesse vedè sempe, e nun ’a vulesse vedè cchiù!

GIGANTE

E tutto l’odio?…

ANNA
(senza rispondergli)

Teneva cierti maniere, a’ ’e vote, chella pazza!…

GIGANTE

E tutto il disprezzo?…

ANNA

Teneva cierti asciute accussì geniale…

GIGANTE
(contrariato:)

Pure vuie site nammurata ’e Vicenzella? [p. 282 càgna]

ANNA

Ohooo!… Chell’eva ’na lazzara, e nun vuleva bene a nisciuno!… Ma se n’è ghiuta, e buon viagoio… E ccà nun nce mettesse cchiù ’o pede!…

GIGANTE
(scrolla la testa, e sorride)


SCENA VI.

ANNA DE MURO, GIGANTE, NICOLA MANCINI, poi la piccola LUCIA, poi DE MURO, ed in ultimo ANTINORI

NICOLA MANCINI

(entra ansante, sudato, tutto rosso in volto, gli occhi fuori dell’orbita. Reca fra le mani un piccolo dipinto. Nel mettere il piede sulla soglia, leva in alto il piccolo quadro, e lo agita e grida:)

”Grazioso!„ — “grazioso!„ — “grazioso!„.

(ride a lungo, nervosamente)

“Grazioso„?

(volge l’occhio d’intorno)

De Muro addò sta?

(e senza dar tempo che gli si risponda, continua esasperato, urlando:)

Brutto, stupido, scemo, orribile: grazioso no! I’ nun pitto “grazioso„ — Io pitto o bello o brutto…

(una piccola pausa. Si terge il sudore con l’enorme fazzoletto a colori)

[p. 283 càgna]

’A gente me guardano ancora…

(agitando ancora il quadretto)

L’aggio schiuvato ’a faccia a ’o muro, e m’ ’o so’ purtato cu me.

(gridando:)

Cu me… cu me… L’arte? Pheu, che schifo!

La piccola Lucia traversa la scena, ed esce per il fondo.

ANNA
(con un piccolo gesto della mano:)

Ah, Nicola Mancini, pure vuie!

MANCINI
(con il pianto nella voce:)

E j’ pure sò ’e carne!

GIGANTE
(osservando il quadretto)

Nun è ’o vico ’e Panettiere?

MANCINI

Vico Panettieri, di notte.

(Ora, ogni suo gesto è una pennellata)

Chist’è ll’arco, — ccà miezo ’o fanale a gas, miccio e fetente… Sott’ ’a ll’arco ’a femmena, che, nell’ombra, si vede e non si vede…

— de Muro, un pò triste, scende la scaletta, e vien giù, [p. 284 càgna]nello studio. Guarda, comprende, e rimane ad ascolta poggiato al cavalletto.

MANCINI

E in fondo ’o vico stritto, niro, cupo…

(intanto il suo sguardo si ferma sul “Pulcinella„ di Gigante. Osserva il dipinto un istante, poi chiede Gigante:)

… È ’o tuio, chisto? Quanto è bello!

(e continua, esaltato, a descrivere il suo quadro)

’A femmena cu ’na mana s’astregne ’o nureco d’ ’o fazzuletto russo ca porta ’nganna, e cu ll’ata fa ’a musica cu ’e sorde dint’ ’a sacca d’ ’o mantesino… e aspetta… “Grazioso!„

(gridando:)

No… no… no… É bello!… È bello!… È bello!…

(si accorge, ora, della presenza di de Muro, e gli domanda, con voce pietosa e infantile:)

Comm’è?…

DE MURO
(mettendogli dolcemente la mano sulla spalla:)

È comme a tutto chello ca faie tu… C’è la mano del Maestro…

MANCINI
(a Gigante:)

Guarda ’sti verde vicino a stu niro…

[p. 285 càgna]

GIGANTE
(segnando con la mano:)

E tutto stu piezzo ccà, è una meraviglia…

MANCINI

E nun hanno capito niente… ni-en-te…!

(getta il quadro su di una sedia)

Già, l’imbecille sono io, pecchè a Napoli ’sta robba nun s’haddà fà… Questo è l’ultimo paese del mondo!

GIGANTE
(con un grido, ridendo:)

Ahaaa !... Tu te facive accidere pe’ Napule… se’ mise fa, ’ncopp’’a Pigna…

MANCINI
(scattando:)

E tu che vuò? — Ca i’ penzo ogge chello ca penzavo aiere? — Ma capisci che sei mesi sono un secolo nella vita di un artista?! — In un’ora, in un minuto uno se ’mpara, uno capisce chello ca nun aveva capito dint’’a sittantaquattro anne — E poi: ho cambiato idea... Aggia dà cunto a te?

GIGANTE
(ridendo)

No. [p. 286 càgna]

MANCINI
(scoppiando a ridere, con la sua risata buona, interminabile, clamorosa:)

E allora andiamo d’accordo.

Intanto è entrato Antinori, lento, piano, tranquillo. Zufola а репа: “sono andati, fingevo di dormire„ non saluta nessuno, e va a sedere sullo scanno in fondo. Tutti gli sguardi si rivolgono verso di lui.

DE MURO

(con un cenno della mano gli domanda: che cosa è accaduto?)

ANTINORI
(accendendo la pipetta, – calmo)

La polizia mi perseguita… Tre perquisizioni, in cinque giorni, a casa mia… Stanotte parto.

(declamando, un pò triste, stavolta:)

Ci rivedrem
nella stagion dei fiori…

Un silenzio.
(Tutti si abbuiano in volto)

MANCINI
(per nascondere la sua commozione si fa vento con un enorme ventaglio, che era attaccato alla parete:)

’O mmena ogge, sa!… [p. 287 càgna]

GIGANTE

Nun se respira…

ANNA
(anch’ella commossa, si leva, e, accennando alla ceste, dice:)

Madonna, si nun me levo ’sta cosa ’a cuollo, j’ moro!

— E, pallida e lenta, si allontana, salendo, con rumore cadenzato, le poche scale che menano su —

Un lungo silenzio.

Gigante, Antinori, Mancini, siedono, ora, chi in un angolo, chi presso la finestra, chi accanto all’uscio, — i gomiti sulle ginocchia, la testa tra le mani. Solo de Muro se ne sta, in piedi, presso il cavalletto, le braccia incrociate l’occhio vagante.

Stanca, malinconica, a stesa, vien di lontano:

LA VOCE DEL VENDITORE DI FICHI

Scetate, nenna mia, ca é ghiuorno chiaro,
Zi’ Munacella è scesa a matutino, —
i’ faccio ammore, — sò quinnece mise, —
nun aggio avuto ca quinnece vase!

I pittori si sorprendono in atteggiamento pensoso. Si guardano in faccia l’uno con l’altro, e scoppiano a ridere.

È una interminabile risata, che ognuno può interpetrare a suo modo.

A noi non pare una espressione suprema felicità. [p. 288 càgna]

SCENA VII.

DE MURO, GIGANTE, MANCINI, ANTINORI, VINCENZELLA, MONSIEUR GEROME, e poi la piccola LUCIA

Si batte all'uscio.

Di dentro una voce sommessa, dolce, umile.

LA VOCE DI VICENZELLA

Si può?

DE MURO
(alla voce, sussulta)
Gli artisti si guardano l'un l'altro, sorpresi. Si picchia ancora.

DE MURO
(a Gigante, con la voce rotta:)

Nun arapì!…

(e cade a sedere, chè non si regge sulle gambe)

Gli aristi fan gruppo, in fondo, e mormorano qualcosa fra di loro. Le voci son concitate.

È, ora, una tempesta di colpi alla porta, accompagnata da una interminabile sfilata di:

Si può? Si può? Si può? Si può?

DE MURO
(balza in piedi, fuor di sè, e, rivolgendosi agli artisti, che stanno, nel fondo, grida:)

Nun arapite!

Il canario si agita nella gabbia, batte le ali, e canta. Tutti gli sguardi son rivolti verso la piccola gabbia. [p. 289 càgna]

DE MURO

(Leva gli occhi verso la gabbia; poi si passa le mani ne’ capelli. È pallidissimo. D’un tratto grida a Gigante, con voce velata:)

Arape.

Gigante apre l’uscio.

Sulla porta appare Vicenzella che reca un enorme fascio di rose fra le mani. Indossa un elegante tailleur, e porta un gran cappello di paglia bianca con rose pallide. Evidentemente, in questi abiti, si trova alquanto a disagio. Agita nervosamente l’ombrellino ed una borsella di oro. La segue Monsieur Gerome Lantier, un bel biondo dagli occhi glauchi e dalla chioma impomatata. Monsieur Gerome veste con eleganza parigina.

Il canario, all’apparire di Vicenzella, ricomincia a cantare, e batte le ali in segno di festa.

VICENZELLA
(manda un piccolo grido, che vorrebbe significare uno scherzoso “finalmente!„ ma traballa, per la emozione, e Monsieur Gerome la sorregge)

VICENZELLA
(riavendosi subito, e mostrandosi gaia:)

Bonjour! Bonjour! Bonjour!

(e fa dei profondi inchini, accompagnati da larghi gesti delle mani)

Gli artisti rispondono freddamente con qualche piccolo:

— Oh!

— Gue?!

— Uh, Vicenzella! [p. 290 càgna]

VICENZELLA

(ridendo a forza:)

Sine… sine… Vicenzella!… Nun me vuliveve arapì?

GIGANTE
(forte, dispettoso:)

No.

MANCINI

(súbito, con tono buono:)

Siiiiiii…

ANTINORI

(che non sa che cosa dire:)

Tu non hai bussato…

VICENZELLA
(ridendo, ma guardando, fin dal primo momento di sott’occhi de Muro)

Uh, Giesù. non ho “bussato?„ Chella, n’atu poco, se ne cadeva ’a porta…

(È un momento di incertezza, e questo chiaramente appare dall’atteggiamento delle persone. De Muro, col dorso contro il cavalletto, le braccia lungo il corpo, è cadaverico).

MANCINI
(a Monsieur Gerome, che è ancora sul limitare dell’uscio)

Favorisca. [p. 291 càgna]

VICENZELLA
(a Gerome)

Entre… Entre… (gridando, con le mani ad imbuto:) Trase…

MONSIEUR GEROME
(entra, sorride, e si inchina)

VICENZELLA
(a Gerome)

Tu voulais connâitre le peintre de Muro? Le voilá. Voilá son atélier et ses amis.

(procedendo alla presentazione:)

Le peintre Mancini.

GEROME
(con un inchino:)

Enchanté.

MANCINI

Tanto piacere.

VICENZELLA

Le peintre Antinori.

ANTINORI

Enchanté.

VICENZELLA

Le peintre Gigante.

GEROME
(fa per tendergli la mano)

[p. 292 càgna]

GIGANTE

(volgendogli le spalle)

Io nun ’o capisco a chisto…

GEROME

(sorride)

VICENZELLA

(a Gerome, giustificando Gigante:)

Ç’est un bonhomme, un peu loufoque, mais plein de coeur.

GEROME

(sorride ancora, ed esclama)

Ç’est étonnant!

GIGANTE

Eh, ride ’nfaccia a stu… Pulecenella…

(accenna al quadro)

MANCINI

(riprendendolo:)

Michè!

VICENZELLA

(che ormai va rianimandosi, si accosta lentamente a de Muro, e gli susurra, con voce ardente di passione)

Cinche mise! Cinche mise!… Murevo si nun te vedevo!…

[p. 293 càgna]

DE MURO

(già preso dal fascino di Vicenzella.)

Canaglia!

VICENZELLA

(con voce ancora più ardente:)

Vita mia!…

(presentando de Muro a Gerome)

Monsieur Gerome, che sta da sei mesi, ccà, pe’ scrivere… che ssaccio che m’ha ditto… Ah!… un libro su Napoli…

GIGANTE

(amaro, quasi fra sè)

Nun ce vò niente cchiù!…

VICENZELLA

Il a voulu avoir l'honneur de connaitre le peintre Giuseppe de Muro, un jeune artiste qui est deja très bien placé!

GEROME
(a De Muro)

Je connaissais deja vôtre nom, monsieur. Je suis un de vos plus sinceres admirateurs.

DE MURO
(nervoso, con accento napoletano)

Merci… merci… merci… [p. 294 càgna]

GEROME

La graçe et l’originalité de vôtre art…

DE MURO

(interrompendolo:)

Vi hanno ingannato. I’ nun sò niente… nun sò nisciuno. Sono un imbecille qualunque ca ’na vota pittava, accussì, pe’ fà ’na cosa… ma mo, grazie a Dio, chesto faccio cchiù… Vivo da benestante, in questo divino paese, nel quale la maldicenza.

(accenna ai suoi compagni)

l’ozio,

(accenna a sè)

e la infedeltà

(accenna a Vicenzella)

alimentano la più adorabile delle miserie.

(Con la mano indica le pareti di casa sua. Ha detto queste parole con voce concitatissima.)

GEROME

(che evidentemente non ha compreso, sorride, e ringrazia, esclamando:)

Merci, cher Maitre, je suis enchanté de vôtre obligeance.

(e va un pò in giro, per lo studio, osservando un pò tutto, con un’aria di grande curiosità, fermandosi a lungo dinanzi a le cose caratteristiche che più lo impressionano. Di tratto in tratto esclama: C’est étonnant!)

Un silenzio.

[p. 295 càgna]L’ambiente va raffreddandosi. Tutti sono un pò impacciati. De Muro volge le spalle a Vicenzella, fingendo di accudire a qualche cosa.

VICENZELLA

(con affettata gaiezza, chè non riesce a nascondere la sua profonda emozione, corre or dall’uno or dall’altro: vuol cattivarsi gli amici, per ritrovare, poi, il cuore di de Muro. Getta le braccia al collo di Antinori, e canticchia, con un fil di voce:)

 Oh, buon Marcello, aiuto,
 aiutatemi voi!

ANTINORI

(che non riesce a trattenere un:)

Cos’è accaduto?

(sorride a mala pena, si carezza la barbetta, e va verso la finestra, in fondo)

VICENZELLA

(rivolgendosi a Gigante:)

Tu ’o ssaccio — va bene: tu nun me può vedè, — e pure io aggio penzato a te: t’aggio purtate duje sigare furastiere.

(fa per cavarli dalla borsetta)

GIGANTE

(aspro, volgendole le spalle:)

Grazie, nun fumo.

[p. 296 càgna]

VICENZELLA
(un pò turbata, accostandosi, come una pecorella smarrita a Mancini — con una lacrima nella voce:)

Vuie pure contro a me?

MANCINI
(con il suo sorriso dolce:)

Io no, povera Vicenzella, io te voglio sempe bene…

(le stringe il naso fra le dita, e le dà uno schiaffettino)

Ma che nce si’ venuta a ffà, ccà?

VICENZELLA

(gli occhi smarriti, con accento pietoso, come una bambina:)

Me n’aggia j’?…

GEROME

(un pò nervoso, a Vicenzella:)

Tu pourrais bien dire a monsieur pourquoi nous sommes içi!

VICENZELLA

(scoppiando a ridere)

Ah, già… m’evo scurdata!

(a de Muro)

Monsieur Gerome… sposa….

DE MURO

(piegandosi nelle spalle)

Ah, ne? [p. 297 càgna]

VICENZELLA

(ridendo)

E a me che me ne ’mporta? E vo’ mannà a Parigi, alla “sua bella„ nu ritrattiello… nu piccolo schizzo, fatto “de célèbre peintre” de Muro…

DE MURO

Ma che site asciute pazze tu e isso? I’ facevo ’o ritratto a mossiù… comme si chiamm’isso!…

VICENZELLA

Uh vedite, e che male ce sta?!

DE MURO

Nisciuno male… Io nun pitto… nun saccio pittà… Iatevenne tu e isso…

VICENZELLA

(accostandosi a de Muro, e fissandolo negli occhi, con tutta la febbre, del suo amore:)

E’ ’a fá chello ca vogl’io…

(scuotendolo)

Tu me ’â sentì… T’aggia parlà…

(e si allontana, rapida, e va verso Gerome, al quale dice delle parole nell'orecchio)

DE MURO

(chiama a sè gli amici, con un gesto della mano. I pittori si accostano a lui)

C’aggia fà? [p. 298 càgna]

MANCINI

Quanto si’ scemo!

ANTINORI

E pecchè nce l’ê ’a perdere?

DE MURO
(a Gigante:)

E tu che dice?

GIGANTE
(secco)

No.

DE MURO

(gli dà uno spintone)

GIGANTE

(traballa)

DE MURO

(sorreggendolo in tempo, e abbracciandolo:)

No… no… scusa… te voglio bene!

GIGANTE

(un pò offeso)

I’ arrivo fino addù Pagano, p’’a curnice…

MANCINI

… Mo scennimmo ’nzieme…

(ad Antinori)

Tu che faie? [p. 299 càgna]

ANTINORI
(che ha compreso, sorridendo:)

Vengo… vengo…

VICENZELLA
(nell’orecchio a Mancini:)

Grazie…

MANCINI

(le dà uno schiaffetto)

ANTINORI
(a Monsieur Gerome)

Ben lieto, signore…

GEROME

Enchanté, monsieur.

MANCINI

Au revoir.

GEROME
(sorridendo)

Au revoir, monsieur.

GIGANTE

(esce pel primo, senza salutar nessuno)

Lo seguono Mancini e Antinori, parlando fra di loro, dopo aver salutato con la mano Vicenzella.

VICENZELLA
(ride, e saluta affettuosamente con la mano)

Addio! [p. 300 càgna]

SCENA VIII.

VICENZELLA, MONSIEUR GEROME, e DE MURO

Un silenzio.

Gerome fissa una tela sulla quale è riprodotta Vicenzella; de Muro va e viene per la stanza, fingendo di cercare qualcosa, ma, in realtà, tenta nascondere la sua emozione; Vicenzella fissa ora l’uno, ora l’altro.—

DE MURO
(fermandosi, d'un tratto, dice a Vicenzella, accennando a Monsieur Gerome:)

Fallo assettà…

VICENZELLA
(a Gerome)

Assieds toi, Gerome…

(lo fa sedere in primo piano, poco discosto dalla porta che mena su, alla casa di de Muro)

DE MURO

Fallo chieà ’e braccia… accussì… cu ’a capa na poco ’ncopp’a spalla…

VICENZELLA

(guarda de Muro, e mette in posa Gerome)

Tiens les bras croisées et la tête un petit peu penchèe sur l’epaule

(a de Muro)

Madonna, chisto nun capisce niente! [p. 301 càgna]

DE MURO

(da lontano, ritto dietro il cavalletto:)

E che te penzave: ch’eveno tutte quante comme a me?

VICENZELLA

Vuò scalà ’a tenna?

DE MURO

…No, c’’o sole ’nfaccia ’o voglio fà!

(un’onda di sole va a posarsi sulla testa di Gerome)

DE MURO

(ora si accinge al lavoro. È pallido, sofferente, e vibra tutto)

GEROME

(le braccia incrociate, la testa lievemente reclinata sulla spalla, sembra assorto: poi, lentamente chiude le palpebre, vinto dalla stanchezza e dal sonno.)

VICENZELLA

(gira un pò per la stanza, fruga fra le carte, — legge qualche lettera, le vien tra le mani una cartolina:)

Chi è ’sta Maria Gerani?

DE MURO
(si piega nelle spalle)

VICENZELLA

(lacera la cartolina in cento pezzetti, e continua a frugare; tutto vuol vedere, tutto vuol toccare. Di tratto in [p. 302 càgna] tratto, nel riconoscere qualcosa a lei cara, manda dei piccoli gridi. Ride, ma gli occhi le si velano di lacrime. Si accosta alla gabbietta. Cacci a un dito fra i ferri, e chiama:)

Zerillo! zerillo!

ZERILLO

(risponde festosamente alla voce amica)

VICENZELLA

(è commossa, ma non vuol farsi sorprendere; — va presso la finestra, e contempla l’albero carico di limoni:)… Uh, Dio! è tutto carreco ’e limone!

La voce del venditore di fichi, più malinconica e più lontana, stavolta:

I' faccio ammore — sò quinnece mise —
nun aggio avute — ca quinnece vase…

VICENZELLA

(lentamente va presso la "consolle", — ne prende un libro, lo apre, e legge; a voce bassa, quasi:)

Luntana staie… Natale sta venenno…
che bellu friddo, e che belli ghiurnate…
friddo a ’o paese tuio ne sta facenno?
pe Natale ve site appriparate?

(chiude il libro, lo depone sulla "consolle" e lenta lenta va a sedere presso de Muro dietro il cavalletto)

Un silenzio.

[p. 303 càgna]

VICENZELLA

(accennando a Gerome)

S’è addurmuto!

DE MURO

Pare nu bammeniello ’e cera!

VICENZELLA

È bello, ma nun capisce niente…

DE MURO

(amaro)

Te piace?

VICENZELLA

(cava di tasca alcune monete di oro, le fa sonare nella palma della mano, e, ridendo, esclama:)

Assai!

DE MURO

(con una smorfia:)

Tutte accussì!

VICENZELLA

(manda un sospiro)

DE MURO

Staie tutta sudata…

VICENZELLA

Che calore! [p. 304 càgna]

DE MURO
(accennando al cappello:)

Lete ’stu coso ’a capa…

VICENZELLA

Tu ne m’aimes pas comme ça?

DE MURO

Iammo, nun parlà accussì…

VICENZELLA
(gettando il cappello su di una sedia:)

E comme vuò ca parlo?

DE MURO

Comm’è parlato sempe…

VICENZELLA

Te piacevo tanno?

DE MURO
(ha, ora, gli occhi velati di lacrime)

VICENZELLA
(gli cinge il collo con il braccio)

E mo, nun te piacio cchiù?

DE MURO
(depone il pennello, ed incrocia le braccia)

M’’o vuò fà fa? [p. 305 càgna]

VICENZELLA

No, voglio stà accussì…

(Il canarino batte le ali e canta)

DE MURO

Ca chillo se sceta mossiù…

VICENZELLA

E chillo ’o ssape che a me nun me passa manco p’’a capa… E chesto dice sempe: Je sais bien que tu ne m’aimes pas, mon cheri… Mais que veux tu?… Je ne suis heureuse que quand je te regarde, — quand je te presse sur mon coeur. Dice: io ’o ssaccio ca tu nun me vuò bene, ma tutta la mia gioia — ma joje — è chella ’e te sta vicino…

DE MURO
(interrompendola, — nervoso)

Vabbuò, aggio capito… E c’aggia fà?

Un silenzio.

VICENZELLA

Che guardi?

DE MURO

Niente.

VICENZELLA

Te piace stu vestito?

DE MURO

Nzu.

[p. 306 càgna]

VICENZELLA

Eggià: io te piacevo cu ’a vesta nera e cu ’o scialletto russo!

DE MURO

(tentenna la testa come a commiserarla)

VICENZELLA

(ride, e gli da un colpetto sulla mano:)

Oh!

DE MURO

(intenerendosi)

Che quaresema ’e fatto cu me!

VICENZELLA

(ridendo)

Pane e cerase… pane e cerase… pane e cerase… e ccanzone…

(canticchia a pena:)

Era de Maggio e te cadeano ’nzino…

DE MURO

Stsss!…

VICENZELLA

Zufia pure canta?

DE MURO

Sì, tene ’na vucella ’ntunata…

[p. 307 càgna]

VICENZELLA

Quanto sei imbecille! Zufia ha stunato sempe…

DE MURO

E cu mmico ’ntona.

VICENZELLA

Ah, ne? Forse perchè è innamorata di voi. Sei sempre quell’essere volubile e insopportabile d’una volta…

DE MURO
(divenendo nervoso:)

Zì,… zì… basta… Nun me fá parlà!

VICENZELLA

E che ê ’a dicere, stupido… che devi dire?

DE MURO
(contenendosi)

Niente.

VICENZELLA
(montandosi)

Nun fà accussì ca te piglio a schiaffi!

DE MURO

Ma, comme, tiene ancora ’o curaggio ’e parlà?

VICENZELLA

E pecchè m’avarria sta’ zitta?

[p. 308 càgna]

DE MURO

Ma, allora non capisci quello che hai fatto?… Chello ca stai facendo in questo momento?

VICENZELLA

E che sto facenno?

DE MURO

Nun ’o ssaie?

VICENZELLA
(ridendo, nervosa:)

Ah già! M’eva murì ’e famma cu te, tutt’’a vita… Chesto vulive tu?… Ne pas, monsieur.

DE MURO

A me? I’ te n’aggio cacciata ciento vote, e tu ciento vote sí’ turnata.

VICENZELLA

Vedete che farabutto! Menteur! menteur! menteur!

(a voce bassa, sul viso:)

Mo te ’npizzo nu dito dinta ’n’uocchio!

DE MURO

Pecchè? Nun è overo?


VICENZELLA

’Nu juorno — uno juorno — ca j’ nun venevo ccà, me mannave cercanno pe’ tutta Napule… [p. 309 càgna]

DE MURO

Io?

VICENZELLA

Sine, sine… tu, tu, tu,

(con l'indice teso verso de Muro)

Ca si no i’ nun nce avesse miso cchiù ’o pede ccà dinto…

(turandosi il naso, e facendo una smorfietta:)

’Nce puzza ’e miseria!

DE MURO

E pecchè nce si turnata?!… Mannaggia chi t’e vivo, pè nun dicere ’n’ata cosa.

(si leva al colmo della esasperazione)

VICENZELLA

(ridendo, dispettosa:)

Pecchè accussi me piace. Pecchè nce sò voluta turnà.

(facendogli il versaccio:)

Uhuu! quanto si brutto, quanno t’arragge!

DE MURO

Ma, insomma, io penso e dico: uno nemmeno in casa sua può stare quieto?

VICENZELLA

No.

[p. 310 càgna]

DE MURO

E allora è una persecuzione? Tu te si’ miso ’ncapo ca me vuò vedè distrutto?

VICENZELLA
(mutando tono, d’improvviso, con una dolcezza nuova nella voce:)

Io?

DE MURO

Si, tu, tu, tu! Beneditto Dio, uno tanno sta pe’ se scurdà tutto chello ch’è stato… che è passato… e tu piglie e torni per la stupida gioia di sconvolgere l’esistenza di chi nun te penza cchiù, manco pe’ prossimo…

VICENZELLA

Ah, tu nun me pienze cchiù?

DE MURO

No.

VICENZELLA

Insomma, tu faie cunto comme si nun m’avisse maie canusciuta?… Comme se io nun fosse stata maie niente pe’ te? È questo?

DE MURO

Perfettamente.

VICENZELLA

(levandosi convulsa, e indicando una tela:)

E chesta chi è? [p. 311 càgna]

DE MURO

Chi?

VICENZELLA
(con la voce roca)

… Chesta.

DE MURO

É… Zufiella…

VICENZELLA

(scoppia in una grande risata)

DE MURO

Stssss!…

(a voce bassa, convulso anche lui:)

E pecchè ride?

VICENZELLA

Chesta songh’io…

(battendo con la mano sulla tela:)

Ll’uocchie sò ’e mieie… ’a vocca, ’e diente, ’e mmane ’e capille… Tutt’é do mio…

(indicando le altre tele)

E chesta songh’io… E chesta songh’io… E chesta songh’io…

(con voce di lacrime e di rabbia:)

Che faie senza ’e me?

DE MURO

Pitto. Vuò vedè ca pittave tu? [p. 312 càgna]

VICENZELLA

Comme si fosse.

DE MURO

Embè, siente: io non ho mai lavorato così bene come durante questo tempo che sono stato lontano da te.

VICENZELLA

(allontanandolo con la mano, incredula:)

Aaaaha!

DE MURO

Bè… te lo giuro!

VICENZELLA

Che vuò giurà?

(senza guardarlo in faccia, e volgendo l’occhio d’intorno, con ansiosa ricerca. Ed ecco che ora manda un piccolo grido, indicando un altro dipinto:)

E chesta nun songh’io?

DE MURO

Ah?! Chesta ive tu…

VICENZELLA

E già, ’me sò cagnata! Vuò vedè ’ca me levo ’sta cosa ’a cuollo, e sò tale e quale?

(fa per liberarsi delle vesti)

DE MURO

(trattenendola)

Vicenzella ’e Dio! [p. 313 càgna]

VICENZELLA

Chille sò ’e capille mieie,

(indicando il quadro nel quale ella è riprodotta con la chioma in iscompiglio)

no chiste… E guarda…

(si scompiglia i capelli e assume l’atteggiamento nel quale ella fu riprodotta sulla tela, che ora fissa con gli occhi sbarrati, e le braccia inerti. È pallida che fa pena — le labbra le tremano.)

DE MURO

(la guarda con gioia e disperazione. È vinto dalla grazia di Vicenzella. Si morde le mani e le grida:)

Vuò vedè ca rompo tutte cose?

VICENZELLA

(incredula)

Nzu…

DE MURO
(col pugno teso:)

Ah, Pateterno!

(ha un singhiozzo nella voce)

Il canario canta forte. Vicenzella si ricompone. De Muro cade a sedere. Gerome si desta.

GEROME
(destandosi di soprassalto:)

Quì est là? [p. 314 càgna]

VICENZELLA

(accostandoglisi:)

Gerome.

GEROME

Oh, mon petit amour!

(le stringe la mano, e volge lo sguardo d’intorno)

VICENZELLA

Tu dormais?

GEROME

Un peu, je suis fatigué. La chaleur…

VICENZELLA
(ripete, perchè de Muro intenda:)

’A stanchezza… ’o calore…

(carezzandogli i capelli:)

Oh, mon pauvre amour!

GEROME

Tu pouvais bien me reveiller!

DE MURO

No Mossiù: ’o cchiù bello d’ ’a vita è ’o durmi!

VICENZELLA

(a Gerome)

Il dit que rien au mond ne vaut le sommeil. [p. 315 càgna]

GEROME

Mais oui, vôtre belle chanson: Carmela.

DE MURO

Oui, mossiù!

GEROME

A quoi en etez-vous avec vôtre croquis?

DE MURO
(accennando alla tela:)

… a chesto…

GEROME

Pas encore finì?

DE MURO

Nun è manco accuminciato.

GEROME
(guardando la tela, con dolore:)

Oh!

DE MURO
(guarda Vicenzella, che frena a stento la risata, poi le dice:)

Dincello tu: ch’isso ’na cosa tene ca è bella assaie: ll’uocchie. L’ha nzerrate, e —addio, mio bene,— i’ nun aggio saputo fa’ niente cchiù! [p. 316 càgna]

VICENZELLA
(a Gerome)

Il dit que tu as des beaux yeux… Alors, comme tu les a fermés, il ne pouvait plus te peindre.

GEROME
(con entusiasmo)

Merci, monsieur. Vous étes bien aimable… Mais nous sommes en rétard pour nôtre dejeuner! Je meurs de faim. Nous viendrons demain, n’est-ce pas?

DE MURO
(ridiventando cupo, perchè Vicenzella va via)

Sine… sine… quanno vuò tu. Basta ca mo te ne vaie, pecchè nun me fido cchiù ’e me te vedè nant’ ’a ll’uocchie.

VICENZELLA
(stringendo la mano a de Muro, con uno sguardo pieno d’amore)

Dimane?

DE MURO
(nervoso agitato:)

Addio! Addio!

VICENZELLA
(ride, fa una smorfietta, e ripete:)

Dimane. [p. 317 càgna]

GEROME

(a de Muro, accomiatandosi:)

Enchanté, cher Maitre, d’avoir faite vôtre connaissance, et encore une fois, au plaisir de nous revoir.

DE MURO

(con voce un pò velata:)

Grazie…

GEROME

(A Vicenzella)

Alors nous allons, mon petit amour!

(si avviano verso l’uscio, ove si imbattono in Gigante, che torna stanco, rabbioso, sudato)

VICENZELLA

(a Gigante:)

Addio, cattivo!

GEROME

Au revoir, Monsieur!

GIGANTE

(fa un rabbioso gesto di saluto con la mano, e va a sedere dinanzi al suo cavalletto.)

Gerome e Vicenzella escono pel fondo.

[p. 318 càgna]

SCENA IX.


DE MURO, GIGANTE, poi VICENZELLA

De Muro rimane silenzioso. Si passa le mani ne’ capelli, passeggia un pò per lo “studio„ con le mani in tasca. Giganie (che è seduto dinanzi al cavalletto, finge di dipingere, ma l’osserva sott’occhi, e tentenna la testa.

DE MURO

(si accosta al cavalletto, dinanzi al quale era seduto con Vincenzella, dà un formidabile pugno alla tela, ls sfonda, e la lancia in aria. Poi, rivolgendosi a Gigante, con una risata stridente, esclama:)

Che?

GIGANTE
(lo guarda, e non risponde)

DE MURO

(ora zufola, nervoso, — poi automaticamente, prende la chitarra, va a sedere sullo sgabello, in fondo, con le spalle alla porta, e sospira a pena suon di chitarra:)

Oi nè, fa priesto, viene,
nun me fa cchiù aspettà…

Vicenzella rientra, in punta di piedi. Piano piano si accosta a de Muro — gli va di dietro, gli copre gli occhi con le mani — poi gli afferra la testa, se la stringe al cuore — e lo tempesta di baci… [p. 319 càgna]

DE MURO

… Tu?…

VICENZELLA
(stringendoselo ancora al cuore:)

Io… io… io…!

(è tanta passione nella sua voce)

DE MURO

E….. chillo?

VICENZELLA

Me sò scurdato ’e rrose e ’o ’mbrellino…

(scoppia in una di quelle sue clamorose, interminabili risate)

DE MURO

(prende dal piccolo tavolo l’ombrellino e le rose, che porge a Vicenzella:)

Che pazza, Madonna, che pazza!

VICENZELLA

Chisto sì…

(prende l’ombrellino)

Chesti, no…

(libera le rose dal piccolo filo che le legano, le sfoglia, le lancia in alto, per farle ricadere, poi, sul suolo)

DE MURO
(commosso:)

Vicenzè!

[p. 320 càgna]

(la trae a sè, le sussura in un orecchio)

A chi vuò bene?

VICENZELLA

A "mossiù„

(E gli cade nuovamente fra le braccia)

GIGANTE
(irritato)

E bide si se ne va!

VICENZELLA
(strofinando più volte l'indice sui denti:)

Crepa… schiatta…. muore… Mo m’assetto e dico: Quì fu Napoli.

(fa per sedere - poi si leva, e vinta dalla rabbia dice precipitosamente:)

Je vais, je viens, je reviens, je chante, je ris, je pleure, — je fais tout ce que je veux, car ici je suis un peu chez moi — car un peu de cette art est aussi la mienne, celle qui a mangé, avec vous du pain et des cerises, du pain et des cerises,

(con un singhiozzo)

pane e cerase.

DE MURO

Iammo, nun fa ’a pazza… Gigante te vò bene… [p. 321 càgna]

GIGANTE

(fa una smorfia:)

Io?…

VICENZELLA

Je m’en fiche. Sai che significa? Io me ne fo…

DE MURO

(turandole la bocca:

Zitta!

GIGANTE

Vattenne!

VICENZELLA
(leziosa, urtante:)

Pardon, monsieur… Schiatta!

(con una grande riverenza)

Enchanté, et au bonheur de vous revoir…

GIGANTE

Vattenne!

VICENZELLA
(a Gigante, celiando)

Adieu, mon petit amour!

(si ferma sull'uscio)

GIGANTE

Parla chiaro ca j’ nun te capisco! [p. 322 càgna]

VICENZELLA

Crepa!…

(inchinandosi ancora)

Au plaisir de nous revoir, monsieur… au revoir… Muore ’e subito! Au revoir…

(accompagna le parole con mille riverenze, poi scoppia a ridere, e scappa via pel fondo, mentre De Muro trattiene Gigante, che, con i pugni levati, le grida dietro gli ultimi interminabili:)

— Vattenne! Vattenne! Vattenne!


CADE LA TELA

[p. 323 càgna]






TERZO ATTO
[p. 325 càgna]

L'AMBIENTE:


Ancora nello studio di Peppino de Muro.

È la notte della “Vigilia„.

La malinconia della festa cristiana è nell’aria, nelle voci che arrivano di fuori, nell’atteggiamento delle persone.

Michele Gigante ravviva il braciere, Gianfranco siede sulla panca in fondo, tutto raccolto e silenzioso.

De Muro, seduto sul tavolo, che è in avanti, legge. Mancini e Schettini ascoltano, mangiano le castagne, e gettano le bucce lontano.

Mancano molti dipinti, molte stoffe, molti ninnoli. I cavalletti giacciono in un angolo. Intorno è, ora, un senso di vuoto.

Il lumicino ad olio illumina fiocamente le cose e le persone.

Sul tavolo poche castagne, qualche buccia, una bottiglia di vino, e i bicchieri. [p. 327 càgna]

SCENA I.

DE MURO, GIGANTE, MANCINI, GIANFRANCO, SCHETTINI

DE MURO

(leggendo, con voce lenta e malinconica:)

Luntana staie, Natale sta venenno,
che bellu friddo, che belli ghiurnate!
Friddo a ’o paese tuio ne sta facenno?
pe’ Natale ve site priparate?

(lontano lontano un suono di zampogna che muore sul nascere)

Luntana staie, no, siente, nun è overo,
t’aggio ditto a buscia… chiove a zeffunno…
me s’astregneno ’o core e lu penziero,
nun nce vurria stà cchiù ’ncopp’à ’stu munno…

(la voce gli si vela)

GIGANTE

E dalle cu’ ’sta cosa!

MANCINI, GIANFRANCO, SCHETTINI

(insorgendo)

Sstsss!

(e fanno dei gesti con le mani perchè Gigante stia zitto)

[p. 328 càgna]

DE MURO

(continua, commosso:)

Nun nce vurria stá cchiù, sulo penzanno
che fa tant’acqua e nun te sto vicino,
pe nascere e morì na vota ll’anno
che bruttu tiempo sceglie ’stu Bammino!

Basta, che faie? Dì? Che te dice ’o core?
Agge pacienzia, io scrivo e scasso, doppe…
Nun tengo ’a capa. Te manno ’stu sciore,
... astipatillo ’int’’a stessa meloppe…

(de Muro è così commosso che a pena riesce a completare l’ultimo verso)

GIGANTE

(strappandogli il libro di mano)

Posa lloco… Va…

(e fa per gettare il libro nel braciere, ― poi, pentito, si trattiene, ed esclama:)

Hai ragione: nce stanno cose troppo belle ccà dinto!

DE MURO

(con voce roca:)

Chella ’e ssapeva tutte a mente…

GIGANTE

(aspro:)

A chi vaie annummenanno? [p. 329 càgna]

GIANFRANCO

(dal fondo, a Gigante, con uno dei suoi scatti:)

E zitto!

GIGANTE

(insorgendo:)

Che vuò tu?

GIANFRANCO

Zitto! zitto! zitto!

(E ridiventa cupo e silenzioso)

GIGANTE

(sbuffa, e tace)

MANCINI

(legge ad alta voce una cartolina illustrata, che è sul tavolo:)

Dal quartiere Latino, Marcello augura buon Natale ai suoi compagni di arte e di digiuno. Abbraccia Peppino de Muro, e stringe la piccola mano a Vicenzella.

DE MURO

(strappando la cartolina di mano a Schettini, e riducendola in cento pezzetti:)

Che imbecille!

GIGANTE

(con una smorfia)

Si a chillo ’a capa nun l’aiuta! [p. 330 càgna]

DE MURO

(levandosi e passeggiando concitatamente per la stanza, le braccia incrociate)

Vedete se un amico,… una persona seria, unisce il nome di un galantuomo a quello di una sgualdrina da marciapiede…

MANCINI

Guarda, io non ci ho mai messo bocca in quest’affare, perchè so le cose del mondo come vanno, ma mo francamente ti dico che Vicenzella s’è comportata in un modo che non merita più considerazione…

GIANFRANCO

(senza asprezza:)

Era nata pè fà chello…

GIGANTE

(ravvivando il braciere:)

I’ dico: te si misa c’ ’o francese, e va bene; ― hai la scolpante del bisogno, e chisto t’ha perdunata; ma doppo ca’ ’o francese t’ha lassata, e che Dio! cu tutte te vuò mettere?

MANCINI

Che schifo!

GIGANTE

(accennando a de Muro)

Colpa sua!… [p. 331 càgna]

DE MURO

(tentenna la testa)

GIGANTE

Tua! Tua! Tua!

DE MURO

Lo so, lo so, lo so, Cristo!…. ’o ssaccio… Era una…

(si dà un colpo con la mano sulla bocca)

È finita! E’ finita… Da tre mesi non ne ho avuto più notizie…

(sbuccia nervosamente una castagna, la mangia, e beve un bicchiere di vino)

Nun saccio che dice, che ha fatto, addò sta… E’ finita… va bene? E ringraziamo il Padreterno, ma nun ne parlammo cchiù!…

GIGANTE

Oh, bella! Tu p’o primmo cacce ’o discorso….!

GIANFRANCO

E non dovresti parlarne.

MANCINI

Eh, parlarne!… Non avresti dovuto mai affiancarla…

GIGANTE

’A quanno venette c’’o francese l’îssa avuta jettá for’ ’a porta!… [p. 332 càgna]

GIANFRANCO

Ca si t’avesse vuluto bene…

GIGANTE

Che bene e bene!

MANCINI

Chello sò femmene ca nun vonno bene a nisciuno!

GIGANTE

Sò put…

DE MURO

(senza dargli il tempo di finire, insorgendo, con un grido:)

No!… No!… No!…

MANCINI

Ma se tu stesso…

GIANFRANCO, GIGANTE
(sconvolti e turbati, quasi contemporaneamente:)

Uh Giesù, ma allora…

DE MURO

E io sì: voi no! Io voglio dì tutto chello ca voglio: voi no!…

(fuor di sè)

Vicenzella è una santa, è una padreterna, e tutto quello che ha fatto è ben fatto! Io non capisco tutto questo accanimento contro ’na povera dia, ca quando è stata [p. 333 càgna] quà, vicino a me, ha sofferto la fame per mantenersi pulita… E così parlano gli artisti? E siete artisti voi? Voi siete…

MANCINI

… Si… si… tutto quello ca vuò tu…

DE MURO

(a Gianfranco)

Mon mi voleva bene?

(scoppia a ridere a lungo, nervosamente, —
poi, con uno scatto:)

Tanto mi voleva bene! Tanto, tanto, tanto, quanto nessuna donna ha voluto mai bene ad un uomo… Po’ se stancaie, e aizaie ’ncuollo e se ne iette… E buon viaggio!

GIGANTE
(ride rabbioso, — gli altri scrollano la testa:)

DE MURO
(a Gigante:)

E che vuoi dire?

(agli altri:)

E che volete dire? — Ha fatto bene. Ma vuie nce pazziate a campà vicino a me? ’N’ommo ca nun sape dì “te voglio bene!„ ca si va pe’ fà na carezza te fa male, — scuntruso, nervuso, ca non sai mai per quale lato pigliarlo… ’A vulevo bene? — Sissignore, — ma’ o [p. 334 càgna]ssapevo io e io — Glielo ho detto mai? Mai. Belli chiacchiere!… Le parole contano, — hanno il loro valore…

MANCINI

Insomma, la colpa è tua?

DE MURO

(cadendo dalle nuvole, con la intonazione di un fanciullo)

Mia? E che ll’aggio fatto io?

(con pietosa ingenuità:)

Io l’adoravo! Io mi sarei levato gli occhi da fronte per quella svergognata!

MANCINI

Ma lo vedi che dici e disdici? Non ragioni più!

GIGANTE

Quanno ’a vuò mettere ’sta capa ’ncapa?

DE MURO

(con un singhiozzo nella voce:)

Mai! mai! Voglio murì pazzo!…

(siede sulla sedia, — i gomiti puntati sul tavolo, la testa tra le mani. Gli altri sembrano assorti.) [p. 335 càgna]

SCENA II.

I PITTORI, ANNA DE MURO e la piccola LUCIA

Entra, quasi inosservata, Anna de Muro, seguita dalla piccola Lucia, pallida e assonnata. La cieca, diritta, sicura, va verso il figliuolo, gli caccia le mani nei capelli, e non profferisce parola.

DE MURO
(con un sussulto:)

Mammà!

ANNA
(ride con la sua risata dolce e malinconica)

MANCINI, GIGANTE, GIANFRANCO, SCHETTINI
(circondano la cieca, le stringono le mani, le rivolgono qualche parola)

MANCINI

A chest’ora?

GIANFRANCO

E comme va?

GIGANTE

Cu chistu friddo?

(la piccina si adagia sul divano, che è in fondo, e si addormenta. Schettini la copre col suo vecchio pastrano e rimane, a contemplarla.)

[p. 336 càgna]

ANNA

Sò ’e quatto,… a ’e cinche esce ’a primma messa… Stanotte Giesù Bammino nasce n’ata vota…

(con un sorriso:)

E nuie ccà l’aspettammo…

(cambiando tono — a de Muro:)

Tu, alluccave?

DE MURO

Io? No!…

ANNA

Pecchè alluccave?

DE MURO

(un pò nervoso:)

Mammà!

ANNA

(toccandogli una mano:)

Triemme ancora…

(agli altri)

Ch’è stato?

MANCINI

No, niente…

GIGANTE

Chiacchiere…

GIANFRANCO

Lo sapete che quando parla si eccita… [p. 337 càgna]

ANNA

(che ha compreso, — con uno scherzoso gesto di minaccia, a Gigante:)

Michele, Michele, nun m’’o fà piglià collera a ’stu figlio!…

GIGANTE

Si tutt’’a collera s’’a pigliasse pe’ me…!

ANNA
(gli poggia con dolcezza una mano sulla spalla)

DE MURO
(trae a sè Mancini, lo guarda negli occhi, come a chiedergli perdono, poi se lo stringe al cuore)

MANCINI
(commosso:)

Peppeniello…!

(fa per dargli uno schiaffetto, – vorrebbe ridere, ma è vinto dalla commozione, e si allontana, nel fondo)

ANNA

Ne, don Nicola Mancini, e c’avite fatto? Nun ce site scise cchiù a ’o cafè?… Vuliveve fà… vuliveve dicere.

MANCINI
(ridendo)

E quanno chillo, ’o pittore, s’è miso a leggere!… [p. 338 càgna]

ANNA

Ah, mbè? S’è miso a leggere?

GIANFRANCO

Ma dico: mo nce putarriamo arrivà a’ o cafè ’e don Ciccio?

SCHETTINI

Nce sò passato verso mezanotte… Era una cosa di una indescrivibile bellezza…

GIGANTE
(ridendo)

Stevano nchiuse ’a dinto, e ghiucavano a tombola.. Aggio tuzzuliato, m’hanno apierto, e m’hanno offerto, nientemeno ca na presa d’annese… I’ nce l’aggio ditto pure ca cchiù tarde nce turnavano cu de Muro… cu Mancini.

DE MURO

No, me scoccio…

ANNA

(a Gigante, in un orecchio:)

Purtatavillo…

MANCINI

Ma quel caffè è d’un pittoresco enorme, sapete! Pare na pazzia, ma, intanto, è uno dei pochi caffè napoletani che non ha perduto il carattere. [p. 339 càgna]

GIANFRANCO

Pieno di colore: con quell’aria settecentesca…

GIGANTE

Tazze ’e chesta posta: verde, rosse, gialle…

MANCINI

… E chilli viecchie ca nce passano na vita sana lla dinto… Che divine macchiette!

GIANFRANCO

… Don Biagino, ’o sapite? ’N’impiegato a ritiro, che è una cosa troppo bella di malinconico e di grottesco…

GIGANTE

…E chillo don Rafele ’o cabalista, che ’a cinquant’anne ca ’o saccio, nun ha pigliato mai ’n’ambo, che tipo, ne?

SCHETTINI

… E don Ciro ’o prevete, c’accarezza tutt’o juorno a Muscione, addurmuto ’ncopp’’o divano?

MANCINI

… Don Ciccio… don Ciccio è o cchiù bello e tutte quante, — cu nu cuorpo tantillo ca scunocchia sott’’a chella capa ’annecchia, è una cosa d’uno spasso indescrivibile…

DE MURO

(con un sorriso malinconicoi)

Che gente! [p. 340 càgna]

GIANFRANCO

(a de Muro:)

Iammo, che ’a figlia cchiù piccerella nce tene nu pensiero pe’ te!…

DE MURO
(sorridendo:)

Vattenne!

MANCINI
(a de Muro)

Sempe ’e te me spia: chist’è nu fatto…

SCHETTINI

Nun le facisteve ’o schizzo ’ncopp’’o marmulo d’o tavulino?

ANNA
(ridendo)

Ah, ne?

DE MURO

Nun saccio comme me truvaie… pe’ me fà passà nu poco ’a fantasia le facette nu schizzo c’’o lapis…

GIGANTE

Ma chillo ca faciste a “Coppola Rossa„ era ’na meraviglia…

DE MURO

Sì… chillo nun era brutto… [p. 341 càgna]

SCHETTINI

E pò ’int’à quanto nce ’o facette? Int’ ’a nu mumento…

GIGANTE

Nun s’arrivaie manco a fernì ’a presa d’annese, ch’era bello e fatto…

ANNA
(ridendo, a de Muro:)

Chesto sì redutto a ffà: schizze pe’ dint’’e cafè?…

DE MURO

Ma mo manco chesto saccio fà cchiù!

MANCINI
(contemplando la piccina che dorme:)

Comme dorme!

GIGANTE

Pallida pallida…

MANCINI

Non ho mai visto due occhi più belli, più profondi, più espressivi…

GIANFRANCO

Pare nu bello Michetti!

ANNA

Nun tene a nisciuno…

[p. 342 càgna]

MANCINI

E quanto capisce!

GIGANTE
(un pò forte:)

Lucìella mia!

MANCINI

Ssts!…

GIANFRANCO

E che faie? Accussì ’a scite?

GIGANTE
(con uno dei suoi scatti bizzarri)

Nun me fido d’’a vedè durmì!

MANCINI

Vedite che idee!…

DE MURO
(che se n'è stato silenzioso a contemplare, grida a Schettini:)

Damme ’o lapis…

MANCINI, GIGANTE, GIANFRANCO
(comprendono e sorridono)

DE MURO

(comincia a fermare qualche segno su di un piccolo cartone, poi, d’un tratto, bruscamente, lacera il cartone e lancia la matita in aria.)

Un doloroso mormorio tra gli artisti.

[p. 343 càgna]

MANCINI

(che è lì lì per commuoversi — rivolgendosi agli amici:)

Bè, che si fa?

GIGANTE

Mo pare brutto… Pure ca nce passammo nu mumento…

GIANFRANCO

Glielo abbiamo promesso.

ANNA

(a de Muro:)

E va, bello ’e mamma, ammacaro te distrae nu poco…

DE MURO

(nervoso:)

Non ho niente da distrarmi, mammà. Io sto benissimo…

ANNA
(ridendo, e battendogli sulla spalla:)

E zitto… e zitto…

GIGANTE (indossando il pastrano:)

Signori, io mi avvio.

GIANFRANCO
(imitandolo:)

Chi mi ama, mi segua…

E tutti e due escono pel fondo

[p. 344 càgna]

DE MURO
(ad Anna)

Manco mez’ora, e stammo ccà…

MANCINI
(posa dolcemente la mano sulla spalla della vecchia)

ANNA
(indovina:)

Nicola Mancini…

(e ride triste)

MANCINI
(ridendo anche lui)

Si, si, Nicola Mancini.

Ed esce con de Muro e Schettini pel fondo.

ANNA
(va a sedere sulla vecchia poltrona, accanto al fuoco)
Un lungo silenzio.

[p. 345 càgna]
SCENA III.

ANNA DE MURO, LA PICCOLA LUCIA. VICENZELLA

Ecco che, in fondo, appare Vicenzella. È ansimante, è assiderata: ha corso tanto che, ora, le forze le vengono meno.

È mal ridotta, — veste povera, e a nero. Nasconde il volto in un piccolo scialle di lana rossa. S’arresta sull’uscio, volge d’intorno l’occhio sgomento, e soffoca un grido. Sta per venir meno… S’ode il suo respiro affannoso. Poi leva le braccia in alto, e rimane ritta sull’uscio. Ha, in questo atteggiamento, qualcosa di sacro.


ANNA

(sente che qualcuno è in casa)

Chi è?

VICENZELLA

(portando una mano al cuore, per trattenerne i battiti, con un fil di Voce:)

Io…

ANNA

E chi si’?…

VICENZELLA

Manco ’a voce canuscite cchiù?

Un silenzio.

[p. 346 càgna]

ANNA

(con voce roca:)

E che vuò a chest’ora?

VICENZELLA

(secca)

Niente.

ANNA

Nun ce sta nisciuno. Sto sola. Sò asciute tutte quante.

VICENZELLA

E sinnò nun trasevo. Nisciuno m’haddà vedè. Vuie sola!

(posa l’occhio su le cose che ella conosce, fissa una tela sulla quale lei è dipinta — poi va presso la vecchia, cade in ginocchio presso la cieca, le stringe la mano.)

ANNA
(ritraendo la mano:)

Unu gelo!

VICENZELLA

Scusate…

ANNA
(aspra)

Scárfate vicino ’o ffuoco…

(Vicenzella curva sul braciere, si riscalda le mani al fuoco)

Ancora un suono di zampogna lontano lontano, e qualche voce malinconica nella notte.

[p. 347 càgna]

VICENZELLA

Fore fa ’a neve…

ANNA

Sì stata malata?

VICENZELLA
(a fior di labbra:)

Sì…

ANNA

E mo?

VICENZELLA
(cupa)

Sto malata ancora.

ANNA
(toccata dal suono della voce:)

E nun l’ê fatto sapè a nisciuno?

VICENZELLA
(con terrore)

No.

ANNA

E pecche?

VICENZELLA
(più cupa ancora)

Pecchesto…

Un breve silenzio

[p. 348 càgna]

ANNA

E ch’ê tenuto?

VICENZELLA

Niente.

ANNA

(aspra, — la fronte china, — con disgusto:)

’O ssapevo!

VICENZELLA

(subito, con voce roca:)

Nun è chello ca penzate vuie…

ANNA
(allontanandola con la mano:)

Vattenne…

VICENZELLA

(fiera)

No. Stanotte pozzo stà ccà!

ANNA
(con sdegno:)

I’ nun te sento…

VICENZELLA
(forte, energica, tragica:)

E me â’ sentere. Pe’ figlieto so’ venuta. [p. 349 càgna]

ANNA
(ridendo, amara)

Tu?

VICENZELLA

Io.

ANNA

E che te ’mporta ’e figliemo a te?

VICENZELLA

(mutando tono:)

Nun parlà accussì… Iammo, nun me mettere ’ncroce… Siente… doppo Natale j’ parto… vaco all’America… me mbarco pe’ cameriera ’e bordo…

ANNA

(amara e ironica:)

Vaie a fà furtuna?

VICENZELLA

(dolente)

Sì, vaco a fà furtuna…

ANNA

E che buò ’a figliemo?

VICENZELLA

Niente… Chesto l’è ’â dicere: ca j’ p’isso parto… Isso sulo nun m’haddá vedè cchiù! [p. 350 càgna]

ANNA

E che le ’mporta?

VICENZELLA

(forte)

Le ’mporta, le ’mporta: nun dicere buscie. I so’ tutto pe’ figlieto. E isso è tutto pe’ me!…

ANNA

Nun è overo.

VICENZELLA

E’ overo! E’ overo!!

ANNA

Figliemo nun te penza cchiù…

VICENZELLA

Me penza… me penza.

ANNA

Se n’è scurdato ’e te.

VICENZELLA

No.

ANNA

Mo fatica e sta quieto.

VICENZELLA

No…

(e guarda le pareti nude)

[p. 351 càgna]

ANNA

Nun t’annommena cchiù…

VICENZELLA

(con voce ardente:)

No, nun è overo. Figlieto more pe me.

ANNA

(levandosi, minacciosa:)

Ma che buò? M’ ’o vuò perdere ’n’ata vota?

VICENZELLA

(con un grido:)

Io?

ANNA

Tu… tu!…

VICENZELLA

Ah, tu le si’ mamma, e manco tu farrisse chello ca i’ faccio p’isso!…

ANNA

E che faie?

VICENZELLA

Me e vaco.

ANNA

Pe’ figliemo?

VICENZELLA

Pe’ figlieto!… [p. 352 càgna]

ANNA

(ridendo)

Si pazza.

VICENZELLA

(fuor di sè)

Guardame.

ANNA

(ridendo feroce:)

’O francese t’ha lassata?

VICENZELLA

Guardame…

ANNA

Tutt’ ’e nammurate tuoie t’hanno lassata?!…

VICENZELLA

Guardame…

ANNA

Nisciuno cchiù te tene mente…

VICENZELLA

Zitta!

ANNA

E mo vaie all’America…

VICENZELLA

Zitta! [p. 353 càgna]

ANNA

Pe’ fà llà chello ch’ ’ê fatto ccà… Schifosa!

VICENZELLA

No… Te miette a Dio sott’ ’e piede… Guardame…

(si libera dello scialle che le copre il volto, — lo getta lontano, e appare con la faccia deturpata dal vaiuolo)

I’ so’ tutta svisata!

ANNA

(si leva, brancola con le mani nel vuoto — cerca il volto di Vicenzella — glielo palpa, — poi, cacciandosi le mani nei capelli, grida, come impazzita:)

Peppeniello mio! Peppeniello mio!

VICENZELLA

(atterrita, indietreggia, protendendo le braccia verso la cieca)

Nun ce ’o di’! Nun ce ’o di’!…

ANNA

(disperata, come rivolgendo la parola al figliuolo)

Figlio mio bello… core e mamma soia… E comme faie?

(ripete, ora, le parole con un singhiozzo, tormentandosi le mani:)

E comme faie?!

VICENZELLA

(indietreggiando ancora, con un fil di voce, supplichevole:)

Nun ce ’o dì!… Nun ce ’o dì!… [p. 354 càgna]

ANNA

(chiamando a sè Vicenzella, e stringendole la testa fra le mani:)

E dì, dì, dì: comm’è stato?

VICENZELLA

E che ssaccio!

(or la sua voce è cupa, tragica, spezzata: parla più con gli occhi che con le parole. Il suo pallore è spaventevole.)

Quanno venette ’o miedeco j’ già nun capevo cchiù niente…

(si passa le mani nei capelli)

Chesto surtanto me ricordo: ca chillo ca steva cu me se ne fuiette… po’ se ne fuietteno tutte quante… e me lassaieno sola… ’e notte… dint a ’na casa ’ncampagna…

ANNA

(con un fil di voce:)

Figlia mia!…

VICENZELLA

Tre mise… sola.. dint’’a nu spitale… senza nisciuno… Tutt’’e notte me sunnavo chill’albero ’e limone!…

(accenna al piccolo albero che s’ergeva dietro la finestra. E scoppia a piangere convulsamente, nascondendo il volto fra le mani.)

ANNA

(tirandola a sè, con voce materna:)

Vicenzella!… [p. 355 càgna]

VICENZELLA
(aggrappandosi alla vecchia:)

Sempe a vuie aggio penzato… A te, a Peppeniello… a Mancini… a Gigante… Sempe ’a casa toia me sò sunnata!…

ANNA
(quasi con un grido, torcendosi le mani:)

E pecchè te ne iste?…

VICENZELLA

Nun nce putevo stà cchiù!… Doppo ca me lassaie c’’o francese, me mettevo scuorno ’e cumparì dint’’o studio… De Muro m’’o rinfacciava ogni mumento… l’amice suoie m’avutavano ’a faccia… tu, pe’ bia mia, te ne vulive i’ d’’a casa… Dicette: E va bene. Si Dio vò accussì, sia fatta ’a vuluntà ’e Dio!…

ANNA

E faciste ridere ’a gente…?!

VICENZELLA

’A gente?… E nun è stato p’’a gente c’ogge me trovo accussì?… Uno “sciu sciu„, dint’’a recchia: Che faie? Nun ’o vide ca te pierde?… Nun saie comme sò l’artiste… Ogge cu una, e dimane cu n’ata… Nun ’o vvide comme si arredotta?.. Scauza, e cu’ na petaccia ncuollo… — E j’ niente: ’O voglio bene, e me vò bene…

ANNA

E te mettiste c’’o francese…?!

[p. 356 càgna]

VICENZELLA

Pe’ dispietto.

ANNA

E comme fuie?

VICENZELLA
(con un singhiozzo:)

Pe’ ’na camicetta ’e velluto!…

ANNA

(tentenna la testa)

VICENZELLA
(con pietosa ingenuità:)

’Na camicetta ’e velluto verde, ca m’ ’a rialaie ’o francese, quanno j’ me cuntrastaie cu Peppino!…

ANNA
(amara)

Tutte quante accussì!… Pe’ na vesta… nu cappiello… nu paro e scarpine… ’na camicetta… ’e velluto… L’artiste ve piaceno pe’ n’ora… ’O “cocò„ ve fa ascì pazze.

VICENZELLA
(con voce vibrata:)

Tre anne so’ stata vicino a figlieto!

ANNA
(insistendo nella sua idea:)

Nun era vita pe’ tte! Doppo nu mese te sapette a duro… [p. 357 càgna]

VICENZELLA

Me sò perduta pe’ figlieto!

ANNA

Pe’ ll’ate te sì perduta: no pe’ figliemo!

VICENZELLA

Sulo a isso aggio vuluto bene.

ANNA

E l’è lassato?

VICENZELLA

(forte, energica:)

E tu, nun vulive chesto, tu?

ANNA

Si, e no. Nun ’o ssaccio, ma tu nun te ne aviva j’!…

VICENZELLA

(pietosa)

Me ne cacciaveve sempe…

ANNA

Chi t’ha vuluto cchiù bene ’e figliemo?

VICENZELLA

(con un singhiozzo:)

Nun me l’ha ditto maie…

ANNA

E nun ’o ssapive, tu?.. [p. 358 càgna]

VICENZELLA

Si… ’o ssapevo… e nun ’o ssapevo…

ANNA

(agitando le mani:)

Ah, ch’è fatto!… Si ’o vide, nun ’o canusce cchiù!…

VICENZELLA

Core mio!

(supplice — alla vecchia)

E dimme: parla ’e me?…

ANNA

(non risponde)

VICENZELLA

M’annommena maie?

ANNA

(tace ancora)

VICENZELLA

(pietosissima, stavolta:)

Maie ha spiato ’e me?

ANNA

(è sempre muta)

VICENZELLA

(con un grido, scuotendola:)

Me vò bene? [p. 359 càgna]

ANNA
(levandosi, con la voce ardente:)

Figliemo more pe’ te!

VICENZELLA
(fuor di sè, ebbra — gli occhi lucenti:)

E io?! E io?!

ANNA

Nun dorme pe te!…

VICENZELLA

E io?!…

ANNA

E chell’ora ca dorme, te chiamma ’n zuonno…

VICENZELLA
(con voce roca, vinta dal terrore:)

Zitta!… zitta!…

ANNA

Nun pitta cchiù!…

VICENZELLA

Zitta!… zitta!…

ANNA

L’albero ’e limone, t’’o ricuorde?

VICENZELLA
(con un fil di voce:)

Sì… [p. 360 càgna]

ANNA

Be’, cu ll’accetta — zà! — uno colpo, e l’ha tagliato!

(la voce è ardente e feroce)

VICENZELLA

Zitta!… zitta!…

ANNA

Manco ’a chitarra tene cchiù. Primma spezzaie tutt’ ’e ccorde, e po’ ’a menaie dint’o ffuoco…

(ride a lungo)

VICENZELLA
(agitando le mani:)

No!…

ANNA

Aiere,

(afferrandola pel braccio e scuotendola forte)

tu me siente?

VICENZELLA
(con un fil di voce:)

Si.

ANNA

Aiere arapette ’a caiola, e facette vulà ’a canaria…

VICENZELLA
(agitando ancora le mani,— con un singhiozzo:)

No!… no!… [p. 361 càgna]

ANNA

E ssaie che le dicette? “Va… va… va trova a Vicenzella„! Po’ me cadette ’mbraccia, e me dicette: Mammà, Vicenzella me vò bene!…

VICENZELLA
(con un grido:)

Sì… sì… sì… dincello, ca sulo a isso aggio vuluto bene… ca j’ tanno era felice… quanno me murevo ’e famma miez’a ll’artiste… Dincello, ca nisciuno cchiù m’ha saputo dicere chello ca me diceva isso…

ANNA
(con voce d'amore,— ebbra anche lei:)

Te chiammava ’a canaria…

VICENZELLA

Dì… dì…

ANNA

Te chiammava Primmavera…

VICENZELLA

Dì… dì…

ANNA

Te chiammava Cerasella.

VICENZELLA

Pane e cerase… pane e cerase… te ricuorde?… E i’ le cantavo ’e ccanzone…

ANNA

E isso pittava…

[p. 362 càgna]

VICENZELLA

E j’ po’ m’addurmevo llà ’ncoppa…

(accenna al vecchio divano)

ANNA

Llà…

VICENZELLA
(manda un grido, e indietreggia, coprendosi il volto con le mani)

Chi è? Luciella?

ANNA

Stss!… dorme.

VICENZELLA
(con un fil di voce:)

Dorme…

(si accosta lentamente alla piccina, la bacia in fronte, — e poi torna, in punta di piedi presso la cieca, dopo aver deposto sul piccolo tavolo una lettera che ha tirato fuori dal corsetto. Mormora a pena:)

Luciella mia, e i’ comme faccio mo ca nun te veco cchiù?!…

ANNA
(supplichevole, a Vicenzella:)

Nun te ne j’!…

VICENZELLA

Pe’ figlieto me ne vaco.

ANNA

Comme faccio senza ’e te? [p. 363 càgna]

VICENZELLA

E comme pitta cchiù figlieto, si me tene nant’’a ll’uocchie accussì?

ANNA
(ha, ora la voce calda, armoniosa, commossa, come quella di suo figlio:)

I’ te voglio bene!…

VICENZELLA
(scostandosi un poco:)

Tu parle comme a isso!

ANNA

Tu si ’a canaria d’’a casa mia!

VICENZELLA
(scostandosi ancora, — e con un tremito nella voce:)

Tu tiene ’a voce soia!…

ANNA

Senza ’e te me ne moro!…

VICENZELLA
(fuor di sè, atterrita, con la voce roca:)

Chi è?… Chi sì tu?…

ANNA

Ll’uocchie te luceno ancora!…

[p. 364 càgna]

VICENZELLA
(manda un urlo, si leva, raccoglie lo scialletto, e indietreggia:)

Tu ce vide?… Tu ce vide?… Tu ce vide?…

(E si copre il volto con lo scialle)

ANNA
(levandosi, e brancolando nelle tenebre, chiama con un grido che è tutto un singhiozzo)

Vicenzè!…

VICENZELLA
(indietreggiando ancora:)

No…

ANNA

Vicenzè!…

VICENZELLA

No!… no!… no!…

ANNA
(con voce spasmodica:)

Vicenzeeeèèè!

VICENZELLA
(fugge come una ladra inseguita, — e l'ombra sua si dilegua nell'ombra della notte.)

ANNA

(fa qualche passo: vorrebbe raggiungerla. Brancola un pò nelle tenebre, poi si arresta dinanzi al braciere spento, — la testa in alto e le braccia protese. In fondo [p. 365 càgna]la piccina si desta, e spalanca gli occhi, atterrita. Non profferisce parola. Leva le piccole braccia in alto, e prende a singhiozzar forte).

Passa, in fondo, un monello, agitando un bengala, che, per un attimo, illumina della sua luce rossa il piccolo ambiente, immerso, quasi, nelle tenebre.

UNA VOCE LONTANA

Sparate!… Sparate!…

Dalla via giungon voci e risate


SCENA V.


DE MURO, GIGANTE, MANCINI, GIANFRANCO, SCHETTINI.
(irrompono gai e un po' brilli nella piccola casa dolorosa)

DE MURO
(entra, col bavero del paletot alzato e il cappello sulla nuca:)

Mammà, mammà, il colpo è fatto! Sono guarito! Io sposo le figlie di don Ciccio.

MANCINI
(ridendo)

Tutte e tre?

DE MURO

Tutte e tre.

GIANFRANCO

E a Gigante?

[p. 366 càgna]

DE MURO

A Gigante? Queste!

(fa le corna con le mani)

MANCINI

(s'accosta, intanto, alla piccina, che singhiozza ancora:)

Che è?…

LUCIELLA

(singhiozza forte, agita le manine, e non risponde)

GIGANTE

Ch’è stato?

DE MURO

Luciè?!

GIANFRANCO

(accorrendo)

E quanno maie?

SCHETTINI

Che t’hanno fatto?

LUCIELLA

(agita ancora le manine, e, singhiozzando, indica il piccolo tavolo. Ha gli occhi sbarrati:)

Là… là… là…

GIGANTE

(che non comprende ancora — atterrito:)

Luciella mia!… [p. 367 càgna]

LUCIELLA

(convulsa, indicando con tutte e due le manine il tavolo:)

Là… là… là…

DE MURO

(accorrendo presso il tavolo:)

E che ce sta llá? ’Na lettera?

(prende il foglio fra le mani:)

Chisto è carattere ’e Vicenzella…

(alla madre)

Ccà è venuta Vicenzella?

ANNA

(non risponde)

DE MURO

(amaro, turbato:)

E che vò?…

ANNA

… Sta malata…

DE MURO

E che me’ mporta?…

ANNA

… Parte… se ne va…

DE MURO

(con voce roca)

Chi?…

[p. 368 càgna]

ANNA

… Nun torna cchiù…

DE MURO
(convulso, apre il foglio, e comincia a leggere:)

… Amore mio bello…

(ride, e sta per strappare il foglio)

— La campana della chiesa vicina chiama i fedeli a raccolta. De Muro interrompe la lettura. La cieca mormora una preghiera, e, ritta, la fronte alta, bella come una santa, esce, guidata per mano dalla piccina, senza dire più parola.

De Muro segue la vecchia con lo sguardo. E trasfigurato.

D’intorno è silenzio.

DE MURO

(riprende a leggere lentamente la lettera. La sua voce è velata dalla commozione, — le mani gli tremano. Gli artisti lo circondano, e ascoltano in silenzio.)

Amore mio bello,

Vicenzella tua se ne va. Non la vedrai più! Se ne va tanto lontano!… Se avesse avuto il coraggio di uccidersi, a quest’ora lo avrebbe già fatto… Morirà poco a poco. Perdonala, amore mio bello, perchè tanto ha sofferto, e tanto ti ha amato!… Che tristezza!… Tanto bene ti voglio… Tanto bene… tanto, tanto, tanto!

Lavora, e non pensare piú a me No, no… pensami qualche volta… Sono stata tanto malata… Ho tutta la faccia svisata! [p. 369 càgna] (Un mormorio pietoso fra gli artisti. De Muro fa gran forza su sè stesso, per proseguire nella lettura. La espressione del suo volto non è descrivibile.)

… Sono orribile, ma gli occhi sono belli ancora. … Addio, amore mio bello!… Che Iddio ti aiuti!… Sei tanto buono, e hai tanto sofferto per me… Povera Vicenzella, come è finita!… Bacia tutti per me: Mancini, Gianfranco, Antinori, Schettini… E sopratutti, Gigante… Digli che mi perdoni se facevo i capricci… Non ne farò più… Sono cosi brutta che nessuno me li farebbe passare… Ti bacio sugli occhi, sulla bocca, sulla fronte, sulle mani, e in ogni bacio è un poco del mio cuore, che è tuo, sempre tuo… solo tuo!…

Vicenzella…

GIGANTE

(che è seduto sulla panca, nasconde la testa tra le mani, — i gomiti puntati sui ginocchi, — e scoppia in singhiozzi)

Mancini, Gianfranco, Schettini van verso il fondo, per nascondere la loro commozione, — spalancano la porta, e si aggruppano sulla soglia dell’uscio.

Fuori albeggia. — Un’alba pallida e fredda — Nevica.

LA VOCE DI UN FANCIULLO

’A neve!… ’A neve!…

UNA VOCE LONTANA

(triste, a cantilena:)

Sparate!… Sparate!…

Suonano le campane a gloria. Gesù è nato nella notte cristiana.

[p. 370 càgna]

DE MURO

(frenando i singhiozzi, e stringendo al suo cuore la testa bianca di Gigante:)

Zitto!… zitto!…

GIGANTE

(con un singhiozzo:)

Vicenzella!

DE MURO
(abbandonandosi, ora, alla piena del suo dolore:)

E che faccio cchiù io?! Comme pitto cchiù io?!

GIGANTE
(ripete, ora, come un ebete:)

“Salutami Gigante… e digli…. che mi perdoni… se facevo i capricci…„

DE MURO
(cadendo fra le braccia di Gigante:)

Zitto!… zitto!… zitto!…

Ancora un suono di campana, e qualche voce malinconica e stanca, nella notte.

E IL DRAMMA FINISCE

[p. 371 càgna]






Niente «errata corrige». Chi ama attribuire all’analfabetismo dell’autore qualche inevitabile strafalcione tipografico, si accomodi pure. Non è per gli spiriti acidi che io ho raccolto in volume queste commedie, ma per quelle poche anime sensibili che sono ancora disposte ad ascoltare una voce schietta e commossa, fioca o alta che essa sia.

L. B.